lunedì 3 settembre 2012

Per la Casta il nemico pubblico n. 1 è Beppe Grillo

La campagna dei media contro Beppe Grillo è furiosa, forsennata, sta raggiungendo dei vertici di vera e propria caccia all'uomo, per il momento solo mediatica; ma ormai si è superato il limite dell'istigazione a delinquere.
Lo denuncia lo stesso leader del MoVimento 5 Stelle sul suo blog ma è una constatazione così lampante che ci riesce difficile capire come mai tutti facciano finta di non accorgersene. 
Di fronte al fallimento politico e tecnico del governo Monti, con risultati economici dei primi nove mesi di governo bocconiano letteralmente disastrosi, con tutti gli indicatori economici in profondo rosso (tonalità che paradossalmente sarebbe la sola traccia di sinistra rinvenibile nell'azione di un esecutivo che ha saputo tagliare solo la spesa sociale e imporre tasse a pensionati e lavoratori, a cui la riforma dell'articolo 18 ha precarizzato pure quel poco di lavoro che resta), i giornali e le tv additano Beppe Grillo come il pericolo pubblico numero 1.
Beninteso, con l'incondizionato appoggio di alcuni intellettuali lib-lab, di Pierluigi Bersani e degli altri farisei democratici, aggrappati ai propri privilegi con le unghie, anche a costo di rinnegare le proprie origini, confermando così una storia personale disseminata di sistematiche ed inspiegabili virate a destra. 
Il perché di questa caccia all'uomo è presto detto. 

La carta stampata ce l'ha con lui perché si è fatto paladino dell'iniziativa di abolire il finanziamento pubblico all'editoria: così direttori di giornali e pennivendoli tremano nel vedersi venire a mancare la terra sotto i piedi.
Non riuscendo ad accusarlo di altro, benché redazioni intere siano sul piede di guerra per rivoltargli la vita privata come un calzino,  lo accusano di essere un demagogo o un  populista, a seconda dei momenti.
La Casta, poi, è stata addirittura smascherata da Grillo che ne denuncia da tempo, anche prima dell'intervento della magistratura, le mille nefandezze e la cronica corruzione e incompetenza, nonché un'arroganza  ed un'esibizione oltraggiosa del potere da repubblica delle banane.
L'ultima ciliegina sulla torta è quella del sindaco di un piccolo comune dell'avellinese che ha avviato contro un proprio vigile urbano un procedimento disciplinare per aver impedito alla vettura di un noto politico della prima repubblica di transitare con la scorta (ancora!) in zona pedonale, a conferma di un malcostume tanto generalizzato quanto difficile da estirpare in un paese che per molti versi resta feudale.
E' per questo che i tre dell'apocalisse, il trio Alfano-Bersani-Casini, gli vomitano addosso di tutto, spesso in modo pretestuoso e politicamente velleitario. 
La stessa accusa di Bersani che gli ha dato del fascista sarebbe becera e patetica se non fosse prima di tutto ridicola. Fra l'altro lanciata dal pulpito di chi ricevette circa  100'000 euro qualche anno fa dal patron dell'Ilva come contributo per la propria campagna elettorale.
Se la cosa fosse capitata a Grillo, i giornali lo avrebbero fatto nero!
Addirittura abbiamo ascoltato in questi giorni alla radio l'ex tesoriere della Cisl Giovanni Guerisoli che ha accusato esplicitamente Grillo di aver preteso, 13 anni fa (!), il cachet in nero per uno dei suoi spettacoli, per poi leggere l'immediata e secca smentita dall'attuale segretario generale Raffaele Bonanni che ha poi aggiunto: "Guerisoli deve aver perso un chip!".  Al punto che, per denigrare Grillo, è stato disposto ad autoaccusarsi falsamente di un reato fiscale.
Ma intanto i quotidiani in rete, in perfetto stile stalinista, avevano già emesso la sentenza di condanna nei suoi confronti, lasciandolo in pasto ad un florilegio di improperi sul web.
Non parliamo poi di Giorgio Napolitano, che alla vigilia dei ballottaggi nelle amministrative di primavera, dichiarò di non essersi accorto del successo del Movimento 5 Stelle, contravvenendo clamorosamente al suo ruolo super partes.
Quello stesso Napolitano che ora a tutti i costi pretende, in nome di una sua presunta intangibilità da novello Re Sole, che vadano distrutti i contenuti delle sue telefonate intercettate con Nicola Mancino, esponendo la Presidenza della Repubblica a pesanti rischi di condizionamento, come ha dimostrato il finto scoop di venerdì scorso del settimanale berlusconiano Panorama.

Insomma, il capro espiatorio del disastro economico e finanziario ma soprattuto politico e morale dell'Italia per la stragrande maggioranza dei media (ad eccezione, ad esempio, del Fatto Quotidiano che, guarda caso, non incassa un euro di finanziamento pubblico) è diventato Beppe Grillo.
Ma nessuno ne spiega chiaramente il motivo e dargli del demagogo, sondaggi alla mano, può alla fine rivelarsi un boomerang.
Ma ciò che la Casta non gli perdonerà mai è l'aver risvegliato le coscienze, aver sollecitato i cittadini a mobilitarsi, a scuotersi dal torpore per prendere in mano il proprio destino comune, a pensare con la propria testa, gettando alle ortiche le deleghe in bianco con cui politici e giornalisti ma, nel complesso, la classe dirigente, hanno potuto fare in questi decenni il bello e il cattivo tempo, senza mai doverne rispondere a nessuno.
Le poche volte in cui ciò è successo, è stato ad opera della magistratura che, non a caso, è  da tempo presa di mira dalla Casta: la trattativa Stato-mafia, la vicenda dell'Ilva di Taranto, sono soltanto gli ultimi episodi di una campagna più vasta di delegittimazione portata avanti su più piani, dalla politica all'economia, dall'ambito tecnico-giuridico a quello sindacale, persino a quello istituzionale.

Così, ancor prima di affacciarsi sulla scena parlamentare, il Movimento 5 Stelle si è guadagnato l'ostracismo della politica, dei giornali e delle televisioni che ne considerano addirittura eversivo il messaggio (lo è sicuramente per i propri fastosi privilegi!).
In altri tempi avrebbero accusato Beppe Grillo di eresia per poi farlo trascinare a Campo de' Fiori.
Dove c'è sempre qualcuno, male in arnese,  pronto a portare la sua fascina d'odio e di menzogna.
Probabilmente confidano in questo.

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