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domenica 20 luglio 2008

Berlusconismo e Veltronismo, facce di una stessa medaglia

Al traguardo delle ferie estive, la politica italiana non ne vuole sapere di riprendere un minimo di efficienza e di credibilità dopo mesi di colpevole inerzia a discutere delle urgenze giudiziarie del Cavaliere.
Né i mass media tentano di scuoterla in qualche modo: ascoltare i notiziari della Casta ormai supera l’umana resistenza.
Il solito pastone insipido a cui non ci si riesce ad abituare nonostante sia scodellato più volte al giorno da tutte le reti del duopolio.
Dal Palazzo non arriva mai uno sprazzo di luce, mai una dichiarazione di intenti che apra alla speranza di un autunno un po’ meno fosco, fosse anche un piano dei cento giorni che valga la pena di essere raccontato.
Niente di niente: siamo imballati sul lodo Alfano che potrebbe diventare, se approvato, il buco nero del nostro assetto costituzionale e risucchiare via ogni residua parvenza di democrazia e legalità.
E poi, i soliti attacchi sconsiderati alla magistratura ed al suo organo di autogoverno, colpevoli di voler fare rispettare per dovere d’ufficio la legge.
Infine, il nuovo scandalo della sanità in Abruzzo con gli arresti del governatore Ottaviano Del Turco.

Tutti adesso a strapparsi le vesti in suo favore, in primis Silvio Berlusconi che si fa garante della sicurezza della Casta attaccando per l’ennesima volta le toghe. Abbiamo un capogruppo al Senato del partito di governo che definisce cloaca il Csm, salvo poi precisare che non intendeva riferirsi né agli uomini né all’istituzione.

Ma i mass media, dopo aver dovuto riportare l’episodio, vi hanno fatto scendere subito dopo la sordina. Al contrario di come, soltanto qualche giorno fa, si sono comportati con la manifestazione dell’8 luglio, in cui si sono cimentati in dotte e sprezzanti discussioni sul turpiloquio usato in piazza Navona, con la Guzzanti, Travaglio e Grillo.
Spazzatura l’ha definita Berlusconi e pure il regista Nanni Moretti, ormai in piena crisi d’identità (i suoi ultimi film lo documentano!), si è accodato dietro il Cavaliere.

Secondo il regista di Palombella Rossa questa bellissima manifestazione avrebbe sporcato la storia dei girotondi del 2002 di cui egli fu uno dei protagonisti: affermazione che suona talmente insulsa da non meritare il minimo commento.
Purtroppo sulla scena pubblica resta ancora di incredibile attualità la questione morale, già inutilmente denunciata 25 anni fa da Enrico Berlinguer.

Gli ultimi eventi di malapolitica confermano ancora una volta che se l’Italia non riesce in fretta a estirpare questo bubbone purulento, rischia il totale dissesto non solo economico ma sociale.

