Ieri sera Riccardo Iacona su Raitre ha dato una prova esemplare di cosa veramente significhi essere giornalista.
Nel corso di questo mese con il suo viaggio in diretta tra le luci e le ombre del nostro Paese, attraversando lo stivale da Monfalcone a Gela (prossima tappa del programma), ci ha ricordato in cosa consiste il suo mestiere, quale utilità sociale ha, come molti suoi colleghi che pure monopolizzano da sempre la prima serata televisiva siano in fondo delle mediocri controfigure.
Con il suo validissimo gruppo di collaboratori ha girato per l’Italia affrontando problematiche assai diverse, animato da quella che dovrebbe essere la qualità fondamentale di un giornalista: la curiosità ed il conseguente desiderio di trovare risposte alle mille domande che il suo viaggio pone, prima a se stesso e poi ai suoi interlocutori.
Così come ha posato il suo sguardo sulle sorprendenti qualità dell’ingegno italico tra cantieri navali e sale di cardiochirurgia, allo stesso modo è andato a chiedersi come sia possibile che una città sia sotto lo schiaffo della criminalità organizzata, tra cumuli di immondizia e fiumi di droga.
A Locri ha messo a fuoco in un paio di ore di trasmissione, molto meglio di una qualsiasi Commissione parlamentare, il legame perverso tra criminalità mafiosa, amministrazione pubblica, cultura dell’illegalità. Entrando nel tribunale ha dimostrato, con poche inquadrature, di come la battaglia contro la mafia più pericolosa a livello internazionale non sia veramente combattuta dallo Stato, che lascia i suoi uomini migliori, magistrati, forze di polizia, cittadini onesti, nell’abbandono più completo con strutture fatiscenti, risorse all’osso, organici assottigliati fino al ridicolo.
Sapere che dietro le dichiarazioni ufficiali delle autorità ci sia il vuoto più assoluto mentre il vero potere dominante resta quello dell’antistato mafioso, fa montare una rabbia indicibile: il comune cittadino si domanda come sia possibile per gli uomini delle istituzioni dormire sonni tranquilli sapendo che milioni di italiani vivono quotidianamente in un clima feudale di ingiustizia e violenza diffusa.
Ecco la differenza tra il il salotto televisivo di Floris e il giornalismo d’inchiesta di Iacona: il primo si conclude sempre con un’autoassoluzione generale per i politici che vi si accomodano, il secondo li inchioda, con l’evidenza delle immagini in presa diretta, alle loro responsabilità.
Dopo una puntata come quella di Locri, è difficile anche per il politico più consumato far finta di niente: chissà chi avrà oggi per primo il coraggio di rompere, sui media, il silenzio dell’indignazione per dibattere impassibile sulla leadership del Partito Democratico (o della Casa delle Libertà)...
Nel corso di questo mese con il suo viaggio in diretta tra le luci e le ombre del nostro Paese, attraversando lo stivale da Monfalcone a Gela (prossima tappa del programma), ci ha ricordato in cosa consiste il suo mestiere, quale utilità sociale ha, come molti suoi colleghi che pure monopolizzano da sempre la prima serata televisiva siano in fondo delle mediocri controfigure.
Con il suo validissimo gruppo di collaboratori ha girato per l’Italia affrontando problematiche assai diverse, animato da quella che dovrebbe essere la qualità fondamentale di un giornalista: la curiosità ed il conseguente desiderio di trovare risposte alle mille domande che il suo viaggio pone, prima a se stesso e poi ai suoi interlocutori.
Così come ha posato il suo sguardo sulle sorprendenti qualità dell’ingegno italico tra cantieri navali e sale di cardiochirurgia, allo stesso modo è andato a chiedersi come sia possibile che una città sia sotto lo schiaffo della criminalità organizzata, tra cumuli di immondizia e fiumi di droga.
A Locri ha messo a fuoco in un paio di ore di trasmissione, molto meglio di una qualsiasi Commissione parlamentare, il legame perverso tra criminalità mafiosa, amministrazione pubblica, cultura dell’illegalità. Entrando nel tribunale ha dimostrato, con poche inquadrature, di come la battaglia contro la mafia più pericolosa a livello internazionale non sia veramente combattuta dallo Stato, che lascia i suoi uomini migliori, magistrati, forze di polizia, cittadini onesti, nell’abbandono più completo con strutture fatiscenti, risorse all’osso, organici assottigliati fino al ridicolo.
Sapere che dietro le dichiarazioni ufficiali delle autorità ci sia il vuoto più assoluto mentre il vero potere dominante resta quello dell’antistato mafioso, fa montare una rabbia indicibile: il comune cittadino si domanda come sia possibile per gli uomini delle istituzioni dormire sonni tranquilli sapendo che milioni di italiani vivono quotidianamente in un clima feudale di ingiustizia e violenza diffusa.
Ecco la differenza tra il il salotto televisivo di Floris e il giornalismo d’inchiesta di Iacona: il primo si conclude sempre con un’autoassoluzione generale per i politici che vi si accomodano, il secondo li inchioda, con l’evidenza delle immagini in presa diretta, alle loro responsabilità.
Dopo una puntata come quella di Locri, è difficile anche per il politico più consumato far finta di niente: chissà chi avrà oggi per primo il coraggio di rompere, sui media, il silenzio dell’indignazione per dibattere impassibile sulla leadership del Partito Democratico (o della Casa delle Libertà)...
Nessun commento:
Posta un commento