Approfittando della pausa ferragostana che vede allentare i ritmi della politica italiana fino a ridurla a quella che in fondo è spesso la sua essenza, cioè basso avanspettacolo dispensato generosamente per coprire mediaticamente decisioni prese altrove dai poteri forti, si è aperto un interessante dibattito sul ruolo dell’opinione pubblica in questa asfittica Italia berlusconiana.
Il tutto ha preso le mosse dall’intervento del regista Nanni Moretti che, in occasione della retrospettiva dei suoi film che il festival di Locarno gli dedica, ha denunciato l’assenza sia di un’opposizione che di un’opinione pubblica, ormai collassata sotto l’incalzare dell’unico format culturale presente in Italia, quello delle reti Mediaset.
Proseguito con una serie di interventi autorevoli che, tra i mille distinguo, confermano in sostanza la resa dell’opinione pubblica di fronte al ciclone del centrodestra che, pur non possedendo una precisa fisionomia culturale tanto da apparire in molte occasioni incoerente e contraddittorio, ha l’indiscutibile pregio di aver formulato messaggi semplici e di facile presa popolare.
Come se la gestione della cosa pubblica e lo sviluppo della società italiana nell’era della postmodernità si potesse proporre all’elettorato come la tastiera di un telecomando dove ciascuno cittadino può scegliere: più o meno sicurezza, più o meno individualismo, più o meno stato, più o meno tasse, ecc.
Il cittadino-telespettatore si è illuso di vedere affermato, con la vittoria berlusconiana, il suo diritto a poter premere il tasto giusto nella misura preferita e, dunque, di riacquistare un potere di influenza nella gestione pubblica: nulla di più improbabile e lontano dalla realtà e con il tempo si accorgerà che il telecomando virtuale che il centrodestra gli ha conferito è solo l’ennesima suggestione di una formidabile televendita messa in piedi in questi mesi, con l’amara sorpresa di non poter esercitare neppure il diritto di ripensamento.
Davvero un bel guaio accorgersi tra breve che con quell’aggeggio non si riesce a fare un bel niente e che è impossibile persino restituirlo al mittente!
Ma mentre tutto questo accadeva, la cosiddetta opposizione e l’opinione pubblica cosa ci stavano a fare? E’ questo il vero nodo della questione.
Il tutto ha preso le mosse dall’intervento del regista Nanni Moretti che, in occasione della retrospettiva dei suoi film che il festival di Locarno gli dedica, ha denunciato l’assenza sia di un’opposizione che di un’opinione pubblica, ormai collassata sotto l’incalzare dell’unico format culturale presente in Italia, quello delle reti Mediaset.
Proseguito con una serie di interventi autorevoli che, tra i mille distinguo, confermano in sostanza la resa dell’opinione pubblica di fronte al ciclone del centrodestra che, pur non possedendo una precisa fisionomia culturale tanto da apparire in molte occasioni incoerente e contraddittorio, ha l’indiscutibile pregio di aver formulato messaggi semplici e di facile presa popolare.
Come se la gestione della cosa pubblica e lo sviluppo della società italiana nell’era della postmodernità si potesse proporre all’elettorato come la tastiera di un telecomando dove ciascuno cittadino può scegliere: più o meno sicurezza, più o meno individualismo, più o meno stato, più o meno tasse, ecc.
Il cittadino-telespettatore si è illuso di vedere affermato, con la vittoria berlusconiana, il suo diritto a poter premere il tasto giusto nella misura preferita e, dunque, di riacquistare un potere di influenza nella gestione pubblica: nulla di più improbabile e lontano dalla realtà e con il tempo si accorgerà che il telecomando virtuale che il centrodestra gli ha conferito è solo l’ennesima suggestione di una formidabile televendita messa in piedi in questi mesi, con l’amara sorpresa di non poter esercitare neppure il diritto di ripensamento.
Davvero un bel guaio accorgersi tra breve che con quell’aggeggio non si riesce a fare un bel niente e che è impossibile persino restituirlo al mittente!
