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mercoledì 12 giugno 2013

Il Paese affonda nel silenzio delle urne

Mentre i media continuano la loro campagna diffamatoria contro Grillo e il M5S, con il fiancheggiamento dei cosiddetti costituzionalisti di regime che assistono inerti alla dissoluzione della repubblica parlamentare da parte di Re Giorgio II, la situazione economica del Paese, se è possibile, si fa di giorno in giorno più grave: ormai è un fiorire quotidiano di dati consuntivi che non lasciano dubbi sulla pericolosa spirale in cui si è avvitato il nostro sistema produttivo e sull'inerzia di un governo che ciurla nel manico, non essendo riuscito a tracciare in quasi due mesi di attività neppure una bozza di politica industriale. 
La Cgil ci ricorda che per recuperare la caduta del Pil del 2007, occorreranno 13 anni, addirittura 63 anni per ritrovare gli stessi livelli occupazionali.
A questo punto non si capisce come sia stato possibile nel luglio scorso che il professor Monti, l'economista osannato dalla partitocrazia PD-PDL, dichiarasse di aver scorto la luce fuori del tunnel
Ecco: l'unico tunnel che questi bocconiani hanno saputo costruire, e di lunghezza spropositata!, di certo superiore a quello che vogliono materialmente far scavare per il TAV, è proprio quello in cui hanno ficcato economicamente il Paese, facendolo letteralmente agonizzare.
Sarebbe interessante rileggersi le paginate di giornali come Repubblica, il Corriere della Sera e altri degni compari della disinformazione, qualche tempo fa dedicavano al grande Monti, al suo loden sobrio e imperturbabile, al suo gioco delle tre carte (rigore, crescita, equità) dove crescita e equità sono subito spariti, da bravo illusionista: ma, a differenza del grande Silvan, soltanto grazie a pacchiani trucchi televisivi.
Così il professor Monti ha lasciato dopo 17 mesi soltanto macerie, senza neppure essere riuscito a spuntare un solo risultato utile per l'Italia sulla scena europea: una débâcle così straordinaria che, probabilmente, nessuno potrà in futuro fare peggio di lui. 
Ma i media, così pronti a spedire squadre di giornalisti, ad auscultare in tempo reale i brontolii del movimento di Grillo, si sono lasciati sfuggire incredibilmente la ghiotta occasione di fare chiarezza sull'operato del professorone.
Ed oggi nessuno si azzarda a porgli questa semplicissima domanda: Illustrissimo Professor Montigrandissimo mago dell'economia (almeno secondo i suddetti compari), com'è possibile che Lei vedeva un anno fa la luce fuori dal tunnel mentre pure gli ultimi dati comunicati dall'Istat registrano per il primo trimestre del 2013 un tonfo del PIL del 2,4% annuo e un calo della produzione industriale nel mese di aprile 2013 addirittura del 4,6%???
Ma, come si sa, piove sempre sul bagnato: e adesso è il turno del governo Letta, che si sta distinguendo per il totale immobilismo.
Prima ancora che sui singoli provvedimenti, è proprio sul piano delle idee che mostra un deficit culturale sorprendente, tant'è che Berlusconi ha buon gioco con le sue sparate a sottolineare la necessità per il nipote Enrico di cotanto zio Gianni, di sbattere i pugni al prossimo vertice europeo di fine giugno. 
Purtroppo dietro il giovanilismo lettiano c'è un'assoluto vuoto mentale: non c'è nessuna idea forte che sappia trascinare via l'Italia dalle secche della sua disperazione, nulla a livello di politica degli investimenti, fiscale, industriale, bancaria. Niente di niente. 
Come pensa che si debba progettare il futuro di quella che solo pochi anni fa (a questo punto sembra impossibile!) era la quinta potenza industriale ed economica del mondo? Silenzio assordante.
Non a caso non la rivista dei grillini incazzati ma l'austero e autorevole Financial Times titola oggi  Letta's lethargy, accusando il giovane premier di totale inconcludenza.
Infatti, l'unica cosa a cui sta pensando, accanto ad un velleitario proclama di lotta alla disoccupazione giovanile magari demolendo la riforma Fornero (che la stessa OCSE ha da tempo bocciato), ovvero quello che fu il famoso fiore all'occhiello del governo Monti (W i professori...) e che ci ha portato in aprile la disoccupazione al record del 12%, è l'avvio del semipresidenzialismo.
Perché, giustamente, gli Italiani questo si raccontano preoccupati quando trovano il tempo di scambiarsi due parole: non di lavoro, non di sbarcare il lunario, non di mancanza di futuro per un'intera comunità nazionale... No, per Letta e c., si accapigliano per il semipresidenzialismo!!! Pure Maurizio Crozza non si è lasciato sfuggire questa ghiotta occasione di satira.
Ma in nome di chi e per cosa si avvia un processo di radicale trasformazione della forma di Stato senza aver ricevuto alcun mandato popolare, senza aver avviato un serio dibattito nell'opinione pubblica? 
Può la Casta partitocratica strappare la Carta del 1948 per nascondere la propria totale inettitudine e, peggio, il proprio degrado morale? 
Perché  scopo del semipresidenzialismo, come sostiene giustamente il giurista Paolo Becchi, è quello di mantenere in piedi un bipolarismo che le elezioni di febbraio hanno bocciato definitivamente. 
Una riforma costituzionale di ampissima portata verà sballottolata, tra Ferragosto e Capodanno, tra il Comitato dei 40 parlamentari e la Commissione dei 35 saggi: una procedura del tutto inedita e senza precedenti nella storia della repubblica.
Chi sarebbero i 35 seggi che dovrebbero emendare il testo della Costituzione? Chi conferisce loro tale autorità?
Come fa il Presidente della Repubblica ad avallare una procedura talmente anomala ed in palese contrasto con il dettato Costituzionale, tenuto conto che viene esclusa dalla concertazione una buona parte del Paese, in primis proprio quella forza parlamentare che ha espresso più intensamente l'istanza di cambiamento e di rinnovamento?
Attorno a noi stanno succedendo cose gravissime ma i media cercano di sviare l'attenzione di tutti celebrando quotidianamente il processo al M5S, reo per definizione, per partito preso (quello della Casta!), di tutte le colpe, di tutte le nefandezze e di tutte le infamie della I e II repubblica.
Ma colpevole di che? Forse di aver scoperchiato, almeno in parte, il verminaio della nostra vita pubblica.
Eppure anche tra i parlamentari del M5S non mancano carneadi che, forse non paghi dell'attacco furioso scatenato dai media in questi ultimi quattro mesi contro la nuova forza politica, se ne fanno a loro volta interpreti. 
E' il caso della senatrice Adele Gambaro che ieri, dai microfoni di Sky Tg24, ha accusato Beppe Grillo di essere il problema del M5S, responsabile dell'insuccesso elettorale delle amministrative, in cui un italiano su due non è andato a votare.
Poveretta, proiettata di punto in bianco a svolgere un compito decisamente superiore alle sue possibilità, la senatrice è andata in pochi mesi in tilt, forse neppure rendendosi conto fino in fondo di essersi messa lei stessa, con le sue stesse parole, fuori dal gruppo parlamentare.
La Gambaro, di cui fino a ieri ignoravamo insieme a milioni di Italiani l'esistenza, fino a quel momento non aveva capito che stava lì, non per le qualità personali, ma perché ha aderito ad una missione, quella di far entrare la voce dei cittadini nelle polverose ed oscure stanze dell'assemblea legislativa, occupate abusivamente dalla partitocrazia.
Se qualcosa non le fosse stato chiaro del suo compito avrebbe dovuto chiedere spiegazioni e aiuto ai suoi colleghi e magari rivolgersi personalmente a Grillo, senza lanciare accuse gratuite e velleitarie, che denotano, fra l'altro, labilità emotiva ed una evidente limitatezza culturale. 
Se sulla via di Roma è rimasta fogorata dalla partitocrazia ebbene si faccia da parte, senza gettare ulteriore discredito, prima ancora che sui suoi colleghi,  su se stessa: dimostra infatti che non è degna del ruolo che milioni di cittadini le hanno affidato e che al Senato di certo il M5S  non ha più bisogno di lei.
Se non altro perché l'evidente stato confusionale in cui versa non le consente più di lavorare con la necessaria serenità e coerenza. 
Se, si spera, mantiene un briciolo di dignità personale e di onestà intellettuale, dovrebbe dimettersi immediatamente da parlamentare passando senza indugio il testimone a chi potrebbe ricoprire quel ruolo con maggiore coerenza ed affidabilità. 
Ma dubitiamo che sia questa la sua scelta perché imboscarsi nel gruppo misto a stipendio pieno è una tentazione per molti versi irresistibile.
La situazione italiana è talmente drammatica, come testimoniato dall'odierna strigliata del più importante quotidiano economico del mondo  a Enrico Letta, che non ci possiamo comunque permettere, dall'unica forza di opposizione rimasta nel nostro Paese, neppure un attimo di distrazione dai compiti di cui il M5S è stato investito a furor di popolo.
Lo psicodramma personale di questa comparsa politica, unico ruolo che veramente le si attaglia, la sua crisi d'identità, il conclamato deficit culturale, li lasciamo infine alle cure ed alle premure di chi ne condivide i momenti privati.






