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mercoledì 27 febbraio 2013

La sfilata degli zombie all'uscita dal Gran Consiglio del PD

Quest'oggi apriamo con un video di Nino Luca tratto da youtube di straordinaria efficacia; riprende i dirigenti del PD all'uscita dalla riunione notturna in cui hanno preso atto della sconfitta elettorale, l'ennesima della loro vita. 
La spocchia resta la stessa di sempre ma la delusione, forse un pizzico di vergogna, per la prima volta fa capolino nelle loro espressioni accigliate e stupefatte. Non rispondono alle domande del giornalista, cercando di sgattaiolare via il più velocemente possibile, proteggendosi infine dietro i vetri scuri di  potenti auto blu che partono sgommando.
Sembrano degli zombie.
Ma com'è possibile che per tanti anni abbiamo affidato le sorti del paese a personaggi simili, dall'ego tanto smisurato quanto la loro mediocrità, evidentemente del tutto inadatti al ruolo? 
Ne abbiamo adesso, proprio grazie a queste immagini di cronaca destinate a diventare storiche, una conferma plastica. E solo adesso ci rendiamo conto fino in fondo come sia stato facile per Silvio Berlusconi  fare per vent'anni il bello e il cattivo tempo, rialzandosi almeno una decina di volte dalla polvere in cui da solo era precipitato.
Insomma, la sfilata dei gerarchi all'uscita del Gran Consiglio del PD come nemesi storica, il 25 febbraio di questa finta sinistra italiana.


martedì 5 luglio 2011

A favore della TAV, una classe politica da mandare a casa

Gli incidenti della TAV hanno messo in luce ancora una volta che PD e PDL sono le facce di una stessa medaglia.

Di fronte alla legittima protesta delle popolazioni della Val di Susa che, da sempre, sono contrarie allo sventramento delle Alpi per un’ennesima linea ferroviaria ad alta velocità, in un territorio già martoriato da infrastrutture gigantesche di ogni tipo, la sola risposta che sanno formulare i due principali partiti politici è quella di criminalizzare la protesta per poter surrettiziamente ridurre un problema di allocazione di risorse pubbliche a questione di ordine pubblico.

Per raggiungere questo obiettivo stanno facendo a gara tutti: mass media, salvo poche voci fuori dal coro, e i politici del polo unico PD+PDL.

Purtroppo da gente come Maroni, Cota, Matteoli, non ci si poteva attendere di meglio; ma assieme a loro, gareggiano al massimo ribasso i Bersani, i Fassino e i tanti dirigenti della sinistra che fu (ed adesso si capisce perché!).

Se l’opposizione glissa sulla questione economica, finanziaria, ambientale, sociale, che sta dietro a questa infrastruttura monstre e non tenta di abbozzare una qualche spiegazione agli Italiani di un atteggiamento, peggio che pilatesco, di dichiarato sostegno dell’opera, addirittura soffiando sul fuoco delle tensioni per invocare la prova di forza della polizia, è segno proprio che questa classe politica deve andarsene a casa.
Non solo non ha imparato nulla dalle consultazioni elettorali di primavera; ma è del tutto impreparata sul piano tecnico-professionale.


Guardando alla cronaca degli ultimi giorni, è chiaro che nessuno può difendere i presunti black bloc e le loro violenze; ma, a maggior ragione, non è accettabile che le forze dell’ordine sparino lacrimogeni ad altezza d’uomo come ha testimoniato il corrispondente di Al Jazeera.

Né è tollerabile, in una democrazia normale, che non ci sia politico del monolito  PD+PDL disposto ad aprire una discussione franca davanti al Paese per dimostrare nel merito la validità di quest’opera.

Per capire il degrado della nostra classe politica, protesa a difendere solo se stessa, è illuminante l’intervista su Repubblica di domenica scorsa del piddino Piero Fassino, ora sindaco di Torino, che sulla manifestazione dei No Tav ad un certo punto si lascia sfuggire: "A sfilare ci saranno gruppi che dicono no ad altre opere, dal Dal Molin al ponte sullo stretto di Messina. La marcia sta assumendo i connotati in una manifestazione contro qualsiasi infrastruttura moderna, si rischia una regressione culturale".

A questo pasionario della TAV, qualcuno dovrebbe spiegare che l’economia moderna è cambiata e che oggi lo sviluppo economico passa principalmente per l’innovazione tecnologica; molto meno per la costruzione di grandi infrastrutture ferroviarie o autostradali (a meno che non si dimostri, dati alla mano, la loro specifica utilità).

