martedì 26 giugno 2018

CALENDARIO PIDDINO

L'intervento di Carlo Calenda ieri sera a Otto e mezzo su La7 è quanto mai esplicativo del dramma esistenziale che sta vivendo un intero ceto politico. Costoro hanno vissuto per decenni di una lucrosissima rendita di posizione che gli derivava dall'aver occupato e coperto ideologicamente lo spazio politico di rappresentanza dei ceti popolari, della piccola borghesia impiegatizia, mercantile ed artigiana.
Autoproclamandosi figli della Resistenza e monopolizzandone l'offerta culturale, sono riusciti a controllare per decenni il consenso elettorale, impedendo che forze autenticamente popolari venissero fuori, anche stringendo accordi con parti del blocco conservatore afferenti alla media e grande borghesia industriale e finanziaria.
La certezza di tale posizione privilegiata passava, infatti, per l'occupazione manu militari della carta stampata ed un controllo ferreo dell'informazione radio-televisiva, non a caso affidata ad un oligopolio collusivo tra pubblico e privato.
Tutto ciò è venuto meno con l'avvento della rete che ha costruito nuovi circuiti alternativi di comunicazione sociale, policentrici, e che ha permesso la nascita di una nuova forza politica, il M5S, e la riconfigurazione su scala nazionale di un partito come la Lega, con una forte impronta territoriale, paradossalmente sollecitata proprio dalla vecchia nomenklatura ad espandersi fuori dai confini tradizionali per fronteggiare la 'minaccia' pentastellata.
Ma per l'eterogenesi dei fini, le due forze chiamate dal vecchio establishment a fronteggiarsi per annullarsi reciprocamente, hanno finito per sottrarsi ad un destino già scritto, inventandosi dopo faticosa elaborazione un inedito contratto di governo.
Insomma, è successo quello che nessuno poteva solo semplicemente immaginare fino a qualche settimana fa: da una contrapposizione detrattiva, M5s e Lega hano dato vita ad una inaspettata formulazione additiva.
Adesso la vecchia nomenklatura che fa capo al PD e a FI, dal centro della scena si vede improvvisamente sospinta ai margini dai marosi dell'indignazione di massa, spezzati gli ormeggi che ne garantivano a tempo indeterminato la permanenza in un porto politico sicuro, crocevia dei grandi affari e centro di definizione delle scelte strategiche nello scacchiere internazionale.
Ecco che Calenda, da pariolino doc e piddino dell'ultima ora, si chiede: che cosa dobbiamo fare per riconquistare il paradiso terrestre, quando ci facevamo gli affari nostri dietro una raffazzonata ma efficace copertura ideologica?
Non a caso, Calenda non ne fa una questione di contenuti (che per riflesso di nomenklatura non possono che restare gli stessi ed inconfessabili) ma di contenitori e di nuovi testimonial: cosa dobbiamo inventarci, a livello di aggregazione politica e di personaggi da lanciare nella mischia, per tornare, in quanto oligarchia, al centro della scena? Il cosiddetto 'fronte repubblicano'?
Ieri sera dalla Gruber l'unica cosa che non gli interessava chiedersi (e che, ad onor del vero, nessuno dei convenuti gli chiedeva, a parte Marco Damilano) è 'per fare cosa'.
O meglio, quello era scontato: costruire una narrazione che, con la scusa di difendere gli interessi delle masse, riporti sotto mentite spoglie la vecchia classe dirigente, l'élite, nella stanza dei bottoni.
E che le masse tornino ad essere ciò che gli oligarchi pretendono che siano da sempre: informi e acefale, ovvero soggette a tutela.
La loro, evidentemente.

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