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domenica 16 febbraio 2014

Renzi ripropone le larghe intese con il Pregiudicato d'Italia

Il ciclone Renzi che ha abbattuto d'improvviso e in sole 48 ore il governo Letta, senza un doveroso passaggio parlamentare, riporta agli antichi fasti la stagione delle larghe intese
Perché il tentativo del sindaco di Firenze può spiegarsi unicamente con l'aver ricevuto l'esplicito inconfessabile nulla osta di Silvio Berlusconi, il Pregiudicato d'Italia. Altrimenti la sua iniziativa fallirebbe già in queste ore, ancor prima che il suo governo possa accendere i motori.
O Renzi è uno squilibrato, ma non abbiamo motivo di pensarlo, oppure la riedizione delle larghe intese, riveduta ed edulcorata con le bischerate del guitto fiorentino, è ai nastri di partenza, con un orizzonte temporale che comunque resta incerto.
Sono i numeri che lo dicono: il perimetro del futuro governo Renzi è lo stesso, identico, di quello di Letta. Ragione per cui il programma politico non potrà in nulla deviare da questo: Renzi potrebbe comodamente riciclare lo sbiadito Impegno Italia, approntato solo lunedì scorso dal nipote di suo zio, senza neppure fare la fatica di riscriverlo e magari neppure di rileggerlo. 
Sì, certo, potranno cambiare alcune figure dell'esecutivo, come l'impresentabile Cancellieri. Ci potrà essere l'ingresso di personalità carismatiche come Epifani, l'inevitabile sostituzione di Saccomanni all'Economia, ma la politica economica di questo governo, elemento decisivo per tratteggiarne la fisionomia, non potrà differire di una virgola da quella del governo Letta: una supina accettazione dei diktat europei, una cieca e cronica austerity che proseguirà per mancanza di liquidità, le privatizzazioni di buona parte dei pochi gioielli di famiglia rimasti (Eni, Enel, Finmeccanica), la necessità di nuovi tagli alla spesa e l'introduzione ormai imminente di una tassa sui depositi bancari e sulla ricchezza finanziaria in tandem con una rimodulazione di quella sulla proprietà immobiliare, ovvero la famosa patrimoniale che i tedeschi, non avendo alcuna intenzione di venire in nostro soccorso, ci vogliono imporre da tempo.
In fondo, è l'esatto contrario di quello che solo fino ad una settimana fa Renzi si era impegnato a fare, lasciando libertà di movimento ad Enrico Letta, in attesa di prenderne il posto dopo le prossime elezioni politiche anticipate. 
Come sia possibile che Renzi possa compiere un simile voltafaccia, una mossa così avventata e autolesionista, sembra un mistero. Qui non si tratta di rischiare il tutto per tutto, come lui stesso ha già ammesso, ma di consegnarsi anima e corpo al Pregiudicato. 
Una condotta apparentemente dissennata: infatti, cosa accadrebbe se non dovesse trovare i numeri per ottenere la fiducia? Di certo, passerebbe alla storia come il kamikaze del PD! 
Insomma, Renzi affida il suo destino politico nelle mani di Berlusconi e dei suoi bravi... se non è questo un suicidio politico!
Ma se questo puzzle non torna, forse può voler dire che le cose non stanno proprio come ci vengono presentate.
E' molto strano che, come si mormora da più parti dentro al PD, la "profonda sintonia" con il Pregiudicato d'Italia dichiarata giorni fa da Renzi a Largo del Nazzareno a conclusione dell'incontro con quest'ultimo sulla legge elettorale e sulle riforme costituzionali (un pessimo biglietto di presentazione!) non coinvolga evidentemente anche la partita del governo, cosa che anche sul piano logico sembrerebbe scontata.
Non si capisce infatti come sia possibile per i due compagni di merende fare le riforme costituzionali insieme, d'amore e d'accordo, e poi schizofrenicamente farsi la guerra all'ultimo sangue sul governo: una buffonata a cui nessun italiano, con un minimo di spirito di osservazione, potrebbe mai abboccare.
Come riconosce pure il corazziere Eugenio Scalfari, nell'odierno messale,  il programma economico di Renzi non si differenzia in nulla da quello di Forza Italia:
   
"Renzi si è impegnato a non fare governi con Forza Italia e — si spera — manterrà l’impegno, ma gli accordi con Berlusconi si estendono ad una buona parte del suo programma di riforme. Non comprendono la politica economica e i provvedimenti che la riguardano. Ma, nelle ancora vaghe dichiarazioni di Renzi in proposito, non si ravvisano sostanziali diversità da Forza Italia: sgravi ai lavoratori e alle imprese e quindi cuneo fiscale ridotto per quanto possibile; prevalenza del contratto di lavoro aziendale su quello nazionale; nuove forme di ammortizzatori sociali; semplificazione delle procedure, più elasticità finanziaria rispetto ai vincoli di Bruxelles; diminuzione delle tasse e tagli delle spese.
Queste finora sono le dichiarazioni di Renzi. Ricordano sia quelle di Letta sia quelle di Squinzi e della Confindustria, sia quelle della Cgil, sia quelle di Forza Italia quando ancora si chiamava Pdl."

Il renzismo non è altro che la continuazione del berlusconismo in forme più adeguate ai tempi sul piano della comunicazione: in sintesi, il cinepanettone che diventa pratica di governo. 
Di qui la necessità impellente di Renzi di rompere gli indugi per piazzare i suoi uomini prima che lo spoils system di Letta ne potesse bloccare la proliferazione.
Ma a questo punto si capisce anche perché Napolitano non lo abbia rinviato alle Camere. 
Al contrario di ciò che afferma Scalfari infatti presentarsi alle Camere avrebbe fatto emergere di fronte al Paese i veri motivi di questo affrettato e inopinato cambio in corsa: ovvero, il riemergere della figura del Pregiudicato come eminenza grigia del nuovo esecutivo, vero mattatore delle larghe intese. 
Ciò spiega pure perché Re Giorgio non abbia trovato nulla di disdicevole nell'accogliere al Quirinale il frodatore fiscale, in predicato di scontare la pena, per le Consultazioni.
Anche in questo caso, la figura di Napolitano che ormai dal Colle gioca una partita politica a tutto campo, infischiandosene di ciò che prescrive la Costituzione riguardo alla sua funzione super partes, ne esce a pezzi. Quando l'arbitro non solo inizia a fischiare i rigori esclusivamente a favore di una squadra ma lui stesso inizia a calciarli per infilare la porta dell'Opposizione, vuol dire proprio che lo stato democratico è giunto al capolinea: chiamatelo, se volete, un nuovo 8 settembre.
Ma una ultima riflessione va a questo punto fatta: possibile che dentro il PD lascino agire indisturbato il kamikaze Renzi  e osservino indifferenti le macerie ideologiche che sta causando, senza muovere un dito? Dà tanto la sensazione che il Pregiudicato d'Italia, proprio grazie a Renzi, abbia ormai ultimato la scalata a questo partito, la cui nomenklatura resta inerte, intenta solo ad occultare i troppi scheletri nell'armadio.
Insomma, non solo ancora non è ancora stata fusa la chiave per la cella del Pregiudicato ma è proprio lui a possedere la combinazione di qualche cassaforte dal contenuto scottante e, quindi, giocoforza a comandare le danze.


mercoledì 11 dicembre 2013

Il silenzio di Napolitano sulle minacce al pm Di Matteo

Purtroppo sono cronaca di questi giorni le rinnovate gravissime minacce rivolte dal boss mafioso Totò Riina contro il pm Nino Di Matteo, magistrato che indaga sulla trattativa Stato-mafia. 
Minacce sempre più gravi e circostanziate tali da premurare i responsabili dell'ordine pubblico ad elevare al massimo livello operativo la protezione di questo magistrato a cui viene caldamente suggerito di usare per gli spostamenti quotidiani non più la macchina blindata ma un Lince, un carro armato come quelli usati dai nostri soldati in Afganistan. 
Palermo come Kabul, si direbbe. 
Soltanto questa semplice ma paradossale analogia dovrebbe far riflettere tutti sulla drammaticità del momento mentre la magistratura, abbandonata dalla politica ad inseguire la legalità su un crinale sempre più insidioso, manda a processo pezzi dello Stato per venire a capo di quel patto scellerato che venne sancito vent'anni fa tra suoi apparati, più o meno deviati, e i boss mafiosi per fermarne l'azione stragista. Come non ricordare infatti gli assassini politici, la mattanza di Capaci e di via D'Amelio, le bombe di Roma, Firenze, Milano?
A parte la necessità di interrogarsi sul perché proprio adesso ci sia questa escalation di minacce da parte del boss mafioso di Corleone, che, al limite, dovrebbe essere contento che finalmente la giustizia italiana faccia piena luce su chi sia stata la sua controparte istituzionale di quella convergenza eversiva visto che, finora, a pagarne le conseguenze giudiziarie sono stati soltanto i boss di Cosa nostra, la domanda che scuote le coscienze e che inquieta i cittadini onesti, insieme al timore che Di Matteo non venga protetto abbastanza dallo Stato (anche semplicemente per carenza di risorse o per le possibili inefficienze dell'apparato di sicurezza), è un'altra ed è, se possibile, più allarmante.
Come mai il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di fronte all'inasprimento della sfida mafiosa contro uno dei magistrati di punta sul fronte della criminalità organizzata, non si è sentito in animo di pronunciare una parola, che sia una, di solidarietà e di conforto nei suo confronti? 
Perché, nonostante siano arrivate, da più parti, pubbliche sollecitazioni in questo senso, particolarmente accorate e vibranti, colui che dovrebbe incarnare l'unità nazionale ed essere il primo tra i cittadini, ancor oggi non si sente in dovere di esprimere a nome del popolo italiano un gesto simbolico di apprezzamento, di stima e di vicinanza verso un magistrato così impegnato nella lotta alla mafia, fatto oggetto reiteratamente dell'intimidazione criminale?
Non vogliamo credere che, tra un monito e l'altro, nel suo irrituale protagonismo sulla scena politica, che molti autorevoli osservatori valutano da tempo oltre il tracciato costituzionale, il presidente della Repubblica non abbia trovato il tempo e la determinazione per fermarsi a riflettere in merito. 
Disponibilità che pure ha mostrato nel sottoscrivere, nell'ambito del processo sulla Trattativa, una lettera indirizzata al Presidente della Corte d'Assise di Palermo tre settimane fa,  nella quale, in qualità di teste ammesso a deporre sui contenuti di una missiva inviatagli dallo scomparso consulente giuridico Loris D'Ambrosio, sostiene di non avere nulla da riferire e quindi di voler evitare la testimonianza (benchè una successiva nota del Quirinale abbia smentito questa intenzione).
In una stagione politica così travagliata, non vorremmo che questa grave inadempienza di Napolitano, che vorremmo attribuire a sciatteria dei suoi uffici, si riverberi negativamente sulla Presidenza della Repubblica, proprio mentre a Milano un sit-in di cittadini davanti all'aula bunker dove è in corso un'udienza di quel processo (che deve registrare l'assenza forzata di Di Matteo proprio per motivi di sicurezza), esprime a questo valoroso magistrato quella solidarietà che dal Colle finora è clamorosamente mancata.