giovedì 28 marzo 2013

Il fallimento di Bersani auspicio per un nuovo inizio

Interessante scambio di battute l'altra sera a Ballarò tra il vicedirettore di Repubblica Massimo Giannini e l'economista Lidia Undiemi, esperta  in problemi inerenti la crisi del debito sovrano in Europa, su cui è da tempo viva l'attenzione dei sostenitori del Movimento 5 Stelle.
In particolare sul meccanismo del fondo salva stati (ESM) e del fiscal compact che impegnerà l'Italia in un esborso finanziario complessivo di 125 miliardi sul quale il silenzio dei media è stato sin dall'inizio  assordante, praticamente facendo trovare gli Italiani con le spalle al muro, di fronte al fatto compiuto.
In primis, la reticenza di Repubblica che pure avrebbe potuto svolgere nell'occasione un insostituibile ruolo informativo, come ha subito sottolineato l'economista aggiungendo che è stato proprio il blog di Beppe Grillo a veicolare questo tipo di informazioni al grande pubblico.
125 miliardi per i quali l'Italia ha già iniziato a pagare le prime quote di adesione: siamo già a 43 miliardi di euro, fuoriusciti dall'Italia. Altro che IMU!
Giannini ha cercato inizialmente di contrastare la Undiemi dicendo che si trattava di una bugia ma è dovuto ritornare sui suoi passi e cambiare tono nel momento in cui la stessa economista ha insistito sulla fondatezza e giustezza delle sue osservazioni, avendo studiato a lungo il documento europeo istitutivo di tale fondo e per averci realizzato sopra un apposito dossier e varie altre pubblicazioni.
A smentire sfortunatamente Giannini, il Corriere della Sera, in un pezzo a firma di Antonella Baccaro del 16 marzo a pagina 51, che così titolava a cinque colonne: «Debito oltre quota duemila miliardi / Il conto (salato) del fondo salva Stati»; dove ad un certo punto si dice: «Sempre nel mese di gennaio, il sostegno dei Paesi dell'area dell'Euro in difficoltà, cioè la quota di competenza dell'Italia dei prestiti erogati dall'Efsf (fondo salvaStati) è costata 0,4 miliardi, portando complessivamente tale contributo a 43 miliardi
Ma rivelatrici dell'assoluta inconsistenza e labilità, persino sul piano ideologico e programmatico, dell'attacco forsennato che la corazzata mediatica Repubblica-L'Espresso muove da sempre al M5S sono proprio le ultime parole di Giannini. Ve le riportiamo sia per iscritto che in video:
«Tanto per essere chiaro io penso che il M5S ha avuto un ruolo importantissimo anche in questo ultimo passaggio politico così delicato. 
Faccio un esempio: Piero Grasso e Laura Boldrini non sarebbero mai stati eletti se non ci fosse stata la spinta del M5S. Oggi avremmo probabilmente in quei due posti due esponenti della, tra virgolette, vecchia politica, rispettabilissimi ma comunque non nuovi come sono stati quei due. Da questo punto di vista io non mi sogno di criticare assolutamente il ruolo positivo del M5S. 
Dove però non ci siamo proprio, non ci siamo proprio, è quando questo movimento, pur essendo così innovativo e così utile da questo punto di vista, assume atteggiamenti spocchiosi rispetto all'esistente. D'accordo?
Allora, benissimo che ci sia questo rinnovamento in Parlamento, lo chiediamo da tempo tutti quanti e ci fa piacere che ora ci sia, però vedere persone che entrano in Parlamento e intanto trattano i giornalisti dicendo: "Voi siete spalamerda", organizzano conferenze stampa la cui premessa è: "Però non si possono fare domande", poi.. una deputata non stringe la mano a Rosy Bindi, perché non ha piacere di stringere la mano a Rosy Bindi: quando avessimo avuto tutti i politici... Poi la si può pensare in maniera diversa da Rosy Bindi, io la penso in modo diverso su tante cose, ma avessimo avuto in questi decenni politici con la passione di Rosy Bindi, oggi non ci troveremmo dove ci troviamo. Tanto per dirne una. 
Ma vado avanti, vado avanti. Poi sentiamo le critiche al sistema bancario ed abbiamo deputate grilline che, di fronte alla Camera, interrogate dalle Iene, non sanno che cos'è la BCE, non sanno chi è Mario Draghi...».
Interviene Floris: "Quello diciamo... purtroppo succede in tutto lo spettro parlamentare compreso [...]" .
Prosegue Giannini:    «Però dov'è  la differenza? Se poi arrivano con l'atteggiamento di chi dice:  "La ricreazione è finita, adesso levatevi tutti di mezzo perché ci siamo noi", allora lì c'è un cortocircuito. Io dico umiltà, perché l'umiltà la dobbiamo avere tutti, e senso di responsabilità perché c'è un paese da governare.... facciamoci carico di questi problemi, tutti quanti.».

Insomma, dopo un inaspettato e sperticato elogio al movimento di Grillo, Giannini gli avanza critiche, tutto sommato, assai deboli. Riassumiamole: 

1. la 'spocchia' dei nuovi parlamentari. La critica ci può stare, da parte di chi per carriera ha più dimestichezza e confidenza con la vecchia Casta, ma è evidentemente un rilievo di carattere meramente stilistico, insomma più di forma che di sostanza. Fra l'altro, con un'attenuante enorme: l'attenzione aggressiva e morbosa dei media verso questi nuovi deputati e senatori, osservati e descritti con circospezione quasi se su Montecitorio e Palazzo Madama fossero calati i marziani;

2. il linguaggio scurrile e l'atteggiamento di diffidenza nei confronti dei giornalisti italiani i quali, ad onore del vero, se lo sono meritato pienamente per essersi distinti in queste settimane proprio per la faziosità dei loro resoconti, spargendo disinformazione a mani basse anche quando si trattava semplicemente di riportare le parole pronunciate da Beppe Grillo in interviste a testate straniere, travisando pesantemente e sistematicamente il suo pensiero. 
Tant'è che in più di un'occasione è dovuta addirittura intervenire la rettifica dell'intervistatore per smentire il senso delle affermazioni che gli venivano attribuite dalla stampa di casa nostra. 
Insomma una costante e per certi versi inspiegabile delegittimazione del Movimento 5 Stelle ed in particolare del suo leader da parte dei principali organi di informazione, soprattutto non di partito;

3. la presunta 'ignoranza' dei nuovi parlamentari a 5 stelle. Se ci riferiamo alla conoscenza del diritto parlamentare, ciò è vero analogamente alle new entry degli altri partiti: si tratta di una normale e prevedibile iniziale difficoltà legata al nuovo ruolo acquisito che, evidentemente, non deve far gridare allo scandalo. Tanto più se coinvolge i neoeletti di tutti gli schieramenti.
Quanto alla presunta incompetenza tecnica o alla scarsa cultura generale dei neoeletti, l'88% dei 5 Stelle è laureato, molto di più delle altre forze politiche. Circa l'intervista delle Iene di qualche giorno fa, basta andarsi a rivedere il video completo per rendersi conto di chi ha fatto la figura più barbina: non a caso Repubblica.it ha inizialmente pubblicato, provocando clamore nella rete, un video che tagliava proprio le risposte imbarazzanti dei parlamentari del PD.
Possibile quindi che Massimo Giannini, in un'occasione ghiotta come quella di Ballarò in cui avrebbe potuto squadernare di tutto contro il M5S, particolarmente in un momento tanto cruciale per la vita istituzionale del nostro Paese, si sia limitato a rilievi di dettaglio, solo di natura estetica? 
Come fa a giustificare allora una linea editoriale del giornale che dirige tanto aggressiva e negativa contro Beppe Grillo e il suo movimento?

