giovedì 9 febbraio 2012

Gli insulti dei 'tecnici' preparano il terreno alla controriforma del mercato del lavoro

Cominciamo ad essere stanchi.
Stanchi di un governo di tecnici così tanto politici da comprendere e pronunciare solo il linguaggio del liberismo anni '80, con trent'anni di ritardo e un giudizio di condanna già espresso dalla storia.
Stanchi di pseudoprofessoroni che, nella migliore delle ipotesi, parlano come un libro stampato, senza riuscire a guardare al di là del proprio naso; e che più spesso riescono, malgrado una insopportabile puzza sotto al naso, a tenere un livello discussione più vicino alla chiacchiera da bar che alla saggezza del buon padre di famiglia.
In queste settimane abbiamo assistito ad un florilegio di esternazioni al limite dell'insulto contro il mondo del lavoro e di quello giovanile in particolare, a fronte di un vuoto pneumatico nella proposta politica che non fosse rivolta a colpire ripetutamente, nella borsa e nella vita, proprio lavoratori e pensionati.
Perché, come abbiamo più volte fatto notare, il vero volto del governo Monti è rappresentato dalla manovra lacrime e sangue del 5 dicembre scorso, con il taglio delle pensioni e dei trasferimenti agli enti locali, la reintroduzione dell'ICI sulla prima casa, l'aumento di contributi, le accise, le addizionali di ogni tipo, la benzina spinta alle stelle.
La successiva manovra 'CresciItalia' è stato il classico pannicello caldo, tanto per dare un po' di colore ad un governo di teste grigie e poco smalto: è per questo che i media di regime si sono affannati a scambiare la loro piattezza in sobrietà e a gonfiarne a dismisura i meriti.
E le famose liberalizzazioni su cui la propaganda governativa ha battuto molto in queste settimane si stanno rivelando tanto fumo e pochissimo arrosto.
C'è per caso qualcuno che si ricordi, così all'impronta, uno solo di quel complesso di provvedimenti che, a detta di Monti, avrebbe dovuto innescare una rivoluzione copernicana dando fuoco alle polveri di un boom da far impallidire il miracolo economico degli anni Sessanta?
Perché su ordini professionali, notai e farmacie la montagna ha partorito un topolino; naturalmente molto più facile prendersela con i tassisti.
Ma ciò la dice lunga sul metodo di lavoro del governo tecnico, forte con i deboli ma debole con i forti.
Tanto che i grandi monopoli e i trust finanziari non solo possono esultare per lo scampato pericolo ma sono diventati i principali sponsor di una prolungata permanenza di Mr. Monti a Palazzo Chigi.
Come conseguenza, di fronte ad attese inizialmente molto forti ma che vengono puntualmente frustrate, i suoi ministri non trovano di meglio che cimentarsi verbalmente con il tiro al bersaglio, scegliendoselo tra le innumerevoli categorie deboli.
Ha iniziato il sottosegretario Michel Martone, figlio di papà doc, così sventato e narciso da dare dello sfigato a chi di certo non può vantare le sue conoscenze (nel senso di entrature).
Ha proseguito, dopo un delizioso antipasto di tocchetti di pensioni in pinzimonio di lacrime di coccodrillo, la Fornero, pardon Fornero, che nel voler "spalmare le tutele sociali a tutti" (i lavoratori), di fatto  intende semplicemente toglierle a chi già ce l'ha (non sia mai cercare di estenderle agli altri!): di qui il tormentone sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come causa di tutti i mali italiani.
Lo ha confermato ancora una volta lo stesso Mario Monti, invitato a correggere la sua precedente incredibile uscita sulla monotonia del posto fisso.
Raffazzonando una goffa retromarcia ha finito col premere sull'acceleratore proprio del 'licenziamento faidate', arrivando a considerare che l'articolo 18 (quello che impone il reintegro ad opera della magistratura del lavoratore ingiustamente licenziato, senza che il datore di lavoro se la possa cavare con un semplice modesto indennizzo) addirittura possa scoraggiare gli investimenti dall'estero.
Non bisogna aver preso il fatidico pezzo di carta, a cui Monti vorrebbe pure togliere valore legale, per rendersi conto che quest'idea non sta né in cielo né in terra: è la classica leggenda metropolitana, farcita di termini economici prêt-à-porter, giusto per  schiacciare preventivamente le formiche laboriose che un giorno potrebbero pure arrabbiarsi.
Pensare che un investitore straniero non venga in Italia non per il livello scadente delle sue infrastrutture, non per l'eccesso di burocrazia, non per una politica asfissiante e asfittica che invade tutti gli spazi della vita pubblica, non per la criminalità (versione organizzata e micro) che controlla militarmente più di metà del nostro territorio, non per la giustizia civile e penale al collasso, non per l'inefficienza della pubblica amministrazione, non per la corruzione dilagante, non per la giungla fiscale, ma esclusivamente perché non gli viene data carta bianca per il licenziamento discriminatorio, è stu-pe-fa-cen-te, soprattutto se ad asserirlo non è uno dei tanti padroni delle ferriere ma un economista, già preside della Bocconi e ora capo di governo.
A meno che non si voglia fare dell'Italia l'esercito di riserva delle imprese cinesi, legalizzando la schiavitù.
Ciliegina sulla torta in ordine di sproloquio,  il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri che, nel tentare di dare l'interpretazione autentica alle parole di Monti, è incappata nell'ennesimo errore di comunicazione del Collegio dei docenti, rincarando la dose: "Noi Italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà" .
Di nuovo parole apparentemente in libertà che tradiscono, oltre ad una totale insensibilità per la drammatica situazione di disagio sociale in cui versa il paese, un'allarmante aridità intellettuale: quanto di meno indicato per chi è stato chiamato a mettere rapidamente a frutto millantate doti taumaturgiche.
Il fatto è che questi stanno preparando ideologicamente il terreno per una controriforma del mercato del lavoro che, col pretesto di stabilizzare fasce di lavoro precario additando gli attuali lavoratori a tempo indeterminato come una élite di privilegiati, finirà per togliere diritti e tutele sociali a tutti.
Che cosa c'entri infatti la creazione di nuovi posti di lavoro e quindi le cosiddette nuove opportunità in ingresso con una selvaggia flessibilità in uscita è un mistero che questi cervelloni si guardano bene dal rivelare.

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