domenica 27 ottobre 2013

L'europeismo alla Scalfari, polpetta avvelenata per l'Italia

"Grillo minaccia l'impeachment. Sarei lieto che lo proponesse, si vedrebbe così la sua assoluta inconsistenza e il suo intento soltanto provocatorio. E si vedrebbe  -  ma questo è già del tutto palese  -  che finora i deputati Cinque stelle studiano e sono pieni di volontà del fare ma non sanno sottrarsi agli ordini dei due proprietari di quel movimento che ora si presenteranno alle elezioni europee sulle stesse posizioni della Lega separatista francese guidata dalla figlia del fondatore, su posizioni nazionaliste, anti-euro, anti-Europa federale. Posizioni di destra estrema, con i pericoli tremendi che ne conseguono.
Gli elettori italiani lo seguiranno? Spero di no, ma non ne sono affatto convinto. L'Europa non va bene così, ma un medico curante come il grillismo la porterebbe a rapida sepoltura e con essa, naturalmente, anche noi."
(Eugenio Scalfari, editoriale odierno su la Repubblica)
C'è da chiedersi come sia possibile che un giornalista scafato come Scalfari possa affastellare insieme così tante gratuite amenità, unite insieme solo da sentimenti di irritazione e di ripulsa nei confronti di chi, come Beppe Grillo, per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana, pone al centro della riflessione politica e del dibattito pubblico la centralità del cittadino nella determinazione delle scelte collettive.
In questo modo, accusando gli altri di populismo (ma dov'è l'infamia?) cerca furbescamente di sottrarsi all'inevitabile resa dei conti che prima o poi arriverà sulle gravissime responsabilità di questi anni della nostra classe dirigente, in primis la sciagurata scelta dell'ingresso nell'euro senza negoziare condizioni minime di permanenza e di sopravvivenza all'interno della gabbia della moneta unica. 
Perché il processo di integrazione monetaria europea è stato quanto di più antidemocratico si potesse concepire, già in partenza del tutto sottratto alla volontà popolare, con effetti devastanti ormai persino sulla tenuta del tessuto sociale. 
Perchè è stata proprio la scelta suicida di consegnare la sovranità monetaria e, conseguentemente, fiscale ed economica nelle mani di una burocrazia europea fatta di nominati (da chi? ma il borghese Scalfari non se lo chiede, preso com'è ad ammirare il proprio ombelico...) a spingere giù il nostro Paese in una spirale deflazionistica e recessiva che ha distrutto in pochi anni la seconda industria manifatturiera d'Europa, condannandoci ad una decadenza economica, finanziaria, poltica e morale mai vista in cinquecent'anni di storia, dal Rinascimento in poi.
Tanto per afferrare all'istante il grande imbroglio dell'Euro, basti pensare, come giustamente ha obiettato in tv l'economista Claudio Borghi, che da mesi le cosiddette 'larghe intese' hanno inscenato l'indecoroso teatrino, ad uso e consumo dei media per preparare il pastone quotidiano da dispensare dalla mattina alla sera al popolino (è così purtroppo che ci vedono i nostri politici di Pd e Pdl), dell'Imu sì e Imu no (che vale sulla prima casa non più di 2 miliardi e 700 milioni di euro), quando poi Bankitalia ci avverte che finora sono stati versati a fondo perduto dall'Italia al MES (il cosiddetto Fondo Salva Stati europeo), qualcosa come oltre 51 miliardi di euro!!! Evidentemente all'insaputa ma sulle spalle degli Italiani, brava gente... 
Scriveva Federico Fubini qualche giorno fa spudoratamente proprio sul giornale di Scalfari (che naturalmente non se ne accorge):
"Con l'Esm di fatto inservibile per le banche, l'Italia in recessione e indebitata inizia a sussidiare una Germania sana e in ripresa. Possibile?
L'Esm ha una forza di fuoco potenziale di 700 miliardi di euro, raccolti in gran parte emettendo bond sui mercati. La sua base però è il capitale versato direttamente dai governi dell'area euro. La settimana scorsa hanno tutti trasferito la quarta tranche, per un totale di 64 miliardi, e entro la prima metà del 2014 si arriverà a ottanta. Poiché la Germania è primo azionista con una quota del 27,14%, ha già pagato al fondo europeo 17,3 miliardi e alla fine dovrà versarne 21,7. L'Italia, che è terzo azionista con il 17,91% (secondo è la Francia), ha versato 11,4 miliardi e nel 2014 saranno 14,3.
Le risorse pagate dal governo di Roma, se solo fossero rimaste in Italia, probabilmente basterebbero a gestire i problemi delle banche. Invece sono immobilizzate nell'Esm a Lussemburgo. Ciò sarebbe utile nel caso in cui il fondo europeo potesse essere usato per le banche senza prima distruggere la fiducia degli investitori. Per ora però di quei soldi dell'Esm si fa un uso diverso: vengono investiti prevalentemente in titoli di Stato tedeschi. Ciò contribuisce, con i soldi dei contribuenti italiani, a ridurre i tassi sui Bund e su tutto il sistema finanziario in Germania, quindi ad allargare lo spread e lo svantaggio competitivo delle imprese in Italia.
L'Esm non comunica in dettaglio come gestisce il capitale affidatogli, ma i criteri sono chiari: non può comprare titoli con rating sotto la "doppia A" (dunque Italia e Spagna sono fuori) e compra "attività liquide di alta qualità". Dunque certamente in buona parte Bund tedeschi.
È una scelta comprensibile, ma di fatto ciò significa che l'Europa del Sud sta sussidiando la Germania, senza poi poter attingere all'Esm per sostenere le proprie banche.
C'è poi un secondo, sostanziale trasferimento di risorse da Sud a Nord. Nel 2011 la Banca centrale europea acquistò circa 100 miliardi di euro in Btp in una fase in cui i rendimenti arrivarono anche a toccare l'8%. Fu un rischio e una scelta provvidenziale. Ma da allora il valore di quei titoli italiano è salito, in certi casi, anche di più del 20%. E il governo italiano ha onorato alla Bce cedole per oltre dieci miliardi in tutto. La Bce non aveva mai guadagnato tanto con un solo investimento e la Bundesbank, suo primo socio, ne beneficia per circa un terzo. Anche quei soldi sono andati dall'Italia al contribuente tedesco. Peccato che nessuno gliel'abbia mai spiegato."
Chi è veramente antieuropeista? Grillo o Scalfari che si atteggia a suo fustigatore ma 'dimentica' quanto sta costando l'euro alle famiglie italiane: forse perché questa scelta sciagurata affonda nella carne viva di tanti operai, impiegati, pensionati, casalinghe, esodati, disoccupati, sottoccupati ma non di gente come Scalfari che continua a navigare nell'oro nello stesso momento in cui regge il moccolo alla Merkel...
Chi favorisce il nazionalismo, le destre, la xenofobia sono proprio questi personaggi che si dichiarano di sinistra ma che la sinistra hanno svenduto da tempo sull'altare dei grossi poteri finanziari internazionali.
Quanto a Napolitano, simbolo di questa sciagurata stagione in cui il governo non solo è nato ma resta a galla grazie alle promesse fatte al Pregiudiucato (adesso amnistia-indulto?), di fatto non rappresenta più gli Italiani, tanto meno è super partes ma agisce ormai come un premier in pectore di una parte politica, in palese  dispregio delle norme costituzionali: magari si fosse limitato a fare il notaio!
Dopo lo scivolone della convocazione al Quirinale di un vertice di maggioranza sulla legge elettorale ormai ha perso la necessaria autorevolezza istituzionale: bene hanno fatto i parlamentari del M5S a non partecipare alla farsa delle convocazione tardiva delle opposizioni al Colle.
L'impeachment chiesto dal M5S è politicamente un atto dovuto per l'opposizione.
E' chiaro che non passerà (a causa di questa classe politica di impresentabili di cui Napolitano, non a caso, è il  garante) ma in questo modo il Pd dimostra urbi et orbi che, per difendere pregiudizialmente un suo uomo, agisce proprio come ha fatto il Pdl  in questi anni,  secondo la stessa logica di clan. 
Non ci si può poi meravigliare, o ipocritamente scandalizzare, dei vari Brunetta, Fitto, Santanché, Gasparri che fanno guerriglia verbale h 24 per conto di Berlusconi.
Caro Scalfari, ma ci faccia il piacere!

