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mercoledì 28 ottobre 2009

Dopo Marrazzo, a chi spetta dimettersi?

La vicenda che ha visto coinvolto il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, presenta molteplici aspetti su cui riflettere.
Innanzitutto, la dissennatezza di una condotta che, senza scomodare personalissimi giudizi morali, esalta una tendenza al cupio dissolvi, quale comportamento insolitamente diffuso nella nostra classe dirigente.
Ci si chiede se i criteri con cui essa viene selezionata non vadano completamente ripensati, visto che si dà per scontato che la visibilità mediatica sia garanzia di dirittura morale, correttezza ed efficienza nell’azione amministrativa.
Non è forse un caso se molti politici sembrano oggi muoversi come personaggi in cerca di autore, disposti a tutto pur di stare sotto le luci della ribalta.
Nessuna meraviglia, quindi, se per le stesse ragioni, qualche fanciulla sia indecisa tra il fare la velina o la parlamentare a seconda delle opportunità che il papi di turno prospetta: è il paradossale ma inevitabile costo che la cattiva televisione fa pagare alla nostra gioventù meno avvertita sacrificando i suoi entusiasmi e ideali sull’altare della popolarità mediatica.
L’altro aspetto che va messo a fuoco, al di là dell’umana comprensione verso chi è precipitato in poche ore in un abisso, è come una vicenda privata sia diventata pubblica nel giro di poche ore, senza che allo sventurato protagonista sia stata risparmiata nessuna delle feroci sofferenze di un vero e proprio processo mediatico per direttissima.
Qui la barriera della privacy non è stata infranta, non c’è mai stata!
Da sabato tutta Italia è a conoscenza che il presidente Marrazzo aveva una doppia vita. Lui, vittima di un ricatto da parte di quattro carabinieri, ne diventa mediaticamente il capro espiatorio.
Non fa tanto scandalo che quattro militari della Benemerita abbiano messo su addirittura un’associazione a delinquere a fini estorsivi ai danni del governatore del Lazio, quanto le sue private frequentazioni al di sotto di ogni sospetto, la cui divulgazione urbi et orbi ne sanciscono definitivamente l’azzeramento della sua vita pubblica e privata.
Eppure, allo stato degli atti, a Piero Marrazzo non vengono mosse dai magistrati contestazioni di reato.
Chissà perché, in men che non si dica, ancor prima di fare chiarezza completa, lo hanno scaricato sia gli avversari che i suoi stessi compagni di partito.
Ci si chiede se la Casta dei politici non abbia giocato ancora una volta una torbida partita.
E’ poi veramente inqualificabile la posizione degli esponenti del Pdl che, da un lato, ne hanno chiesto a gran voce le dimissioni mentre, dall’altro, continuano a difendere la posizione assai più imbarazzante del loro premier, coinvolto in vicende giudiziarie ben più pesanti e dalle quali si è pure sottratto con numerose leggi ad personam: epocale quella dell’incostituzionale lodo Alfano.
La condanna anche in appello dell’avvocato Mills dimostra che Silvio Berlusconi, la cui posizione processuale è stata stralciata proprio grazie al lodo incostituzionale, non può continuare a fare il presidente del Consiglio senza portare pregiudizio all’istituzione che rappresenta.
Ciò che vale per fatti privati del presidente di una regione deve valere, a maggior ragione, per il capo dell'Esecutivo, quando è in corso un procedimento giudiziario nei suoi confronti con capi di imputazione di obiettiva gravità.
E persino nella vicenda Marrazzo, Silvio Berlusconi, padrone della Mondatori, lo zampino ha finito per mettercelo: ad ulteriore conferma di un conflitto di interessi talmente gigantesco da mettere in crisi qualsiasi equilibrio istituzionale.
Che il Presidente del Consiglio abbia telefonato a Piero Marrazzo soltanto qualche giorno prima (pare il 21 ottobre) che scoppiasse lo scandalo per informarlo di un video compromettente ai suoi danni ed assicurargli che il suo gruppo editoriale non avrebbe pubblicato nulla di ciò, passandogli i numeri telefonici dell’agenzia che custodiva quel materiale, è la prova del nove di come non sia mai possibile sapere, di momento in momento, se agisca in Berlusconi l’uomo di Stato o il tycoon di un potentissimo gruppo economico con infiniti tentacoli.
Infine, che dire dei quattro carabinieri?
Di loro non si sa quasi niente, tranne che i loro capi li hanno liquidati come mele marce.
Eppure al momento sono gli unici incriminati di questa fosca vicenda: a dispetto dell’essere tutori dell’ordine, hanno ricattato il governatore del Lazio distruggendone per soldi la reputazione.
Le guardie che diventano criminali: perché i media sorvolano sulla questione?
Una cosa è certa: nessuna condanna penale, fosse pure la più esemplare, potrà mai risarcire il danno immenso che essi hanno inflitto in un colpo solo ad un uomo politico, alla sua famiglia, all’immagine dei Carabinieri ed alle Istituzioni.