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lunedì 23 luglio 2012

9 mesi dopo, lo spread è a 530: la cura Monti è stata letale


E' brutto doverne parlare proprio adesso che la grande malata Italia sta agonizzando.
Ma per carità di patria, qualcuno che siede a Palazzo Chigi da circa 9 mesi dovrebbe ammettere pubblicamente che ha completamente sbagliato la terapia.
E insieme a lui gli ineffabili ministri, i cosiddetti tecnici, che hanno condiviso le scelte nefaste fatte da Mario Monti, bocconiano di ferro ma economista di latta.
Se è vero come è vero che tutte le manovre lacrime e sangue di questi mesi hanno avuto il solo effetto di accelerare ancora di più la crisi ed avvicinarci a folle velocità alla bancarotta. 
Senza voler rinfacciare al grande economista del nostro Stivale l'aver spremuto come limoni i lavoratori e i pensionati italiani, la qualcosa sarebbe troppo penosa e lunga, basta prendere a simbolo di questo fallimento la lunga battaglia contro l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori portata avanti in tandem con la simpatica  professoressa Elsa Fornero.
Secondo questi cervelloni, sembrava che introdurre il licenziamento facile, magari proprio quello per rappresaglia da padrone del vapore, avrebbe reso d'improvviso l'economia italiana un paradiso.
Ci avevavo fatto capire che si sarebbe spalancata per noi tutti una nuova Età dell'Oro.
Non solo!
Se poi Monti avesse fatto approvare  la controriforma del mercato del lavoro prima del vertice di Bruxelles di fine giugno, per l'Italia sarebbe stata l'apoteosi. Vi ricordate i titoli a caratteri cubitali su SuperMario?
Oggi, da Mosca, che cosa ci fa sapere il nostro condottiero?
"La situazione è difficile, bisogna puntare sull'economia reale".
Eppure l'economia reale il nostro primo ministro l'ha proprio martoriata in questi mesi per puntare, come un qualsiasi ragioniere, ossessivamente al pareggio dei conti.
E i tre cavalieri dell'Apocalisse, Alfano - Bersani - Casini, che cosa hanno da dire a questo punto, oltre a scagliarsi contro i pm palermitani che indagano sulla trattativa Stato - mafia?
Visto che condividono con Re Giorgio la responsabilità di aver voluto il bocconiano a Palazzo Chigi!

domenica 8 luglio 2012

Ancora e solo macelleria sociale dietro la spending review

La "spending review" di Mario Monti mostra tutta l'inadeguatezza del governo dei tecnocrati a gestire un passaggio così delicato per l'economia italiana.
Il decreto legge emanato a notte fonda dal consiglio dei ministri è molto al di sotto delle attese quanto a qualità dell'intervento: tra bisturi e mannaia, decisamente i tecnici hanno rinunciato al camice del chirurgo per quello più insanguinato del macellaio.
E' chiaro che ci si attendeva una sforbiciata dal lato della spesa ma, da una compagine tecnica con il rincalzo di gente come Giuliano Amato, l'economista Francesco Giavazzi e il commissario liquidatore Enrico Bondi, ci si sarebbe aspettati un lavoro se non altro fatto a regola d'arte.
E invece il quadro che ne emerge è quanto mai confuso e incoerente, con un affastellamento di provvedimenti che mirano, senza tanti giri di parole, a tagliare ancora una volta la spesa sociale in tre settori cruciali (sanità, giustizia e pubblica amministrazione), rinunciando in partenza a qualsiasi tentativo di riorganizzazione degli stessi, vero banco di prova per misurare le qualità manageriali dei professori.
Clamoroso è lo svarione nella sanità dove invece di procedere ad un recupero di efficienza nella gestione delle aziende sanitarie si opta per tagli lineari indiscriminati che penalizzano nella stessa misura sia le regioni più virtuose che quelle colpevolmente in grossa difficoltà finanziaria, con l'unico risultato di ridurre complessivamente 18'000 posti letto, ennesimo taglio ai livelli di prestazione ed assistenza ai cittadini.
Surreale il commento che ne ha fatto l'ex ministro Mario Baldassarri del Fli, ora presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato, dai microfoni di RaiNews 24: per lui i piccoli ospedali vanno tutti chiusi, salvando solo i pronto soccorso; tutto il resto trasformato in posti letto residenziali per anziani.
Se questo è il modo di approcciare il problema della sanità, vero ineludibile nodo del contratto sociale, siamo a cavallo...
Ma quello che denota la matrice rigorosamente di destra di questo taglio della spesa è:
- non aver rinunciato, contro ogni buon senso, all'acquisto degli aerei militari da attacco F35 da 12 miliardi di euro che, particolare non trascurabile di questi tempi, comportano per giunta il drenaggio di immani risorse verso l'estero, inguaiando ancora di più la nostra già asfittica economia nazionale: una decisione contro gli Italiani ma anche contro l'Italia;
- non aver voluto neppure prendere in considerazione  il taglio delle pensioni d'oro (per intenderci quelle sopra i 5'000-6'000 euro netti mensili) che produrrebbe, secondo alcune stime, risparmi immediati per 2,5 miliardi per quelle pubbliche e circa 15 miliardi per quelle private.
E' una manovra, l'ennesima firmata da Mario Monti, così odiosamente di classe che pure il leader di Confindustria Giorgio Squinzi, non l'ultimo dei bolscevichi, l'ha definita crudamente "macelleria sociale" .
Ed ha costretto il premier Monti ad una brusca reazione, perdendo di colpo tutta la sua decantata sobrietà, accusandolo oggi con queste parole di tenere lo spread alto (venerdì ha chiuso a 460 punti): "Dichiarazioni di questo tipo, come è avvenuto nei mesi scorsi, fanno aumentare lo spread e i tassi a carico non solo del debito ma anche delle imprese, e quindi invito a non fare danno alle imprese".
Eh no, caro Monti, non  puoi addossare agli altri la responsabilità di una politica fallimentare perché gravemente recessiva (le previsioni danno al termine del 2012  per l'Italia un gravissimo ed isolato  -2% del Pil) e smaccatamente antipopolare.
Né puoi farti scudo dello spread che non scende per non pagare dazio di otto interminabili mesi durante i quali hai contribuito sistematicamente all'odierno disastro: se lo spread resta così alto è proprio a causa delle tue politiche di grande banchiere ma pessimo economista.
Eccone le tre principali ragioni:
1. i risultati estremamente deludenti raccolti in Europa nell'ultimo week end di giugno (al di là delle sparate dei due principali quotidiani nazionali che osannavano SuperMario, sfruttando in modo meschino il successo mediatico del bravo azzurro Mario Balotelli): il tuo scudo anti spread resta solo sulla carta e di buone intenzioni è lastricata la strada verso l'inferno;
2. una politica economica antiquata, prekeynesiana, che sta facendo letteralmente collassare l'economia nazionale;
3. una grave instabilità nella maggioranza politica che ormai sta facendo cuocere l'esecutivo a fuoco lento, con il Partito Democratico e il suo segretario Pierluigi Bersani che restano a sostenere inopinatamente il governo tecnico senza rendersi conto di stare così segando il ramo in cui sono appollaiati, con un elettorato ormai in libera uscita.
Anche il modo in cui il Pd ha bocciato la mozione di sfiducia al ministro Elsa Fornero è demenziale: basta sentire le parole disarmanti usate da Bersani in due dichiarazioni distinte a Sky TG24 per capire che l'unico servizio che politici simili possono ancora rendere al Paese è andarsene a casa il prima possibile.
Del resto Monti lo ha fatto intendere proprio nella dichiarazione di oggi che una delle ragioni dello spread alle stelle è di essere alla vigilia di una campagna elettorale che durerà un intero anno: "per quanto riguarda l'Italia c'è anche l'incertezza su quello che succederà nella politica italiana dopo le elezioni del 2013".
A questo punto, rinnoviamo la domanda già fatta inutilmente nelle scorse settimane:



mercoledì 27 giugno 2012

Il governo Monti e la vittoria di Pirlo

Mentre cresce, insieme allo spread,  l'attesa per l'incontro-scontro di domani tra Italia e Germania che si gioca, per uno strano scherzo del destino, contemporaneamente sia a Varsavia, dove è in programma la partita di calcio tra le due nazionali, che a Bruxelles dove si svolge il Consiglio europeo, le cronache parlamentari preannunciano l'approvazione entro stasera della riforma del mercato del lavoro griffata EF (Elsa Fornero).
Intanto è già archiviata la bocciatura dell'emendamento presentato dal deputato Pdl Guido Crosetto che intendeva fissare un tetto limite di 6'000 euro netti mensili per le pensioni calcolate con il metodo retributivo (10'000 euro in caso di cumulo).
Una cifra più che generosa a cui generali, docenti universitari, dirigenti pubblici e gli stessi tecnici del governo Monti sembra non abbiano intenzione di adeguarsi tanto facilmente; tant'è che il governo ha espresso parere contrario rinviando tutto alle calende greche, ad un fumoso e futuribile decreto sviluppo
Così Crosetto si è sentito rispondere dai banchi del governo: smuoviamo un campo troppo vasto. Rinviamo e il Governo si impegna a sostenerlo...
E' così passata la paura a gente come Fornero, lo stesso Monti, Catricalà, Cancellieri, che già adesso percepiscono vitalizi vicini e in molti casi superiori al fatidico tetto.
Come racconta Salvatore Cannavò su il Fatto Quotidiano, l'ammiraglio Gabriele Di Paola, attuale ministro della Difesa, percepisce 22'000 euro al mese, la ministra Cancellieri 7'000, Monti come docente universitario, poverino!, ne percepisce solo 5'400 anche se così vedrebbe avvicinarsi questa spada di Damocle.
Invece, tirano un vero e proprio sospiro di sollievo Giuliano Amato dall'alto dei suoi 21'000 euro netti, Lamberto Dini con 22'000 euro ed anche lo stesso Mario Draghi che si accontenta di poco più di 8'500 euro netti al mese.
Insomma 6'000 euro netti al mese fanno qualcosa come 110.000 euro di reddito lordo annuo, ma un ministro come Elsa Fornero già ora percepisce un vitalizio attorno ai 230.000 euro, il sottosegretario Catricalà, quello della proposta malandrina sulla composizione del Csm a maggioranza partitica, dichiarava nel 2010 un reddito lordo di 740'000 euro, il Ragioniere generale dello Stato emolumenti complessivi per 520.000 euro nel 2011.
Ma lor signori possono dormire sonni tranquilli: seppure in un domani assai lontano l'emendamento dovesse passare, di sicuro non avrebbe effetto retroattivo, come invece, guarda un po', è capitato sia ai pensionati che agli esodati della Fornero, quelli che da un momento all'altro si sono ritrovati in mezzo alla strada, ovvero senza stipendio e senza pensione.
E mentre nel tritacarne della spending review azionata dal tandem Pietro Giarda ed Enrico Bondi, precipitano persino i buoni pasto degli statali e forse addirittura le loro tredicesime, i diritti acquisiti degli alti dirigenti e dei tecnici non sono neppure in discussione.
Curioso paradosso: quando si tratta di tagliare sui costi della politica, sugli stipendi e le pensioni d'oro, i tecnici ti spiegano che non ne vale la pena perché sono in ballo risparmi minimi.
Ugualmente quando qualcuno si azzarda a proporre un'imposta che colpisca i grandi patrimoni: i tecnici, sempre loro, ti ammaestrano che il gettito fiscale sarebbe trascurabile.
Ma al tempo stesso, prendere di mira le mostruose pensioni della Casta per ricondurle ad una dimensione più umana, significa smuovere un campo troppo vasto.
Questi professoroni ne sanno proprio una più del diavolo! Quando le cifre li smentiscono, fingono di ignorarle.
Così gli esodati non diventeranno mai un campo troppo vasto.
L'Inps comunica che sono 390'000, Fornero ribatte che sono solo 65'000, gli altri si arrangino: che mangino brioches! Perché "il diritto al lavoro va guadagnato..."
Ma in fondo per i media queste sono sottigliezze.
Per loro, l'unica cosa che conta in queste ore è il cucchiaio di Andrea Pirlo: se poi domani sera vinciamo a pallone contro la Germania, magari proprio grazie ad un'altra sua prodezza, possiamo pure infischiarcene delle conclusioni del vertice europeo con Angela Merkel.
Niente Eurobond? Poco male: che ci licenzino tutti (l'importante è che non vengano toccati stipendi,  pensioni d'oro ma neppure le ferie della Casta, come ha rivendicato l'onorevole Cicchitto)!
Insomma, con l'alto patrocinio di Giorgio Napolitano, sembra che agli Italiani a questo punto interessi solo la vittoria di Pirlo.


