Visualizzazione post con etichetta Articolo 18. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Articolo 18. Mostra tutti i post

lunedì 11 giugno 2012

L'Istat boccia Monti: PIL - 0,8%! Si può continuare così fino al 2013?

L'araldo del Quirinale, ovvero la Repubblica, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, ieri ci informava che l'instancabile uomo del Colle stava mettendo la sua buona parola anche sulla missione degli Azzurri di Prandelli nella campagna di Polonia e Ucraina, alla vigilia della discesa in campo contro la Spagna.
Il titolo d'apertura dell'edizione on line era:
'Europei, Napolitano spinge l'Italia "La crisi? Anche una vittoria incoraggia"'.
Sembra che nel dopopartita con la Spagna il presidente sia addirittura sceso negli spogliatoi ad abbracciare Buffon...
Insomma, è finito il tempo in cui per far scendere lo spread bastava che il bocconiano di ferro Mario Monti predicasse il rigore della riforma previdenziale più severa d'Europa, il tutto condito con le lacrime di coccodrillo dell'impareggiabile ministro Elsa Fornero che annunciava che i poveri pensionati avrebbero perso pure il misero adeguamento dei loro vitalizi all'inflazione.
Pure i polli sapevano che questi provvedimenti non avrebbero neppure scalfito il differenziale del rendimento dei nostri titoli di Stato con i Bund tedeschi, trattandosi di misure volte nella migliore delle ipotesi ad avere effetti in un orizzonte previdenziale, che per definizione non può che essere di lungo termine.
Tant'è che se non fosse intervenuto Mario Draghi da Francoforte con una maxi immissione di liquidità da mille miliardi a favore delle banche europee, a quest'ora chissà lo spread quali altre barriere avrebbe sfondato.
Ai tecnici serviva in quel momento un'esibizione di muscoli per persuadere i mercati che la nostra democrazia era ormai sotto lo schiaffo dei potentati economici e finanziari e che la popolazione italiana era stata messa in sicurezza, cioè nelle condizioni di subire qualsiasi vessazione presente e futura senza protestare.
Il tutto lavorato dai media amici al punto da trasfigurare le persone di Monti e Napolitano in salvatori della patria, coloro che stoicamente impongono ai cittadini condizioni di vita durissime pur lasciando politici e grandi burocrati di Stato a gozzovigliare allegramente: se non è un'impresa eroica questa!
Delle tre parole d'ordine, rigore-equità-crescita, l'unica che hanno davvero perseguita è stata la prima; quanto all'equità non c'è stata neppure una dichiarazione d'intenti in questo senso perché, al di là del teatrino quotidiano da dare in pasto ai TG, occorreva mostrare agli osservatori internazionali l'esatto contrario.
Il governo Monti, malgrado la sua inqualificabile maggioranza, agli occhi della community finanziaria doveva avere la forza di esibire il pugno di ferro in campo economico ma essere nel contempo rassicurante, riuscendo a farlo senza mettere in discussione il primato sociale della sua pessima classe dirigente.