Perché essere così a corto di argomenti fa sorgere più di un sospetto; cioè che, in fondo, dietro la guerriglia mediatica di Repubblica, ci sia probabilmente solo una bassa questione di potere, intesa non come disputa sui massimi sistemi ma come opaca questione di poltrone e di assetti organizzativi. 
Probabilmente quello che più spaventa almeno una parte dell'intelligentia che fa riferimento al Partito Democratico è di restare fuori dai giochi, dalle spartizioni prossime venture, dalle future cordate, dai nuovi business, da inedite aree di influenza. 
Insomma un problema di ricambio della vecchia nomenklatura democratica che verrebbe spazzata via dall'onda d'urto degli attivisti di Grillo e che impone ai vecchi centri di potere una ricompattazione immediata.
Ad esempio sulla questione Tav, la preoccupazione sembra essere non quella di rinunciare ad una infrastruttura strategica per l'Italia (a cui, ormai è chiaro, non crede più nessuno), ma di vedersi mancare gli  appalti per le cooperative e le imprese amiche col conseguente inaridirsi di una preziosa fonte di consenso, così necessario in tempi di emorragia di voti!
Il problema cioè non è la politica ma è il binomio politica-affari, non è la buona amministrazione, lo sviluppo economico, uno stato che funziona bene, offrire servizi sociali di avanguardia, un fisco equo, una giustizia giusta: no, ciò che conta è piazzare i propri uomini nei gangli del potere.
Se poi questi politici, come è successo negli ultimi vent'anni, fanno il contrario di quello che hanno promesso al loro elettorato, per Giannini e c. la cosa è irrilevante: l'importante è che restino dei referenti affidabili per le esigenze dei gruppi di potere, per le lobby multicolore.
Lasciare che della cosa pubblica si occupino direttamente i cittadini senza cooptazioni di sorta, senza debiti di riconoscenza verso chicchessia, ecco questo è un grosso pericolo da evitare. 
La riorganizzazione della democrazia prefigurata dal movimento di Grillo attraverso la partecipazione diretta dei cittadini, senza l'intermediazione organica e strutturata dei vecchi partiti, significa la ristrutturazione di tutte, ma proprio tutte, le strutture di formazione, concentrazione e conservazione del consenso: dalle banche alle municipalizzate, dai giornali agli apparati ministeriali, ai partiti, agli enti locali, ai sindacati.
Ecco perché la ricetta di Pierluigi Bersani, uomo dell'apparato partitocratico che si candida a guidare un millantatato governo del cambiamento,  è quella tipicamente del Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare nulla.
Non si capirebbe altrimenti come egli stia insistendo tanto, malgrado l'evidenza dei numeri, a voler ancora tentare di costruire un'improbabile alleanza di governo, dopo ben sei giorni di consultazioni infruttuose.
E' invece cruciale che Giorgio Napolitano già stamane gli ritiri il mandato esplorativo e proponga finalmente un nome di vero cambiamento: a quel punto, una volta che la partitocrazia targata PD-PDL avrà fatto il sospirato (da tanti Italiani) fatidico passo indietro, i giochi si riapriranno.
E forse tutti gli Italiani, anche quelli che si sono spinti in questi giorni a formulare accuse tremende e isteriche contro Grillo, lo dovranno ringraziare perché lui e il suo movimento, con la loro trasparente inflessibilità, avranno reso possibile finalmente l'avvio della rottamazione della vecchia classe dirigente di destra e di sinistra.
E l'Italia potrà finalmente ripartire.


sabato 2 marzo 2013

Appello al M5S per la libertà di stampa: urge abolire il contributo pubblico all'editoria

E' di questi giorni il tentativo portato avanti da Repubblica, il quotidiano di Carlo De Benedetti, tessera n. 1 del PD con residenza fiscale in Svizzera, di intorbidare la fisiologica dialettica in corso tra le forze politiche in vista dell'inizio della legislatura, dando notizia con grande enfasi di presunte petizioni di imprecisati sostenitori del M5S che chiederebbero al suo leader di appoggiare un governo a guida Bersani, dopo che Beppe Grillo lo ha sbrigativamente liquidato con una delle sue tipiche battute al vetriolo: è un "morto che parla" e, con quel barlume di dignità che gli rimane, invece di fare lo "stalker politico", prendendo atto del suo fallimento, dovrebbe rimettere il suo mandato di segretario del PD.
Perché una cosa è certa: se stiamo all'ingovernabilità, non è certamente colpa del M5S; ma di una classe politica, ormai decrepita e il cui prestigio è da tempo sotto le scarpe, responsabile di mille misfatti, non ultimo l'aver varato una legge elettorale folle, con meccanismi, chissà perché, diversi per le due camere, nonostante in Italia esista un bicameralismo perfetto, con Camera e Senato che fanno esattamente le stesse cose. 
Ne consegue che, per poter funzionare, i due rami del Parlamento devono essere giocoforza espressione della stessa maggioranza: cosa tutt'altro che scontata con la legge attualmente in vigore, il famigerato porcellum.
Eppure la vecchia partitocrazia, dopo averla ignobilmente emanata, non si è presa la briga di modificarla, pur avendo avuto a disposizione l'intera ultima legislatura.
Bersani, Berlusconi, Bossi, Casini, Fini, possono quindi a pieno titolo rivendicare il primato di essere i principali responsabili di questo sfascio!
Che adesso Bersani se ne voglia tirar fuori, caricando su Grillo quello che già da tempo sarebbe dovuto essere un suo preciso dovere, cancellare l'ennesima legge vergogna della gestione Berlusconi, la dice lunga su che politico consumato (nel senso letterale della parola!) sia il segretario PD.
A questo punto, abbia finalmente il coraggio di fare un passo indietro, garantendo al partito democratico quel rinnovamento che ora è diventato inderogabile, pena la perdita anche di quel residuo 25% che ancora insiste a votare simili mummie.
Del resto la base del PD è spaccata, anche se Repubblica fa finta di non accorgersene.
E' così che Largo Fochetti,  invece di raccontarci la diaspora in corso all'interno del PD, preferisce soffiare sul fuoco fatuo di una protesta, organizzata a tavolino, di sedicenti simpatizzanti del Movimento 5 Stelle che, guarda caso, non troverebbero di meglio che sfogarsi proprio dalle colonne di Repubblica.
Quasi che, provenendo da un pianeta sconosciuto, ritengano che il quotidiano diretto da Ezio Mauro in questi mesi abbia trattato Beppe Grillo con i guanti bianchi, non sospettando minimamente della continua aggressione mediatica nei suoi confronti, degenerata in una vera e propria caccia all'uomo che gli hanno scatenato in concomitanza con l'avvio di questa campagna elettorale, lasciando carta bianca a chiunque gli indirizzasse contro una qualunque ingiuria.
C'è mancato poco che Repubblica, notorio quotidiano liberale che ammicca al laburismo, non pubblicasse annunci di questo genere: 
A.A.A. Cercasi persona referenziatissima, disposta ad accusare noto comico genovese di qualsiasi cosa, anche la più inverosimile, purché disponibile a ripeterlo davanti alle telecamere ed ad allenarsi per superare test della macchina della verità. Si offre, accanto a lauta ricompensa, rubrica fissa sul giornale.
Ecco perché, in un futuribile governo a 5 stelle, al primo posto è necessario che ci sia, insieme al tanto invocato taglio ai costi della politica, l'eliminazione del contributo pubblico all'editoria.
Perché, se è giusto che possa essere pubblicato di tutto (ne va evidentemente della libertà di stampa), è altrettanto sacrosanto che non si sancisca un diritto materiale alla libertà di diffamazione, per giunta  a carico del contribuente!

Prima che Repubblica ne scovi un'altra delle sue, il suo compare Corriere della Sera, non volendo essere da meno, dedica un intero paginone con illustrazione a colori, ad uno dei nostri nuovi padri della Patria, autentico guru della politica piddina, un vasto intelletto, un cuore nobilissimo: udite, udite, l'impareggiabile, inossidabile Se po' ffà, al secolo Walter Veltroni. 
Alzi la mano chi non ha provato in queste ore l'esigenza spasmodica di ascoltare il suo Verbo!
L'emerito Aldo Cazzullo ci ha accontentato, riuscendolo a scovare chissà dove (forse in Africa?, dove aveva promesso pubblicamente di risiedere...) per farci spiegare finalmente i nuovi scenari politici e magari dispensarci qualche dritta per preparare la sconfitta prossima ventura. 
Del resto è passato solo un anno da quando, intervistato da Curzio Maltese, dichiarava:
Veltroni, non è un po' eccessivo definire riformismo la stagione di Mario Monti?
"No. Sono bastati tre mesi per capire che non si tornerà indietro. Circola nel Pd, ancor più nel Pdl, l'idea che questo sia solo un governo d'emergenza, una parentesi dopo la quale si tornerà ai riti e ai giochi della seconda repubblica o peggio della prima. Qualcuno dà giudizi tali da rischiare il paradosso di consegnare al centro o al nuovo centro destra il lavoro del governo. È un errore grave. Questo governo tecnico ha fatto in tre mesi più di quanto governi politici abbiano fatto in anni. Ha dimostrato non solo di voler risanare i conti, ma di voler cambiare molto del paese e vi sta riuscendo, con il consenso dei cittadini e dell'opinione pubblica internazionale. La copertina di Time o l'ovazione al Parlamento europeo sono un tributo ad un paese che solo qualche mese fa era guidato da Berlusconi e deriso".  
È d'accordo con il governo anche sull'articolo 18?
"Sono d'accordo col non fermarsi di fronte ai santuari del no che hanno paralizzato l'Italia per decenni. Il nostro è un paese rissoso e immobile e perciò a rischio. Credo che finora il governo Monti stia realizzando una sintesi fra il rigore dei governi Ciampi e Amato e il riformismo del primo governo Prodi". 
Parole profetiche... 
Oggi Veltroni, da inaffondabile predicatore, ammonisce:  
"Un partito democratico non è semplicemente progressista, è qualcosa di molto più aperto e radicale: è un partito che assume su di sè elementi di rottura con il passato, che si batte per una politica lieve [...]".
E conclude abbandonandosi al sogno: "Il centrosinistra deve rialzare lo sguardo e seguire il suggerimento di uno scrittore che amo molto, Saint-Exupéry: « Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti, impartire ordini; ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito»".
Ha ragione Walter Se po' ffà, già promotore dello spot costruito sulle immagini della grande  Anna Magnani in "Roma città aperta": Non si può interrompere un'emozione...
Ma prima ancora, non ci possiamo più permettere giornali e tv che continuano a fare, come niente fosse, da grancassa alla Casta. 
In modo inverecondo. Per giunta a nostre spese. 