domenica 17 giugno 2012

La lezione di giornalismo di Scalfari: le notizie non vanno nascoste, vanno date in modo sommario e quindi impreciso

Nei giorni scorsi abbiamo assistito all'ennesima figuraccia del ministro Elsa Fornero che, invece di lasciare, dimettendosi dalla carica così maldestramente ricoperta, cospargendosi il capo di cenere per aver ostinatamente fissato da mesi in 65mila contro ogni evidenza il numero degli esodati a fronte di un dato appena diramato dall'INPS che ne quantifica addirittura 6 volte tanti (390mila), ha deciso addirittura di raddoppiare, arrivando a chiedere le dimissioni del presidente dell'Inps, Antonio Mastropasqua, reo di aver fatto pubblicare le cifre reali del fenomeno: "E' grave l'episodio riguardante l'uscita dei numeri sull'entità degli esodati. Se l'Inps facesse parte di un settore privato, questo sarebbe un motivo per riconsiderare i vertici".
Invece di fare pubblica ammenda per la cantonata presa ha soggiunto: "Sono usciti dei documenti che contengono numeri parziali e non spiegati, e questa non è mai una bella cosa. Il ministero non ha mai voluto dire che i numeri non debbano essere dati: io dico soltanto che quelli sono parziali e non interpretati. E allora - ha proseguito -dare dei numeri così, su questioni che interessano molti italiani è molto improprio e deresponsabilizzante. Quindi questo è un episodio grave".
Non siamo i soli a ritenere, un po' come scriveva l'Economist ai tempi di Berlusconi, che il ministro Fornero sia unfit for office.
In soccorso del ministro inopinatamente scende in campo proprio Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica che nell'odierno domenicale, prima sembra prenderne le distanze: "[...]cifre il cui ordine di grandezza è comunque fortemente superiore a quanto finora ha previsto il governo"; ed ancora: "Ciò che il ministro dovrebbe fare ora con la massima urgenza è di chiarire e indicare cifre certe rinnovando l'impegno alla loro copertura nella data corrispondente allo scatto della 'tagliola'".
Poi sorprendentemente conclude: "Che la pubblicazione del documento Inps abbia acceso un incendio di rabbie aggiuntive è un fatto incontestabile che poteva essere evitato non nascondendo le notizie ma dandole in modo sommario e quindi impreciso."
Grande lezione di giornalismo del decano di Piazza Indipendenza: le notizie non vanno nascoste, piuttosto vanno date in modo sommario e impreciso.
A sostegno del ministro, Scalfari aveva in precedenza usato un argomento non solo sbagliato ma pericoloso.
A proposito della mozione di sfiducia personale presentata da Lega e Idv contro il ministro, egli sostiene: "La mozione non considera che una copertura preventiva di un debito dalle cifre ancora incerte iscrive quella posta passiva nella contabilità nazionale "sopra la linea", il che significa che va ad aumentare ulteriormente l'ammontare del già gigantesco debito pubblico."
A parte il fatto che da parte dello Stato riconoscere oggi un diritto che maturerà a suo tempo a favore di coloro che sono costretti dalle aziende a lasciare il lavoro in via anticipata mentre la riforma delle pensioni ne sposta in avanti di 5-7 anni la meta previdenziale, non solo è necessario ma è sacrosanto, per evitare di tenere centinaia di migliaia di famiglie sulla corda.
Ma forse Scalfari e il suo governo dei tecnici a queste quisquilie non ci badano, abituati come sono a vivere in mezzo agli agi.
C'è poi soprattutto una considerazione tecnica da fare, cioè che un impegno di spesa previsto per il medio-lungo termine non aumenta ipso facto l'attuale debito pubblico, come egli fa credere.
E ammesso e non concesso che ciò avvenga, il suo suggerimento rappresenterebbe l'ennesima misura da finanza creativa, proprio come ai tempi di Berlusconi e Tremonti:  nascondere le spese tra le pieghe di bilancio, tanto per ingannare la Merkel e l'UE.
Un ragionamento balzano che speriamo non giunga agli occhi dei tedeschi; i quali, non è un mistero, non nutrono grande considerazione per la nostra classe dirigente e che dei conti pubblici italiani finora hanno sempre diffidato.
Figuriamoci se leggono la difesa di Scalfari per la Fornero quando, senza troppi giri di parole, fa capire che il ministro, con la scusa della gradualità dell'esodo pensionistico,  ha fatto bene ad occultare le cifre!