Ecco perché l'attacco allo Statuto dei lavoratori ha rappresentato una tappa obbligata di questo percorso e a nulla sono valse le argomentazioni avanzate da più parti sull'irrilevanza economica della modifica dell'articolo 18 con l'introduzione del principio del licenziamento facile: ennesima mossa ideologica di un governo dei poteri forti che metteva sotto scacco la sua popolazione.
Che poi i tecnici sono completamente impreparati sui temi della crescita economica è un piccolo dettaglio  che è emerso dopo alcuni mesi di grandi annunci: è possibile che in nove mesi i bocconiani  non siano riusciti ad emanare un solo provvedimento degno di questo nome?
Probabilmente se avessimo dato l'incarico ad un gruppo di studenti delle superiori, tanto una qualche misura cristallina a favore della crescita sarebbe venuta fuori.
E invece abbiamo assistito in questi mesi a tanto fumo e niente arrosto.
A cosa si siano ridotte le mitiche liberalizzazioni montiane del gennaio scorso ce lo dice il dato pubblicato oggi dall' Istat sul Pil del primo trimestre sceso addirittura dello 0,8%, il peggiore risultato degli ultimi tre anni: un vero smacco per la squadra di Mr. Monti!
Non parliamo poi dello spending review (già l'abuso del termine inglese è tutto un programma!), perché lì rasentiamo il ridicolo.
Ma come? Il ministro Giarda non aveva qualche settimana fa annunciato che sarebbe stato  facile tagliare subito 100 miliardi di spesa pubblica (per poi arrivare, con più tempo a disposizione, a due-trecento miliardi) semplicemente eliminando gli sprechi?
Ci saremmo potuti risparmiare ampiamente il salasso odierno dell'IMU, che complessivamente è stimato attorno ai 20.
Chiacchiere di fine primavera, come la querelle tra Vittorio Grilli e Corrado Passera sul finanziamento delle misure per la crescita: si arriva addirittura al giorno fatidico del Consiglio dei ministri in cui il provvedimento sarebbe dovuto essere approvato per poi inopinatamente soprassedere per mancanza di copertura finanziaria.
Splendido! Manco fossimo nella migliore commedia all'italiana!
In questo marasma, a cui si aggiunge la notizia di un nuovo buco da tre-quattro miliardi per il calo del gettito tributario dovuto proprio alla recessione, effetto ben poco collaterale della cura Monti, Pd e Pdl hanno la faccia tosta di spartirsi le poltrone degli organismi di garanzia, le cosiddette Authority, infischiandosene prima ancora che dei cittadini, del comune senso del pudore.
Uno spettacolo di giorno in giorno più indegno, con i vari Martusciello, moglie di Vespa ed altri personaggi in cerca di poltrona che tagliano il traguardo, in barba ai curriculum di coloro che con molta più indipendenza e competenza avrebbero meritato quei posti.
Se però il responsabile economico del Pd Stefano Fassina fa notare che, a questo punto, sarebbe meglio andare a votare a ottobre piuttosto che tirare a morire con questo strazio di governo, apriti cielo!
Scoppia il finimondo, con Pierluigi Bersani, segretario del PD, che dichiara ai quattro venti di  sostenere Monti senza se e senza ma fino al termine della legislatura.
Se poi Beppe Grillo e il suo movimento sbancheranno le urne, raggiungendo magari la maggioranza assoluta dei voti, nessuno della Casta dovrà lamentarsi...