sabato 16 febbraio 2013

Per il 25 febbraio è in programma la nuova Festa della Liberazione: quella dalla Partitocrazia

Nelle redazioni dei nostri due massimi quotidiani italiani, Repubblica e Corriere della Sera, si respira un'aria pesante mentre nei Palazzi romani dilaga lo sconforto.
Possibile che, dopo aver messo su un'organizzazione mastodontica che segue il leader del M5S dappertutto, in perfetto silenzio, come un'ombra, in attesa del tanto sospirato passo falso, non si riesca a lanciargli addosso una qualche accusa infamante, che gli possa far perdere di colpo qualche migliaio di voti, abbassando l'onda lunga del suo Tsunami Tour che rischia seriamente di travolgere il prossimo 25 febbraio una buona fetta di partitocrazia? 
Ormai mancano solo 8 giorni al voto e qualcosa si deve pur fare: non è possibile accontentarsi del niente raccolto finora contro di lui!
Mentre la magistratura di tutta Italia sta demolendo, pezzo a pezzo, l'intera classe dirigente del nostro Paese, politici, burocrati, manager, boiardi di Stato, mentre  Bersani, Casini, Berlusconi, persino lo stesso Monti, si fanno vedere in giro il meno possibile per non ricevere dai passanti salve di fischi e boati di disapprovazione, Grillo raccoglie consensi crescenti e trasversali, riempiendo, nonostante le temperature polari, le piazze dello stivale, da Catania a Bolzano, da Bari a Novara, di un pubblico attento, caloroso, entusiasta.
E' l'unico che dice cose di buon senso, che non usa slogan tanto per nascondere il vuoto culturale, programmatico ma soprattutto morale dei suoi avversari politici.
Mentre tra Monti e Berlusconi si è ormai ingaggiata la gara a chi scende più in basso nell'insulto all'altro ma anche nel consenso elettorale (il sobrio bocconiano, con un'evidente e ormai ripetuta caduta di stile, adesso rimprovera al Cavaliere addirittura di comprarsi i voti ma, fino ad un mese fa, non aveva proprio nel Cavaliere il suo azionista di riferimento?), Pierluigi Bersani indugia nell'aria fritta, vagheggiando di un'alleanza a doppio filo con il premier uscente e la necessità di riconoscere almeno un premio di testimonianza al fido scudiero Niki Vendola. Quest'ultimo non se la passa per niente bene, dato che i suoi potenziali elettori hanno ormai capito che votare Sel è come votare Pd, che è poi come votare Monti girandosi dall'altra parte, mentre si fischietta l'inno dell'Internazionale...
Indubbiamente, votare un partito che si dichiara di sinistra per ritrovarsi poi lo stesso esecutivo di centro destra che ci sta sgovernando, con brevi interruzioni, da 20 anni grazie all'appoggio decisivo ed ai soldi di Silvio Berlusconi, non è propriamente una prospettiva eccitante per i fan del governatore della Puglia.
Anche perché con la discesa in campo dell'ex pm di Palermo Antonio Ingroia con la sua Rivoluzione Civile che conta sull'apparato organizzativo dell'Idv e di Rifondazione, qualcuno ci dovrebbe spiegare perché mai un elettore di sinistra, che non sia masochista,  dovrebbe votare Sel...
Ecco perché quella volpe di Bersani che, da quando ha vinto le primarie su Matteo Renzi, non ha detto una cosa, che sia una, di sinistra, peggio, non ha detto una cosa (di numero!), proprio oggi se ne è uscito con l'impegno di varare a tempo di record una legge contro l'omofobia.
Infatti milioni di italiani, cassintegrati, disoccupati, pensionati che non arrivano alla seconda settimana, imprenditori a rischio fallimento, giovani precari, studenti, esodati, sessantenni a cui la ministra Fornero chiede di lavorare dieci anni di più, malati buttati giù dai letti d'ospedale per i tagli della spending review ed invalidi lasciati senza assistenza domiciliare, giovani talenti costretti a cercare fortuna all'estero, insegnanti mandati a casa o costretti a lavorare in condizioni impossibili, liberi professionisti senza più una professione, gente sbattuta fuori di casa perché indigente, nient'altro che questo chiedevano da anni cronicamente inascoltati al PD di Pierluigi Bersani: finalmente una legge contro l'omofobia!!!
La nullità politica del leader piddino è confermata pure dalla posizione che egli ha assunto in merito alla questione Euro: ormai, pure i sassi sanno che l'ingresso dell'Italia nelle moneta unica è stata un vero disastro e le statistiche confermano in modo inoppugnabile che il declino economico italiano data 15 anni fa, guarda caso l'inizio della stagione dell'Euro.
L'aver perso la sovranità monetaria, senza prevedere a livello europeo i necessari meccanismi di compensazione, ha significato condannare l'Italia ad una lunga e tormentata decadenza di cui Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi sono i principali responsabili ma, più in generale, è l'intero centrosinistra che, in ragione di ciò, dovrebbe cospargersi il capo di cenere.
E invece cosa avviene? Bersani confonde deliberatamente l'adozione della moneta europea con il sogno di un'Europa più unita e solidale, senza pronunciare l'unica parola di verità: ovvero che proprio l'adesione cieca all'Euro ha reso più lontano e sbiadito il sogno europeo, l'esatto contrario di quello che i media e la Casta ci vogliono ogni giorno far credere, anzi ci hanno sbolognato a carissimo prezzo in questi anni.
Ecco perché il Movimento 5 Stelle, che restituisce la democrazia ai cittadini, è un'inattesa e irripetibile opportunità: mandare a casa una classe politica che è vissuta, nella più elitaria depravazione morale ed incompetenza professionale, alle spalle dei cittadini e che, divorando la cosa pubblica in modo famelico, ha ridotto alla fame quella che ancora dieci anni fa era la quinta potenza economica del mondo.
E gli autori di tanto scempio, non solo non chiedono pubblicamente scusa per i danni arrecati al Paese impegnandosi solennemente a risarcirli almeno parzialmente, magari restituendo il bottino frutto di infinite ruberie, ma si ergono ancora a protagonisti della scena politica prossima ventura, con la spocchia di voler ancora distribuire ai leader della rivoluzione di velluto italiana, in primis Beppe Grillo ed Antonio Ingroia, le carte della partita che sta per cominciare.
Ecco perché, in queste giornate frenetiche, è necessaria da parte di tutti i cittadini massima attenzione e partecipazione, perchè il colpo di coda della Casta partitocratica non solo è possibile ma è anzi assai probabile.
E può manifestarsi nelle forme più diverse e, contemporaneamente, in più ambiti e direzioni: mobilitazione capillare e consapevole, quindi.
Massima vigilanza, infine, nei seggi elettorali  per tutte le operazioni di voto e di spoglio successivo per limitare al massimo il più che concreto rischio di brogli e far sì che il tanto atteso miracolo italiano trovi finalmente la sua definitiva consacrazione nell'urna elettorale.
Perchè quale che sia il risultato che riuscirà a realizzare il Movimento 5 Stelle, dopo le elezioni la vita istituzionale del nostro Paese subirà un forte e positivo cambiamento.
Con una pattuglia colorata, giovane e vivace di 100-200 cittadini incensurati, senatori e deputati nuovi di zecca, la Casta non potrà più fare il bello e il cattivo tempo come prima, quand'anche dovesse restare ancora per un po' nella stanza dei bottoni e continuare ad esprimere, a causa della legge elettorale porcata, una raffazzonata ed inaffidabile maggioranza di governo.
Il 25 febbraio sarà per tutti gli Italiani, anche per chi non ci ha mai creduto, il Giorno della nostra Seconda Liberazione. Questa volta dalla Casta partitocratica.


martedì 29 gennaio 2013

Crack MPS: la Casta saccheggia lo Stato. Però è antifascista...