Infatti, il pizzo che viene fatto pagare, nelle più disparate forme, ad ogni nuova iniziativa economica che spunti miracolosamente all’orizzonte azzera qualsiasi prospettiva di crescita per il nostro Paese.
La fotografia più fedele di questo deprecabile stato di cose ci viene offerta proprio dai nostri alleati americani che, nello sconfessato kit di documenti distribuito per il G8 tenuto in Giappone ai giornalisti americani al seguito del Presidente Bush, riportano testualmente: “Il premier italiano è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio”.
Ma in Italia, salvo Di Pietro ed il popolo di piazza Navona, di questione morale nessuno vuole sentir parlare, né a destra né tra i democratici.
Al contrario, il Pd sta accelerando il passo per completare il processo di sua completa omologazione ai gusti del Cavaliere: al punto in cui siamo, non c’è da meravigliarsi se in un futuro non lontano i veltroniani possano confluire nel Pdl.
Infatti, se Berlusconi resta ancora un interlocutore autorevole per ridisegnare lo Stato va da sé che criticarne il suo governo nella gestione degli affari correnti risulta molto, molto difficile.
L’assimilazione tra Pdl e Pd, grazie alla segreteria di Veltroni, è tale che persino la rodata redazione del TG1 ha difficoltà a confezionare i famosi panini: su qualsiasi argomento, maggioranza, governo e opposizione dicono essenzialmente le stesse cose e, nonostante tanta buona volontà, la pagina politica del TG1 riesce proprio indigesta perché, più che un collage di punti di vista diversi, si presenta come una insensata liturgia.
Se però un merito va attribuito a Walter Veltroni è quello di tentare di animarla: sue le più originali uscite dell’ultim’ora. Ne segnaliamo due:
"Berlusconi c'e' ma il berlusconismo e' finito, non e' piu' in grado di dare risposte alla crisi dell'Italia" (1);
"Lo dico alla Lega, se si vuole proseguire con il federalismo bisogna evitare commistioni indebite con una riforma della giustizia che favorisce pochi cittadini"
: ovvero, l’ennesimo ultimatum, questa volta rivolto alla Lega Nord.
Non sapendo più a che santo votarsi per uscire dal vicolo cieco in cui si è ficcato, l’ex sindaco di Roma adesso punta sulla Lega: ma, soltanto una settimana fa, aveva rotto definitivamente con l’Italia dei Valori di Di Pietro.
Di una cosa, però, siamo convinti: se un giorno il berlusconismo finirà (che sia già finito non ne siamo tanto convinti!), si porterà via anche la sua immagine speculare, cioè il veltronismo.
Sì perché il veltronismo può esistere solo in presenza del berlusconismo.
Cosa sia il berlusconismo lo lasciamo spiegare all’impareggiabile Walter che dà, però, spesso la sensazione di parlarne più per sentito dire che con cognizione di causa: come se quello che ha combinato Berlusconi in questi mesi, a partire dalla giustizia, non lo abbia coinvolto più di tanto.
Quello che è invece il veltronismo lo diciamo noi: è l’ideologia del potere deideologizzato, cioè di un ceto politico che pretende di sovrintendere i processi di cambiamento sociale senza governarli ma semplicemente assecondandoli, lasciando campo aperto agli animal spirits dell’economia.
In nome di un malinteso senso dell’innovazione tecnologica e del progresso, essi vengono lasciati operare senza frapporre loro ostacoli, salvo quello di lasciare alla Casta la prerogativa di ratificarne le decisioni nelle sedi istituzionalmente deputate.
Il ceto politico, cioè, serve a certificare come democratiche, decisioni prese fuori dalle aule parlamentari. E’ il catering politico così lucidamente descritto dallo scrittore Antonio Tabucchi.
Il ruolo dei partiti, la loro organizzazione, il dibattito interno vengono sviliti, sacrificati sull’altare degli equilibri concordati dagli apparati dirigenti, che trovano la loro legittimazione non nel consenso delle masse ma in accordi formulati dalle consorterie di partito e nella visibilità mediatica che da ciò ne deriva.
Il politico può perdere tutte le elezioni possibili e immaginabili ma non per questo perde autorità e, dunque, autorevolezza nel partito.
Lo si capisce benissimo nel caso di Walter Veltroni: in meno di nove mesi ha perso tutte le scommesse politiche formulate ma non per questo si mette in discussione, consapevole che per mettere in crisi la sua leadership c’è bisogno di ben altro che di un dissenso interno, sia pure organizzato. Occorre un vero e proprio ribaltone nel gruppo dirigente del Pd che, per come questo è stato allestito, non può tecnicamente avvenire.
Né deve temere l’improvviso apparire di un outsider perché il partito è abbastanza destrutturato da vivere solo sotto la spinta di cordate, le cosiddette correnti, e non per l’impulso spontaneo di nuovi fermenti culturali o di istanze provenienti dalla sua base elettorale.
Stesso discorso, naturalmente, vale per il suo tradizionale rivale, Massimo D’Alema, sempre e comunque col vento in poppa, malgrado anch’egli vanti una serie di sconfitte niente affatto secondarie.
Ecco che il veltronismo, coltivando l’antiideologismo fino al punto da farne una vera e propria filosofia, è per sua natura votato alla trattativa ad oltranza con il governo delle destre alla cui politica si lega indissolubilmente: la tentazione del compromesso, l’inciucio, è sempre dietro l’angolo.
Ma Berlusconi non ha alcun interesse di intavolare subito una trattativa con l’opposizione, tanto più che è consapevole di poterselo sempre permettere dato che il veltronismo non ha altre vie d’uscita. Di qui la sua tattica del bastone e carota: un giorno sembra accomodante ma il giorno successivo, maramaldeggiando il povero Walter, dichiara che tirerà dritto.
Questo tira e molla sta logorando il segretario del Pd che appare ormai un leader bollito da un estenuante stop and go: fa l’ennesima apertura di credito al Cavaliere ma, alla conseguente bordata berlusconiana contro tutto e tutti, è costretto addirittura ad innescare la retromarcia.
Dal 13 aprile non si contano più le volte in cui ciò si è verificato: siamo al paradosso che le ultime dichiarazioni di Veltroni sono un continuo replay di cose già dette e suscitano negli osservatori politici ormai solo sbadigli.
Come il Pd, in queste condizioni, possa evitare l’implosione è davvero difficile spiegarlo.