Ma mentre tutto questo accadeva, la cosiddetta opposizione e l’opinione pubblica cosa ci stavano a fare? E’ questo il vero nodo della questione.
Sì, gli altri saranno pure stati bravi a confezionare il kit per i primi 100 fortunati che telefoneranno subito, ma i nostri come hanno fatto a non accorgersi di nulla?
Perché la sconfitta del 13-14 aprile (lo diciamo instancabilmente da tempo!), ancor prima di essere elettorale, è stata una gravissima sconfitta culturale che ha fotografato una classe intellettuale impegnata a farsi gli affari propri ed un’opposizione del tutto sprovvista di coordinate ideologiche da contrapporre efficacemente al vento berlusconiano.
Siamo arrivati al punto di vedere il leader del Pd dichiarare di essere disposto al dialogo con il Cavaliere, superando "ogni contrapposizione ideologica": una enorme bestialità detta con grande disinvoltura e lasciata passare così, senza essere stata minimamente rimbeccata dalla cosiddetta intellighenzia. Nessuno che si sia alzato a dire: ma costui cosa sta dicendo?
Ancora, se oggi l’opinione pubblica è rimasta senza voce è proprio perché i giornali, con rare eccezioni, non hanno fatto il loro dovere malgrado ne avessero tutti gli strumenti; per non parlare delle televisioni, naturalmente.
Lo stesso linguaggio usato è l’emblema di questo decadimento culturale.
Basterebbe scorrere i titoli dei principali quotidiani di queste settimane sulla crisi tra Russia e Georgia per sondare subito a quale livello di disinformazione si è precipitati.
Si glissa quasi completamente sui più di mille morti causati dai bombardamenti del presidente filoamericano della Georgia contro l’Ossezia del sud (con la capitale Tskhinvali rasa al suolo!) che ha aperto le ostilità, per enfatizzare solo la violenta replica del Cremlino, intervenuta con caccia e carri armati in sua difesa e per impedire l’ennesima pulizia etnica ai danni della popolazione osseta.
Siamo al paradosso che, nei titoli, i quotidiani di casa nostra hanno il coraggio di presentare Bush, il presidente della guerra unilaterale in Iraq, come uomo di pace esaltando le sua parole sdegnate “E’ un golpe, ritiratevi”.
Sentire parlare di “Violenza inaccettabile” da parte sua suona veramente molto ma molto strano; peccato che i nostri quotidiani facciano finta di non accorgersene anche, se in qualche editoriale di approfondimento, le contraddizioni della politica americana emergono evidenti.
Ma il lettore che si limita sfogliare il giornale leggendo soltanto i titoli è messo completamente fuori strada.
Naturalmente, nessuno vuole minimamente difendere la risposta violenta di Putin ma si pretenderebbe un minimo di obiettività, innanzittutto nelle titolazioni, nel raccontare gli accadimenti senza voler forzare indebitamente il giudizio dei lettori per farlo propendere erroneamente da una parte, soltanto perché dietro ci sono in ballo gli interessi sempre più smisurati dell’alleato americano in una zona tradizionalmente nell’orbita russa.
Perché presentare la drammatica realtà di una guerra dietro una lente volutamente deformata?
Perché la sconfitta del 13-14 aprile (lo diciamo instancabilmente da tempo!), ancor prima di essere elettorale, è stata una gravissima sconfitta culturale che ha fotografato una classe intellettuale impegnata a farsi gli affari propri ed un’opposizione del tutto sprovvista di coordinate ideologiche da contrapporre efficacemente al vento berlusconiano.
Siamo arrivati al punto di vedere il leader del Pd dichiarare di essere disposto al dialogo con il Cavaliere, superando "ogni contrapposizione ideologica": una enorme bestialità detta con grande disinvoltura e lasciata passare così, senza essere stata minimamente rimbeccata dalla cosiddetta intellighenzia. Nessuno che si sia alzato a dire: ma costui cosa sta dicendo?