Ormai è chiaro (e i loro lettori se ne devono fare una ragione...).
RepubblicaCorriere della Sera in tandem stanno tirando la volata a PD e a Mario Monti e, giorno dopo giorno, spargono a mani basse disinformazione contro l'unica vera novità di questa campagna elettorale: il Movimento 5 Stelle  di Beppe Grillo.
Lo seguono come un'ombra in quello che sempre più si sta profilando come un autentico bagno di folla nelle mille piazze italiane, lo TsunamiTour, restando  in imbarazzato silenzio per settimane data l'accoglienza  trionfale che la gente dovunque gli tributa.
Sperando vivamente in un incidente di percorso ovvero che, preso dalla foga di uno dei tanti discorsi che tiene ogni giorno completamente a braccio, incespichi in qualche iperbole, su cui plotoni di pennivendoli sono lì pronti ad impiccarlo.
Ma nell'attesa dello sfondone che non arriva (quel Grillo si sta rivelando sempre più accorto!), si allestisce una qualche carnevalata.
Così, al soldo della Casta, di fronte al palco, entrano in scena sedicenti antifascisti, uno sparuto gruppo di ragazzotti che, senza sapere di maneggiare parole molto più grosse di loro, in deficit spesso dei più elementari strumenti culturali e di un'accettabile capacità dialettica, inscenano  all'improvviso, ad un preciso ordine di scuderia, una vera e propria gazzarra alzando striscioni vaneggianti accuse di fascismo contro il leader del M5S. Il quale li invita subito dopo a salire sul palco per argomentare il loro dissenso: ma il tentativo va a vuoto, finché la piazza, intuendo che si tratta dell'ennesima provocazione, non li sommerge di fischi.
Ma ciò basta a Corriere e Repubblica, dopo giorni di estenuanti appostamenti a vuoto, di titolare, nuntio vobis gaudium magnum:  "Contestazioni contro Beppe Grillo", facendo assurgere il gesto telecomandato del minuscolo drappello di scalmanati a  notizia del giorno.
E così proprio colui che, unico nel terremotato panorama politico italiano, in questo gelido inverno riempie le piazze, sommerso dal calore e l'entusiasmo di una moltitudine di studenti, lavoratori, pensionati, casalinghe, cassintegrati, ovvero semplici cittadini, (quando non è lui stesso che vi nuota sopra!), ed al quale vengono riservate ovazioni da rockstar, proprio il Beppe nazionale, che va in giro goliardicamente in mezzo ai ragazzi senza scorta alcuna né bisogno di un agguerrito servizio d'ordine, viene additato dai media di regime a parafulmine della Casta.
Tentativo talmente scoperto e maldestro da naufragare miseramente, anzi da rivelarsi un boomerang.
Ma perché tanta animosità contro di lui?
Semplice: con il suo movimento di cittadini, nato per superare vecchi steccati, planando sopra le ideologie con nuove idee processate dalla rete,  il leader del M5S costringe i leader politici come Bersani, Casini, lo stesso Berlusconi, a fare una campagna elettorale su un terreno impervio, per niente congeniale, basato com'è sui contenuti piuttosto che sulle logiche di schieramento.
Ma questi qui contenuti non ne hanno, preoccupati soltanto di mantenere la poltrona  e di continuare a gestire il potere come sempre hanno fatto in passato, attraverso accordi sottobanco, reciproci ricatti, scambio di piaceri, cooptazioni, patetici teatrini televisivi.

Ecco che col suo modo scanzonato di interpretare la politica, sconvolgendo la vecchia liturgia della campagna elettorale, Grillo ha messo in crisi la spartizione del consenso elettorale siglato da sempre dagli uomini della Casta, al riparo delle ideologie.
Perché proprio agitando a comando la bandiera di un'appartenenza ormai fine a se stessa, una generazione di politici è vissuta di rendita alle spalle dei cittadini, che ingenuamente li hanno sostenuti abboccando alle loro vuote parole d'ordine, a cui proprio chi le pronunciava era il primo a non credere.
Vi ricordate l'ex segretario del PD Walter Veltroni, già capolista del vecchio PCI, dichiarare apertamente di non essere mai stato comunista? O Gianfranco Fini, una vita nel MSI, dichiarare che il fascismo è stato il male assoluto.
Per due leader che hanno dovuto fare outing, ce ne sono stati molti altri che hanno fatto finta di niente, usando l'ideologia come un tram su cui salire e scendere alla fermata più vicina, magari col bavero alzato e gli occhiali scuri per non essere riconoscibili.
E' così che si possono mandare in fumo 14 miliardi di euro, secondo una strategia degna non di un management ma di una banda terroristica, mettendo in ginocchio buona parte dell'economia italiana, continuando a fare finta di nulla.
In fondo si tratta solo di compagni che sbagliano, ma che tutti restino tranquilli: sono antifascisti certificati al 100%.
La gente però piano piano si sta svegliando e non gradisce più di essere presa per il naso in questo modo.
Il gioco è ormai così scoperto che i galoppini dei due principali quotidiani sono costretti a confondersi tra la folla mischiandosi proprio con i contestatori.
Le immagini del video girato a Livorno che i due quotidiani esibiscono come un trofeo dimostrano infatti come il punto di osservazione delle riprese fosse proprio a fianco di chi alzava lo striscione: una contiguità più che sospetta!
Nel frattempo Bersani e Monti negano qualsiasi coinvolgimento nello scandalo MPS e Berlusconi preferisce tacere.
Va a finire che la colpa se il Monte dei Paschi sta per saltare per aria è dei correntisti o di coloro che hanno in questi anni preso il mutuo per la prima casa? O dell'artigiano che chiede l'anticipo su fatture?
Nell'attesa che la buriana si plachi, il salvataggio è stato affidato, guarda caso, ancora una volta alle casse dello Stato: e visto che parliamo di qualcosa come 4 miliardi di euro, praticamente all'IMU sulla prima casa, finita di versare dai cittadini appena un mese fa. 
E proprio chi inveisce contro lo Stato sprecone, improduttivo, pieno di debiti, da ridimensionare, (l'opposto del privato che brillerebbe per efficienza e competitività, serietà...) gli assesta il colpo di grazia.
Il ritornello è sempre lo stesso, anche se ci vuole un gran fegato per ripeterlo: socializzare le perdite, privatizzare i profitti ma scagliarsi contro la spesa pubblica improduttiva...
Prima o poi questi cialtroni qualcuno li dovrà pur mandare a casa! 

mercoledì 12 settembre 2012

Professori allo sbaraglio: le "perle" di Monti e Passera

Con tutti gli indicatori economici in picchiata, il governo Monti sta penosamente annaspando e ormai si affida al governatore della BCE, Mario Draghi, per restare a galla.
Dopo dieci mesi di totale latitanza sul fronte dell'economia reale, senza uno straccio di politica industriale e di idea per il futuro del paese che non sia l'ormai logoro riflesso ideologico del liberismo più oltranzista come si sono rivelati essere la riforma delle pensioni e l'abolizione de facto dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, il professorone della Bocconi affida alla politica monetaria di Draghi la difesa di un esecutivo allo sbando.
La linea del Piave è diventata la seguente: per SuperMario senza la sua politica lacrime e sangue, l'Italia oggi sarebbe stata considerata dai partners europei poco seria e ciò non avrebbe consentito a Mario Draghi di imporre al board della BCE quasi all'unanimità (col solo voto contrario del membro tedesco) l'impegno ad una politica monetaria più espansiva in soccorso di quei paesi, come l'Italia e la Spagna, che pur in gravi difficoltà, stanno facendo i famigerati compiti a casa, benché a costo di enormi sacrifici.
In questo modo Monti cerca di sottrarsi alla marcatura ormai asfissiante di quanti, su vari fronti, gli contestano l'assoluta inconsistenza dei risultati raggiunti che, rispetto alla data del suo insediamento nel novembre scorso, sono tutti in netto peggioramento.
Il meno 2,6% del PIL comunicato due giorni fa dall'Istat  è un dato così drammatico (per giunta arrivato al quinto anno di crisi economico-finanziaria!), da racchiudere in sè tutti gli altri dati negativi:  rapporto debito/pil, inflazione, disoccupazione, deficit pubblico, ecc.
Non potendo quindi che presentare un carniere vuoto, Monti cerca di brillare di luce riflessa, ammonendoci: senza di me, Draghi non avrebbe potuto convincere i tedeschi ad allentare i cordoni della borsa.
Come in effetti, se andiamo a vedere, neppure il più brillante Mario Draghi è riuscito a fare.
La politica di sostegno, per quantità illimitate, dei titoli di stato da uno a tre anni sul mercato secondario (e non, come sarebbe stato più efficace, su quello delle nuove emissioni) dei paesi europei in difficoltà, è infatti condizionata al proseguimento di una politica fiscale di estremo rigore cioè diligentemente restrittiva.
Come le due cose si possano combinare in modo felice, permettendo all'Italia di venir fuori dalle sabbie mobili della profonda recessione in cui è precipitata, resta un mistero.
Tant'è che la forte caduta dello spread BTP-Bund tedeschi ad un livello che resta comunque molto elevato nel medio periodo (oggi, dopo l'atteso e importante pronunciamento favorevole della Corte costituzionale tedesca sul Fondo salvastati ESM, è inchiodato sopra la pericolosa quota 340), non esclude la possibilità che il governo italiano debba comunque chiedere entro fine anno aiuto alla troika BCE - Fondo Monetario Internazionale - Commissione Europea, concordando nuove condizioni capestro ed ulteriori pesanti misure di finanza pubblica. Per il Financial Times, non ha scampo.
L'altro giorno, Mr. Monti ha avuto finalmente la schiettezza di ammettere che la sua politica economica ha aggravato la recessione ma in vista di "un risanamento a lungo termine. Quando a questo governo è stato chiesto di trattare un caso non semplice, ci siamo posti il tema se comportarci con una visione di lungo periodo o se cercare di fare un surfing sulle onde della tempesta finanziaria. Penso che le nostre decisioni abbiano contribuito ad aggravare la situazione congiunturale, è ovvio. Ma è solo così che si può avere qualche speranza un pochino più in là di vedere risanata in maniera durevole la situazione".
Come sia possibile realizzare il risanamento a lungo termine provocando subito una durissima recessione è cosa che neppure spulciando imponenti trattati di economia è facile capire, essendo palesemente contraddittoria. 
Non a caso nessun economista si è cimentato nell'impresa impossibile e meno che mai ha cercato di addentrarsi nel Monti pensiero.
La cosa deve essere suonata così male nelle redazioni dei giornali che i quotidiani tradizionalmente fiancheggiatori del premier, Corriere e Repubblica, hanno bucato la notizia, preferendo trattare dell'incontro tra governo e sindacati.
Durante il quale Corrado Passera, Superministro economico, ha dichiarato che l'incremento dei salari è possibile a condizione che ci sia un aumento di produttività.
Ma come? I consumi interni sono fermi, le aziende non producono più perché hanno i magazzini pieni (classica crisi da mancanza di domanda) e qual è la ricetta avanzata dal ministro dello Sviluppo economico? Aumentare la produttività!
Cioè, a parità di stock di capitale e di livello di produzione (insensato sarebbe aumentarla di questi tempi!), ridurre la forza lavoro, aumentando così la disoccupazione.
Splendido!
Per seppellire la castroneria di Monti, i media hanno finito, senza accorgersene, per sottolineare una dichiarazione ancora più stravagante del suo emerito collega.
Li vogliamo definire professori allo sbaraglio?