martedì 27 marzo 2012

Il governo tecnico in preda ad una crisi di nervi

Da ieri rimbalzano su tutti i media le parole del premier Mario Monti in volo verso la Corea: "Se il Paese, attraverso le sue forze sociali e politiche, non si sente pronto a quello che secondo noi è un buon lavoro  non chiederemo certo di continuare per arrivare a una certa data".
Traduzione: sull'articolo 18 il governo non è intenzionato a fare marcia indietro e se il provvedimento non passerà così com'è, siamo pronti alle dimissioni.
Perché, a differenza di Giulio Andreotti, a cui il preside della Bocconi si richiama pur senza nominarlo, piuttosto che tirare a campare lui preferisce tirare le cuoia (politicamente, s'intende!).
Insomma, i tecnici sono in preda ad una crisi di nervi e, su quella che è diventata la roulette della confusa riforma del mercato del lavoro, puntano tutto sul nero dei licenziamenti facili.
Non c'è  spiegazione tecnica per questo irrigidimento, benché il professor Monti abbia messo sul tavolo del confronto con i sindacati tutto il suo prestigio pur di portare a termine la manomissione di questo benedetto articolo.
Atteggiamento per molti versi incomprensibile tenuto conto che né lui né la Fornero, in nessuna occasione,  sono stati in grado di dare uno straccio di spiegazione di tanta ostinazione, tranne ripetere fino alla noia "ce lo chiedono i mercati".
La qual cosa, a ben riflettere, dovrebbe far preoccupare chiunque abbia a cuore quella specie di simulacro a cui si è ormai ridotta la nostra democrazia.
Chi sono questi fantomatici mercati che ci impongono la norma sui licenziamenti facili?
E' possibile che un primo ministro non si renda conto che dichiarando questo con tanta nonchalance rischia di delegittimarsi proprio in base alla nostra Costituzione, che certamente non contempla i mercati nel novero degli organi dello Stato?
E' per questo che qualcuno ritiene che questo intervento in tackle scivolato del duo Monti&Fornero si prefigga il solo obiettivo tattico di dissuadere i partiti di questa inedita maggioranza, ma soprattutto il Pdl, dal portare avanti analoghe rivendicazioni quando si tratterà di parlare di riforma della Rai o della giustizia, temi su cui il potere di interdizione di Silvio Berlusconi resta molto forte.
Ma anche prendendo per buona questa interpretazione, l'atteggiamento di Monti e della Fornero sembra comunque incomprensibile.
Mettere il governo dei tecnici all'angolo semplicemente per indurre il Cavaliere a desistere da ulteriori future richieste di leggi ad personam, assumendosi il rischio certo e immediato di una rottura traumatica della pace sociale, è una mossa tanto azzardata quanto autolesionista.
Perché la riforma dell'articolo 18, così come è stata presentata all'opinione pubblica,  non ha né capo né coda proprio sul piano tecnico-giuridico.
Infatti, istituire la fattispecie del licenziamento economico senza possibilità di reintegro da parte del giudice, significa de facto cassare le altre due fattispecie: di licenziamento diciplinare, dove il reintegro è lasciato al libero convincimento del giudice; e di licenziamento discriminatorio, in cui il reintegro del dipendente non può che essere obbligatorio.
Quale imprenditore sarebbe così folle da sbarazzarsi dei suoi dipendenti mettendo nero su bianco nella lettera di licenziamento motivi discriminatori o motivi disciplinari inesistenti, quando se la potrebbe cavare molto più utilmente adducendo imprecisati motivi economici?
Ecco spiegato perché questi pseudotecnici appaiono in palese difficoltà proprio sul piano che dovrebbe essere loro più congeniale.
E' forse un caso che il ministro che rappresenta il governo in Parlamento, Piero Giarda, nell'ultimo consiglio dei ministri abbia rimproverato alla Fornero, dopo settimane di dialogo tra sordi con le parti sociali, di non essere ancora riuscita a presentare un articolato normativo su cui ragionare in modo oggettivo?
Di qui la fine della luna di miele con gli Italiani: i tecnici stanno dilapidando  quel patrimonio di credibilità che il presidente della Repubblica da un lato e i media addomesticati dall'altro gli avevano costituito in dote soltanto quattro mesi fa.
Non solo si sono intestarditi su una questione che appare anche agli osservatori più ben disposti puramente simbolica.
Non solo non sanno dare di tanta ostinazione una spiegazione minimamente convincente. 
Non solo non sono riusciti ad evitare errori clamorosi proprio sul piano della costruzione di un testo normativo chiaro, rischiando di aumentare piuttosto che diminuire il contenzioso legale su questa materia.
Ma non hanno neppure un'accettabile capacità di comunicazione: di fronte alle telecamere appaiono smarriti ed ossessivi al punto da sembrare come certi scienziati pazzi, persone da cui tenersi a debita distanza.
Di certo a cui non affidare le sorti di un Paese!
Conclusione: il Supermario cibernetico incute sempre più paura. Altro che crescita...

domenica 25 marzo 2012

Vittime di licenziamenti facili? Niente paura, rivolgetevi al Quirinale: ci penserà papà Giorgio!