martedì 27 marzo 2012

Il governo tecnico in preda ad una crisi di nervi

Da ieri rimbalzano su tutti i media le parole del premier Mario Monti in volo verso la Corea: "Se il Paese, attraverso le sue forze sociali e politiche, non si sente pronto a quello che secondo noi è un buon lavoro  non chiederemo certo di continuare per arrivare a una certa data".
Traduzione: sull'articolo 18 il governo non è intenzionato a fare marcia indietro e se il provvedimento non passerà così com'è, siamo pronti alle dimissioni.
Perché, a differenza di Giulio Andreotti, a cui il preside della Bocconi si richiama pur senza nominarlo, piuttosto che tirare a campare lui preferisce tirare le cuoia (politicamente, s'intende!).
Insomma, i tecnici sono in preda ad una crisi di nervi e, su quella che è diventata la roulette della confusa riforma del mercato del lavoro, puntano tutto sul nero dei licenziamenti facili.
Non c'è  spiegazione tecnica per questo irrigidimento, benché il professor Monti abbia messo sul tavolo del confronto con i sindacati tutto il suo prestigio pur di portare a termine la manomissione di questo benedetto articolo.
Atteggiamento per molti versi incomprensibile tenuto conto che né lui né la Fornero, in nessuna occasione,  sono stati in grado di dare uno straccio di spiegazione di tanta ostinazione, tranne ripetere fino alla noia "ce lo chiedono i mercati".
La qual cosa, a ben riflettere, dovrebbe far preoccupare chiunque abbia a cuore quella specie di simulacro a cui si è ormai ridotta la nostra democrazia.
Chi sono questi fantomatici mercati che ci impongono la norma sui licenziamenti facili?
E' possibile che un primo ministro non si renda conto che dichiarando questo con tanta nonchalance rischia di delegittimarsi proprio in base alla nostra Costituzione, che certamente non contempla i mercati nel novero degli organi dello Stato?
E' per questo che qualcuno ritiene che questo intervento in tackle scivolato del duo Monti&Fornero si prefigga il solo obiettivo tattico di dissuadere i partiti di questa inedita maggioranza, ma soprattutto il Pdl, dal portare avanti analoghe rivendicazioni quando si tratterà di parlare di riforma della Rai o della giustizia, temi su cui il potere di interdizione di Silvio Berlusconi resta molto forte.
Ma anche prendendo per buona questa interpretazione, l'atteggiamento di Monti e della Fornero sembra comunque incomprensibile.
Mettere il governo dei tecnici all'angolo semplicemente per indurre il Cavaliere a desistere da ulteriori future richieste di leggi ad personam, assumendosi il rischio certo e immediato di una rottura traumatica della pace sociale, è una mossa tanto azzardata quanto autolesionista.
Perché la riforma dell'articolo 18, così come è stata presentata all'opinione pubblica,  non ha né capo né coda proprio sul piano tecnico-giuridico.
Infatti, istituire la fattispecie del licenziamento economico senza possibilità di reintegro da parte del giudice, significa de facto cassare le altre due fattispecie: di licenziamento diciplinare, dove il reintegro è lasciato al libero convincimento del giudice; e di licenziamento discriminatorio, in cui il reintegro del dipendente non può che essere obbligatorio.
Quale imprenditore sarebbe così folle da sbarazzarsi dei suoi dipendenti mettendo nero su bianco nella lettera di licenziamento motivi discriminatori o motivi disciplinari inesistenti, quando se la potrebbe cavare molto più utilmente adducendo imprecisati motivi economici?
Ecco spiegato perché questi pseudotecnici appaiono in palese difficoltà proprio sul piano che dovrebbe essere loro più congeniale.
E' forse un caso che il ministro che rappresenta il governo in Parlamento, Piero Giarda, nell'ultimo consiglio dei ministri abbia rimproverato alla Fornero, dopo settimane di dialogo tra sordi con le parti sociali, di non essere ancora riuscita a presentare un articolato normativo su cui ragionare in modo oggettivo?
Di qui la fine della luna di miele con gli Italiani: i tecnici stanno dilapidando  quel patrimonio di credibilità che il presidente della Repubblica da un lato e i media addomesticati dall'altro gli avevano costituito in dote soltanto quattro mesi fa.
Non solo si sono intestarditi su una questione che appare anche agli osservatori più ben disposti puramente simbolica.
Non solo non sanno dare di tanta ostinazione una spiegazione minimamente convincente. 
Non solo non sono riusciti ad evitare errori clamorosi proprio sul piano della costruzione di un testo normativo chiaro, rischiando di aumentare piuttosto che diminuire il contenzioso legale su questa materia.
Ma non hanno neppure un'accettabile capacità di comunicazione: di fronte alle telecamere appaiono smarriti ed ossessivi al punto da sembrare come certi scienziati pazzi, persone da cui tenersi a debita distanza.
Di certo a cui non affidare le sorti di un Paese!
Conclusione: il Supermario cibernetico incute sempre più paura. Altro che crescita...

mercoledì 21 marzo 2012

La pastasciutta della Fornero è servita: arrivederci, articolo 18!