sabato 14 luglio 2012

Casa Letta

L'uomo del pizzino a Mario Monti, al secolo Enrico Letta, già nipote del luogotenente del Pdl, Gianni Letta, balzato agli onori della cronaca per le sue stravaganti analisi senza né capo né coda con cui, per conto del Pd, ha per settimane maltrattato l'intelligenza degli Italiani che il martedì sera, nel vuoto assoluto della programmazione Rai-Mediaset, si avventuravano disperati nel salotto televisivo di Ballarò, se ne è uscito con un'altra delle sue fulminanti battute.
In un'intervista al Corriere della Sera di oggi  testualmente dichiara: "preferisco che i voti vadano al Pdl piuttosto che disperdersi verso Grillo"
Parola del vicesegretario del Pd!
Delle due l'una: o Bersani lo manda casa per le vie brevi, invitandolo a cambiare immediatamente casacca, oppure (come succederà al 99,9%, da metterci la mano sul fuoco!) continuerà a fare finta di niente, pacatamente confermando ciò che va dicendo l'impertinente nipotino del fedele consigliere di Silvio Berlusconi.
Ma così facendo finisce, suo malgrado, per dare ragione a Beppe Grillo che da tempo immemorabile ripete che Pdl e Pd-l sono praticamente la stessa cosa.

PS: Nell'anniversario della presa della Bastiglia, leggere che un leader del centrosinistra inviti gli elettori, piuttosto che esortarli ad impegnarsi personalmente in politica (come molti di loro hanno iniziato a  fare, anche grazie al Movimento 5 Stelle), addirittura a votare per la destra berlusconiana, ci fa tornare in mente la regina Maria Antonietta che, di fronte alle proteste popolari dilaganti in mezza Francia per la mancanza di pane, non trovò di meglio che esclamare con spontaneità: "Che mangino brioches!".

sabato 2 giugno 2012

Più l'informazione si accanisce contro Grillo, più il Movimento 5 Stelle conquista consensi

Il boom di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle ha mandato in tilt non solo i palazzi della politica, dove la Casta è acquartierata da decenni in mezzo ai privilegi (non ultimo la scorta che li accompagna, persino quando vanno a fare la spesa all'Ikea, vero senatrice Finocchiaro?), ma le redazioni dei giornali che stanno veramente impazzendo per scaraventare contro il Beppe nazionale, tutto ciò che può passare mediaticamente per distruggerne l'irresistibile ascesa verso la più che probabile vittoria alle elezioni politiche della prossima primavera.
Perché già adesso i sondaggi danno il suo movimento in vista del 24-25%, bruciando sullo scatto persino il Pd, e diventando forse la prima forza politica in Italia, per giunta senza essere un partito, senza un soldo di finanziamento pubblico e senza un briciolo di presenza in televisione.
Un passaggio d'epoca, fino a qualche giorno fa roba da libro dei sogni.
Insomma, all'improvviso nel firmamento della politica italiana è nata una stella, o meglio ne sono nate 5!
E c'è da scommettere che di qui ad un anno, bomba o non bomba (come giustamente denuncia il suo leader sul noto refrain di Antonello Venditti), per il Movimento 5 Stelle sarà l'apoteosi, in barba alla Casta ed a quanti si augurano che con qualche attentato sanguinoso si possa bloccare la legittima e democratica aspirazione degli Italiani ad avere finalmente voce in capitolo nelle scelte collettive, senza la pelosa e asfissiante intermediazione dei partiti.
Per questo i due maggiori quotidiani nazionali fanno a gara nel tentare di fare le pulci alla vittoria di Grillo.
E' partito lancia in resta Repubblica, insinuando, già la sera stessa della vittoria di Federico Pizzarotti a Parma, che il giovane neosindaco avesse preso da subito le distanze dal proprio leader.
Come? Con un'intervista in cui vengono riportate le sue prime adrenaliniche dichiarazioni da vincitore inatteso, fatte passare come vera e propria dichiarazione d'intenti, degna di un consumato uomo politico.
Tanto è bastato per creare un caso, su cui altri giornali si sono fiondati a corpo morto, con l'Unità che addirittura titolava perfidamente solo due giorni dopo l'exploit elettorale: "Pizzarotti-Grillo, c'eravamo tanto amati..."
Puro sciacallaggio mediatico, a confronto del quale i mitici panini del Tg1 di Minzolini sembrano l'audace colpo dei soliti ignoti.
Ma il gioco di dividere subito i vincitori è stato così scoperto e precipitoso che soltanto qualche lettore distratto avrebbe potuto abboccare.
E' poi intervenuto lo stesso Pizzarotti a smantellare tutto il castello di carta così faticosamente costruito a Piazza Indipendenza.
Non paga del magro risultato,  Repubblica ha tentato di strumentalizzare il defenestramento avvenuto prima delle Comunali di tal Tavolazzi, accusato da Grillo di promuovere una fronda interna e che poi, una volta messo alla porta, sarebbe voluto rientrare in partita cercando di ottenere dal neosindaco grillino addirittura la poltrona di direttore generale del comune di Parma.
Va da sè che, al di là del merito della sua espulsione, è quanto meno deprecabile che chi è stato mandato via dal portone principale della politica, rientri dalla finestra sotto le mentite spoglie di tecnico.
Ma tanto è bastato perché  i seguaci di Scalfari titolassero che Beppe Grillo era nientedimeno il mandante di una "fatwa" nei suoi confronti, la seconda consecutiva (secondo loro!) dopo il monito da lui stesso lanciato contro la partecipazione dei suoi candidati ai talk show televisivi.
Sì, avete capito bene: Repubblica rinfaccia al leader del Movimento 5S di aver dichiarato contro il Tavolazzi peggio di un ostracismo, una condanna per capirci come quella a suo tempo emanata dal regime iraniano degli ayatollah contro lo scrittore Salman Rushdie, controverso autore dei "Versetti satanici".
A quale livello di imbarbarimento intellettuale deve scendere il secondo quotidiano italiano (particolare non trascurabile, che riceve sostanziosi finanziamenti pubblici), per portare avanti una violentissima quanto inusitata e ingiustificata campagna di stampa contro Grillo, è sotto gli occhi di tutti.
Non vogliamo pensare che  pure da parte della proprietà e direzione di quel giornale il successo elettorale di Beppe Grillo possa essere vissuto con angoscia come una seria minaccia a quel sistema gelatinoso di cui troppi e spesso occulti poteri hanni beneficiato in questi anni, intrecciando relazioni pericolose con la Casta.