sabato 10 agosto 2013

Nonostante la Cassazione, l'estate italiana resta storia di ordinaria ingiustizia

Intanto che il Quirinale riflette su come garantire l'agibilità politica al pregiudicato Silvio Berlusconi ovvero come restituirgli una nuova verginità, in barba allo slogan di una vecchia campagna pubblicitaria "la legge è uguale per tutti", in Italia succedono molte altre cose:

- un pizzaiolo di Albisola  in un pomeriggio di luglio, assolato inutilmente di sedie vuote, ha l'ardire di servire al tavolo una coppia di turisti: errore grave, 5.000 euro di multa da parte degli zelanti agenti della polizia municipale perché la sua licenza non contempla la somministrazione al pubblico ma solo la vendita della pizza al taglio;

-  un artista di strada a Venezia viene placcato da ben sette agenti della polizia municipale e finisce  in acqua insieme alle sue tele: la sua grandissima colpa è di sbarcare il lunario vendendo quadri ai turisti senza il necessario permesso comunale, che lui afferma di aver richiesto più volte;

- senza lavoro e senza casa, una famiglia (madre, padre e tre figli) vive in una capanna nei boschi dell'aretino e il comune ci fa sapere che è in carico ai servizi sociali e se vivono così "è per una loro scelta".
Evviva la libertà, ci verrebbe da dire, evviva uno Stato che si fa in quattro per garantire a tutti i diritti di libertà, anche quello, magari eccentrico, di vivere in una capanna, come ai tempi di Cappuccetto Rosso;

- il fatto, adesso rilanciato come scoop da Sergio Rizzo sul Corriere della Sera ma in verità  noto da tempo, delle pensioni di platino (d'oro non rende l'idea!) di cui beneficiano dirigenti della Telecom e dell'Enel ma anche numerosissime altre categorie di dirigenti pubblici: il recordman è Mario Sentinelli, ex dirigente della compagnia telefonica, che si aggiudica 91.337, 18 euro lordi al mese.
Costoro, dulcis in fundo, a questi vitalizi faraonici possono aggiungere pure lo stipendio che percepiscono per gli incarichi che continuano a svolgere!
Di questa storia, Beppe Grillo ne ha fatto un suo particolare cavallo di battaglia, denunciandola da par suo durante l'ultima campagna elettorale: tagliare le pensioni sopra i 5.000 euro al mese per risparmiare 7 miliardi di euro l'anno.
Ma finora la classe politica Pd-Pdl ha fatto orecchie da mercante: ci si è poi messa pure la Corte Costituzionale a sancire poco tempo fa "l'illegittimità del contributo di perequazione sulle pensioni di importo superiore a 90.000 euro (annui)", il famoso contributo di solidarietà che adesso l'Inps sta restituendo ai fortunati pensionati: il colmo del paradosso. 
Come chiarisce Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera di oggi, ci sono diritti acquisiti di serie A e diritti di serie B: per cui mentre l'ex ministro del Welfare (si fa per dire) Elsa Fornero ha falcidiato le pensioni di milioni di poveracci che hanno perso persino la perequazione automatica al costo della vita, i diritti dei megadirigenti della prima e seconda repubblica sono intangibili per grazia divina;

- bruciano i boschi e le montagne di mezza Italia e si scopre improvvisamente (ma il fatto era noto da tempo) che la spending review del gigante dell'Economia, il professorissimo Mario Monti, ha tagliato i fondi per i mezzi antincendio. Pensiamo di immaginare la prontezza di spirito del nostro ministro della Difesa Mario Mauro con il suo fortunato slogan "Armiamo la pace" che decisamente preferisce gli F35; ma anche l'improvviso stupore del presidente della Commissione Bilancio della Camera, il piddino Francesco Boccia, fresco di studi sull'utilità di spendere in questo modo 12,1 miliardi (cifra dichiarata dal ministro Mauro nel question time alla Camera) che in un famosissimo tweet di qualche settimana fa sentenziò: «In sostanza non si tratta di fare guerre, con gli elicotteri si spengono incendi, trasportano malati, salvano vite umane #F35». Ieri l'impareggiabile Mauro ha così risposto al collega di partito Mauro Pili (Pdl) che ricordava che con un F35 si sarebbero potuti comprare ben 8 Canadair, i famosi aerei antincendio. "Se tolgo un F35 è chiaro che, sul piano della pura logica, posso fare un asilo una scuola, un ospedale, acquistare un aereo antincendi... Ma potremo anche rovesciare l'onere della prova. Il programma F35 è partito 20 anni fa, dovevano essere 150 aerei, oggi siamo arrivati ipoteticamente a 90. Con i 60 tagliati, quante scuole, quanti asili e quanti Canadair sono stati comprati?''.
Decisamente fuori dal comune la profondità di pensiero dei membri di Comunione e Liberazione...

E mentre Napolitano, dopo essersi inopinatamente dichiarato favorevole ad una riforma della giustizia, appena pronunciata la sentenza definitiva della Cassazione  quasi a volerne limitare gli effetti, facendo la felicità del Pdl ed essere tornato di corsa a Roma dalle vacanze altoatesine per dare udienza ai suoi capigruppo, i due Renati, Schifani e Brunetta, saliti al Colle per chiedere spudoratamente addirittura la grazia per Berlusconi (cosa che, anche solo tecnicamente, è impossibile) si è chiuso in una pausa di riflessione (almeno così la chiamano al Quirinale), Berlusconi alza ulteriormente i toni e gli lancia platealmente il guanto della sfida a mezzo stampa (di famiglia): "Ultimatum di Silvio: 7 giorni".

"Dura lex, sed lex" dicevano gli antichi romani. Difficile tacitare così il pizzaiolo di Albissola, l'artista di strada di Venezia, la famiglia aretina, i 4 milioni di pensionati al minimo con i loro 500 euro, coloro che perdono tutto (ma proprio tutto: casa, affetti, bestiame) per colpa degli incendi boschivi, o chi incorre nella vita di tutti i giorni nelle ire della pubblica amministrazione da placare solo attraverso il pagamento di cospicue sanzioni pecuniarie, se poi alla TV vedi un condannato come Silvio Berlusconi tenere banco nella partita istituzionale, assestando schiaffi non solo alla magistratura ma persino al Presidente della Repubblica. 
Schiaffi morali, naturalmente: ma la precisazione non ci consola affatto. Anzi.

lunedì 25 febbraio 2013

Stavolta Napolitano lo ha sentito il boom?

Di fronte ai dati che provengono dal Viminale ed alle proiezioni sempre più consolidate che sciorinano risultati sensazionali per il Movimento 5 Stelle, prima forza politica italiana alla Camera e terza al Senato, prima in ben otto regioni italiane, non si può più nemmeno parlare di un boom, è qualcosa di molto più amplificato che fa letteralmente tremare i vetri dei Palazzi romani e molti dei suoi attuali inquilini. 
Nel maggio scorso, sappiamo che il presidente Giorgio Napolitano aveva avuto difficoltà ad accorgersene: lui, alla vigilia del ballottaggio delle amministrative, di fronte alla storica affermazione della lista a 5 Stelle in tante città aveva dichiarato che non aveva sentito nulla e che di boom si ricordava solo quello economico degli anni Sessanta.
Questa volta speriamo che l'onda sonora del trionfo elettorale dei ragazzi di Beppe Grillo abbia scavalcato le alte mura del Quirinale e che almeno un bisbiglio lo abbia percepito pure lui, così pronto a suo tempo ad ascoltare le lamentele dell'ex ministro degli Interni Nicola Mancino sull'inchiesta stato-mafia.
Un boom fragoroso: senza soldi, senza o quasi un manifesto in tutta Italia, senza le gigantografie con cui gli altri leader politici hanno imbrattato interi quartieri a spese del contribuente,  solo con il cuore e tanta voglia di mettersi a disposizione della comunità, con quel briciolo di magica incoscienza giovanile.
Presidente Napolitano, allora ha sentito niente??

giovedì 21 febbraio 2013

E Monti preme sull'acceleratore dello spread...