Italiani state calmi! Stop agli scioperi ed alle manifestazioni spontanee!
Vogliono abrogare di fatto l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, introducendo la fattispecie capestro dei cosiddetti licenziamenti economici senza reintegro?
Non vi preoccupate, c'è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che veglia su di voi.
Infatti, venerdì scorso, il primo cittadino ha escluso che della manomissione del suddetto articolo possa scaturire una valanga di licenziamenti.
Questo presidente non finisce di stupirci.
Noi che lo conoscevamo così grigio e notarile da firmare senza battere ciglio le tante leggi ad personam sottopostegli continuamente dal governo di Silvio Berlusconi, negli ultimi mesi ha fatto sfoggio di inusuale intraprendenza, prima varando su due piedi un esecutivo a sua immagine e somiglianza, una sorta di gabinetto di guerra guidato dal bocconiano Mario Monti.
Poi costruendo un percorso di sicurezza dentro il quale  il professorone possa agire indisturbato mettendo mano alle sue riforme senza guardare in faccia a nessuno, meglio ancora se sono gli ultimi della classe.
E va bene che il governo tecnico ha dovuto innestare più volte la retromarcia quando si è imbattuto in notai, farmacisti, tassisti, banchieri.
Passi pure che la montagna della patrimoniale sulle rendite finanziarie ha partorito il topolino del misero bollo dell'1 per mille, pure con il tetto di 1'200 euro a doverosa tutela dei grandi patrimoni.
Ma quando si tratta di colpire lavoratori e pensionati con i licenziamenti facili e le pensioni divenute impossibili (per importo ed età di godimento), qui il presidente Giorgio Napolitano è irremovibile, pronto a scendere lui stesso in campo in soccorso del suo esecutivo.
Anche a costo di contraddire su fronti diversi ed in un colpo solo Susanna Camusso, leader della CGIL, e la Conferenza Episcopale. 
Così, tanto per ricordarci che è il presidente di tutti gli Italiani, ci rassicura dicendo che non crede che le modifiche all'articolo 18 causeranno grossi sconvolgimenti.
Il messaggio è chiaro: al primo licenziamento facile, rivolgiamoci senza esitazioni al Quirinale, dove ciascun Italiano troverà assistenza legale e, nelle more della definizione della vertenza giudiziaria, un piatto caldo ed un ottimo riparo.
E se poi il giudice decidesse, in ottemperanza alle nuove disposizioni, che il lavoratore licenziato debba ricevere soltanto un indennizzo, voi pensate che Papà Giorgio non si adopererà di persona, mettendoci almeno lo stesso zelo con cui appoggia le decisioni irrevocabili di Mario Monti e della Fornero, a farci trovare un altro posto di lavoro?
C'è qualche estremista in giro che davvero voglia mettere in dubbio le sue parole?

giovedì 22 marzo 2012

Articolo 18: I sondaggi farlocchi per scatenare la guerra fra poveri

Repubblica, il quotidiano di Eugenio Scalfari diretto da Ezio Mauro, ha da sempre tifato per la soluzione 'tecnica' al default del governo Berlusconi, prima ancora che questo subisse i contraccolpi internazionali della crisi di credibilità personale del suo leader e di quella finanziaria venuta da oltreoceano.
Così ben prima che si insediasse un nuovo governo le sue firme più note avevano caldeggiato la soluzione Monti, mostrando una sintonia sorprendente con le scelte che successivamente avrebbe fatto il Colle, in qualche modo anticipandole.
Così, al varo del governo del preside della Bocconi ne ha entusiasticamente decantato la competenza e la sobrietà, finendo non di rado per scadere in toni propagandistici al limite del farsesco: Monti che va alle Scuderie del Quirinale per una mostra con la moglie e, udite udite, paga il biglietto.
Che pronuncia uscendo dall'albergo battute esilaranti tipo 'Visto che bella giornata?'; che indossa un loden blu,  compassato come il suo proprietario e altre simili amenità.
Per non parlare di come la manovra lacrime e sangue di dicembre si sia trasfigurata a piazza Indipendenza come passo decisivo per restare in Europa, prova di maturità che gli Italiani hanno affrontato con dedizione e superato a pieni voti.
Non parliamo poi delle liberalizzazioni strombazzate come fossero la rivoluzione copernicana mentre già nelle prime intenzioni del governo sono state derubricate a necessaria imbellettatura di una manovra economica altrimenti classista, di stampo chiaramente neoconservatore.
E adesso che l'obiettivo principale del governo dei bocconiani è stato finalmente svelato, ovvero togliere qualunque tutela sociale ai lavoratori dipendenti per fare del mercato del lavoro un gigantesco far west da dare in pasto alle multinazionali, il tentativo è quello di spalleggiare il governo dei tecnici cercando di spostare l'attenzione da un'altra parte, meglio se nel frattempo si riesce pure a scatenare nella gente gli istinti peggiori.
E internet si presta alla grande a questo scopo: cosa c'è di meglio, infatti, che proporre sondaggi senza alcun valore statistico, funzionali però a inculcare il verbo montiano?
Così il quesito per gli internauti non è se si sia d'accordo o meno con le modifiche all'articolo 18 decise dal governo, come a qualsiasi persona di buon senso, non ai giornalisti di Repubblica, verrebbe in mente di chiedere.
No,  la domanda del sondaggio farlocco che campeggia sull'apertura dell'edizione on line è la seguente:

"La riforma dell'articolo 18 non si applicherà ai dipendenti pubblici, un bacino di tre milioni e 400mila lavoratori. L'ufficialità è arrivata ieri, dopo una giornata di polemiche. Voi che ne pensate?"
E queste sono le possibili risposte:
" - Sono d'accordo: se il datore di lavoro è lo Stato, al lavoratore deve essere garantita un'altra via d'uscita
 - Penso che sia giusto testare le nuove norme, per poi estenderle ai dipendenti pubblici
 - Sono contrario: non si possono fare differenze tra lavoratori, le norme andrebbero estese a tutti"

Il quesito è così stonato e off line che, al più, può suscitare ilarità se non mirasse scopertamente a scatenare una gigantesca guerra fra poveri con i dipendenti pubblici usati, ancora un volta dai tempi del ministro Brunetta,  da parafulmine. 
Il classico diversivo per alzare intanto un polverone mediatico a salvaguardia dei tecnici (ormai si fa per dire), sviando da tutt'altra parte l'inevitabile risentimento popolare.
W Monti! Dalli al dipendente! Abbasso gli statali!
Sono queste le parole d'ordine su cui sembra  attestarsi, con poche voci dissonanti, la linea editoriale del quotidiano mentre la riforma dei tecnici disegna un mercato di lavoro da stato di polizia.
Come sia possibile che ci si sia ridotti a questo, finendo per sposare le peggiori abitudini dei quotidiani di casa Berlusconi, è materia su cui nel centrosinistra qualcuno prima o poi dovrà pure interrogarsi.

mercoledì 21 marzo 2012

La pastasciutta della Fornero è servita: arrivederci, articolo 18!