L'operazione dell'abrogazione di fatto dell'articolo 18 è l'obiettivo non dichiarato del governo di Mr. Monti sin dal suo insediamento, naturalmente insieme alla riforma delle pensioni che ha imposto ai lavoratori italiani le condizioni più severe d'Europa.
Dopo il flop di liberalizzazioni e semplificazioni  ampiamente prevedibile poiché serviva soltanto ad alzare una cortina fumogena sulla vera strategia dei tecnici di far pagare la crisi ai soliti noti, lavoratori e pensionati, ecco che il governo Monti sta tentando il colpaccio con una operazione tutta politica e di chiara intimidazione sociale.
La portata di una riforma del mercato del lavoro che sostituisce per il dipendente il reintegro nel posto di lavoro con un modesto indennizzo economico (che ammonterà soltanto dalle 15 alle 27 mensilità)  infatti avrà, come si è più volte detto, uno scarso impatto quanto a cifre in gioco (con oltre 7 milioni di occupati  in aziende private con personale sopra le15 unità, soltanto 300-500 vertenze si aprono all'anno invocando l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori).
La posta in gioco è squisitamente politica e dagli effetti socialmente pesanti: in questo modo nessun lavoratore, pur con un contratto a tempo indeterminato, è più garantito di poter restare anche un solo giorno in più sul proprio posto di lavoro.
Basterà che egli faccia uno sciopero di troppo o che, come rappresentante sindacale o responsabile della sicurezza, pretenda il rispetto delle norme previste dai contratti o dal Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, e il suo destino sarà segnato: con un semplice inesistente addebito disciplinare sarà possibile cacciarlo via senza tanti complimenti.
Perché secondo quei geni del governo tecnico, l'imprenditore che voglia licenziare qualcuno lo potrà fare senza nessuna difficoltà, basta che abbia la semplice accortezza di non esplicitare il suo retropensiero, cioè i motivi discriminatori alla base del suo provvedimento.
Ad esempio, come titolare di un'impresa di 20 dipendenti potrei puntare a candidarmi alle prossime elezioni amministrative, chiedendo paternalisticamente il voto ai miei dipendenti e alle loro famiglie.
Se qualcuno si rifiutasse di farlo o, peggio, a spoglio avvenuto, mi rendessi conto che molti di loro non mi hanno dato retta, potrei, diciamo così, vendicarmi, procedere al licenziamento individuale delle sospette teste calde, contestando inesistenti addebiti disciplinari.
E anche se il giudice dovesse dar loro ragione me la caverei con un risarcimento minimo ma la soddisfazione, in tempi duri come questi, di averli trascinati, con tutta la famiglia, in mezzo ad una strada.
Una mostruosità giuridica che in un colpo solo fa strame di buona parte del diritto del lavoro e della nostra stessa Costituzione.
E il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, anche in questa occasione interpretando in modo completamente improprio il suo ruolo di arbitro, è intervenuto a gamba tesa mentre era ancora in corso il confronto del governo con le parti sociali dichiarando che le misure finora prese "sono dure ma ineludibili" imponendo di fatto a CGIL e Partito Democratico di inghiottire il rospo dei licenziamenti facili.
Ci si chiede se sia costituzionalmente corretto, dopo aver messo già in piedi un esecutivo che risponde soltanto a lui, che il primo cittadino della repubblica possa scendere nella battaglia politica in modo tanto pervasivo: errare è umano ma perseverare...
Infine la Fornero, pardon il ministro Fornero, quello delle lacrime di coccodrillo versate appena dopo aver annunciato a milioni di pensionati indigenti il mancato adeguamento all'inflazione dei loro miseri vitalizi, ha mostrato in queste settimane tutto il suo disprezzo per i lavoratori italiani con una serie di uscite astiose  che ne denunciano i limiti culturali e l'inadeguatezza caratteriale.
Oggettivamente un ministro del lavoro, in tempi così tragici per tanti italiani, non si può permettere di dire a un gruppo di giovani precarie, in occasione dell'8 marzo, che "l'Italia è un Paese ricco di contraddizioni, che ha il sole per 9 mesi l'anno e che con un reddito base la gente si adagerebbe, si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro».
Né, a margine di uno degli incontri con i sindacati, affermare che "È chiaro che se uno comincia a dire no, perché noi dovremmo mettere lì una paccata di miliardi e poi dire voi diteci di sì. No, non si fa così".
Adesso ci aspettiamo da quello che resta del Partito Democratico una netta dissociazione dall'accelerazione impressa dalla premiata ditta Monti&Fornero&Passera all'abrogazione dell'articolo 18: il Paese (non solo la sinistra) si attende, a questo punto, un colpo di reni.
Ma già il nipotino di Gianni Letta, vicesegretario del PD, recentemente sorto agli onori della cronaca parlamentare per il pizzino fatto recapitare al banco del governo, si affretta a dire che il suo partito comunque voterà la riforma.
E' chiaro che, ostaggio di Napolitano e dei centristi, il Partito Democratico si sta giocando in queste ore la sua residua credibilità, proprio mentre sta scoprendo di essere caduto in una trappola mortale, se non  nel farlo nascere,  nel continuare ad appoggiare il governo Monti, quello che sta togliendo ai poveri per dare ancora di più ai ricchi.
Ma se crolla il Pd insieme alle sue contraddizioni, anche la strada del governo dei bocconiani paradossalmente è segnata.
E c'è qualcuno ad Arcore che già si sta sfregando le mani.

