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lunedì 13 luglio 2009

La mossa di Grillo manda in tilt la nomenklatura democratica

Fine settimana interessante quello appena concluso per la politica di casa nostra.
Dopo la chiusura del G8 a L’Aquila, aspettavamo impazienti il commento di Eugenio Scalfari a conclusione di una settimana in cui i media hanno fatto a gara a vendere la falsa impressione che quello di Berlusconi è stato un inatteso successo personale.
La famosa tregua invocata dal presidente Napolitano per il G8 è stata non soltanto rispettata fino in fondo ma ha dato il via ad una vera e propria pubblicistica agiografica nei confronti di Silvio Berlusconi che ne esce fuori politicamente rinforzato.
Nessuno si è spinto a parlare di successo politico del G8, dati i risultati assai deludenti, ma ciò non è certo stata colpa del governo italiano.
Anche se non si può neppure dire che l’esito del summit sia stato migliore delle aspettative per merito del Cavaliere; per vari opinionisti, il suo successo riguarderebbe l’aspetto organizzativo dell’evento.
Su questa scia, Eugenio Scalfari ha preparato una sviolinata a Berlusconi a dir poco imbarazzante nel suo editoriale di ieri, intitolato non a caso "Il meritato successo di un abile anfitrione":
"Berlusconi ha avuto successo, ha ricevuto complimenti da tutti, ha evitato con abilità i guai che incombevano sul suo capo e di questo gli va dato atto. Per che cosa è stato complimentato? Per il suo ruolo, magistralmente ricoperto, di padrone di casa. Se lo è meritato. E’ un compito che sa gestire molto bene come dimostrò nell’analogo meeting di Pratica di Mare: alloggiamento perfetto, cibo eccellente, sicurezza garantita, intrattenimento rilassante".
Forse Scalfari si dimentica che i complimenti al padrone di casa da parte degli ospiti sono di prassi e quanto al presunto successo organizzativo, magari sottovaluta la possibilità che un paese moderno come l’Italia possieda uomini e know how necessari per organizzare decentemente una riunione internazionale, sia pure al massimo livello.
Per bocciare Berlusconi, il padre di Repubblica forse si aspettava che il presidente Obama fosse rimasto senza alloggio o che il pesce, alla tavola dei Grandi, non fosse fresco… Ridicolo!
Da un giornalista di lungo corso come lui, pronto a rinfacciare ossessivamente, per settimane, al Cavaliere le bugie pietose del caso Noemi, ci si aspetterebbe maggiore acutezza: non un improvvisato e maleodorante mix di provincialismo e dabbenaggine piccolo borghese.

L’altra grande novità del momento è la discesa in campo di Beppe Grillo per le primarie del PD: vero coup de théâtre, ha sorpreso tutti persino gran parte dei suoi sostenitori.
Noi di Pausilypon non vogliamo giudicare a priori questa scelta che sparigliando i vecchi giochi politici ha sicuramente il pregio di creare qualche grattacapo ai farisei.
Sta di fatto che doversela vedere con gente come Fassino, Veltroni, D’Alema, Bersani è da stomaci forti; ma sappiamo che Beppe Grillo ama le sfide difficili.
Per capire quanto la nomenklatura non sia disposta ad arretrare neppure di un millimetro dalla lucrosa rendita di posizione in cui vive da anni, in assoluta inerzia, e di quanto poco sia interessata ad un reale dibattito democratico all’interno del PD, può bastare la prima nervosa reazione dei vertici all’annuncio di Beppe Grillo.
Citiamo per tutti l’intervento, tra lo stralunato e l’arrogante, del povero Piero Fassino:
"Penso che quella di Grillo sia una boutade, la interpreto come una delle tante provocazioni a cui ci ha abituato un uomo di spettacolo" e ancora: "Un partito non è un taxi sul quale si sale e si scende, è una cosa seria. Il partito con un congresso deve prendere scelte impegnative. Le cose devono essere chiare, ci si iscrive a un partito e ci si candida a guidarlo quando se ne condividono gli obiettivi. Grillo invece ha manifestato ostilità nei confronti del Pd e dei suoi dirigenti. Nessuno è preoccupato della candidatura di Grillo. Ma ci sono delle regole, c'è una fase congressuale alla quale partecipano gli iscritti, poi la seconda fase prevede le primarie".
Se un dirigente del partito democratico parla come l’Azzeccagarbugli di manzoniana memoria tradendo la grave preoccupazione per una candidatura che, in un partito battezzato democratico, dovrebbe essere un atto dovuto vista l’importanza assunta nella società civile dai grillini e per la certezza di arricchire il dibattito congressuale con idee nuove e autenticamente popolari, vuol dire proprio che siamo arrivati al punto di dover scacciare i mercanti dal tempio.
E’ chiaro che persone che vivono nei privilegi, con appannaggi mensili di decine di migliaia di euro passando il tempo tra dichiarazioni ai giornali, occasioni mondane, votazioni in parlamento su indicazione dei capigruppo, talk show vari, oppure scrivendo libri o articoli di dubbio valore per scaricare sugli altri la propria invincibile noia, con il plusvalore di non dovere rendere conto a nessuno del proprio operato, men che meno al proprio elettorato (che li ha dovuti eleggere per forza, stante la legge elettorale porcata), il fenomeno Beppe Grillo è come fumo negli occhi.
In questo senso, pur restando perplessi per una scelta che non ci convince fino in fondo, speriamo che il suo sacrificio politico possa almeno servire a mandare a casa una classe dirigente che non ha più nulla da proporre alla propria base, se non reiterare la propria sfrenata ambizione.
Ma già come provocazione, a giudicare dalle prime reazioni dentro il PD, la mossa di Grillo ha colpito nel segno, mostrando a tutti, il volto arcigno della nomenklatura.