Ma il massimo del tragicomico è stato raggiunto dal Corriere della Sera che, nell'edizione Corriere TV,  fa sapere che Beppe Grillo ripete nei comizi, udite udite, le stesse battute; e per dimostrarlo riporta un video ripreso dal comizio finale di Parma del 18 maggio e da quello di Garbagnate di due giorni prima. Nel collage presentato, accostando ossessivamente frammenti di immagini dei due interventi verrebbe immortalata la sua colpa.
Un autentico autogol del Corriere che, per voler parlare alla pancia del Paese screditando la figura pubblica di Grillo, finisce per lanciargli un formidabile  assist.
Infatti che un leader politico dica le stesse cose parlando a platee diverse non solo non è disdicevole ma è addirittura auspicabile, anzi in un paese normale dovrebbe essere la regola.
Meravigliarsi di ciò fino al punto  da ritenere che Grillo venga così colto in fallo, significa ammettere che i giornalisti del Corriere sono abituati a politici che di fronte agli imprenditori dicono una cosa, ai commercianti un'altra, ai pensionati un'altra ancora e quando si trovano davanti agli operai chiudono il cerchio sparlando dei primi; insomma degli autentici voltagabbana pronti a menare per il naso gli ingenui cittadini.
E come mai stesso zelo e anologa osservazione non sono riservati all'ABC della politica, il trio Alfano-Bersani-Casini e Casta cantante?
Forse che costoro sono talmente noiosi e incomprensibili che nessuno sarebbe disposto gratuitamente  a subirne le contorsioni verbali che, a seconda delle circostanze, oscillano tra il criptico, il vuoto e lo sgrammaticato.
Un  caso da scuola è poi il linguaggio di Pierluigi Bersani, come già altre volte abbiamo notato, che riesce a parlare per ore senza dire assolutamente nulla, ponendo l'accento su parole vuote e  brandendo come armi roboanti affermazioni veramente senza né capo né coda, un volo pindarico oltre il surreale.
Sintatticamente i suoi discorsi pubblici sono un vero percorso minato: i famosi anacoluti del segretario del PD si trasformano, nelle irresistibili gag di Maurizio Crozza, in autentici tormentoni: Ragassssi, non siam qui a toglier le macchie dal manto dei giaguari...
Ma l'infortunio del Corriere della Sera è stato in qualche modo riscattato dalla bella intervista che Gian Antonio Stella fa a Beppe Grillo, pubblicata ieri su 'Sette', l'inserto settimanale del quotidiano di via Solferino. Leggetela, è interessantissima.
E a proposito di riforme costituzionali ecco come conclude Grillo:
"Beh, siamo stati scottati: il Parlamento deve avere l'obbligo di discutere delle leggi popolari che vengono presentate. L'obbligo. E poi il referendum senza quorum. Due o tre cose. Per arricchire una Costituzione che è già meravigliosa per conto suo ma non prevede lo spazio  necessario per i cittadini".
E questa sarebbe antipolitica? Magari subito!

martedì 1 maggio 2012

I farisei del Palazzo attaccano Grillo: vigilia della caduta dell'Ancien régime?

E' bastata una battuta paradossale di Beppe Grillo in un comizio a Palermo, secondo il suo solito stile ad effetto, in cui ha accostato la mafia, che imponendo il pizzo alle imprese non ha interesse a strangolarle pena la sua stessa sopravvivenza, con la finanza internazionale, che tartassa ciecamente i cittadini fino a stroncarne qualsiasi iniziativa economica, perché la Casta scatenasse un inferno di dichiarazioni contro di lui.
Siamo all'assurdo che uomini politici che guadagnano a sbafo 15.000 euro netti al mese, lasciando che il governo del Paese venga affidato ai banchieri mentre molta gente è alla disperazione, hanno pure la faccia tosta di specularci sopra dando del mafioso a Grillo.
Ma come?
Non è forse Pierluigi Bersani che sta tessendo da mesi la tela di un'alleanza politica del Partito Democratico con  l'UDC di Pierferdinando Casini, quello che ha difeso per anni, in prima persona e a spada tratta, Totò Cuffaro, detto Vasa Vasa, il presidente della Regione Sicilia che il 23 gennaio 2010 la Corte d'Appello di Palermo ha condannato a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato nel processo 'talpe alla Dda', essendo stata riconosciuta l'aggravante di aver favorito Cosa Nostra?
Sentenza confermata l'anno successivo dai giudici di Cassazione che nelle motivazioni   hanno dichiarato provato "l'accordo politico-mafioso tra il capo-mandamento Giuseppe Guttadauro e l'uomo politico Salvatore Cuffaro, e la consapevolezza di quest'ultimo di agevolare l'associazione mafiosa, inserendo nella lista elettorale per le elezioni siciliane del 2001 persone gradite ai boss e rivelando, in più occasioni, a personaggi mafiosi l'esistenza di indagini in corso nei loro confronti."
Non era stato il suo segretario  Pierferdinando Casini, qualche tempo prima in vista delle elezioni politiche del 2008, a definire Cuffaro un "perseguitato politico" annunciando di candidarlo alle consultazioni nazionali, violando dunque la promessa, in campagna elettorale, di non candidatura per chi avesse subito condanne?
E tutto ciò senza neppure prendersi la briga di una tardiva pubblica ammenda di tali dichiarazioni, a condanna definitiva ormai emanata!
Questa gente, fra l'altro responsabile del disastro economico, finanziario ma innanzitutto morale in cui versa il nostro paese, si permette il lusso di dare lezioni di antimafia a Grillo che, per la sua storia, evidentemente sta agli antipodi del mondo in cui è nato e prosperato il fenomeno mafioso e le altre forme di criminalità organizzata. Ma anche per i comportamenti: sua l'iniziativa di una legge di iniziativa popolare contro i condannati in Parlamento o la bellissima idea del Calendario dei santi laici, in cui protagonisti sono proprio alcune vittime illustri della violenza mafiosa.
Non sarebbe, quindi, neanche il caso di doverlo precisare se la Casta non si fosse impadronita di questa uscita sfortunata di Beppe Grillo in modo famelico e volgare, accusandolo di voler intercettare il voto mafioso.
Senza rendersi conto così di dimostrare urbi et orbi di continuare a tenerci molto a quella riserva di voti...
La battuta, estrapolata dall'iperbole di un ragionamento molto più ampio che tentava di mostrare come lo stato possa essere a volte altrettanto spietato delle organizzazioni criminali nel pretendere i tributi, potrà essere considerata infelice, inopportuna.
Ma farne scattare la crocifissione mediatica a furor di Casta non è degno di un paese democratico o presunto tale: ha il sapore amarissimo della purga.
A volte, per l'imprevisto sempre in agguato, con conseguenze involontariamente ridicole.
Ieri sera, ad esempio, nel notiziario delle ore 20 di Rai News24, il pur bravo conduttore Corradino Mineo è sbiancato in volto quando, avendo chiesto alla regia di mandare in onda la battuta grillina per ricevere un commento da parte dell'europarlamentare dell'IDV Sonia Alfano, si è visto  trasmettere un'altra parte del discorso palermitano di Grillo, in cui egli giustamente invocava, ad elezioni politiche concluse, la celebrazione di un processo pubblico che sanzionasse severamente le ruberie dell'ultimo ventennio e si concludesse, da un lato, con la restituzione del maltolto e, dall'altro, con la condanna dei politici responsabili ai lavori socialmente utili.


Giacobinismo ha subito chiosato l'altro giornalista in studio, Oliviero Beha, mentre il direttore Mineo, annuendo, implorava intanto la regia di mandare in onda il pezzo giusto: se no la gente a casa non capisce!
Ecco, questo infortunio televisivo dimostra lo spazio abissale che ormai separa la vecchia politica del trio Alfano-Bersani-Casini dagli umori della gente che questi hanno abbandonato irresponsabilmente al proprio destino dopo aver portato l'Italia al tracollo e averla lasciata alla mercé dei banchieri, della tecnocrazia europea e delle agenzie di rating, attraverso la nomina del commissario liquidatore Mario Monti.
Pochi osservatori, neppure persone di solito attente come Mineo e Beha, si rendono conto che, se soffia forte il vento giacobino, è forse perché la situazione in cui ci troviamo è talmente difficile da essere ormai imminente, più di quanto i media non lascino trapelare, la caduta dell'Ancien régime partitocratico.