L'operazione dell'abrogazione di fatto dell'articolo 18 è l'obiettivo non dichiarato del governo di Mr. Monti sin dal suo insediamento, naturalmente insieme alla riforma delle pensioni che ha imposto ai lavoratori italiani le condizioni più severe d'Europa.
Dopo il flop di liberalizzazioni e semplificazioni  ampiamente prevedibile poiché serviva soltanto ad alzare una cortina fumogena sulla vera strategia dei tecnici di far pagare la crisi ai soliti noti, lavoratori e pensionati, ecco che il governo Monti sta tentando il colpaccio con una operazione tutta politica e di chiara intimidazione sociale.
La portata di una riforma del mercato del lavoro che sostituisce per il dipendente il reintegro nel posto di lavoro con un modesto indennizzo economico (che ammonterà soltanto dalle 15 alle 27 mensilità)  infatti avrà, come si è più volte detto, uno scarso impatto quanto a cifre in gioco (con oltre 7 milioni di occupati  in aziende private con personale sopra le15 unità, soltanto 300-500 vertenze si aprono all'anno invocando l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori).
La posta in gioco è squisitamente politica e dagli effetti socialmente pesanti: in questo modo nessun lavoratore, pur con un contratto a tempo indeterminato, è più garantito di poter restare anche un solo giorno in più sul proprio posto di lavoro.
Basterà che egli faccia uno sciopero di troppo o che, come rappresentante sindacale o responsabile della sicurezza, pretenda il rispetto delle norme previste dai contratti o dal Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, e il suo destino sarà segnato: con un semplice inesistente addebito disciplinare sarà possibile cacciarlo via senza tanti complimenti.
Perché secondo quei geni del governo tecnico, l'imprenditore che voglia licenziare qualcuno lo potrà fare senza nessuna difficoltà, basta che abbia la semplice accortezza di non esplicitare il suo retropensiero, cioè i motivi discriminatori alla base del suo provvedimento.
Ad esempio, come titolare di un'impresa di 20 dipendenti potrei puntare a candidarmi alle prossime elezioni amministrative, chiedendo paternalisticamente il voto ai miei dipendenti e alle loro famiglie.
Se qualcuno si rifiutasse di farlo o, peggio, a spoglio avvenuto, mi rendessi conto che molti di loro non mi hanno dato retta, potrei, diciamo così, vendicarmi, procedere al licenziamento individuale delle sospette teste calde, contestando inesistenti addebiti disciplinari.
E anche se il giudice dovesse dar loro ragione me la caverei con un risarcimento minimo ma la soddisfazione, in tempi duri come questi, di averli trascinati, con tutta la famiglia, in mezzo ad una strada.
Una mostruosità giuridica che in un colpo solo fa strame di buona parte del diritto del lavoro e della nostra stessa Costituzione.
E il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, anche in questa occasione interpretando in modo completamente improprio il suo ruolo di arbitro, è intervenuto a gamba tesa mentre era ancora in corso il confronto del governo con le parti sociali dichiarando che le misure finora prese "sono dure ma ineludibili" imponendo di fatto a CGIL e Partito Democratico di inghiottire il rospo dei licenziamenti facili.
Ci si chiede se sia costituzionalmente corretto, dopo aver messo già in piedi un esecutivo che risponde soltanto a lui, che il primo cittadino della repubblica possa scendere nella battaglia politica in modo tanto pervasivo: errare è umano ma perseverare...
Infine la Fornero, pardon il ministro Fornero, quello delle lacrime di coccodrillo versate appena dopo aver annunciato a milioni di pensionati indigenti il mancato adeguamento all'inflazione dei loro miseri vitalizi, ha mostrato in queste settimane tutto il suo disprezzo per i lavoratori italiani con una serie di uscite astiose  che ne denunciano i limiti culturali e l'inadeguatezza caratteriale.
Oggettivamente un ministro del lavoro, in tempi così tragici per tanti italiani, non si può permettere di dire a un gruppo di giovani precarie, in occasione dell'8 marzo, che "l'Italia è un Paese ricco di contraddizioni, che ha il sole per 9 mesi l'anno e che con un reddito base la gente si adagerebbe, si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro».
Né, a margine di uno degli incontri con i sindacati, affermare che "È chiaro che se uno comincia a dire no, perché noi dovremmo mettere lì una paccata di miliardi e poi dire voi diteci di sì. No, non si fa così".
Adesso ci aspettiamo da quello che resta del Partito Democratico una netta dissociazione dall'accelerazione impressa dalla premiata ditta Monti&Fornero&Passera all'abrogazione dell'articolo 18: il Paese (non solo la sinistra) si attende, a questo punto, un colpo di reni.
Ma già il nipotino di Gianni Letta, vicesegretario del PD, recentemente sorto agli onori della cronaca parlamentare per il pizzino fatto recapitare al banco del governo, si affretta a dire che il suo partito comunque voterà la riforma.
E' chiaro che, ostaggio di Napolitano e dei centristi, il Partito Democratico si sta giocando in queste ore la sua residua credibilità, proprio mentre sta scoprendo di essere caduto in una trappola mortale, se non  nel farlo nascere,  nel continuare ad appoggiare il governo Monti, quello che sta togliendo ai poveri per dare ancora di più ai ricchi.
Ma se crolla il Pd insieme alle sue contraddizioni, anche la strada del governo dei bocconiani paradossalmente è segnata.
E c'è qualcuno ad Arcore che già si sta sfregando le mani.

