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domenica 24 marzo 2013

Il dilemma da Fazio: Gramellini o... Talebani?

In Rai sono tutti preoccupatissimi dei tagli ai costi della politica che l'avvento del M5S in Parlamento già ha  prodotto, per la prima volta nella storia d'Italia.
Laura Boldrini e Piero Grasso, aderendo alla sollecitazione di Beppe Grillo che li aveva invitati dal suo blog a dimezzare le loro indennità di carica, gli hanno dato retta ritoccando prontamente la decurtazione del loro appannaggio rispetto all'iniziale 30%, con cui si erano spontaneamente presentati alle rispettive assemblee appena eletti. 
Naturalmente i giornali della Casta hanno depotenziato lo scoop a semplice trafiletto in pagina interna. 
Alla direzione dei maggiori quotidiani infatti si sono subito attrezzati a capire come fosse possibile  neutralizzare la notizia per evitare che la gente finisca per convincersi che lo tsunami del M5S stia già producendo i frutti sperati. E si mugugna: va a finire che chi lo ha votato non si stia pentendo affatto del voto dato a Grillo? Non sia mai!!!
Giovanni Floris, intervistato ieri sera da Fabio Fazio, della serie  "La TV autoreferenziale che ispeziona il proprio ombelico", è apparso sgomento mentre presentava il suo libro di prossima uscita. 
Così si è cimentato in una difesa degli alti stipendi dei parlamentari, del valore metafisico del superfluo, contro ogni peccaminosa tentazione pauperista, invocando il ritorno all'antico, cioè allo scialo generalizzato della Casta. Perché, dice lui, i parlamentari (ma forse ci metteva inconsciamente dentro anche i conduttori televisivi) hanno un incarico di grossa responsabilità e dunque devono essere pagati profumatamente, hanno il diritto di sognare ad occhi aperti!
Non riportiamo il resoconto stenografico del suo intervento solo per carità di patria, comunque chi vuole se lo può rivedere qui.
Anche Fazio, guarda un po', sembrava ammaliato dagli aforismi sgangherati del collega e annuiva convinto: sì questa maledetta spirale pauperista, a causa di quella inaspettata e terribile tenaglia mediatica rappresentata, da un lato, dalla novità storica del papa Francesco verso una chiesa degli umili e dei poveri e, dall'altro, dallo schiacciasassi del Movimento 5 Stelle che finalmente vuole fare i conti in tasca ai politici con un drastico ridimensionamento dei loro privilegi, sta creando subbuglio nella nostra classe dirigente!

In spregio ai 4 milioni di indigenti in Italia recentemente censiti e in crescita al ritmo di un milione all'anno, o agli stipendi da fame di sconfinate praterie di lavoratori dipendenti, o alla corsa ad ostacoli dei milioni di lavoratori parasubordinati, ma anche alle pensioni da inedia, senza trascurare le migliaia di persone che ogni giorno perdono definitivamente il posto di lavoro, l'ineffabile pattuglia dei conduttori Rai è visibilmente preoccupata di veder infranti i propri sogni di ricchezza e guarda con diffidenza ad ogni provvedimento che miri ad equidistribuire il peso dell'austerity tra tutti i cittadini. 
Perché se il vento dell'austerity varcherà, dopo quello del Parlamento, persino il portone di Viale Mazzini, per loro addio sogni di gloria...
Ed ecco un irresistibile e sperticato elogio della ricchezza, della necessità di sognare di essere tutti benestanti (almeno gli adepti della Casta!), del pericoloso virus inoculato da papa Francesco e dall'antipolitica: alla faccia di quanti non riescono a conciliare il pranzo con la cena! (Per non parlare del miliardo di persone nel mondo che non possiede proprio nulla...).
La morale di Floris è questa: voi potete pure morire di fame; pazienza, ci dispiace ma al momento non possiamo farci nulla. L'importante è che vi possiate nel frattempo consolare sognando ad occhi aperti la nostra vita dorata!

