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domenica 26 luglio 2009

La legge sulla sicurezza, un'altra legge vergogna

La legge sulla sicurezza che è stata promulgata il 15 luglio dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è l’ulteriore passo in avanti di una democrazia malata, avviata verso la terra di nessuno dei regimi autoritari.
Non ci vuole una laurea in diritto per capire che sotto molti profili questa legge viene a collidere con alcuni principi della nostra carta costituzionale, primo tra tutti quello di uguaglianza.
Perché l’ingresso illegale del singolo straniero viene ipso facto considerato una fattispecie di reato, rendendo la semplice condizione di immigrato come sanzionabile penalmente: ovvero, lo stato di diritto viene fatto a pezzi.
Non si capisce come sia stato possibile per il presidente Napolitano, già promulgatore a tempo di record del famigerato lodo Alfano, scegliere la strada più inusuale ed impervia: quella di promulgare immediatamente la legge per poi disconoscerla a stretto giro di posta con la lettera inviata al premier Berlusconi in cui ne evidenzia ben nove punti di attrito con il nostro ordinamento.
In particolare, a proposito del reato di immigrazione clandestina il Capo dello Stato riconosce che "Allo stato esso apre la strada a effetti difficilmente prevedibili".
Ma un altro punto che risulta dirimente è quello delle ronde per il quale per Napolitano "appare urgente la definizione" di un decreto del Ministro dell’Interno che le disciplini in modo rigoroso.
Alla luce degli scontri verificatisi la notte scorsa a Massa tra ronde di destra e ronde di sinistra si capisce quanto il punto si presentasse da subito cruciale, anche ad una sola sommaria lettura del provvedimento. E quanto grave sia stata la sottovalutazione delle possibili conseguenze.
Lo stesso ex presidente della Consulta Valerio Onida, intervistato da Repubblica (1) , riconosce che "Certo la lettera colpisce per il numero e la qualità delle critiche che avrebbero potuto certamente motivare un rinvio. Mi pare che la scelta sia stata di non utilizzare il proprio potere di rinvio, più che per non ritardare l’entrata in vigore di alcune norme del pacchetto più largamente condivise (dubito che anche quelle contro la mafia rispondano a ragioni di urgenza), per non scontrarsi frontalmente con il governo e la sua maggioranza su un tema ritenuto caldo".
Ed alla giornalista Liana Milella che lo incalza ipotizzando una mossa politica del Colle, Valerio Onida così risponde: "Ognuno può apprezzare come vuole questa scelta, e tuttavia solo il presidente è arbitro del modo in cui intende esercitare la propria funzione di persuasione e di influenza".
Ecco, ci limitiamo ad eccepire che Napolitano ha esercitato, in questo frangente, la sua soggettivissima funzione di persuasione e di influenza in modo deludente.
Perché l’effetto complessivo del suo intervento, promulgazione immediata e invito al governo a riflettere sulle norme appena approvate, è di denunciare inevitabilmente la propria debolezza: come Don Abbondio, un vaso di coccio tra tanti vasi di ferro.
Se anche il Presidente della Repubblica denuncia l’impossibilità di arginare il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, a difesa dei principi generali dell’ordinamento e del sistema penale vigente, in un momento in cui la disapprovazione dell’opinione pubblica internazionale per la condotta pubblica e privata del Cavaliere è generale, non si capisce chi ci possa ancora riuscire.
Ha quindi ragioni da vendere Antonio Di Pietro quando esprime (2) "profondo dolore per la titubanza del presidente nell’affrontare i compiti che la Costituzione gli assegna".
Mentre è assolutamente irriguardosa e brutale la difesa d'ufficio che ne fa il Pd per voce di Anna Finocchiaro che attacca Di Pietro definendone la logica come quella del "tanto peggio tanto meglio".
E’ davvero incredibile che i Democratici siano scesi così in basso: a conferma di un totale stato confusionale in cui si trovano, arriva persino la dichiarazione dello "scaltro" Massimo D’Alema che attacca ciecamente Di Pietro per le critiche a Napolitano, rispolverando, non avendo probabilmente di meglio a disposizione, la solita solfa (ossessivamente ma sterilmente utilizzata anche contro Beppe Grillo) secondo la quale criticare la non-opposizione del Pd rafforza Berlusconi.
Incredibile ma vero, dice proprio così: "Da membro dell'opposizione trovo sinceramente che indirizzare un attacco in modo pretestuoso e anche volgare contro il capo dello Stato è un modo per aiutare il governo, ed il presidente del Consiglio, a sollevarsi dalle proprie responsabilità. Quindi spero che l'onorevole Di Pietro la smetta: vedo che anche nel suo movimento comincia a sorgere qualche dubbio e qualche riserva su questa condotta".
Ecco il vicolo cieco in cui la nomenklatura democratica ci ha infilato: che continua imperterrita a non fare il suo dovere ma se ti azzardi a criticarne la totale inconsistenza vieni denigrato e accusato di stare dalla parte del governo…
Insomma, hanno disconosciuto a rate tutta la loro storia, ma non rinunciano ai vecchi metodi di propaganda: del resto sono o non sono una nomenklatura?
(1) Repubblica 16/07/2009
(2) Repubblica, 18/07/2009