martedì 14 febbraio 2012

Se Atene piange, Roma non ride

Repubblica di domenica scorsa ci ha rivelato che, alla vigilia del viaggio americano, il premier Mario Monti in un faccia a faccia con il segretario generale della CGIL Susanna Camusso avrebbe raggiunto un accordo per una sospensione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i precari e per una interpretazione ufficiale meno rigida del principio di giusta causa da parte dei tribunali del lavoro.
Questo incontro, che si sarebbe svolto secondo il quotidiano di Piazza Indipendenza in "territorio neutrale" e che sarebbe dovuto restare segreto, getta un'ulteriore ombra sul funzionamento della nostra democrazia, dove sempre più spesso le decisioni che contano vengono prese fuori dalle sedi istituzionali, in vertici a quattr'occhi,  possibilmente lontano da sguardi indiscreti.
Anche se, come in questo caso, i protagonisti prontamente smentiscono con una inusuale nota diramata congiuntamente da Palazzo Chigi e dalla Cgil;  ma il vicedirettore Massimo Giannini conferma la veridicità della notizia.
Insomma i palazzi della politica sempre più spesso si limitano a registrare quanto viene deciso altrove rivestendo  un ruolo di pura (sia pure elegante) tappezzeria, di fatto retrocessi a semplici organismi burocratici che intervengono successivamente per apporre i crismi necessari all'emanazione dei provvedimenti legislativi.
E' un fenomeno noto da tempo e sicuramente inquietante che contribuisce alla crescente e ormai generale disaffezione per la politica, in un'Italia dei poteri forti, delle lobbies, delle logge segrete, delle varie P2 - P3- P4.
Ancora più preoccupante in tempi come i nostri in cui il cosiddetto governo dei tecnici, uscito dal cilindro del presidente Napolitano, si regge su una alleanza inedita tra PD e PDL che in un sistema bipolare, a vent'anni dall'ingresso nel maggioritario, suona come una autentica bestemmia.
Precisazione necessaria soprattutto per rispondere a quanti, tra  politici e opinionisti, approssimandosi un'intesa ritenuta imminente tra  Bersani e Berlusconi sulla nuova legge elettorale, continuano a declamare le presunte virtù del sistema maggioritario che permetterebbe ai cittadini di scegliersi il premier: purtroppo questa tesi è smentita inoppugnabilmente proprio dalla nomina dell'outsider Mario Monti a capo del governo.
Questi leader politici sono così poco credibili e a mal partito (è proprio il caso di dirlo), che risulterebbe comico, se non fosse per altri versi tragico, sentirli difendere la politica del preside della Bocconi, partendo da posizioni ideologiche apparentemente opposte: domenica sera è stato il turno di Angelino Alfano, ospite su RaiTre di Fabio Fazio.
Ma assistere alle peregrinazioni verbali, flagellate da continui anacoluti, del suo omologo Pierluigi Bersani non è più confortante.
Tuttavia, in un logoro gioco dei ruoli, ciascuno di loro nelle continue comparsate televisive ancora ha l'impudenza di ammiccare al proprio elettorato di riferimento (se mai ancora ne vanta uno).
Quando, però sono costretti, in base all'agenda politica, ad accordarsi di persona,  per non esacerbare gli animi già esasperati dei loro sparuti sostenitori, optano per soluzioni estreme, come ad esempio appuntamenti al buio, magari in un tunnel sotterraneo. 
Già è successo nel sottosuolo di Roma tra Palazzo Giustiniani e Palazzo Madama  per il varo del governo di Mr. Monti.
Che questo strano andazzo segni se non la fine sicuramente la sospensione della democrazia  è opinione largamente diffusa: con l'Italia non messa meglio politicamente della Grecia dove l'omologo di Monti si chiama  Luca Papademos, uomo della BCE, e ha fatto varare, davanti ad un paese in rivolta, l'ennesima insopportabile manovra di austerity.
Purtroppo, i paesi dell'Europa mediterranea stanno subendo il ricatto delle banche che, dopo aver provocato la più grossa crisi finanziaria dell'età moderna, invece di renderne conto, anche sul piano penale, ai cittadini e alle istituzioni del proprio paese, le hanno occupate con la complicità della politica, infischiandosene altamente della sovranità popolare.