Qualche istante dopo Massimo Gramellini, ospite fisso del talkshow, come fa ormai da varie settimane, ha preso di mira Beppe Grillo raccontando che, giovedì dopo il colloquio al Quirinale, è tornato a casa di gran carriera sulla macchina guidata dall'autista passando con il rosso due o tre volte e facendo pure un paio di inversioni ad U. 
Naturalmente, con tutta la sua disarmante perché affettata onestà intellettuale, si è guardato bene dal precisare che il leader del M5S è stato vittima nella circostanza di un vera e propria azione di stalking, letteralmente inseguito per le vie di Roma da torme di giornalisti e fotoreporter in sella a potenti moto che hanno tentato in più di un'occasione un vero e proprio arrembaggio alla sua macchina sperando di rubare qualche scatto e pure un'impossibile intervista al volo fin sopra il raccordo anulare. 
Ma così dicendo avrebbe dovuto smontare quel simpatico ritratto da Attila del codice della strada, così faticosamente costruito su Grillo,  grazie all'immancabile contorno delle sue insipide battutine.
Non contento, ha pure riferito, leggendo quasi per intero il pezzo di un retroscenista del suo stesso giornale, Andrea Malaguti, delle presunte lamentele dei parlamentari pentastellati, che si sentirebbero offesi perché il loro leader non è passato a salutarli prima di tornarsene nella sua Genova. 
Gramellini ha così, in prima serata Rai, improvvisato la tac del gruppo parlamentare di Grillo: innanzitutto ci sarebbero i trattativisti, quelli che si sono lamentati della mancata visita del capo e che il suo giornale già quantifica essere una ventina (e sogna transfughi alla corte di Bersani...); poi, sempre secondo il vicedirettore de la Stampa, ci sarebbe la pattuglia degli spaventati, cioè quelli che temono le ire di Grillo di fronte ad un loro possibile voltafaccia. Infine i talebani, lealisti e fedeli alle indicazioni di gruppo, che si attengono scrupolosamente al mandato politico ricevuto dagli elettori. Ma proprio per questo, per sentenza pronunciata da Massimo Gramellini in nome e per conto del suo quotidiano, sono degli irriducibili talebani.
Forza Gramellini, che cosa ci suggerisci adesso:  li vogliamo bombardare per esportare la democrazia??
Naturalmente lui spera che il suo delirio onirico, cioè l'esistenza di una fronda interna al M5S che possa dare la fiducia al governo dell'impresentabile smacchiatore di giaguari, Pierluigi Bersani, diventi realtà e che anche il movimento di Beppe Grillo possa trasformarsi in una gigantesca fabbrica di cloni di Scilipoti, così da far impallidire il ricordo della campagna acquisti a suo tempo organizzata dal premier Silvio Berlusconi per parare il colpo della defezione dei vari Fini, Bocchino, ecc. 
Il tutto corredato da un bello scroscio telecomandato di applausi di sottofondo in modo che, subliminalmente, davanti alla platea televisiva passi il messaggio che tutta Italia la pensi esattamente come Gramellini: non ci sono alternative, o con Bersani o Talebani!
Squallida propaganda a favore del PD rifilata al'interno di un contenitore televisivo del sabato sera con millantate ambizioni culturali.
A cui non possiamo che rispondere con una battutina come quelle a cui ci ha abituati il vicedirettore della Stampa: chi non salta... Gramellini è!