martedì 14 febbraio 2012

Se Atene piange, Roma non ride

Repubblica di domenica scorsa ci ha rivelato che, alla vigilia del viaggio americano, il premier Mario Monti in un faccia a faccia con il segretario generale della CGIL Susanna Camusso avrebbe raggiunto un accordo per una sospensione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i precari e per una interpretazione ufficiale meno rigida del principio di giusta causa da parte dei tribunali del lavoro.
Questo incontro, che si sarebbe svolto secondo il quotidiano di Piazza Indipendenza in "territorio neutrale" e che sarebbe dovuto restare segreto, getta un'ulteriore ombra sul funzionamento della nostra democrazia, dove sempre più spesso le decisioni che contano vengono prese fuori dalle sedi istituzionali, in vertici a quattr'occhi,  possibilmente lontano da sguardi indiscreti.
Anche se, come in questo caso, i protagonisti prontamente smentiscono con una inusuale nota diramata congiuntamente da Palazzo Chigi e dalla Cgil;  ma il vicedirettore Massimo Giannini conferma la veridicità della notizia.
Insomma i palazzi della politica sempre più spesso si limitano a registrare quanto viene deciso altrove rivestendo  un ruolo di pura (sia pure elegante) tappezzeria, di fatto retrocessi a semplici organismi burocratici che intervengono successivamente per apporre i crismi necessari all'emanazione dei provvedimenti legislativi.
E' un fenomeno noto da tempo e sicuramente inquietante che contribuisce alla crescente e ormai generale disaffezione per la politica, in un'Italia dei poteri forti, delle lobbies, delle logge segrete, delle varie P2 - P3- P4.
Ancora più preoccupante in tempi come i nostri in cui il cosiddetto governo dei tecnici, uscito dal cilindro del presidente Napolitano, si regge su una alleanza inedita tra PD e PDL che in un sistema bipolare, a vent'anni dall'ingresso nel maggioritario, suona come una autentica bestemmia.
Precisazione necessaria soprattutto per rispondere a quanti, tra  politici e opinionisti, approssimandosi un'intesa ritenuta imminente tra  Bersani e Berlusconi sulla nuova legge elettorale, continuano a declamare le presunte virtù del sistema maggioritario che permetterebbe ai cittadini di scegliersi il premier: purtroppo questa tesi è smentita inoppugnabilmente proprio dalla nomina dell'outsider Mario Monti a capo del governo.
Questi leader politici sono così poco credibili e a mal partito (è proprio il caso di dirlo), che risulterebbe comico, se non fosse per altri versi tragico, sentirli difendere la politica del preside della Bocconi, partendo da posizioni ideologiche apparentemente opposte: domenica sera è stato il turno di Angelino Alfano, ospite su RaiTre di Fabio Fazio.
Ma assistere alle peregrinazioni verbali, flagellate da continui anacoluti, del suo omologo Pierluigi Bersani non è più confortante.
Tuttavia, in un logoro gioco dei ruoli, ciascuno di loro nelle continue comparsate televisive ancora ha l'impudenza di ammiccare al proprio elettorato di riferimento (se mai ancora ne vanta uno).
Quando, però sono costretti, in base all'agenda politica, ad accordarsi di persona,  per non esacerbare gli animi già esasperati dei loro sparuti sostenitori, optano per soluzioni estreme, come ad esempio appuntamenti al buio, magari in un tunnel sotterraneo. 
Già è successo nel sottosuolo di Roma tra Palazzo Giustiniani e Palazzo Madama  per il varo del governo di Mr. Monti.
Che questo strano andazzo segni se non la fine sicuramente la sospensione della democrazia  è opinione largamente diffusa: con l'Italia non messa meglio politicamente della Grecia dove l'omologo di Monti si chiama  Luca Papademos, uomo della BCE, e ha fatto varare, davanti ad un paese in rivolta, l'ennesima insopportabile manovra di austerity.
Purtroppo, i paesi dell'Europa mediterranea stanno subendo il ricatto delle banche che, dopo aver provocato la più grossa crisi finanziaria dell'età moderna, invece di renderne conto, anche sul piano penale, ai cittadini e alle istituzioni del proprio paese, le hanno occupate con la complicità della politica, infischiandosene altamente della sovranità popolare.
Così mentre la Grecia brucia, i giornali titolano schizofrenicamente che "le borse e i mercati respirano", poiché il Parlamento di Atene, con la pistola puntata alla tempia dalla troika europea (BCE, FMI, UE), ha mandato giù l'ennesimo boccone amaro tra pesanti tagli al salario minimo, licenziamenti e ticket sulla sanità.
Nel frattempo, il governo Monti, che soltanto due mesi fa aveva  approvato la sua prima manovra antipopolare (l'ennesima del 2011), si accinge adesso con incontri alla chetichella  a varare una riforma del mercato del lavoro destinata ad affondare i colpi nella carne martoriata del lavoro dipendente.
Nessuna sorpresa: è tutto sommato normale che in una democrazia sospesa, commissariata da un ex consulente della banca d'affari americana Goldman Sachs e fresco di ritorno da un viaggio trionfale negli States, il governo sospenda l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Come abbiamo più volte ripetuto, la sospensione di tale articolo non ha alcuna spiegazione economica ma è un intervento squisitamente politico con cui suggellare, anche sul piano  simbolico, il passaggio epocale da una repubblica fondata sul lavoro a uno stato oligarchico dominato dalle banche.
In altre parole, la presunta enfatizzata 'modernità' del mercato del lavoro, per effetto del venir meno della tutela del reintegro obbligato in caso di licenziamento discriminatorio, consiste proprio nel lanciare alle multinazionali un esplicito messaggio di resa del nostro welfare al far west imposto dalla globalizzazione.
Di ciò Monti non ha fatto mistero: "per come viene applicato in Italia l'articolo 18 sconsiglia l'arrivo di capitali stranieri e anche di capitali italiani" ha dichiarato in una recente apparizione a RepubblicaTv.
Eppure, oltre alla inconsistenza di un qualche nesso logico, non c'è alcuna evidenza empirica che l'abolizione di tale tutela possa generare un solo posto di lavoro in più.
E anche sul piano numerico, l'applicazione dell'articolo 18 è assolutamente insignificante: secondo dati della Cgil, negli ultimi 5 anni di 31.000 cause contro i licenziamenti illegittimi solo l'1 per cento si è conclusa con il reintegro nel posto di lavoro.
Ma allora quale la ragione di tanto accanimento?
"Ce lo chiedono le multinazionali" fanno capire Monti e Fornero, confermando che nell'Italia commissariata dai tecnici contano molto di più le grandi concentrazioni finanziarie che la sovranità popolare, quand'anche, come in questo caso, la loro richiesta manchi di qualunque presupposto scientifico se non il riflesso condizionato di un capitalismo primordiale, da animal spirits.
E' accettabile che il presunto governo dei tecnici ponga mano ad un epocale arretramento del diritto del lavoro senza che la collettività venga direttamente investita della questione?
Questione che, al di là delle mere valutazioni di carattere economico, resta comunque  intrisa di profondi significati ideali, storici, di conquista sociale e di innumerevoli riferimenti costituzionali.
Infine, è ammissibile che si faccia carta straccia di due successive consultazioni referendarie che ancora nel 2000 e nel 2003 hanno sancito il rifiuto popolare a prendere in considerazione questo argomento?
Ma il solo doverci porre simili interrogativi è sintomatico del fatto che se Atene piange, Roma non ride.

PS (15 febbraio 2012 h. 14.30): Il Fatto Quotidiano del 14 febbraio, a pagina 9, conferma la ricostruzione di Massimo Giannini avendo saputo da fonte qualificatissima che all'incontro tra Mario Monti e Susanna Camusso era presente proprio il direttore di Repubblica, Ezio Mauro.
In un sol colpo, doppio sbugiardamento per il premier e il numero 1 della Cgil!
A questo punto, almeno un altro paio di domande sono d'obbligo: perché la Presidenza del Consiglio e il primo sindacato italiano si espongono così tanto nel negare l'incontro? Perché Repubblica dà addirittura per fatto un accordo di massima, commettendo un'evidente scorrettezza nei confronti della Camusso in mancanza di evidenze documentali? 

giovedì 9 febbraio 2012

Gli insulti dei 'tecnici' preparano il terreno alla controriforma del mercato del lavoro