Basta sfogliare i quotidiani di stamattina, navigare tra i siti delle principali testate giornalistiche, per avere una rappresentazione plastica del terrore che ha invaso la Casta fino al punto di violare elementari regole di correttezza costituzionale.
Così il Presidente del Consiglio in carica, Mario Monti, in tandem con Berlusconi, semina panico sui mercati finanziari additando Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle come un pericolo per l'Italia.
Questa non la possiamo liquidare come semplice polemica elettorale dai toni troppo accesi in corso di svolgimento nel cortile di casa nostra.
Qui abbiamo il presidente del Consiglio, a cui guarda con interesse la tecnocrazia europea ma che nessun Italiano ha mai votato, scendere nell'arena politica, premendo deliberatamente sull'acceleratore dello spread con le sue dichiarazioni tanto allarmistiche quanto ingiustificate, per turbare la vigilia della competizione elettorale e condizionare con la paura il voto degli Italiani.
Un comportamento gravissimo, che meriterebbe l'immediata sanzione solenne del Capo dello Stato, se non fosse che l'attuale inquilino del Colle, il novello Re Sole che nessuno può neppure più indirettamente intercettare, è il suo principale sostenitore.
Quel Giorgio Napolitano artefice del millantato governo tecnico che ci ha portato, in 13 mesi di austerity forsennata voluta dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, al collasso dell'economia ed ad una situazione sociale esplosiva.
Purtroppo stanno facendo di tutto per sovvertire materialmente le regole della democrazia rappresentativa. 
Che chi vinca abbia il diritto di governare, per la Casta, è diventato un optional.
Nel senso che ciò è vero se, e soltanto se, le elezioni le vince la partitocrazia, oggi degnamente rappresentata proprio da Monti e dalla sua Lista Civica. 
Ma se, come è ormai si sta delineando, il movimento di Monti farà clamorosamente flop, nonostante l'occupazione militare del sistema dei media da parte del professore, ecco che costui non ha il minimo ritegno a far saltare il tavolo della partita elettorale, soffiando sul fuoco dello spread, anche a costo di danneggiare pesantemente e forse irreversibilmente il Paese.
Un comportamento vergognosamente ricattatorio: ecco a cosa si è ridotto il sobrio Monti!


lunedì 7 gennaio 2013

Le bianche elezioni, ennesimo furto di democrazia

Questa si avvia ad essere la più strana campagna elettorale che si ricordi, la più incostituzionale di sempre.
Non si era mai visto uno scioglimento delle camere così precipitoso, che costringe gli Italiani a votare in pieno inverno, probabilmente sotto la neve.
E' vero che non esiste più il semestre bianco di una volta ma è di tutta evidenza che il Presidente della Repubblica nella circostanza abbia forzato la mano,  accettando le dimissioni del premier Monti senza la doverosa verifica di un voto di sfiducia del Parlamento. Per giunta, con contestuale scioglimento anticipato delle camere ed indizione delle elezioni a febbraio, quando si sarebbe potuto votare rispettando la scadenza naturale della legislatura soltanto due mesi più tardi, ad aprile.
Che si sia in questo modo inteso sbarrare la strada al Movimento 5S è più che un sospetto, tenuto conto dei tempi concitati per la raccolta di firme previste dal Porcellum per le forze politiche ancora non presenti in Parlamento: una regola capestro all'interno di una legge porcata che tutti a chiacchiere volevano cancellare ma che nessuno nei fatti ha inteso neppure parzialmente modificare.
In fondo, facendo molto comodo ai segretari di partito l'attuale andazzo che consente loro di piazzare i propri uomini nei listini bloccati, infischiandosene altamente degli umori dell'opinione pubblica, esacerbata da una crisi infinita e ormai apertamente in lite con questa impresentabile classe dirigente (basta assistere alla bellissima trasmissione Presa Diretta di Riccardo Iacona di ieri sera su Rai Tre intitolata Ladri di Partito per spedirli tutti a casa).
Sì, quegli stessi segretari della Casta che si ritrovano, guarda caso, d'accordo quando si tratta di fare le pulci al movimento di Beppe Grillo di cui in tempo reale vogliono misurare il tasso di democrazia interna. Al punto che gli sconosciuti (e tutto sommato mediocri) Favia e Salsi, grazie ad un subdolo tam tam  mediatico,  per la partitocrazia sono diventati nel breve giro di qualche settimana paladini di non si sa bene cosa, sicuramente della propria malriposta ambizione.
Ma l'aspetto più inquietante della campagna elettorale è che, data la stagione, tutto si giocherà nel chiuso degli studi televisivi e non come sarebbe stato auspicabile nell'agorà, ovvero sulle piazze d'Italia con un confronto leale, da politici veri che stanno fisicamente in mezzo alla gente.
Con l'enorme conflitto di interessi e la lottizzazione esasperata che contraddistingue il nostro Paese in campo radiotelevisivo, dove spadroneggiano non solo Berlusconi, con le reti Mediaset e i suoi luogotenenti in Rai, ma tutti i partiti della Casta, cioè proprio quelli che hanno portato l'Italia alla rovina, i Bersani, i Casini, i Fini, ecc.,  un presidente della Repubblica che avesse avuto sinceramente a cuore la nostra Costituzione e le regole basilari di una democrazia rappresentativa, avrebbe fatto di tutto per limitare questa affezione ormai endemica al nostro tessuto democratico, cercando innanzitutto di proseguire la legislatura fino al suo termine naturale, per garantire agli Italiani  una campagna elettorale normale:  poter affollare le piazze, ascoltare dal vivo i propri leader politici, formarsi autonomamente e con la necessaria riflessione i propri convincimenti elettorali, infine votare in una tiepida domenica primaverile, fra l'altro risparmiando alcuni milioni di euro alle asfittiche casse statali per luce e riscaldamento dei seggi.
Nulla di tutto questo è accaduto.
Perché, si sa, agli esponenti della Casta i bagni di folla ormai troppo spesso vanno di traverso: confortati da scorte impenetrabili, temono comunque le contestazioni a scena aperta, pericolose proprio perché  pacifiche, visto che rilanciate dai media suonano peggio di una chiamata in correità.
Che la casalinga di Voghera o il pensionato di Canicattì, senza potersi scambiare né condividere neppure un parere in pubblico, costretti come sono dal generale inverno a restare in casa  con il cappotto (pur di tenere il riscaldamento al minimo!), debbano assistere tutto il giorno per i prossimi due mesi attraverso il moderno focolare domestico alle interviste telecomandate, agli sproloqui ed alle piroette verbali dei vari Berlusconi, Bersani, Casini, mentre l'ex tecnico Mario Monti, in preda a bulimia mediatica, chiede persino di silenziare chi già è praticamente assente dalla scena radiotelevisiva, è l'ennesima beffa della Casta, questa volta per opera di Re Giorgio, autoproclamatosi proprio a fine mandato sovrano assoluto (dopo l'inspiegabile annoso letargo su tutte le leggi vergogna del Cavaliere).
E' vero che Grillo rifugge la tv lottizzata e nessuno in buona fede può dargli torto, data la situazione complessiva di degrado gestionale, culturale e morale in cui versa la Rai, ma a lui come ai tanti altri esponenti della società civile che si presentano alle Politiche, viene inferto un doppio colpo, potenzialmente da ko.
Non solo viene loro preclusa la ribalta e non si fa nulla, nel caso del leader del M5S, per disinnescare l'ostrascismo mediatico che egli patisce addirittura dagli anni del socialismo rampante di Craxi (non fatevi ingannare, quando i media parlano di Grillo lo fanno soltanto per screditarlo e delegittimarlo!) ma contemporaneamente si impone, con il placet del Quirinale e per la prima volta nella storia d'Italia,  una brevissima campagna elettorale indoor, virtuale, ovvero a vocazione esclusivamente radiotelevisiva.
Ecco perché per le prossime bianche elezioni, ce n'è già abbastanza per richiedere da subito la presenza degli osservatori OSCE, ridotti come siamo al livello di una repubblica caucasica!




mercoledì 19 dicembre 2012

La profezia Maya e lo scioglimento delle Camere: il semestre bianco di Re Giorgio

Mentre da settimane  si sta istruendo sul niente un processo mediatico a Beppe Grillo e a Casaleggio, in fondo colpevoli soltanto di rovinare i sonni della Casta con il loro movimento politico che promette di fare il pieno di voti alle prossime elezioni, l'opinione pubblica assiste indifferente all'accelerazione impressa alla crisi del governo tecnico proprio da parte dei suoi coautori, il duo Monti-Napolitano, che si sono inventati dal niente una crisi di governo extraparlamentare in ventiquattro ore, pur di mandare gli Italiani alle urne presumibilmente a metà febbraio, cioè sotto la neve: una cosa mai vista nella storia repubblicana!

All'origine dell'improvvisa decisione di Monti di dimettersi ci sarebbero state le parole pronunciate dal segretario Pdl Angelino Alfano durante il ponte dell'Immacolata: "Consideriamo conclusa l’esperienza di questo governo", subito dopo l'astensione del Pdl sulla fiducia sul decreto sviluppo al Senato e sul decreto costi della politica alla Camera.
Ma il Governo ha continuato a governare nelle ultime due settimane come niente fosse; anzi, meglio di prima, data l'inattesa investitura fatta al premier Mario Monti proprio da Silvio Berlusconi in persona.
Adesso, quali possano essere le ragioni di far chiudere la legislatura così precipitosamente, per giunta con lo spread che ha oggi toccato un minimo di 290 punti, non è dato sapere.

Eppure Napolitano insiste: "Al voto al più presto".
Nè la nota diramata in mattinata dal Quirinale fuga i dubbi sui veri obiettivi di questa scelta: «Come è noto, il Presidente Napolitano ha ripetutamente auspicato che le elezioni si svolgessero alla scadenza naturale entro la prima metà di aprile; altrettanto noti sono i fatti politici che hanno vanificato questa possibilità. Già prima di quei fatti nuovi, la Conferenza dei Capigruppo del Senato aveva calendarizzato la discussione in Aula della legge di stabilità per il 18 dicembre. Avendo il Presidente del Consiglio preannunciato la formalizzazione delle sue irrevocabili dimissioni all'indomani dell'approvazione di questa legge, è interesse del paese evitare un prolungamento di siffatta condizione di incertezza istituzionale».
In una situazione come l'attuale di imprevista bonaccia sui mercati finanziari, quale possa essere il senso di mandare a votare gli Italiani in pieno inverno, probabilmente sotto allerta meteo, non è assolutamente comprensibile.

