L’inopinata uscita di Michele Serra del 28 giugno a favore della TAV nella sua Amaca su "la Repubblica", dimostra quanto sia rischioso fare l’intellettuale di professione.
A furia di restare fuori dall’agone quotidiano, grazie ai servigi di un fine intelletto che protegge il fortunato dalle incombenze dei comuni mortali, si vive così separati dal mondo reale da finire per confonderlo con la propria rappresentazione mentale.
Può capitare così che la battaglia contro la Tav, perda per strada i connotati di una sacrosanta lotta allo sperpero di denaro pubblico, all’assoluta inutilità economica dell’opera, alla distruzione ambientale su larga scala, per divenire nella testa di un intellettuale ormai d’antan una disputa tra progressisti e reazionari, tra futuristi e passatisti, tra europeisti e secessionisti, in cui, sicuramente a causa di un bug di software, i contrari alla Tav, sarebbero, loro malgrado, i secondi.
Tutto questo perché, spiega Serra, "a favore di quel buco, c’è l’Europa".
Affermazione tanto impegnativa quanto risibile.
Quale sarebbe questa Europa favorevole al buco? Quella che metterebbe solo 600 milioni di euro su una spesa complessiva di circa 20 miliardi che l’Italia, sola soletta, si dovrebbe accollare?
E poi, se l’Europa volesse davvero la TAV perché subordinerebbe il contributo all’avvio dei lavori entro il 30 giugno? Con buona pace degli europeisti.
Per il momento è accertato che dietro questa decisione ci sono molti burocrati, alcune agguerrite lobbies, gli ineffabili politici del Pdmenoelle e quelli del Pdelle.
Ma, per favore!, lasciate stare l’Europa di Giuseppe Mazzini o quella di Altiero Spinelli!
Forse un giorno, più prosaicamente, la magistratura accerterà che c’erano pure tante ma tante tangenti a decorare il paccotto per le popolazioni della Val di Susa...
In somma per l’uomo dell’amaca o mangi questa minestra o salti nella "dannazione delle Piccole Patrie, che sono la sentina di ogni grettezza reazionaria, di ogni chiusura di orizzonte. Non possiamo invocarla quando ci fa comodo, l’Europa, e maledirla quando mette il naso nel nostro cortile. O la malediciamo sempre, come fa con qualche coerenza Borghezio, o ne accettiamo lo scomodo ma autorevole patrocinio".
Così deraglia Michele Serra volteggiando verso i massimi sistemi dell’Europeismo quando il problema della TAV resta terra terra (proprio come le rotaie da piazzare sotto le Alpi!) ed è quello di valutare la sostenibilità ambientale, economica e finanziaria e l’opportunità politica, in tempi di vacche magre, di un’opera pubblica faraonica.
Ma pur di dare, chissà come mai, il proprio avallo all’avventurismo dei Fassino, dei Chiamparino, dei Bersani e di buona parte della nomenklatura democratica, Serra casca malamente dalla sua Amaca.
Sperando che non si sia fatto troppo male, aspettiamo una release di correzione: L’Amaca 2.0.
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