Cominciamo ad essere stanchi.
Stanchi di un governo di tecnici così tanto politici da comprendere e pronunciare solo il linguaggio del liberismo anni '80, con trent'anni di ritardo e un giudizio di condanna già espresso dalla storia.
Stanchi di pseudoprofessoroni che, nella migliore delle ipotesi, parlano come un libro stampato, senza riuscire a guardare al di là del proprio naso; e che più spesso riescono, malgrado una insopportabile puzza sotto al naso, a tenere un livello discussione più vicino alla chiacchiera da bar che alla saggezza del buon padre di famiglia.
In queste settimane abbiamo assistito ad un florilegio di esternazioni al limite dell'insulto contro il mondo del lavoro e di quello giovanile in particolare, a fronte di un vuoto pneumatico nella proposta politica che non fosse rivolta a colpire ripetutamente, nella borsa e nella vita, proprio lavoratori e pensionati.
Perché, come abbiamo più volte fatto notare, il vero volto del governo Monti è rappresentato dalla manovra lacrime e sangue del 5 dicembre scorso, con il taglio delle pensioni e dei trasferimenti agli enti locali, la reintroduzione dell'ICI sulla prima casa, l'aumento di contributi, le accise, le addizionali di ogni tipo, la benzina spinta alle stelle.
La successiva manovra 'CresciItalia' è stato il classico pannicello caldo, tanto per dare un po' di colore ad un governo di teste grigie e poco smalto: è per questo che i media di regime si sono affannati a scambiare la loro piattezza in sobrietà e a gonfiarne a dismisura i meriti.
E le famose liberalizzazioni su cui la propaganda governativa ha battuto molto in queste settimane si stanno rivelando tanto fumo e pochissimo arrosto.
C'è per caso qualcuno che si ricordi, così all'impronta, uno solo di quel complesso di provvedimenti che, a detta di Monti, avrebbe dovuto innescare una rivoluzione copernicana dando fuoco alle polveri di un boom da far impallidire il miracolo economico degli anni Sessanta?
Perché su ordini professionali, notai e farmacie la montagna ha partorito un topolino; naturalmente molto più facile prendersela con i tassisti.
Ma ciò la dice lunga sul metodo di lavoro del governo tecnico, forte con i deboli ma debole con i forti.
Tanto che i grandi monopoli e i trust finanziari non solo possono esultare per lo scampato pericolo ma sono diventati i principali sponsor di una prolungata permanenza di Mr. Monti a Palazzo Chigi.
Come conseguenza, di fronte ad attese inizialmente molto forti ma che vengono puntualmente frustrate, i suoi ministri non trovano di meglio che cimentarsi verbalmente con il tiro al bersaglio, scegliendoselo tra le innumerevoli categorie deboli.
Ha iniziato il sottosegretario Michel Martone, figlio di papà doc, così sventato e narciso da dare dello sfigato a chi di certo non può vantare le sue conoscenze (nel senso di entrature).
Ha proseguito, dopo un delizioso antipasto di tocchetti di pensioni in pinzimonio di lacrime di coccodrillo, la Fornero, pardon Fornero, che nel voler "spalmare le tutele sociali a tutti" (i lavoratori), di fatto  intende semplicemente toglierle a chi già ce l'ha (non sia mai cercare di estenderle agli altri!): di qui il tormentone sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come causa di tutti i mali italiani.
Lo ha confermato ancora una volta lo stesso Mario Monti, invitato a correggere la sua precedente incredibile uscita sulla monotonia del posto fisso.
Raffazzonando una goffa retromarcia ha finito col premere sull'acceleratore proprio del 'licenziamento faidate', arrivando a considerare che l'articolo 18 (quello che impone il reintegro ad opera della magistratura del lavoratore ingiustamente licenziato, senza che il datore di lavoro se la possa cavare con un semplice modesto indennizzo) addirittura possa scoraggiare gli investimenti dall'estero.
Non bisogna aver preso il fatidico pezzo di carta, a cui Monti vorrebbe pure togliere valore legale, per rendersi conto che quest'idea non sta né in cielo né in terra: è la classica leggenda metropolitana, farcita di termini economici prêt-à-porter, giusto per  schiacciare preventivamente le formiche laboriose che un giorno potrebbero pure arrabbiarsi.
Pensare che un investitore straniero non venga in Italia non per il livello scadente delle sue infrastrutture, non per l'eccesso di burocrazia, non per una politica asfissiante e asfittica che invade tutti gli spazi della vita pubblica, non per la criminalità (versione organizzata e micro) che controlla militarmente più di metà del nostro territorio, non per la giustizia civile e penale al collasso, non per l'inefficienza della pubblica amministrazione, non per la corruzione dilagante, non per la giungla fiscale, ma esclusivamente perché non gli viene data carta bianca per il licenziamento discriminatorio, è stu-pe-fa-cen-te, soprattutto se ad asserirlo non è uno dei tanti padroni delle ferriere ma un economista, già preside della Bocconi e ora capo di governo.
A meno che non si voglia fare dell'Italia l'esercito di riserva delle imprese cinesi, legalizzando la schiavitù.
Ciliegina sulla torta in ordine di sproloquio,  il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri che, nel tentare di dare l'interpretazione autentica alle parole di Monti, è incappata nell'ennesimo errore di comunicazione del Collegio dei docenti, rincarando la dose: "Noi Italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà" .
Di nuovo parole apparentemente in libertà che tradiscono, oltre ad una totale insensibilità per la drammatica situazione di disagio sociale in cui versa il paese, un'allarmante aridità intellettuale: quanto di meno indicato per chi è stato chiamato a mettere rapidamente a frutto millantate doti taumaturgiche.
Il fatto è che questi stanno preparando ideologicamente il terreno per una controriforma del mercato del lavoro che, col pretesto di stabilizzare fasce di lavoro precario additando gli attuali lavoratori a tempo indeterminato come una élite di privilegiati, finirà per togliere diritti e tutele sociali a tutti.
Che cosa c'entri infatti la creazione di nuovi posti di lavoro e quindi le cosiddette nuove opportunità in ingresso con una selvaggia flessibilità in uscita è un mistero che questi cervelloni si guardano bene dal rivelare.