Che con la scusa dell'incertezza istituzionale, il nostro sovrano assoluto Re Giorgio,  malgrado si trovi in pieno semestre bianco, voglia mettere la sua ipoteca pure sul prossimo esecutivo?
E' vero che l'articolo 88 della Costituzione al 2° comma gli attribuisce tale potere, ma questo è nell'odierno scenario un potere di scioglimento tecnico, cioè di fine legislatura, nulla a che vedere con le altre fattispecie individuate in dottrina:
  1. insanabile contrasto tra Governo e Parlamento;
  2. impossibilità di formare una maggioranza;
  3. autoscioglimento delle camere;
  4. insanabile contrasto tra le due camere;
  5. venir meno della corrispondenza tra eletti e elettori;
  6. inerzia nell'attuazione della Costituzione;
  7. tentativo di sovvertimento legale della Costituzione.
Tra queste, soltanto la prima e la quinta ipotesi possono essere prese ragionevolmente in considerazione, le altre essendo completamente da escludere, del tutto fuori contesto.
Ma la prima va subito accantonata, visto che la strana maggioranza in Parlamento sta tenendo meglio di quanto i media non vogliano far credere, arrivando persino ad approvare quasi tutta d'un fiato una legge fondamentale e di alto profilo politico qual è la legge di stabilità.
  
Più verosimile la quinta ipotesi ma è almeno un anno (dall'atto dell'insediamento del governo Monti, il 16 novembre 2011) che si può asserire con certezza che non ci sia più corrispondenza tra eletti e elettori, specie dopo che il bipolarismo all'italiana è naufragato miseramente, sotto i colpi della speculazione internazionale, nel partito unico targato Monti, con Lega e Idv a fare ormai opposizione di testimonianza. 
 
Ma allora perché Napolitano vuole chiudere Camera e Senato, prima di Natale, forse già venerdì prossimo, il famigerato 21 dicembre 2012?
Qualcosa a che fare con la profezia Maya?
Se la faccenda non fosse tremendamente seria, sarebbe da scherzarci su.
Che qualcuno si voglia prendere la briga di spiegarlo una buona volta agli Italiani? 


giovedì 6 dicembre 2012

E la Corte Costituzionale incoronò Re Giorgio I sovrano assoluto

A margine della sentenza della Consulta che dà piena ragione a Giorgio Napolitano nello scontro da lui ingaggiato con la Procura di Palermo,  Eugenio Scalfari se la prende di nuovo con quella fetta di società civile, costituita da uomini politici, organi d'informazione e soprattutto insigni giuristi che nei mesi scorsi si sono maggiormente spesi affinché da parte del Presidente della Repubblica finalmente derivasse un atto di ravvedimento e di ragionevolezza costituzionale rinunciando alla clamorosa iniziativa intrapresa nel luglio scorso, ovvero sollevare un inaudito conflitto di attribuzione contro i pm palermitani per la nota vicenda delle intercettazioni di sue telefonate con  l'indagato Nicola Mancino, nel pieno di una scottante indagine giudiziaria tesa a mettere in luce le contiguità esistenti tra apparati deviati dello Stato e Cosa nostra, all'origine del biennio stragista 1992-1993.
Notte fonda della nostra storia repubblicana (è sempre il caso di ricordare a chi finge di ignorarlo per intrupparsi in una anacronistica e veramente poco appassionante battaglia ideologica volta a proclamare il potere assoluto del capo dello Stato!), sfociata negli assassini a due mesi di distanza di Giovanni Falcone,  di Paolo Borsellino e delle loro scorte e dei successivi massacri di Roma, Firenze, Milano della primavera-estate del '93.
Una stagione eversiva alla cui definizione storica e giudiziaria a vent'anni di distanza, in un Paese normale, tutte le forze sane dovrebbero contribuire con sincerità, all'unisono e senza risparmio di energie, innanzitutto per dare giustizia alle vittime e costruire finalmente un futuro di trasparenza e legalità per l'intera comunità nazionale.
Men che meno, frapporre, anzi, millantare presunte prerogative costituzionali del primo cittadino la cui asserita tutela viene inevitabilmente ad intralciare il regolare svolgimento dell'attività giudiziaria in uno scenario così fosco.
Il verdetto della Corte Costituzionale dopo cinque mesi, facendo prevalere l'interesse del Presidente della Repubblica a vedere distrutte le sue intercettazioni indirette con Mancino, finisce per mettere il Quirinale al di sopra della legge, attribuendogli una supremazia giuridica che lo Stato di diritto non può evidentemente contemplare.
Bisognerà aspettare le motivazioni di questa sentenza ma già da adesso si può affermare che, per effetto di essa, la stessa Costituzione e l'equilibrio dei poteri ne risultano gravemente deformati, destrutturati, forse irrimediabilmente compromessi.
Quella  pronunciata dalla Consulta è una sentenza che contraddice se stessa, la sua natura e la sua funzione di organo costituzionale, e che ha molto a che fare con una scelta contingente di convenienza politica, come paventava l'estate scorsa il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky proprio dalle colonne di Repubblica.
Eppure il fondatore di questo giornale, rimasto sordo a tutte le numerosissime argomentazioni che da settori importanti e autorevoli dell'opinione pubblica sono state avanzate per consigliare prudenza a Napolitano e tirando dritto su una impervia e pericolosa china, così ha avuto l'ardire di commentare
"Quello compiuto da alcune forze politiche e mediatiche non è dunque un errore commesso in buona fede ma una consapevole quanto irresponsabile posizione faziosa ed eversiva che mira a disgregare lo Stato e le sue istituzioni. Sembra quasi un fascismo di sinistra."
Ecco, le sue sono esattamente le parole che un vecchio fascistone userebbe, preferibilmente dopo una mimetizzazione di lungo corso nel nebulosissimo e non identificato liberalismo di sinistra, per celebrare l'incoronazione, per volontà di Dio, del monarca assoluto Re Giorgio I da parte di una Corte Costituzionale ormai autodegradatasi a tappezzeria quirinalizia.

martedì 30 ottobre 2012

La rivoluzione di velluto del Movimento 5 Stelle parte dalla Sicilia

Le Regionali Siciliane fotografano con sei mesi d'anticipo quel sommovimento politico-culturale che da tempo scuote dalle fondamenta la società italiana, ormai insofferente ad una classe dirigente che l'ha portata nel breve volgere di qualche anno alla bancarotta morale, politica, economica prima ancora che finanziaria, come le vicende dello spread di quest'ultimo anno testimoniano in modo esemplare.
Sul banco degli imputati vi è innanzitutto la Casta, cioè la classe politica più corrotta, più incompetente, più irresponsabile che l'Italia abbia mai annoverato dai tempi del fascismo: autentiche termiti che, rotte le resistenze ideologiche, hanno divorato famelicamente la cosa pubblica, rendendo le nostre stesse istituzioni rappresentative uno sbiadito simulacro rispetto a quelle che i padri costituenti avevano disegnato con la Carta del 1948.
L'errore capitale dell'adesione all'euro, per opera dei governi di centrosinistra a cui la lunghissima stagione berlusconiana non ha saputo eccepire nulla se non la sistematica anteposizione  degli interessi personali dell'uomo di Arcore, meno che mai una chiara e sincera presa di distanza da un progetto di unione monetaria che sin dalle origini, negli anni Ottanta, molti economisti ritenevano pericoloso e folle, ha poi reso evidente al grande pubblico la straordinaria necessità di mandare a casa gente che per generazioni si è trastullata con i privilegi più esagerati, conducendo un tenore di vita assolutamente incompatibile, prima ancora con quello di noi comuni mortali, con la propria abissale mediocrità e pochezza intellettuale. 
Un tale disastro avrebbe potuto scatenare forze eversive e la violenza stragista di gruppi occulti sulla base di un copione di sangue già tristemente vissuto negli anni settanta ed ottanta, con la strategia della tensione e la deriva terroristica degli anni di piombo.
Fortunatamente questa volta ciò non è accaduto: le ragioni possono essere molteplici e non è questa l'occasione per analizzarle.
Va sicuramente a Beppe Grillo ed al Movimento 5 Stelle di cui è ispiratore, fondatore, garante e testimonial il merito storico di avere saputo dare alla rabbia popolare una valvola di sfogo e di aver offerto ad essa l'opportunità unica di  ricomposizione democratica di tanto disprezzo nei confronti di una intera generazione di politici, alti burocrati, esponenti dell'alta borghesia imprenditoriale, tra di loro spesso uniti  da patti inconfessabili e alleanze trasversali: la sua è una autentica rivoluzione di velluto.
Solo un presidente della repubblica garante della partitocrazia come Giorgio Napolitano, da sessant'anni in Parlamento,  poteva non solo ignorare quell'esplosione di democrazia diretta che nel suo settennato si è manifestata ma ostacolarla in tutti i modi, ultimo quello di esortare oggi stucchevolmente i partiti a "prepararsi a riprendere pienamente il loro ruolo nella vita istituzionale", quasi ammettendo che finora, con il governo Monti da lui ideato e preteso, siano restati alla finestra, contravvenendo evidentemente alla sovranità popolare ed all'esito elettorale del 2008.
Ma i dati delle elezioni regionali siciliane non lasciano scampo, suonando molto più di un campanello d'allarme per la Casta: non è andato a votare più della metà degli elettori.
Il PD, nonostante abbia espresso il presidente della regione Rosario Crocetta con il 30,50% dei voti insieme all'UDC, raggiunge solo il 13,40% (tracollo del -49% rispetto al 2008!), il PDL addirittura affonda al  12,90% (-73%, una vera Waterloo).
Il Movimento 5 Stelle è il primo partito dell'isola con il 14,7% (+ 512% rispetto al 2008) e il candidato presidente Giancarlo Cancelleri è arrivato terzo con il 18,20% di voti.
Finalmente adesso sappiamo che alle prossime politiche di primavera si potrà concretamente mandare a casa questa classe politica di inetti e parassiti che ha fatto strame della sovranità popolare per perseguire esclusivamente il proprio vantaggio personale, fra l'altro commettendo imperdonabili e apocalittici errori come l'adesione all'Euro, che ha costretto alla canna del gas quella che un tempo era la quinta potenza industriale del pianeta.
Oggi, grazie a Grillo e ai tanti generosi attivisti del suo movimento, un'altra politica è finalmente possibile.

giovedì 25 ottobre 2012

Il boom di Napolitano & Monti: debito pubblico al 126,1%!