lunedì 31 dicembre 2007

2007, l'anno della casta

Nell’editoriale di fine anno, Eugenio Scalfari descrive da par suo l’anno che si chiude all’insegna della disaffezione generale nei confronti della politica.
Ad onore del vero, non cita direttamente la parola politica, omettendola quasi per pudore; ma è chiaro che anche per lui non sia molto facile archiviare un anno avaro di soddisfazioni per gli Italiani che guardano alla vita pubblica.
Sommessamente, affronta il tema alla larga e parla di distacco considerandolo un fenomeno di costume piuttosto che una degenerazione del nostro sistema politico; inizia così:
“Il 2007 si chiude. E' stato l'anno del distacco. Se vogliamo sintetizzarne l'elemento dominante rispetto a tutti gli altri, questo si impone per la sua coralità, al Sud come al Nord, tra gli uomini e tra le donne, tra i giovani e i vecchi: distacco, indifferenza, riflusso.
Insicurezza. Precarietà psicologica prima ancora che professionale.
Sensazione di impoverimento, in basso come in alto. Perdita di senso. Quando una società si ripiega su se stessa e si rifugia nel suo privato, scompare uno dei suoi requisiti essenziali che è appunto quello della socievolezza. Subentra solitudine. La scelta di fare da sé alla lunga non paga se non c'è più lo sfondo pubblico entro il quale collocare il proprio talento e la propria intraprendenza.
L'anno che sta per chiudersi è stato terribile da questo punto di vista, ma ci consegna almeno quest'insegnamento: la dimensione privata distaccata da quella pubblica non produce ricchezza morale né materiale.
Siamo diventati amorali e asociali. Fiori finti invece che fiori freschi, senza profumo, senza polline, senza miele.”
La mancanza dello sfondo pubblico non è altro che la Caporetto della politica; sì perché, anche se Scalfari non lo dice, il 2007 è stato l’anno della casta, l’anno in cui i cittadini di ogni colore politico si sono resi conto di quale distanza siderale li separi dalla classe politica.
La sensazione sconfortante che fotografa l’anno che si chiude è che, spente le luci dei vari teatrini televisivi dove apparentemente se ne dicono di tutti i colori, i politici riconquistino d’un colpo la consapevolezza della propria identità di classe e difendano innanzitutto i loro privilegi in modo solidale e trasversale.
A rischio di essere tacciati di qualunquismo, la verità è che il riflusso che vede Scalfari non è altro che il comportamento riflesso di un’opinione pubblica che patisce pesantemente una crisi di rappresentatività, in un contesto economico sociale costellato di problemi da cui non riesce più a venir fuori soltanto con le proprie forze.
L’arena televisiva dei politici gladiatori in azione nei vari talk show ha stancato e non basta più a sopire un diffuso risentimento verso una classe dirigente tanto dispendiosa quanto il più delle volte inadempiente.
Per un Beppe Grillo che ha coraggiosamente raccolto il testimone di questo disagio di massa, ci sono molti altri cittadini che hanno gettato alle ortiche l’innata passione politica e si sono rifugiati nel privato per sconforto o protesta.
E’ giunto ora il momento di tornare o provare a parlare alla gente un linguaggio autentico, che rifugga l’applauso facile o lo share ma che sia in grado di formulare risposte sincere e chiare.
Poi ci si potrà pure dividere sulle tante questioni sul tappeto; ma è importante che i politici non recitino più a soggetto dando la sensazione di essere solo dei bravi imbonitori: lo stile da televendita ha fatto il suo tempo.
Chi decide di fare attività politica deve sapere che gli impegni che prende con i propri elettori non li può barattare per qualche poltrona più comoda o dimenticarli all’improvviso, soggiogato da qualche personalità carismatica; men che meno deve cedere alla tentazione del quieto buon vivere.
Faccia tosta e parlantina a stretto giro mediatico non fanno un politico, al massimo ne compongono la sua brutta copia.
Su questioni come legalità, giustizia sociale, sicurezza del lavoro e dei luoghi di lavoro, gestione delle forze dell’ordine, sviluppo ecosostenibile, politica estera, non si può continuamente arretrare rispetto agli obiettivi fissati in campagna elettorale, così che di un programma iniziale di quasi trecento pagine, se ne traducano in pratica sì e no dieci.
E’ senz’altro vero che la politica come arte di governare la società perseguendo il bene comune è anche arte della mediazione ma ciò deve avvenire, con tutti i limiti del caso, alla luce del sole come sintesi superiore di interessi diversi, chiaramente rappresentati nei luoghi costituzionalmente deputati al confronto democratico, cioè nelle aule parlamentari.
Non si può accettare che le riforme istituzionali vengano appaltate a singole personalità politiche in confronti vis à vis, lontani dalla ribalta mediatica e persino dal Parlamento che così viene svuotato di qualsiasi autorità.
Come ha detto recentemente lo scrittore Antonio Tabucchi, interpellato da Michele Santoro, questo sembra “il sistema di un catering: cioè si prepara il cibo fuori e poi si consuma nel Transatlantico dove viene siglato”.
Ma questa è la politica che rinnega se stessa. E davanti ai cittadini in questo finale di anno resta purtroppo soltanto la casta.