sabato 24 dicembre 2011

Lo spread che non scende: il bluff del governo Monti

La manovra del governo Monti, un confuso accrocchio di tasse destinate a colpire esclusivamente pensioni, lavoro e redditi bassi, ha avuto nella settimana di Natale il via libero definitivo dal Senato. 
La Casta l'ha votata compatta, anche se con qualche ulteriore defezione, facendo finta di guardare da un'altra parte; anzi, senza ritegno, di lamentarsene con i propri elettori.
E' dovuto intervenire lo stesso Mario Monti a svelare il doppio gioco: «Vorrei dire ai cittadini che l`appoggio che questo Governo sta ricevendo è molto più grande di quello che i partiti lasciano credere o dichiarano».
Insomma il capo del governo non ci sta a fare il capro espiatorio di una situazione che si sta avvitando su se stessa e che, anche grazie ai suoi uffici, sta diventando di giorno in giorno più difficile.
Lo scenario in queste due ultime settimane si è fatto infatti ancora più scuro e inquietante.
La manovra del preside Monti e di quei professoroni è appositamente studiata per far versare lacrime e sangue ai soliti noti: lavoratori, pensionati, famiglie a basso reddito.
Non c'è un solo provvedimento che riesca semplicemente a fare il solletico ai ricchi: viene il sospetto che tutte le misure siano state studiate proprio per non disturbare più di tanto il manovratore, cioé la nostra avida classe dirigente.
Un esempio? La tassa sulle attività finanziarie.
E' stata congegnata dai tecnici ministeriali come un'imposta di bollo con aliquota pari all'1 per mille nel 2012 e all'1,5 per mille nel 2013. Ma attenzione: nel 2012, oltre al limite minimo di 34,2 euro, è previsto un tetto massimo di 1.200 euro.
Traduzione: se, da morto di fame, hai titoli per 1'000 euro paghi di bollo il 3,42%; ma se hai in banca 10 milioni ne paghi solo 1'200 euro, cioè lo 0,01%. Alla faccia dell'equità.
E del conflitto d'interessi: raccontano le cronache che il superministro Corrado Passera possiede, titolo più titolo meno, solo in stock options per essere stato amministratore delegato di Intesa San Paolo, 7 milioni di azioni; al prezzo di ieri, antivigilia di Natale, fanno  la bella cifra di 9.170.000 euro.
E di bollo paga solo il massimo stabilito: i famosi 1'200 euro ovvero lo 0,013% del gruzzolo accumulato. Decisamente conveniente: un risparmio di circa 8'000 euro!
Quanto all'asta sulle frequenze televisive, tutti hanno potuto vedere con quanto imbarazzo e quale circospezione ha promesso di intervenire, incalzato da Fabio Fazio domenica scorsa nella puntata di Che tempo che fa.

E sull'impegno assunto che dopo la fase 1, questa del rigore, si passerà alla fase 2 della crescita, si tratta della classica leggenda metropolitana, di cui è lastricata la storia d'Italia, almeno  da vent'anni a questa parte.
Anche perché una manovra che sia severa e oculatamente iniqua, come quella varata da Mario Monti, non solo è moralmente e politicamente inaccettabile ma, a dispetto della nutrita pattuglia dei benpensanti che ne colgono le magnifiche sorti e progressive, economicamente insostenibile in quanto gravemente recessiva.
Non è un caso che l'Istat, dopo aver esitato a lungo, abbia comunicato che il terzo trimestre del 2011 si è chiuso con un Pil a -0,2%: ovvero, grazie alle due-tre manovrine di Tremonti, già dall'estate scorsa siamo entrati in recessione.
Immaginate adesso come si possa chiudere il 2011, dopo che il collegio dei docenti ha deliberato di accanirsi sul fu ceto medio.
Ecco perché il famigerato spread non scende: se all'insediamento di Monti stava a 518 punti, ieri a manovra approvata, è rimasto a lungo a quota 515 per poi ritracciare comunque sopra i 500.
Ma non ci avevano detto che andando in pensione a 70 anni e con quattro centesimi di vitalizio, o non andandoci per niente immolati sul posto di lavoro, lo spread sarebbe velocemente sceso e gli Italiani (non la Casta!) avrebbero vissuto finalmente felici e contenti?
Panzane o meglio la solita bugia pietosa per far inghiottire la pillola amara a milioni di Italiani.
Che poi questa non sia una medicina ma si riveli un veleno letale e rischi addirittura di far stramazzare il nostro paese è un dettaglio che i media si guardano bene dal far trapelare.
Stamattina Massimo Giannini parla di circolo vizioso tra il debito pubblico che non si scalfisce e un Pil che tracolla; purtroppo tutto ciò era ampiamente prevedibile, non bisognava essere un pozzo di scienza per pronosticarlo da mesi.
Così fa bene Scalfari, freschissimo di figuraccia con le sue fasulle previsioni da 'tecnico', a tentare di farcele dimenticare girando per un po' alla larga dall'attualità economico finanziaria per interrogarsi, molto più innocuamente e soavemente, sul senso della vita con il cardinale Martini.
Fa male, invece, il suo vicedirettore Massimo Giannini  quando attribuisce la disfatta di Monti alle incertezze di Eurolandia (ripetendo il leitmotiv di Berlusconi di tutta l'estate) ma soprattutto al quadro politico instabile e alla fragilità di un governo sostenuto, come dice lui, da "azionisti riluttanti".
Si tratta di un grossolano abbaglio.
Mai nella storia repubblicana un governo ha potuto contare su numeri in Parlamento così larghi, nonostante diffusi mal di pancia.
Il fatto è che, grazie ad un Pd del tutto irrilevante, le misure adottate da Monti sono le stesse che avrebbe adottato Berlusconi se fosse restato in sella: antipopolari e recessive.
Perciò i mercati non si fidano: come scommettere su un Paese, acquistandogli i titoli del debito pubblico, quando il suo Pil è in caduta libera proprio grazie al governo Monti?
Se Bersani nel frattempo non si fosse ritagliato il ruolo di comparsa, restando assente dal dibattito politico e intervenendo a giochi fatti, sospinto sulla scena solo dai mugugni del partito persino su una questione cruciale come  l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, probabilmente si sarebbe potuto fare una manovra che, a parità di saldi, avrebbe potuto essere non solo equa ma di stimolo per l'economia.
Costringendo finalmente a pagare evasori fiscali e quanti vivono ben al di sopra dei propri meriti.
Pure l'intervento correttivo sulle pensioni d'oro (quelle dai 200'000 euro annui in su)  promesso dal ministro del Welfare Elsa Fornero è stato alla fine ridimensionato: dal 25% di contributo annunciato al 15% deliberato.
Insomma, mentre i problemi finanziari restano intatti e quelli economici, abbandonati a se stessi, si complicano con conseguenze forse irrimediabili, si insiste a parlare di flessibilità del mercato del lavoro.
Un paese allo stremo, senza una politica industriale, con un equilibrio sociale sempre più precario, con servizi pubblici allo sfascio, collegamenti ferroviari che spaccano in due il paese, si permette però il lusso di acquistare dagli USA tra i 15-20 miliardi di cacciabombardieri d'attacco, rifinanziare le missioni militari all'estero, firmare il contratto con la Francia per l'avvio dei lavori per la TAV impegnandosi come prima tranche per 2,7 miliardi.
Roba da matti, come non dice in questo caso l'ineffabile Pierluigi Bersani.
Buon Natale.