I giornali praticamente rimuovono la notizia ma i dati certificati da Eurostat sono impietosi: la cura Monti, con il beneplacito di Napolitano, ha portato il rapporto Debito pubblico/Prodotto interno lordo in Italia alla quota straordinaria del 126,1%, come risulta nel rapporto pubblicato ieri. 
La sciagurata serie di ripetute manovre lacrime e sangue, s'intende per lavoratori e pensionati, che il governo dei bocconiani testardamente insiste a proseguire, ha portato paradossalmente l'Italia sull'orlo della catastrofe economica e finanziaria.
L'ultima perla, il disegno di legge di Stabilità (la Finanziaria di una volta!) è così demenzialmente iniquo, spostando il carico fiscale dall'imposizione diretta a quella indiretta proprio nel corso di una recessione pesantissima, con l'effetto inevitabile di danneggiare ancora una volta le fasce più deboli della popolazione, che viene da pensare che questi tecnici oltre che seguire pedissequamente i diktat tedeschi abbiano inforcato i paraocchi ideologici del liberismo più becero e, con la scusa della crisi, vogliano portare a compimento, per conto dell'élite tenocratica, una loro personalissima lotta di classe.
Del resto, la tanto decantata fiducia che Mario Monti avrebbe fatto riconquistare all'Italia sulla scena europea, grazie alla sua 'serietà' e a quel suo personalissimo aplomb cibernetico significa nella sostanza adottare brutalmente le ricette economiche dei tedeschi e dei paesi nordici che impongono ai paesi mediterranei enormi quanto inutili sacrifici. E' stato lo stesso premier ad ammetterlo: «Per evitare la catastrofe, abbiamo dovuto compiere un’operazione brutale».
La sua grande reponsabilità però è stata di rivolgere tanta brutalità non a 360 gradi ma di puntare ad alzo zero soltanto sui ceti popolari.
Inoltre, da un leader di statura europea ci si sarebbe aspettati una maggiore capacità di interdizione nei confronti dell'egoismo miope e veteronazionalista dei paesi del Nord Europa e soprattutto una maggiore capacità di proposta.
Di più, di fare fronte comune con gli altri paesi mediterranei, che continuano a pagare il conto più alto per gli errori madornali commessi da Angela Merkel, ossessionata da antiche paure inflazionistiche e divenuta sacerdotessa del sacro rigore economico quasi lo considerasse una moderna forma di penitenza da imporre agli incorreggibili e gaudenti popoli latini. 
Invece, niente di tutto questo: la cessione di sovranità nazionale che in questi mesi si è andata consumando ai danni dell'Italia, a partire dall'approvazione del Fiscal Compact e dell'inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio, dimostra inequivocabilmente che la serietà montiana in campo europeo si traduce inevitabilmente nella supina sottomissione italiana agli interessi dei paesi forti dell'UE.
L'illusione del governo di Monti, Fornero e Passera (a proposito, l'immobilismo del Ministro dello Sviluppo Economico è là a certificare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la totale inadeguatezza dei tecnici al compito che Napolitano gli aveva affidato) sta quindi desolatamente svanendo, lasciandoci nell'emergenza ma ormai pure tra le macerie!
Ha ragione Beppe Grillo quando sferza i siciliani alla vigilia delle Regionali: meglio un sogno perduto che un suicidio assistito!

domenica 7 ottobre 2012

Fuori tempo massimo il monito di Napolitano da Assisi

Anche da Assisi sono risuonate le parole di Giorgio Napolitano, in occasione dell'incontro con il cardinale Gianfranco Ravasi nel Cortile dei Gentili, sul tema 'Dio questo sconosciuto'.
Quale miglior pulpito, la città del Poverello, per lanciare il suo rituale monito, questa volta contro la corruzione e il clima di rassegnazione che si respira nel Paese; fino a sottolineare l'importanza di un «acuto bisogno di slancio ideale e senso morale», stigmatizzando l'«inadeguato quadro politico».
Per poi sollecitare «sforzi da volgere soprattutto a rianimare senso dell'etica e del dovere, a diffondere una nuova consapevolezza dei valori spirituali, dei doni della cultura, dei benefici della solidarietà, che soli possono elevare la condizione umana», come ai tempi della Costituente.
Tante belle parole, non c'è che dire, in uno stile che si conserva graniticamente ampolloso e che puzza di formalina, più della comune naftalina, tanto da rendere il messaggio di Napolitano buono per tutte le stagioni, addirittura imbalsamato.
E talmente alto che, per farlo atterrare in sicurezza su noi comuni mortali, avrà bisogno pure dell'interpretazione autentica del suo stesso autore: e giù il prevedibile arzigogolato profluvio di parole auliche già pronte per il monito prossimo venturo.
Di pistolotto in pistolotto, con seguito di immancabile plauso unanime della Casta, che vi legge simultaneamente quello che più le conviene secondo le contingenze e gli ordini di scuderia, ovvero tutto e il contrario di tutto, Giorgio Napolitano è per i media un'autentica star, a cui dedicare, un giorno sì e l'altro pure, il titolo di apertura come se il suo intervento fosse sempre un formidabile atout, calato puntualmente a diradare le nebbie impenetrabili della politica nostrana.
Non sono pochi i giornalisti che cadono letteralmente in deliquio alle parole del Colle, pur trattandosi spesso non di pubblicisti alle prime armi ma di attempati padri di famiglia, gente di esperienza, che ne deve aver viste di cotte e di crude in una intera vita di redazione.
Eppure appena il Quirinale alza l'indice  della retorica e taglia il nastro della fiera delle banalità un autentico brivido scorre lungo le loro schiene e ne suggerisce a caratteri cubitali l'immediata titolazione: Re Giorgio tuona e il bel tempo rimena.

Questa volta l'occasione era così ghiotta, sommo il tema trattato,  un confronto teologico, che i quirinalisti ci sono andati a nozze, così ispirati da evocare per Napolitano lo spirito di Assisi.
Ma dimenticando, come sempre,  alcuni piccoli particolari:
1. che la questione morale in Italia è targata 1981 e venne sollevata addirittura da Enrico Berlinguer,  in rotta di collisione con il rampantismo socialista di stampo craxiano, nella famosa intervista a Repubblica,  che gli attirò la critica durissima, guarda un po', proprio di Giorgio Napolitano, allora leader dell'ala migliorista del PCI, che lo accusò di trascinare il partito su posizioni settarie;
2. che Giorgio Napolitano è in Parlamento da quasi sessant'anni (dal 1953) e che di tempo ne ha avuto a disposizione per fare la sua parte ed opporsi efficacemente alla corruzione e al degrado morale della politica, fenomeno che si suppone non si sia manifestato improvvisamente, visto che quest'anno già ricorrono i vent'anni di Tangentopoli;
3. che la reggia del Quirinale non è propriamente il Sacro Tugurio del poverello di Assisi e che i tagli ai costi della politica avrebbero potuto inaugurarsi da tempo magari proprio battezzati da un bel monito solenne, con la contemporanea iniziativa di una robusta cura dimagrante del suo bilancio, di gran lunga superiore a quello di Buckingham Palace, e del proprio appannaggio presidenziale;
4. che il conflitto di attribuzione sollevato contro la Procura di Palermo, che indaga sulla trattativa stato-mafia, per ottenere l'immediata distruzione delle registrazioni delle sue imbarazzanti conversazioni telefoniche con Nicola Mancino, invocando prerogative da sovrano assoluto, non è il migliore viatico per poter imporre alla Casta un bagno di umiltà e, soprattutto, il ridimensionamento draconiano del suo tenore di vita.