Ancora, se oggi l’opinione pubblica è rimasta senza voce è proprio perché i giornali, con rare eccezioni, non hanno fatto il loro dovere malgrado ne avessero tutti gli strumenti; per non parlare delle televisioni, naturalmente.
Lo stesso linguaggio usato è l’emblema di questo decadimento culturale.
Basterebbe scorrere i titoli dei principali quotidiani di queste settimane sulla crisi tra Russia e Georgia per sondare subito a quale livello di disinformazione si è precipitati.
Si glissa quasi completamente sui più di mille morti causati dai bombardamenti del presidente filoamericano della Georgia contro l’Ossezia del sud (con la capitale Tskhinvali rasa al suolo!) che ha aperto le ostilità, per enfatizzare solo la violenta replica del Cremlino, intervenuta con caccia e carri armati in sua difesa e per impedire l’ennesima pulizia etnica ai danni della popolazione osseta.
Siamo al paradosso che, nei titoli, i quotidiani di casa nostra hanno il coraggio di presentare Bush, il presidente della guerra unilaterale in Iraq, come uomo di pace esaltando le sua parole sdegnate “E’ un golpe, ritiratevi”.
Sentire parlare di “Violenza inaccettabile” da parte sua suona veramente molto ma molto strano; peccato che i nostri quotidiani facciano finta di non accorgersene anche, se in qualche editoriale di approfondimento, le contraddizioni della politica americana emergono evidenti.
Ma il lettore che si limita sfogliare il giornale leggendo soltanto i titoli è messo completamente fuori strada.
Naturalmente, nessuno vuole minimamente difendere la risposta violenta di Putin ma si pretenderebbe un minimo di obiettività, innanzittutto nelle titolazioni, nel raccontare gli accadimenti senza voler forzare indebitamente il giudizio dei lettori per farlo propendere erroneamente da una parte, soltanto perché dietro ci sono in ballo gli interessi sempre più smisurati dell’alleato americano in una zona tradizionalmente nell’orbita russa.
Perché presentare la drammatica realtà di una guerra dietro una lente volutamente deformata?
Ingenuamente ci chiediamo, cosa c’entra l’informazione con l’esercizio del potere?
Sarà poi il governo che, prendendosene tutte le responsabilità, farà al momento opportuno le proprie scelte di politica estera; e, l’opinione pubblica ha il diritto, da subito, di essere informata in modo obiettivo ed esauriente per poterle in seguito giudicare come meglio crede.
Se i media, invece, si mettono ad arare il terreno per le eventuali scelte che il governo assumerà in futuro, è chiaro che viene a saltare forse il cardine principale della democrazia rappresentativa.
Quando l’opinione pubblica resta senza voce, quindi, gran parte della colpa è proprio di chi agisce nella cabina di regia del circuito mediatico: cioè di coloro che, a chiacchiere, fanno finta di lamentarsi di questo deplorevole stato di cose, ma che nei fatti non muovono un dito perché qualcosa cambi; anzi!
Almeno fino a quando una risata dalla blogosfera non li sommergerà.
Sarà poi il governo che, prendendosene tutte le responsabilità, farà al momento opportuno le proprie scelte di politica estera; e, l’opinione pubblica ha il diritto, da subito, di essere informata in modo obiettivo ed esauriente per poterle in seguito giudicare come meglio crede.
Se i media, invece, si mettono ad arare il terreno per le eventuali scelte che il governo assumerà in futuro, è chiaro che viene a saltare forse il cardine principale della democrazia rappresentativa.
Quando l’opinione pubblica resta senza voce, quindi, gran parte della colpa è proprio di chi agisce nella cabina di regia del circuito mediatico: cioè di coloro che, a chiacchiere, fanno finta di lamentarsi di questo deplorevole stato di cose, ma che nei fatti non muovono un dito perché qualcosa cambi; anzi!
Almeno fino a quando una risata dalla blogosfera non li sommergerà.
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