Così mentre la Grecia brucia, i giornali titolano schizofrenicamente che "le borse e i mercati respirano", poiché il Parlamento di Atene, con la pistola puntata alla tempia dalla troika europea (BCE, FMI, UE), ha mandato giù l'ennesimo boccone amaro tra pesanti tagli al salario minimo, licenziamenti e ticket sulla sanità.
Nel frattempo, il governo Monti, che soltanto due mesi fa aveva  approvato la sua prima manovra antipopolare (l'ennesima del 2011), si accinge adesso con incontri alla chetichella  a varare una riforma del mercato del lavoro destinata ad affondare i colpi nella carne martoriata del lavoro dipendente.
Nessuna sorpresa: è tutto sommato normale che in una democrazia sospesa, commissariata da un ex consulente della banca d'affari americana Goldman Sachs e fresco di ritorno da un viaggio trionfale negli States, il governo sospenda l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Come abbiamo più volte ripetuto, la sospensione di tale articolo non ha alcuna spiegazione economica ma è un intervento squisitamente politico con cui suggellare, anche sul piano  simbolico, il passaggio epocale da una repubblica fondata sul lavoro a uno stato oligarchico dominato dalle banche.
In altre parole, la presunta enfatizzata 'modernità' del mercato del lavoro, per effetto del venir meno della tutela del reintegro obbligato in caso di licenziamento discriminatorio, consiste proprio nel lanciare alle multinazionali un esplicito messaggio di resa del nostro welfare al far west imposto dalla globalizzazione.
Di ciò Monti non ha fatto mistero: "per come viene applicato in Italia l'articolo 18 sconsiglia l'arrivo di capitali stranieri e anche di capitali italiani" ha dichiarato in una recente apparizione a RepubblicaTv.
Eppure, oltre alla inconsistenza di un qualche nesso logico, non c'è alcuna evidenza empirica che l'abolizione di tale tutela possa generare un solo posto di lavoro in più.
E anche sul piano numerico, l'applicazione dell'articolo 18 è assolutamente insignificante: secondo dati della Cgil, negli ultimi 5 anni di 31.000 cause contro i licenziamenti illegittimi solo l'1 per cento si è conclusa con il reintegro nel posto di lavoro.
Ma allora quale la ragione di tanto accanimento?
"Ce lo chiedono le multinazionali" fanno capire Monti e Fornero, confermando che nell'Italia commissariata dai tecnici contano molto di più le grandi concentrazioni finanziarie che la sovranità popolare, quand'anche, come in questo caso, la loro richiesta manchi di qualunque presupposto scientifico se non il riflesso condizionato di un capitalismo primordiale, da animal spirits.
E' accettabile che il presunto governo dei tecnici ponga mano ad un epocale arretramento del diritto del lavoro senza che la collettività venga direttamente investita della questione?
Questione che, al di là delle mere valutazioni di carattere economico, resta comunque  intrisa di profondi significati ideali, storici, di conquista sociale e di innumerevoli riferimenti costituzionali.
Infine, è ammissibile che si faccia carta straccia di due successive consultazioni referendarie che ancora nel 2000 e nel 2003 hanno sancito il rifiuto popolare a prendere in considerazione questo argomento?
Ma il solo doverci porre simili interrogativi è sintomatico del fatto che se Atene piange, Roma non ride.

PS (15 febbraio 2012 h. 14.30): Il Fatto Quotidiano del 14 febbraio, a pagina 9, conferma la ricostruzione di Massimo Giannini avendo saputo da fonte qualificatissima che all'incontro tra Mario Monti e Susanna Camusso era presente proprio il direttore di Repubblica, Ezio Mauro.
In un sol colpo, doppio sbugiardamento per il premier e il numero 1 della Cgil!
A questo punto, almeno un altro paio di domande sono d'obbligo: perché la Presidenza del Consiglio e il primo sindacato italiano si espongono così tanto nel negare l'incontro? Perché Repubblica dà addirittura per fatto un accordo di massima, commettendo un'evidente scorrettezza nei confronti della Camusso in mancanza di evidenze documentali?