lunedì 5 settembre 2011

Nonostante lo sciopero, il Ferruccio furioso vuole uscire in edicola

Il Ferruccio furioso parte lancia in resta contro Susanna Camusso, perché a causa dello sciopero generale della CGIL, udite udite, domani Il Corriere della Sera non sarà regolarmente in edicola.
De Bortoli, perso ancora una volta il suo solito aplomb (in verità osservato soprattutto quando si  accomoda nei salotti buoni), lo ritiene un effetto sgradevole, quasi stesse parlando di un accostamento di colori in un capo di vestiario avvistato a Milano Moda o del packaging da progettare  per una nuova essenza di profumo...
E se la prende con il segretario generale di quel sindacato, Susanna Camusso, che, a suo dire, avrebbe imposto di non far uscire il giornale nonostante le maestranze eventualmente presenti.
Il direttore del Corriere non è minimamente sfiorato dal dubbio che proprio in ciò sta la conseguenza più palpabile dell'azione di protesta, abituato com'é che "in precedenti occasioni, i lavoratori poligrafici, con grande senso di responsabilità, avevano garantito tutte le pubblicazioni".
Arriva al punto di dire che "Ho chiesto al segretario della Cgil di esaminare la possibilità di una deroga. Com'è sempre accaduto" senza rendersi conto che una deroga è tale proprio perché costituisce un'eccezione, altrimenti, con buona pace del grande senso di responsabilità dei lavoratori, la sua diventa una pretesa che supera il limite, questa volta sì come dice lui, di un atto grave e discriminatorio nei confronti di chi è in sciopero.
A conferma che la politica del senso di responsabilità da parte dei sindacati e del mondo del lavoro, ossessivamente propagandata a sinistra in questi anni, si rivela sempre più perdente.
Ma il Ferruccio furioso, al solo sentir pronunciare la parola sciopero, diventa un toro scatenato e, caricata a testa bassa la Camusso, la accusa di aver scritto "una pessima pagina della sua gestione".
Si accettano scommesse su quale possa essere per De Bortoli una bella pagina: forse, l'abolizione dello Statuto dei Lavoratori??
Secondo il Ferruccio filogovernativo, "Nell'impedire l'uscita del giornale Susanna Camusso [...] nega i diritti di altri lavoratori e, soprattutto, dei lettori."
Ma quali sarebbero i diritti lesi ai lavoratori che domani non aderiranno alla protesta?
Caro De Bortoli, resti interprete delle sue buone maniere e ci illumini con la sua eleganza.
Ci suggerisca pure quando è opportuno pensare finalmente ai diritti di chi domani, rinunciando ad una giornata di salario, scenderà in piazza e, glielo assicuriamo, è molto, molto arrabbiato!
Ma è difficile che Lei possa capirlo: giustamente, pancia piena non pensa a pancia vuota!

domenica 14 marzo 2010

Nonchalance senza uguali di Ferruccio De Bortoli a 'Che Tempo che fa'

"[...]Dopo di che, essendo accaduto un fatto increscioso [...], io credo che il decreto del governo, firmato non senza polemiche dal Presidente della Repubblica, sia stato opportuno e necessario. Forse non un bel decreto, criticabile, e l'abbiamo criticato anche sulle colonne del Corriere della Sera, ma alla fine bisognava salvaguardare il diritto di voto.[...]"
Lo ha detto il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, intervistato sabato sera da Fabio Fazio a Che tempo che fa.
Fenomenale! Grandissima concezione dello stato di diritto e della democrazia: un decreto ampiamente incostituzionale, bocciato ripetutamente, persino dal Tar, viene ritenuto al tempo stesso criticabile ma opportuno e necessario.
Quando si tratta delle piccole liste, delle piccole formazioni politiche è bene che prevalgano le regole (infatti, in caso di inadempienze burocratiche, restano fuori!) ; ma se la vicenda coinvolge la lista del partito di maggioranza, è opportuno e necessario che delle stesse regole si faccia un gran falò, fossero pure princìpi basilari della nostra Costituzione.
Una grande lezione di diritto costituzionale propinataci, col suo solito aplomb, dal direttore De Bortoli per il pubblico televisivo del sabato sera.
Se il direttore del principale quotidiano italiano fa pacatamente di queste considerazioni, con massima nonchalance, non c'è da meravigliarsi se tutto il circuito radiotelevisivo e della carta stampata versi in Italia in condizioni gravissime.
E che la nostra democrazia stia, con uguale nonchalance, inesorabilmente affondando.
Meditate, lettori del Corriere, meditate!

domenica 15 novembre 2009

Urgono ecoincentivi per la politica italiana

Gli Italiani saranno finalmente contenti… perché da tempo (non) si sentiva la sua mancanza!
Ma la quarantena, dopo i disastri politici degli ultimi due anni, per lui è finita.
Riecco in forma smagliante, pronto a pontificare come e peggio di prima, l’Americano de Roma, per gli amici Se po’ ffà, al secolo Walter Veltroni.
Questa volta intervistato da Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera.
Sì, proprio lui: l’inventore di tante intuizioni politiche di insuccesso: dalla "vocazione maggioritaria del Pd", al fenomenale "il capo dello schieramento a noi avverso", al mitico qui lo dico e qui lo nego del suo memorabile "ma anche".
Chi temeva che di lui, dei suoi sconquassi, delle sue batoste elettorali, non sarebbe rimasta traccia nella politica italiana, si sbagliava di grosso.
Eccolo di nuovo in pole position, con la minaccia di fare nuovi sfracelli.
Con la prosopopea di sempre, forse ancora maggiore, pronto a dispensare consigli a destra e a manca, con le sue granitiche certezze.
Quelle che hanno ridotto la sinistra nello stato deplorevole in cui versa, mentre la politica italiana è di nuovo impantanata a discutere una nuova legge ad personam per Silvio Berlusconi, affinché ingiustizia sia fatta fino in fondo.
Ma adesso con Veltroni, ne siamo sicuri, non abbiamo più nulla da temere.
Possibile che nessuno pensi ad introdurre gli ecoincentivi per i politici decotti??

giovedì 24 gennaio 2008

Disinformare on line attraverso un video

Il Corriere delle sera on line pubblica un video tratto dalla trasmissione Ballarò di martedì scorso, sottotitolato: "Ballarò, lite Casini-Pecoraro / Offese e insulti su Rai 3"
Chi clicca il video si aspetterebbe di assistere a quella parte di trasmissione in cui effettivamente si è verificato un diverbio tra Pierferdinando Casini, leader Udc, e Alfonso Pecoraro Scanio, Ministro dell’Ambiente e leader dei Verdi: il primo che accusa il ministro di aver abbandonato Napoli ai cumuli di rifiuti. L’altro che, in precedenza, gli ha rinfacciato il sostegno dato al presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro, condannato per favoreggiamento aggravato; le inadempienze della società del gruppo Impregilo nell’appalto milionario per lo smaltimento dei rifiuti nel napoletano e le proteste inscenate per l’apertura di discariche nell’avellinese da parte proprio di esponenti locali dell’UDC.
Davvero uno scontro al calor bianco tra i due, come giustamente sottolineato proprio dal direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli, ospite della trasmissione in collegamento audio-video con lo studio di Ballarò.
Ci saremmo, quindi, aspettati di rivedere le immagini del diverbio che, ad occhio e croce, nel momento più incandescente della contesa, non ha superato i sei minuti.
Ebbene: se guardate il video, troverete soltanto l’invettiva infuocata di Casini ma manca completamente il duro intervento di Pecoraro Scanio, del quale vengono riportate soltanto alcune battute di contenimento dell'intemperanza verbale del suo interlocutore, per giunta anche tagliate in maniera grossolana.
Chi quindi crede di assistere al battibecco per come si è effettivamente svolto resta veramente sconcertato dato che gli viene riproposto solo l’affondo scomposto di Casini.
E’ una esemplare dimostrazione di come, semplicemente estrapolando ad hoc una parte di una più ampia disputa verbale, si possa rappresentare un evento televisivo in modo del tutto difforme da come si è realmente sviluppato davanti alle telecamere.
Grazie al Corriere della Sera sappiamo adesso come sia estremamente semplice, ritagliando la scena giusta con un montaggio appropriato, deformare completamente la dinamica di uno scontro verbale in televisione tra due esponenti politici, mettendo in ombra (forse è meglio dire in cattiva luce) solo uno di essi.
Nel caso specifico a farne le spese è stato il leader dei Verdi che, come può riconoscere agevolmente chi ha seguito in diretta televisiva il dibattito, ha interloquito con straordinaria efficacia con Casini.
Ma dal video riportato dal Corriere si direbbe esattamente il contrario, essendo stato riproposto praticamente solo il “sopra le righe” di Casini con un Pecoraro Scanio sulla difensiva. Nè la voce fuori campo della giornalista che commenta l'episodio aiuta a capire: al contrario, pare semplicemente confezionare l'assolo del primo.
E si sa, in televisione (e non solo!) chi urla di più sembra che abbia la ragione dalla sua parte.
Come mai questo strafalcione on line del Corriere? Perchè evidenziare solo le parole del leader UDC e censurare quelle del ministro?
Eppure era presente in trasmissione addirittura il direttore Paolo Mieli!
Tra i due contendenti, è chiaro, il cuore del quotidiano di via Solferino batte per Pierferdinando Casini; ma è altrettanto evidente che quel video è una pessima prova di giornalismo, non degna di un quotidiano come il Corriere della Sera.
Ecco il link per la puntata della trasmissione di Giovanni Floris come riproposta per intero da Rai click: il battibecco (dura 6 minuti circa) inizia al 24° minuto; questa, invece, è la versione tagliata del Corriere della Sera che si trova nella rubrica Corriere TV.