domenica 17 marzo 2013

Bersani per salvare se stesso sacrifica il PD

La giornata di ieri ha visto in Parlamento il proseguimento del più bieco tatticismo del partito democratico, già esibito nella giornata di inaugurazione della legislatura, nonostante a conti fatti siano stati eletti due illustri personalità, fra l'altro estranee al mondo della politica, che sicuramente, dai loro alti scranni, potranno fare nient'altro che bene.
Pierluigi Bersani, alla spasmodica ricerca di un ticket da Napolitano che gli consenta di avere l'incarico pieno in vista delle consultazioni per la formazione del nuovo governo, ha così sacrificato sull'altare delle proprie ambizioni il tandem Franceschini-Finocchiaro, per convergere a notte fonda sui nomi che poi sarebbero risultati eletti.
Una decisione talmente verticistica che ieri mattina, di fronte alla lapide che ricorda le vittime della strage di Via Fani nella ricorrenza del 35° anniversario, alcuni dirigenti del PD ancora non ne erano ben a conoscenza.
Tanto per rispondere alla leggenda metropolitana, abilmente rilanciata dai media, secondo cui mentre nel M5S tutto verrebbe deciso esclusivamente dal duo Grillo - Casaleggio, nel PD si respirerebbe ben altra aria di libertà e tutto si svolgerebbe alla luce del sole: anzi,  soltanto a seguito di una discussione assembleare e, per di più, all'unaninimità.
Ma a scomporre questo quadretto idilliaco, ci sono all'interno del PD i molti mugugni in corso e l'ira di quanti (non pochi!), sono stati presi in contropiede dall'iniziativa del segretario.
Il voto a Laura Boldrini e Piero Grasso di fatto stravolge l'identità politica del partito democratico che, nonostante i numeri esagerati ottenuti con la legge elettorale porcata (con il 25% dei voti il PD capeggia una coalizione a cui è andato un mostruoso premio di maggioranza del 55% dei seggi!), ha dovuto ripiegare su figure del tutto estranee al suo entourage per le massime cariche delle aule parlamentari.
Come se lo stesso segretario implicitamente riconoscesse che la tessera PD di fronte alla pubblica opinione vada tenuta nascosta.
In breve, Bersani ha sparigliato il gioco, con un duplice effetto: ha assestato un colpo formidabile all'immagine del PD, perorando presso il Colle la propria personalissima causa, ed ha creato scompiglio nelle fila del Movimento 5 Stelle. 
Un colpo di scena con cui sacrifica l'apparato del partito per sostenere la sua candidatura a premier: un doppio salto mortale, foriero di sviluppi tutt'altro che prevedibili. 
Nella partita delle presidenze delle camere, dire quindi che abbia vinto il PD è una bugia pietosa: ha vinto Bersani che paradossalmente al suo interno è diventato più debole e in evidente deficit di credibilità.
Quanto al M5S, è probabile che almeno una decina di senatori abbia votato contro le indicazioni di maggioranza. 
Qui si apre un caso politico: si possono disattendere le decisioni di gruppo per votare a ranghi sparsi? 
Evidentemente no, soprattutto se questo avviene alla prima occasione che conta: i senatori che hanno disobbedito agli ordini di scuderia, come dice Grillo, per quell'obbligo di trasparenza nei confronti dei propri sostenitori, lo dovrebbero dichiarare pubblicamente, assumendosene tutte le responsabilità. 
Il che non significa vederli espulsi dal gruppo ma ammonirli ufficialmente.
Uno vale uno, non significa che ognuno fa quello che gli pare, con buona pace dei media tendenziosi che puntano a far cadere il M5S nel caos. 
Del resto, la disciplina di gruppo è un valore in sé, come avviene per tutte le forze parlamentari: che cosa sarebbe successo ieri se 35-40 deputati del PD, contro le indicazioni del segretario, avessero votato per Franceschini??
Per quanto riguarda poi gli elettori del M5S che già dopo due giorni di apertura del Parlamento dichiarano pubblicamente di essersi pentiti del voto dato solo venti giorni fa, è chiaro che, nella migliore delle ipotesi, sono semplicemente voti a perdere e la velocità del loro pentimento tradisce la loro totale inaffidabilità e mutevolezza d'opinione. 
Guai a inseguire umoralmente queste persone, ne va dell'identità del movimento che rischia altrimenti di trasformarsi nella stampella sinistra del partito democratico, perdendo la sua carica di innovazione e, in pochi mesi, il suo straordinario appeal politico.
E' vero, nel ballottaggio tra Schifani e Grasso, a mente sgombera dal tatticismo partitico, sembrerebbe assurdo non optare per Grasso ma nell'ipotesi che avesse prevalso Schifani, la responsabilità sarebbe ricaduta in toto sul PD che, con la sua mossa tatticamente spregiudicata, ha intenzionalmente voluto mettere il M5S in un angolo. 
Possibile che il M5S, prima forza politica alla camera (un sondaggio del 15/3 lo dà al 30% delle intenzioni di voto, 5 punti sopra il PD!), non avesse diritto ad una presidenza e che il PD non potesse fare un gesto distensivo in questa direzione?
Lascia perplessi anche la mossa del PDL che, da forza di minoranza, ripresentando  Renato Schifani ha obiettivamente proposto una candidatura debolissima, quasi sospetta. 
Una sorta di inconfessabile mossa a tenaglia tra PD e PDL ai danni del M5S (non a caso Berlusconi ha attaccato ieri non il PD ma Grillo, trattenendo la delusione e limitandosi a far dichiarare che il PD aveva così fatto incetta di cariche istituzionali), prova tecnica di un inciucio prossimo venturo.
Ecco perché i senatori del M5S che hanno votato Grasso, al di là della persona, hanno commesso un madornale errore politico. 
Per questa volta passi: perché è compito anche di Beppe Grillo spiegare per bene a dei neofiti, al di là delle regole interne, come funziona la politica e in cosa si traduce l'esasperato tatticismo dei suoi principali esponenti.
Errare è umano... ma la prossima volta perseverare sarebbe diabolico.