giovedì 30 agosto 2012

Il Quirinale si difende (da solo!) soltanto con la trasparenza

Dopo le fasulle rivelazioni di Panorama, settimanale di proprietà berlusconiana, sul contenuto delle telefonate intercorse tra il Capo dello Stato e Nicola Mancino, già ministro dell'Interno nel biennio stragista 1992-93, è evidente a tutti che la Presidenza della Repubblica è sotto attacco da parte della destra guidata dall'ex premier.
Non importa che le telefonate non siano state rese pubbliche e restino secretate nella cassaforte della Procura di Palermo.
A questo punto, potrebbero pure essere già state distrutte, ma la cappa di sospetti e veleni che ammanta il Quirinale è tutta lì a dimostrare che di certo Giorgio Napolitano questa volta non se la potrà cavare solo con la dura nota diramata quest'oggi e che suona quantomai contraddittoria:
"La 'campagna di insinuazioni e sospetti' nei confronti del Presidente della Repubblica ha raggiunto un nuovo apice con il clamoroso tentativo di alcuni periodici e quotidiani di spacciare come veritiere alcune presunte ricostruzioni delle conversazioni intercettate tra il Capo dello Stato e il senatore Mancino. Alle tante manipolazioni si aggiungono, così, autentici falsi. Il Presidente, che non ha nulla da nascondere ma valori di libertà e regole di garanzia da far valere, ha chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi in termini di principio sul tema di possibili intercettazioni dirette o indirette di suoi colloqui telefonici, e ne attende serenamente la pronuncia. Quel che sta avvenendo, del resto, conferma l'assoluta obbiettività e correttezza della scelta compiuta dal Presidente della Repubblica di ricorrere alla Corte costituzionale a tutela non della sua persona ma delle prerogative proprie dell'istituzione. Risibile perciò è la pretesa, da qualsiasi parte provenga, di poter "ricattare" il Capo dello Stato. Resta ferma la determinazione del Presidente Napolitano di tener fede ai suoi doveri costituzionali. A chiunque abbia a cuore la difesa del corretto svolgimento della vita democratica spetta respingere ogni torbida manovra destabilizzante".

Perché il presidente, con il suo comportamento di resistenza alla pubblicazione delle intercettazioni, tende oggettivamente a potenziare la carica dirompente di quelle possibili manovre destabilizzanti.
Se è vero, come egli afferma (e come non abbiamo ragione di dubitare), che sia risibile il tentativo di ricatto nei suoi confronti, ha solo un modo per dimostrarlo: rendere pubbliche quelle conversazioni e ritirare il lacerante conflitto di attribuzione nei confronti della Procura di Palermo.
Non c'è altra strada!
Come da settimane i giornalisti del Fatto Quotidiano, Beppe Grillo e, in Parlamento, il solo Antonio Di Pietro, non si sono stancati di fargli capire in tutti i modi possibili,  Giorgio Napolitano, ascoltando i cattivi consiglieri che lo attorniano dentro e fuori il palazzo presidenziale, ha finito per ficcarsi spontaneamente in un vicolo cieco.
E sono stati gli unici che, a viso aperto e con grande lealtà, gli hanno dimostrato inoppugnabilmente che tra il resistere asserragliato dentro il Palazzo dietro presunte prerogative costituzionali (che Costituzione alla mano, non esistono!), il tutto per non rivelare il contenuto di quelle conversazioni, e il renderle una volta per tutte pubbliche, rinunciando pure ad un pericolosissimo precedente quale il ricorso alla Consulta secondo il parere spassionato di insigni giuristi come Franco Cordero e Gustavo Zagrebelsky, la seconda strada risulta inequivocabilmente la migliore, anzi l'unica ragionevolmente percorribile per limitare al massimo i danni alle nostre istituzioni ed eliminare sul nascere qualsiasi torbido tentativo di usare strumentalmente questa vicenda.
Del resto, a fronte di conversazioni private sicuramente non all'altezza della considerazione che gli Italiani nutrono per il loro anziano presidente (altrimenti egli non indugerebbe tanto a farle rendere note, diversamente da come si è regolato per quelle con l'ex capo della protezione civile, Guido Bertolaso), l'insistere nel tenerle nascoste a tutti i costi, dimostra sfiducia proprio nei loro confronti e nel loro grado di maturità.
Perché gli Italiani dovrebbero allora continuare a fidarsi del loro Capo dello Stato se questi dimostra, con la sua reticenza, di non ricambiarla?
Distrutte che fossero quelle telefonate e con ricorso alla Consulta necessariamente vinto (dato il peso massimo della sua istanza), forse che la figura istituzionale del Presidente della Repubblica non sarebbe maggiormente esposta ad ogni più bieca manovra di corridoio ed a qualsivoglia illazione, tanto da minarne irrimediabilmente il prestigio personale ed  a svilirne il ruolo essenziale esercitato nell'equilibrio costituzionale?
Come si vede, purtroppo, non ci sono altre chance per Giorgio Napolitano.
Per smontare il ricatto in essere (così poco risibile da rendere imperativa la sua immediata e  dura nota), l'unica strada resta la trasparenza!

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