D'altronde, basta leggere i commenti di sdegno e di indignazione con cui i tradizionalmente benpensanti lettori del Corriere della Sera si esprimono univocamente sull'ennesima esternazione presidenziale, nonostante lo scenario suggestivo del piazzale antistante la Basilica inferiore di San Francesco d'Assisi, per rendersi conto di quale abissale solco si sia ormai scavato tra il Paese e le sue Istituzioni, anche quella più incensata dai media.

martedì 2 ottobre 2012

L'audace colpo degli soliti noti

In quale stato pietoso versino le nostre istituzioni lo ha testimoniato in modo esemplare la trasmissione di Milena Gabanelli Report, domenica sera ai nastri di partenza per la stagione televisiva 2012-2013.
Un esercito di pregiudicati, di condannati in primo o secondo grado, di indagati, di rinviati a giudizio, pullula tra Palazzo Madama e Montecitorio potendo contare su un pedigree di primo ordine:
finanziamento illecito ai partiti, associazione a delinquere, truffa, falso, abusivismo, frode fiscale, favoreggiamento, abuso d'ufficio, appropriazione indebita, ricettazione, resistenza a pubblico ufficiale, false dichiarazioni ai pm, associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, false comunicazioni sociali, bancarotta fraudolenta pluriaggravata, corruzione aggravata, associazione camorristica, concorso esterno in associazione mafiosa, banda armata e associazione eversiva, false fatture, tentata estorsione mafiosa, tentata corruzione in atti giudiziari, turbativa d'asta, peculato, falso in atto pubblico, associazione segreta, concorso in favoreggiamento mafioso, diffamazione, calunnia, minaccia a corpo dello Stato, oltraggio, rivelazione segreta, lesioni personali, concussione, concorso in scambio elettorale, riciclaggio, rivelazione di segreto d'ufficio, millantato credito, appartenenenza a loggia massonica segreta, danno erariale, tentata estorsione, violazione della legge elettorale, peculato d'uso, mendacio bancario... c'è da sfogliare in lungo e largo il codice penale e il codice di procedura penale per tenere conto di così tante prodezze dei nostri parlamentari.
D'altra parte che il Parlamento sia un luogo frequentato da cattive compagnie non è una novità. Ma resta un mistero che cosa ci facciano ancora là dentro delle persone oneste, anche perché queste si trovano gomito a gomito con diversi personaggi dichiarati socialmente pericolosi dalla magistratura.
Fatto sta che questa varia umanità dovrebbe per alcuni mesi ancora reggere, Iddio solo lo sa come, ma noi possiamo immaginarlo, le sorti dell'Italia, in crisi economica, finanziaria, morale, di fiducia, persino in crisi di nervi o come, ha denunciato il fondatore dell'associazione Libera Don Luigi Ciotti, in coma etico.
Avremmo preferito in coma etilico, almeno in preda ai fumi dell'alcol questi soggetti farebbero meno danni al Paese e noi ci risparmieremmo l'oscenità di un Ministro della Giustizia, Paola Severino, che intervistata dal bravissimo Bernardo Iovene, alla domanda se nel disegno di legge anticorruzione sarà ripristinato il reato di falso bilancio, ha così risposto: "non siamo attrezzati a fare miracoli!" 
Quando poi qualcuno della Casta di politici e giornalisti ha il coraggio di prendersela ancora con Beppe Grillo, accusandolo di populismo e antipolitica, vengono a mente le 350 mila firme raccolte ormai cinque anni fa (!) con l'iniziativa "Parlamento Pulito" e che giacciono abbandonate in qualche scantinato del Senato.
Possibile che quegli scatoloni portati materialmente su un risciò da Grillo in persona con una trentina dei suoi ragazzi restino ad impolverarsi, senza che nessuno, neppure il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, muova un dito per dare il giusto seguito a quell'invocazione d'aiuto, a quel soprassalto di legalità che è salito dal Paese ormai tutti quegli anni fa?
Dopo lo scandalo del capogruppo PDL alla Regione Lazio Franco Fiorito, oggi arrestato, Napolitano è intervenuto a sollecitare governo e parlamento a varare in fretta una legge anticorruzione: «È l'Europa a chiederci un grosso impegno di lotta contro la corruzione».
No, Presidente, sono gli Italiani che non ne possono più!

lunedì 3 settembre 2012

Per la Casta il nemico pubblico n. 1 è Beppe Grillo

La campagna dei media contro Beppe Grillo è furiosa, forsennata, sta raggiungendo dei vertici di vera e propria caccia all'uomo, per il momento solo mediatica; ma ormai si è superato il limite dell'istigazione a delinquere.
Lo denuncia lo stesso leader del MoVimento 5 Stelle sul suo blog ma è una constatazione così lampante che ci riesce difficile capire come mai tutti facciano finta di non accorgersene. 
Di fronte al fallimento politico e tecnico del governo Monti, con risultati economici dei primi nove mesi di governo bocconiano letteralmente disastrosi, con tutti gli indicatori economici in profondo rosso (tonalità che paradossalmente sarebbe la sola traccia di sinistra rinvenibile nell'azione di un esecutivo che ha saputo tagliare solo la spesa sociale e imporre tasse a pensionati e lavoratori, a cui la riforma dell'articolo 18 ha precarizzato pure quel poco di lavoro che resta), i giornali e le tv additano Beppe Grillo come il pericolo pubblico numero 1.
Beninteso, con l'incondizionato appoggio di alcuni intellettuali lib-lab, di Pierluigi Bersani e degli altri farisei democratici, aggrappati ai propri privilegi con le unghie, anche a costo di rinnegare le proprie origini, confermando così una storia personale disseminata di sistematiche ed inspiegabili virate a destra. 
Il perché di questa caccia all'uomo è presto detto. 

La carta stampata ce l'ha con lui perché si è fatto paladino dell'iniziativa di abolire il finanziamento pubblico all'editoria: così direttori di giornali e pennivendoli tremano nel vedersi venire a mancare la terra sotto i piedi.
Non riuscendo ad accusarlo di altro, benché redazioni intere siano sul piede di guerra per rivoltargli la vita privata come un calzino,  lo accusano di essere un demagogo o un  populista, a seconda dei momenti.
La Casta, poi, è stata addirittura smascherata da Grillo che ne denuncia da tempo, anche prima dell'intervento della magistratura, le mille nefandezze e la cronica corruzione e incompetenza, nonché un'arroganza  ed un'esibizione oltraggiosa del potere da repubblica delle banane.
L'ultima ciliegina sulla torta è quella del sindaco di un piccolo comune dell'avellinese che ha avviato contro un proprio vigile urbano un procedimento disciplinare per aver impedito alla vettura di un noto politico della prima repubblica di transitare con la scorta (ancora!) in zona pedonale, a conferma di un malcostume tanto generalizzato quanto difficile da estirpare in un paese che per molti versi resta feudale.
E' per questo che i tre dell'apocalisse, il trio Alfano-Bersani-Casini, gli vomitano addosso di tutto, spesso in modo pretestuoso e politicamente velleitario. 
La stessa accusa di Bersani che gli ha dato del fascista sarebbe becera e patetica se non fosse prima di tutto ridicola. Fra l'altro lanciata dal pulpito di chi ricevette circa  100'000 euro qualche anno fa dal patron dell'Ilva come contributo per la propria campagna elettorale.
Se la cosa fosse capitata a Grillo, i giornali lo avrebbero fatto nero!
Addirittura abbiamo ascoltato in questi giorni alla radio l'ex tesoriere della Cisl Giovanni Guerisoli che ha accusato esplicitamente Grillo di aver preteso, 13 anni fa (!), il cachet in nero per uno dei suoi spettacoli, per poi leggere l'immediata e secca smentita dall'attuale segretario generale Raffaele Bonanni che ha poi aggiunto: "Guerisoli deve aver perso un chip!".  Al punto che, per denigrare Grillo, è stato disposto ad autoaccusarsi falsamente di un reato fiscale.
Ma intanto i quotidiani in rete, in perfetto stile stalinista, avevano già emesso la sentenza di condanna nei suoi confronti, lasciandolo in pasto ad un florilegio di improperi sul web.
Non parliamo poi di Giorgio Napolitano, che alla vigilia dei ballottaggi nelle amministrative di primavera, dichiarò di non essersi accorto del successo del Movimento 5 Stelle, contravvenendo clamorosamente al suo ruolo super partes.
Quello stesso Napolitano che ora a tutti i costi pretende, in nome di una sua presunta intangibilità da novello Re Sole, che vadano distrutti i contenuti delle sue telefonate intercettate con Nicola Mancino, esponendo la Presidenza della Repubblica a pesanti rischi di condizionamento, come ha dimostrato il finto scoop di venerdì scorso del settimanale berlusconiano Panorama.

Insomma, il capro espiatorio del disastro economico e finanziario ma soprattuto politico e morale dell'Italia per la stragrande maggioranza dei media (ad eccezione, ad esempio, del Fatto Quotidiano che, guarda caso, non incassa un euro di finanziamento pubblico) è diventato Beppe Grillo.
Ma nessuno ne spiega chiaramente il motivo e dargli del demagogo, sondaggi alla mano, può alla fine rivelarsi un boomerang.
Ma ciò che la Casta non gli perdonerà mai è l'aver risvegliato le coscienze, aver sollecitato i cittadini a mobilitarsi, a scuotersi dal torpore per prendere in mano il proprio destino comune, a pensare con la propria testa, gettando alle ortiche le deleghe in bianco con cui politici e giornalisti ma, nel complesso, la classe dirigente, hanno potuto fare in questi decenni il bello e il cattivo tempo, senza mai doverne rispondere a nessuno.
Le poche volte in cui ciò è successo, è stato ad opera della magistratura che, non a caso, è  da tempo presa di mira dalla Casta: la trattativa Stato-mafia, la vicenda dell'Ilva di Taranto, sono soltanto gli ultimi episodi di una campagna più vasta di delegittimazione portata avanti su più piani, dalla politica all'economia, dall'ambito tecnico-giuridico a quello sindacale, persino a quello istituzionale.