lunedì 6 luglio 2009

Quando l'opinione pubblica viene spedita in vacanza...

Alla vigilia del G8 dell’Aquila, la politica italiana segna forse il minimo storico di credibilità e di decenza. E’ la dimostrazione che non sono le alchimie costituzionali che possono rimettere in piedi una rappresentanza politica che è ormai priva di qualsiasi prestigio e di ascendente sugli elettori: la Seconda Repubblica, quella nata sulle ceneri di Tangentopoli con la riforma elettorale maggioritaria, sprofonda negli inferi del discredito ormai a tutti i livelli.
La leadership berlusconiana è allo sbando: uno stillicidio di scandali e scandaletti ne mina ormai quotidianamente la capacità politica. Non è più il processo Mills, né le mille inchieste della magistratura che hanno visto coinvolti a più riprese Berlusconi e la sua corte: in una condizione di continua difficoltà, asserragliato in difesa contro tutto e tutti, un presidente del consiglio non può durare a lungo, non fosse altro perché non è più in grado di svolgere quel ruolo di iniziativa politica che ne rappresenta la principale prerogativa.
Se il gioco politico è condotto da altri, l’azione di governo è condannata alla paralisi.
Ma se la stella berlusconiana non si è ancora inabissata molto lo si deve proprio alla mancanza di una vera opposizione, con la sola eccezione in parlamento di Di Pietro.
Non basta l’animosità di Franceschini a vivacizzare un Partito democratico del tutto spento. Sfogliando i giornali dopo le amministrative e le europee, noteremo che all’interno di questo partito si litiga furiosamente tra la nomenklatura senza, però, che si sia avviata un benché minima riflessione politica sul disastroso risultato elettorale.
Né le critiche a Berlusconi hanno superato mai il piano personale per investire il suo governo.
Eppure i Fassino, Veltroni, Rutelli, D’Alema ne avrebbero di tempo libero per meditare sui propri errori e giungere alla conclusione che un generale ripensamento di linea politica andrebbe fatto.
No, sono tutti convinti di stare nel giusto, di essere dei cavalli vincenti, di essere a posto con la propria coscienza, anzi di essere il nuovo che avanza.
Neppure sfiorati dal dubbio di aver rinnegato reiteratamente quegli ideali di giustizia sociale, di lotta ai monopoli, di sviluppo economico sostenibile, di redistribuzione del reddito, di difesa del lavoro, di rafforzamento della res publica.
Al contrario, proprio loro sono stati i fautori delle privatizzazioni ad ogni costo; hanno permesso che un’azienda di rilevanza strategica come la Telecom fosse spolpata impunemente da capitani coraggiosi e bucanieri.
Hanno garantito sin dal 1994 che le tre televisioni berlusconiane non sarebbero state toccate, come dichiarò solennemente in parlamento Luciano Violante. Hanno tifato insieme ai loro avversari politici per le scalate bancarie illecite di due estati fa. Hanno favorito l’esasperata flessibilità del mondo del lavoro… hanno ignorato il conflitto d’interesse, salvo sollevarlo in modo propagandistico nei talk show televisivi… il cahier de doléances sarebbe lunghissimo!
Eppure si ripropongono, imperturbabili, come avversari di Silvio Berlusconi.
Di certo non della sua politica, di cui hanno rappresentato in più occasioni una preziosa stampella.
Tant’è vero che il dibattito precongressuale nel partito democratico si svolge litigando sulle persone, non confrontandosi minimamente sui programmi.
Quali? Vattelapesca!
Persino l’ipersconfitto Veltroni (non si conosce politico italiano che abbia saputo collezionare più insuccessi in così poco tempo) si sente autorizzato a rilanciare il proprio sottovuoto ideologico caldeggiando la candidatura di Franceschini (nolente o volente, inguaiandolo!).
Siamo tutti stanchi di fingere di appassionarci a questo miserevole spettacolo.
Ma la casta può restare tranquilla: infatti, con il mese di giugno, l’informazione politica nei palinsesti televisivi è sparita: l’opinione pubblica è stata dai vertici RAI mandata forzatamente in vacanza.
Può succedere di tutto, ma non ne verremmo informati, a parte le poche criptiche segnalazioni del TG3.
Cascasse il governo, per il TG1 di Augusto Minzolini, si tratterebbe solo di gossip.