Come volano dello sviluppo funziona molto meglio l’investimento nelle nuove reti telematiche, nelle energie rinnovabili, nell’innovazione tecnologica, nella ricerca, nell’istruzione, nella sanità, nei beni culturali e ambientali.

Ignorare ciò, questo sì, è vera regressione culturale; a cui si abbinano quantità industriali di arroganza.

Tronfio della propria ignoranza, su una cosa l’impareggiabile Piero ha ragione: soffia sul Paese un vento di protesta; ma non contro le opere pubbliche (magari se ne avviassero di veramente necessarie!) ma contro una classe politica incompetente, che vive molto al di sopra dei propri meriti e che, a secco di argomenti, lancia la polizia contro i cittadini.

Così, a certificare il fallimento politico della casta, non basta più il ruolo di supplenza della magistratura, ci vuole pure quello delle forze dell’ordine!

Privi ormai di qualsiasi credibilità (men che meno di autorevolezza!), i nostri parlamentari, figli della legge porcata, ormai rappresentano solo se stessi e i propri privilegi a cui restano attaccati con le unghie e con i denti: per non rinunciare neppure ad un euro dei loro lucrosi emolumenti, si appellano persino ai diritti acquisiti, mentre non muovono un dito contro la macelleria sociale avviata da anni dal ministro del Tesoro Giulio Tremonti.

Ecco perché oggi ci sentiamo tutti cittadini della Val di Susa.

giovedì 10 dicembre 2009

E l'impareggiabile Piero si dissociò da se stesso

L’ex segretario Ds Piero Fassino intervistato quest’oggi da il Fatto Quotidiano in merito all’intercettazione della sua telefonata con Giovanni Consorte, presidente Unipol, che nel luglio 2005 gli annunciava la scalata in corso alla Bnl, intercettazione poi finita nel dicembre 2005 a Silvio Berlusconi, ad un certo punto della conversazione così risponde alla giornalista Wanda Marra:
"E’ certamente anomalo e per qualche aspetto anche inquietante che tutti coloro che vogliono usare fatti, informazioni o dossier per attaccare questo o quello sentano il dovere di farlo sapere al Presidente del Consiglio. Non credo che avvenga in nessun paese civile e normale. Come in nessun paese civile e normale capita che l’avvocato difensore del Presidente del Consiglio sia l’ispiratore di provvedimenti legislativi non di interesse generale ma del suo assistito. Nello stesso periodo della vicenda Unipol c’è stato un episodio sconcertante mai chiarito di invasione delle banche dati del ministero delle Finanze per rovistare nelle documentazioni fiscali e patrimoniali di Prodi. Ricordo che negli Usa un presidente, Nixon, per aver fatto spiare i suoi avversari politici ha dovuto dimettersi".

La giornalista lo incalza: "Alla luce di quello che sta dicendo, non crede che il Pd avrebbe potuto fare una scelta diversa rispetto al NoB.Day?"
Ed ecco la memorabile risposta di Fassino:
"Non ho detto che Berlusconi  deve dimettersi, ho solo fatto l’esempio di quel che succede in altri paesi. Noi abbiamo guardato con simpatia e fiducia alla manifestazione, nella quale c’era tanta gente nostra, oltre a dirigenti autorevoli e rappresentativi, come Bindi e Franceschini. Bersani ha avuto un atteggiamento di rispetto, ma non di dissociazione."

Dice e si contraddice appena dopo, impaurito dalle parole appena pronunciate, finendo per dissociarsi da se stesso.

Dunque, aveva visto lontano il regista Nanni Moretti quando, nell’ormai lontano febbraio 2002, vedendolo sul palco a piazza Navona insieme a Rutelli alla manifestazione dei girotondi, dopo averlo ascoltato, urlò: "Noi, mi dispiace dirlo, ma con questo tipo di dirigenti non vinceremo mai!"

