La strage di Brindisi, una bomba collocata di fronte ad una scuola per straziare giovanissime vite innocenti, è un atto mostruoso che nella sua crudeltà assassina avrebbe potuto mietere ancora più vittime.
Ad esse e alle loro famiglie va, prima di ogni altra considerazione, l'omaggio e la solidarietà di tutti noi.
Chi ha progettato ed attuato un simile scempio è sicuramente un criminale sanguinario ed una mente malata ma la sua follia e la sua depravazione morale riflettono una logica lucidissima: quella di gettare nel panico l'intera comunità nazionale per stabilizzare la situazione politica del nostro Paese, in un passaggio della sua storia particolarmente tormentato ma foriero, per certi versi, anche di sviluppi interessanti per la sua evoluzione democratica.
Questo scorcio di 2012, fino a stamattina, ci aveva portato non solo crisi e disperazione ma anche la promessa di un possibile salto di qualità nella vita pubblica, ora che i cittadini finalmente riassaporano il gusto dell'impegno civile, il diritto-dovere alla partecipazione alla vita istituzionale, mettendo all'angolo il sistema dei partiti che ci ha ridotto nella miseria morale e materiale.
Purtroppo l'attentato contro gli studenti di Brindisi rischia di tarpare le ali proprio all'anelito di libertà e democrazia che accomuna sempre più cittadini, della più diversa estrazione sociale, tutti determinati a chiedere alla vecchia politica un doveroso e non più procrastinabile passo indietro.
Un attentato probabilmente messo in atto dalla criminalità organizzata ma pianificato in ben altri ambienti da menti raffinatissime per rispondere alla necessità di stabilizzare un quadro politico che di giorno in giorno si fa sempre più compromesso, privo com'è di qualsiasi sostegno popolare.
Forse la regia di questo bagno di sangue proviene proprio da quegli stessi settori deviati dello Stato che vent'anni fa traghettarono l'Italia dalla prima alla seconda repubblica siglando un patto scellerato con la mafia, culminato con l'isolamento del giudice Borsellino, il depistaggio delle indagini sulla strage di via D'Amelio e la successiva mancata perquisizione del covo del boss Totò Riina del gennaio 1993, all'indomani della sua cattura.
In queste terribili ore sono cominciate a fioccare le dichiarazioni di chi invita ad un ricompattamento del fronte politico per dare alla pubblica opinione la sensazione di una risposta unitaria dello Stato.
Risposta che potrebbe passare proprio per quel giro di vite sulle libertà civili in nome di una malintesa tutela della sicurezza pubblica.
Perché la sicurezza pubblica si sarebbe dovuta garantire molto prima dando, per esempio, un nome e cognome non solo agli esecutori ma ai mandanti delle stragi di Stato, a partire da quella di piazza Fontana del 1969, che restano tutte misteriose e impunite.
Attendiamoci ora il florilegio di dichiarazioni più o meno di circostanza, le facce contrite della Casta che, oggettivamente e senza bisogno di formulare chissà quali cattivi pensieri, vede in questo modo allentare su di essa la pressione e l'indignazione dell'opinione pubblica, frastornata e impaurita.
Ma questa volta chi tenta di riproporre la funesta strategia della tensione non sa di trovarsi di fronte una società civile molto più matura e culturalmente preparata di vent'anni fa, non disposta più a cadere nella trappola della mistificazione e dell'inganno.
Ce ne accorgeremo presto, già dal modo con cui prenderanno quota le indagini di magistratura e forze dell'ordine, se il tempo non è trascorso invano e il copione è finalmente diverso dal passato.
La comunità nazionale è chiamata ad una prova di maturità per tenere alta la guardia contro il rischio di possibili spinte eversive e i tentativi mai fugati di una svolta autoritaria.
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