Se Silvio Berlusconi si può permettere il lusso di attaccare ormai tutti i giorni gli altri poteri dello Stato è anche per colpa di politici spenti, che non hanno più nulla da dire al proprio elettorato, come l'impareggiabile Piero Fassino.

lunedì 7 settembre 2009

Una guerra tra bande nella prospettiva dell'inciucio

Massimo D’Alema, ieri alla festa del Paladido a Milano, ha spiegato che non ci può essere una contrapposizione nel suo partito tra vecchio e nuovo, cioè tra vecchia guardia e giovani dirigenti. Perché quello che conta è la qualità delle persone.
Ecco appunto: poiché i dirigenti ex Pci, ex Pds, ex Ds, ora Pd, hanno fallito su tutta la linea, lasciando il Paese alla mercé dell’uomo di Arcore per quindici anni, la cosiddetta vecchia guardia comunista dovrebbe farsi da parte, lasciando ad una nuova generazione di politici di costruire un’Italia diversa.
In cosa avrebbero brillato loro della vecchia guardia, D’Alema ce lo dovrebbe spiegare una buona volta: forse nel non essere riusciti minimamente a contrastare l’anomalia Berlusconi che con il suo strapotere mediatico-istituzionale è un caso unico al mondo.
Durante i governi di centrosinistra, nessuna delle mille leggi promesse è stata varata dagli attuali dirigenti democratici: da quella sulle televisioni, a quella sul conflitto di interessi, ai provvedimenti contro i monopoli, contro la rendita finanziaria, per la tutela dei servizi pubblici, per l’ambiente… niente di niente.
In compenso c’è stata la madre di tutte le privatizzazioni, quella Telecom: e gli utenti sanno com’è andata a finire!
E poi, chi non ricorda l’impareggiabile segretario Ds Piero Fassino sostenere, durante il governo di centrosinistra, che l’approvazione della legge sul conflitto d’interessi non avrebbe creato posti di lavoro?
Una vergogna, al cui solo ricordo l’indignazione torna quella di sempre.
Siamo giunti al punto di veder promulgare senza battere ciglio il lodo Alfano che pure è un evidente strappo alla nostra Carta fondamentale.
Il fatto è che la degenerazione della politica passa per una completa omologazione della nostra classe dirigente sia di destra che di centrosinistra ad un pensiero unico costruito, in campo internazionale, sui dogmi degli strateghi di Oltreatlantico (per cui in Afghanistan ci si sta, costi quel che costi, sia in termini di risorse economiche che di perdite umane, a dispetto dell’insofferenza dell’opinione pubblica); in economia, sui diktat delle burocrazia di Bruxelles e del direttorio della BCE (per cui non sono ammesse altre ricette per uscire dalla crisi di quella in atto che provoca una disastrosa deflazione).
Se questa condotta è in parte scontata per la destra che ha da sempre aderito alle logiche dei poteri forti, non era prevedibile che ciò avvenisse nelle fila dei già comunisti, già diessini, ora democratici.
Eppure costoro, in reiterate occasioni, hanno disatteso il mandato elettorale ricevuto, sposando in pieno le tesi dei loro avversari putativi.
Perché questo sia avvenuto, è difficile dirlo: forse il motivo di fondo può essere ricercato nello strisciante senso di inadeguatezza nei confronti dell’élite capitalistica.
Un sentimento di inferiorità nutrito nei confronti di chi muove le leve dell’economia reale mentre i vari Fassino, Veltroni, D’Alema si sentono inconsciamente solo dei parolai, buoni al massimo per blaterare in qualche talk show; dediti, prioritariamente, a salvaguardare il proprio tenore di vita molto superiore a quello dei comuni impiegati e della maggior parte di professionisti ma non in grado tuttavia di competere con le risorse economiche praticamente illimitate del capitalismo familiare.
Di qui il bisogno di assidue frequentazioni con quel mondo, tanto criticato a parole ma emulato negli stili di vita: è quella che, con un’espressione felice, è stata definita sinistra radical chic.
Cioè, quella che attacca Di Pietro proprio perché limpidamente antiberlusconiano: un vero paradosso.
Ecco perché la guerra al Cavaliere, condotta dalla corazzata la Repubblica-L’Espresso, è tutta concentrata sui suoi misfatti privati, non sull’azione nefasta del suo governo.
E’ una guerra tra bande, dove in gioco non c’è una politica diversa ma semplicemente l’esercizio del potere: ecco perché si presenta al tempo stesso più cattiva sul piano personale, più violenta nei toni, ma del tutto priva di contenuti programmatici.
Un Partito Democratico inesistente che si accoda ad un quotidiano per ripetere da mesi dieci insulse domande a Berlusconi, senza neanche ipotizzare che la vera opposizione si fa nel Paese, contrastando quotidianamente a viso aperto le scelte sbagliate del governo.
A cominciare dalla politica dell’immigrazione.
Ieri sera, il bravo Riccardo Icona, ripetendo per l’ennesima volta una grande lezione di giornalismo, ha dimostrato col potere delle immagini del suo Presa Diretta, quanto fosse stolta e sciagurata l’uscita di qualche tempo fa di Fassino sulla legittimità dei respingimenti dei barconi di immigrati, senza bisogno neanche di citarlo.
Vedere, uomini donne e bambini, morire in mare per disidratazione, denutrizione e freddo senza neanche tentare di soccorrerli, men che meno identificarli singolarmente per accertare se avessero i requisiti per chiedere l’asilo politico, ma respingerli nell’inferno dei campi libici, deve essere sembrato normale e legittimo per chi ha uno stipendio mensile da onorevole…
Ecco perché anche la stessa guerra tra l’Avvenire di Dino Boffo e il Giornale di Vittorio Feltri non ci appassiona: sono ben altre le tragedie della quotidianità che si consumano in Italia e che la Casta, al gran completo, ha deciso di ignorare.
Infatti, non basta il peggior Berlusconi a ridare fiato a un Partito Democratico ormai imploso: è veramente avvilente come lo scontro in atto tra le due fazioni non riguardi più i problemi dei cittadini ma più prosaicamente un regolamento di conti all’interno della Casta.
Con il rischio, molto concreto, che tutto si concluda a tarallucci e vino!
Non dimentichiamo, infatti, che mezzo Pd tifa ancora per un nuovo grande inciucio con il Cavaliere!

lunedì 13 luglio 2009

La mossa di Grillo manda in tilt la nomenklatura democratica

Fine settimana interessante quello appena concluso per la politica di casa nostra.
Dopo la chiusura del G8 a L’Aquila, aspettavamo impazienti il commento di Eugenio Scalfari a conclusione di una settimana in cui i media hanno fatto a gara a vendere la falsa impressione che quello di Berlusconi è stato un inatteso successo personale.
La famosa tregua invocata dal presidente Napolitano per il G8 è stata non soltanto rispettata fino in fondo ma ha dato il via ad una vera e propria pubblicistica agiografica nei confronti di Silvio Berlusconi che ne esce fuori politicamente rinforzato.
Nessuno si è spinto a parlare di successo politico del G8, dati i risultati assai deludenti, ma ciò non è certo stata colpa del governo italiano.
Anche se non si può neppure dire che l’esito del summit sia stato migliore delle aspettative per merito del Cavaliere; per vari opinionisti, il suo successo riguarderebbe l’aspetto organizzativo dell’evento.
Su questa scia, Eugenio Scalfari ha preparato una sviolinata a Berlusconi a dir poco imbarazzante nel suo editoriale di ieri, intitolato non a caso "Il meritato successo di un abile anfitrione":
"Berlusconi ha avuto successo, ha ricevuto complimenti da tutti, ha evitato con abilità i guai che incombevano sul suo capo e di questo gli va dato atto. Per che cosa è stato complimentato? Per il suo ruolo, magistralmente ricoperto, di padrone di casa. Se lo è meritato. E’ un compito che sa gestire molto bene come dimostrò nell’analogo meeting di Pratica di Mare: alloggiamento perfetto, cibo eccellente, sicurezza garantita, intrattenimento rilassante".
Forse Scalfari si dimentica che i complimenti al padrone di casa da parte degli ospiti sono di prassi e quanto al presunto successo organizzativo, magari sottovaluta la possibilità che un paese moderno come l’Italia possieda uomini e know how necessari per organizzare decentemente una riunione internazionale, sia pure al massimo livello.
Per bocciare Berlusconi, il padre di Repubblica forse si aspettava che il presidente Obama fosse rimasto senza alloggio o che il pesce, alla tavola dei Grandi, non fosse fresco… Ridicolo!
Da un giornalista di lungo corso come lui, pronto a rinfacciare ossessivamente, per settimane, al Cavaliere le bugie pietose del caso Noemi, ci si aspetterebbe maggiore acutezza: non un improvvisato e maleodorante mix di provincialismo e dabbenaggine piccolo borghese.

L’altra grande novità del momento è la discesa in campo di Beppe Grillo per le primarie del PD: vero coup de théâtre, ha sorpreso tutti persino gran parte dei suoi sostenitori.
Noi di Pausilypon non vogliamo giudicare a priori questa scelta che sparigliando i vecchi giochi politici ha sicuramente il pregio di creare qualche grattacapo ai farisei.
Sta di fatto che doversela vedere con gente come Fassino, Veltroni, D’Alema, Bersani è da stomaci forti; ma sappiamo che Beppe Grillo ama le sfide difficili.
Per capire quanto la nomenklatura non sia disposta ad arretrare neppure di un millimetro dalla lucrosa rendita di posizione in cui vive da anni, in assoluta inerzia, e di quanto poco sia interessata ad un reale dibattito democratico all’interno del PD, può bastare la prima nervosa reazione dei vertici all’annuncio di Beppe Grillo.
Citiamo per tutti l’intervento, tra lo stralunato e l’arrogante, del povero Piero Fassino:
"Penso che quella di Grillo sia una boutade, la interpreto come una delle tante provocazioni a cui ci ha abituato un uomo di spettacolo" e ancora: "Un partito non è un taxi sul quale si sale e si scende, è una cosa seria. Il partito con un congresso deve prendere scelte impegnative. Le cose devono essere chiare, ci si iscrive a un partito e ci si candida a guidarlo quando se ne condividono gli obiettivi. Grillo invece ha manifestato ostilità nei confronti del Pd e dei suoi dirigenti. Nessuno è preoccupato della candidatura di Grillo. Ma ci sono delle regole, c'è una fase congressuale alla quale partecipano gli iscritti, poi la seconda fase prevede le primarie".
Se un dirigente del partito democratico parla come l’Azzeccagarbugli di manzoniana memoria tradendo la grave preoccupazione per una candidatura che, in un partito battezzato democratico, dovrebbe essere un atto dovuto vista l’importanza assunta nella società civile dai grillini e per la certezza di arricchire il dibattito congressuale con idee nuove e autenticamente popolari, vuol dire proprio che siamo arrivati al punto di dover scacciare i mercanti dal tempio.
E’ chiaro che persone che vivono nei privilegi, con appannaggi mensili di decine di migliaia di euro passando il tempo tra dichiarazioni ai giornali, occasioni mondane, votazioni in parlamento su indicazione dei capigruppo, talk show vari, oppure scrivendo libri o articoli di dubbio valore per scaricare sugli altri la propria invincibile noia, con il plusvalore di non dovere rendere conto a nessuno del proprio operato, men che meno al proprio elettorato (che li ha dovuti eleggere per forza, stante la legge elettorale porcata), il fenomeno Beppe Grillo è come fumo negli occhi.
In questo senso, pur restando perplessi per una scelta che non ci convince fino in fondo, speriamo che il suo sacrificio politico possa almeno servire a mandare a casa una classe dirigente che non ha più nulla da proporre alla propria base, se non reiterare la propria sfrenata ambizione.
Ma già come provocazione, a giudicare dalle prime reazioni dentro il PD, la mossa di Grillo ha colpito nel segno, mostrando a tutti, il volto arcigno della nomenklatura.

martedì 12 maggio 2009

Gli ozi di Casoria e l'affondo di Fassino

Abbiamo esitato molto prima di commentare l’ultima peripezia mediatica del Cavaliere, consci di correre il rischio di scivolare facilmente sulle bucce di banana della trivialità, dei luoghi comuni e dell’ennesimo attacco ad una leadership quanto mai rappresentativa della crisi d’identità che attraversa il Paese.
L’occasione era troppo ghiotta per non fiondarci a commentare la vita pubblico-privata tutt’altro che piatta del premier. Ma era necessario attendere che i panni sporchi della famiglia Berlusconi venissero lavati sulle varie ribalte mediatiche (e con quale foga!) dagli stessi protagonisti, prima di spingerci ad una qualche riflessione.
E’ un fatto che, con la discesa in campo di Berlusconi nel suo salotto preferito, quello di Bruno Vespa, i suoi presunti vizi privati sono diventati d’improvviso pubbliche virtù.
Sì, perché Berlusconi ha rivendicato la lealtà e la trasparenza dei suoi comportamenti che, chissà per quale scherzo del destino, lo hanno portato a festeggiare nell’hinterland napoletano il diciottesimo compleanno di una aspirante velina o parlamentare che dir si voglia, o meglio che Silvio voglia.
Infatti, l'esuberante pulzella ha il privilegio di poterlo chiamare insospettabilmente "papi Silvio". Non solo, ci ha fatto pure sapere che gli è stata molto vicina quando, qualche settimana fa, al Cavaliere è morta la sorella; e di trascorrere assieme a lui vari momenti difficili perché capita sempre più spesso che lui si senta incompreso da tutti, persino dalle televisioni di cui è proprietario.
L’urlo straziato di Veronica Lario, la Didone abbandonata dei giorni nostri, ha finito per consegnarci via etere un nuovo capolavoro dell’epica moderna che solo i posteri sapranno apprezzare fino in fondo, invidiandoci di essere stati contemporanei di cotanto mito.
Ecco a Voi, a reti unificate, la Berlusconeide, con il prode Bondi, nei panni di un appannato Sancho Panza, mentre l’ineffabile Ghedini è nei suoi panni propri, un personaggio che non stupendosi più di niente, ci lascia senza parole ma che proprio per questa sua capacità di volare basso, ma proprio basso, si è guadagnata l’eterna riconoscenza del suo cliente-padrone.
Da dieci giorni a questa parte non si parla d’altro.
Alzi la mano chi non ha visto la manina smaltata della giovane Noemi mostrare come un trofeo il collier di papi? Apprendiamo dal Corriere.it che vale seimila euro: un bel pensierino, non c’è che dire.
Ghedini però ci tiene a rassicurare i telespettatori di Anno Zero rivelando che il Cavaliere, di nascita un generoso, viaggia sempre con una munifica provvista di ori per omaggiare le fortunate.
A questo punto, chi è tanto snob da pensare che le candidature del Pdl per le prossime elezioni debbano essere necessariamente decise a Palazzo Grazioli e non nella nuova capitale dell’impero, l’augusta Casoria?
In fondo la Storia non ci insegna che il grande Annibale, dopo aver attraversato mezza penisola, invece di puntare dritto su Roma, indugiò alquanto a Capua? Casoria non è molto distante…
Fortunatamente gli Italiani hanno scoperto il complotto ordito contro l’indifeso Berlusconi, tant’è che gli ultimi sondaggi gli confermano una popolarità imbarazzante... è lo stesso Cavaliere a ripeterselo incredulo.
In quest’Italia di feste di famiglia con tanto di vip inatteso e di damigelle con il vizio per la politica o per la tv, secondo i gusti di papi; in una democrazia così compiuta da permettere ad un oscuro impiegato comunale di chiamare tranquillamente il cellulare del primo ministro per caldeggiare questa o quella candidatura e magari invitarlo ad una festa per il diciottesimo compleanno della figlia, tutto è divenuto possibile.
Come è normale che gli abbia telefonato per invitarlo ad una festa pur sapendo del grave lutto subito di recente dall’illustre interlocutore e, naturalmente, della sua fittissima agenda di impegni istituzionali…
E’ certo che gli Italiani hanno creduto ad una ricostruzione dei fatti tanto surreale e bislacca da farci temere che dietro ci sia persino lo zampino da mattacchione del fervido Sancho Bondi.
Un momento!
Vi ricordate qualche settimana fa quando il Cavaliere piantò in asso la cancelliera Angela Merkel, durante una cerimonia ufficiale, in riva al Reno per rispondere al cellulare??
Le solite malelingue brontolarono… Ingrati, non lo avevamo capito ma, da vero Padre della Patria, il grande Silvio ci stava impartendo un’autentica lezione di democrazia, snobbando platealmente un premier per intrattenersi forse proprio con il padre di Noemi!
Se l’intelligenza e l’etica pubblica sono giunte così in alto, ci si può più meravigliare di niente? Assolutamente no, neppure che il democratico Piero Fassino si svegli improvvisamente dal profondo torpore in cui era, per nostra fortuna, sprofondato da tempo per dichiarare, con parole truculente, inseguendo la Lega su una pericolosa china di intolleranza xenofoba al limite della violazione dei diritti umani, che "respingere i barconi non è uno scandalo".
Perché stupirsi se la nomenklatura del Partito democratico non abbia concepito, in tanti mesi di dolce far niente, uno straccio di politica dell’immigrazione da contrapporre alle ignobili pulsioni leghiste fino al colmo di prenderle per oro colato?
Possibile che ancora non ci avete capito niente?!
Questi, sono o non sono, i peggiori anni della nostra Repubblica?