Così, ancor prima di affacciarsi sulla scena parlamentare, il Movimento 5 Stelle si è guadagnato l'ostracismo della politica, dei giornali e delle televisioni che ne considerano addirittura eversivo il messaggio (lo è sicuramente per i propri fastosi privilegi!).
In altri tempi avrebbero accusato Beppe Grillo di eresia per poi farlo trascinare a Campo de' Fiori.
Dove c'è sempre qualcuno, male in arnese,  pronto a portare la sua fascina d'odio e di menzogna.
Probabilmente confidano in questo.

giovedì 30 agosto 2012

Il Quirinale si difende (da solo!) soltanto con la trasparenza

Dopo le fasulle rivelazioni di Panorama, settimanale di proprietà berlusconiana, sul contenuto delle telefonate intercorse tra il Capo dello Stato e Nicola Mancino, già ministro dell'Interno nel biennio stragista 1992-93, è evidente a tutti che la Presidenza della Repubblica è sotto attacco da parte della destra guidata dall'ex premier.
Non importa che le telefonate non siano state rese pubbliche e restino secretate nella cassaforte della Procura di Palermo.
A questo punto, potrebbero pure essere già state distrutte, ma la cappa di sospetti e veleni che ammanta il Quirinale è tutta lì a dimostrare che di certo Giorgio Napolitano questa volta non se la potrà cavare solo con la dura nota diramata quest'oggi e che suona quantomai contraddittoria:
"La 'campagna di insinuazioni e sospetti' nei confronti del Presidente della Repubblica ha raggiunto un nuovo apice con il clamoroso tentativo di alcuni periodici e quotidiani di spacciare come veritiere alcune presunte ricostruzioni delle conversazioni intercettate tra il Capo dello Stato e il senatore Mancino. Alle tante manipolazioni si aggiungono, così, autentici falsi. Il Presidente, che non ha nulla da nascondere ma valori di libertà e regole di garanzia da far valere, ha chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi in termini di principio sul tema di possibili intercettazioni dirette o indirette di suoi colloqui telefonici, e ne attende serenamente la pronuncia. Quel che sta avvenendo, del resto, conferma l'assoluta obbiettività e correttezza della scelta compiuta dal Presidente della Repubblica di ricorrere alla Corte costituzionale a tutela non della sua persona ma delle prerogative proprie dell'istituzione. Risibile perciò è la pretesa, da qualsiasi parte provenga, di poter "ricattare" il Capo dello Stato. Resta ferma la determinazione del Presidente Napolitano di tener fede ai suoi doveri costituzionali. A chiunque abbia a cuore la difesa del corretto svolgimento della vita democratica spetta respingere ogni torbida manovra destabilizzante".

Perché il presidente, con il suo comportamento di resistenza alla pubblicazione delle intercettazioni, tende oggettivamente a potenziare la carica dirompente di quelle possibili manovre destabilizzanti.
Se è vero, come egli afferma (e come non abbiamo ragione di dubitare), che sia risibile il tentativo di ricatto nei suoi confronti, ha solo un modo per dimostrarlo: rendere pubbliche quelle conversazioni e ritirare il lacerante conflitto di attribuzione nei confronti della Procura di Palermo.
Non c'è altra strada!
Come da settimane i giornalisti del Fatto Quotidiano, Beppe Grillo e, in Parlamento, il solo Antonio Di Pietro, non si sono stancati di fargli capire in tutti i modi possibili,  Giorgio Napolitano, ascoltando i cattivi consiglieri che lo attorniano dentro e fuori il palazzo presidenziale, ha finito per ficcarsi spontaneamente in un vicolo cieco.
E sono stati gli unici che, a viso aperto e con grande lealtà, gli hanno dimostrato inoppugnabilmente che tra il resistere asserragliato dentro il Palazzo dietro presunte prerogative costituzionali (che Costituzione alla mano, non esistono!), il tutto per non rivelare il contenuto di quelle conversazioni, e il renderle una volta per tutte pubbliche, rinunciando pure ad un pericolosissimo precedente quale il ricorso alla Consulta secondo il parere spassionato di insigni giuristi come Franco Cordero e Gustavo Zagrebelsky, la seconda strada risulta inequivocabilmente la migliore, anzi l'unica ragionevolmente percorribile per limitare al massimo i danni alle nostre istituzioni ed eliminare sul nascere qualsiasi torbido tentativo di usare strumentalmente questa vicenda.
Del resto, a fronte di conversazioni private sicuramente non all'altezza della considerazione che gli Italiani nutrono per il loro anziano presidente (altrimenti egli non indugerebbe tanto a farle rendere note, diversamente da come si è regolato per quelle con l'ex capo della protezione civile, Guido Bertolaso), l'insistere nel tenerle nascoste a tutti i costi, dimostra sfiducia proprio nei loro confronti e nel loro grado di maturità.
Perché gli Italiani dovrebbero allora continuare a fidarsi del loro Capo dello Stato se questi dimostra, con la sua reticenza, di non ricambiarla?
Distrutte che fossero quelle telefonate e con ricorso alla Consulta necessariamente vinto (dato il peso massimo della sua istanza), forse che la figura istituzionale del Presidente della Repubblica non sarebbe maggiormente esposta ad ogni più bieca manovra di corridoio ed a qualsivoglia illazione, tanto da minarne irrimediabilmente il prestigio personale ed  a svilirne il ruolo essenziale esercitato nell'equilibrio costituzionale?
Come si vede, purtroppo, non ci sono altre chance per Giorgio Napolitano.
Per smontare il ricatto in essere (così poco risibile da rendere imperativa la sua immediata e  dura nota), l'unica strada resta la trasparenza!

venerdì 24 agosto 2012

Ezio Mauro sulla scia di Scalfari: W il Colle e la partitocrazia!

Sollecitata da più parti, quasi sospirata dal berlusconiano Giuliano Ferrara, è arrivata la risposta di Ezio Mauro, il direttore di Repubblica, chiamato a dipanare un grave problema di linea editoriale tenuto conto che sul suo giornale dove il corazziere Eugenio Scalfari fa il bello e cattivo tempo lanciando strali contro chiunque osi mettere in discussione il comportamento di Giorgio Napolitano, scrivono pure grandi giuristi come Gustavo Zagrebelsky e Franco Cordero, assai critici con la recente decisione del Presidente della Repubblica di sollevare conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo, per via delle sue improvvide telefonate con Nicola Mancino, delle quali il Capo dello Stato avrebbe preteso la distruzione immediata  sulla base di sue millantate prerogative di intangibilità, esortando i pm siciliani a conformarsene, pure oltrepassando la legge (che lascia questa decisione al Gip durante la cosiddetta udienza-filtro in cui sono presenti tutte le parti processuali).
Rivendica con orgoglio il fatto che sul suo giornale possano confrontarsi liberamente pareri contrapposti anche se, ad avviso di molti, gli interventi pur autorevoli in dissenso con il Quirinale rappresentano voci fuori dal coro, anche visivamente sopraffatte dai caratteri cubitali e le lenzuolate di segno opposto; oggetto pure di dileggio da parte del fondatore di Repubblica che domenica all'insigne costituzionalista Zagrebelsky ha riservato un trattamento speciale, non esitando a dargli dello sprovveduto, dello scorretto, persino dell'ignorante.
Così  meritandosi, per la prima volta in assoluto, il plauso peloso dei lacché berlusconiani, da Sandro Bondi a scendere, che da sempre hanno i nervi scoperti sulle questioni giudiziarie, per evidenti necessità di bottega.

Mauro cerca di attraversare il difficile crinale che lo obbliga, su un versante, a non sconfessare il suo anziano mentore, pena la fine, brevi manu, della sua avventura professionale a Largo Fochetti, dall'altro a non poter eccepire veramente nulla alle due illustri firme di Repubblica, in  particolare a Zagrebelsky, a cui lo unisce pure una grande amicizia personale.
Così, preso tra  due fuochi (o meglio tra il lanciafiamme di Scalfari e la lucida penna dei prestigiosi collaboratori) si trova, con un artificio retorico, prima a sostenere posizioni più aperte (l'indagine della Procura "è meritoria" e "gli italiani hanno il diritto di conoscere la verità sulla trattativa Stato-mafia, dopo vent'anni di nascondimenti, di menzogne e depistaggi") così segnando un distinguo rispetto al pensiero scalfariano, ma poi a battere precipitosamente in ritirata: il conflitto sollevato da Napolitano "è perfettamente legittimo. Può non essere opportuno, ed è una valutazione politica: io non lo avrei aperto".

Ma Mauro non è la Corte Costituzionale (che il 19 settembre sarà chiamata ad esprimersi sull'ammissibilità giuridica del ricorso) e riconoscendone l'inopportunità, finisce per fare una critica nient'affatto marginale all'operato di Napolitano.
Anche perché stiamo parlando di un'iniziativa presidenziale presa in un momento particolarmente grave per l'Italia, in cui tutto ci si poteva attendere tranne che colui che, per dirla enfaticamente alla Mauro, "gli altri Paesi considerano come uno dei pochi punti fermi della nostra democrazia" desse vita ad uno scontro istituzionale tanto dirompente e dalle conseguenze ancora imprevedibili.
Infatti, si immagini  per un istante che cosa potrebbe accadere tra qualche settimana se la Consulta giudicasse inammissibile il conflitto di Napolitano: costui, dopo aver squassato l'equilibrio dei poteri, come potrebbe restare un minuto in più al proprio posto?
E' ovvio che in questo modo si mettono i giudici costituzionali con le spalle al muro, costringendoli a prendere una decisione  a favore del Colle, che più politica non potrebbe essere! Come saggiamente, dall'alto della sua scienza e di una particolare sensibilità istituzionale, ma pure con tutta la cautela di questo mondo, osservava sgomento Zagrebelsky.
Che il punto cruciale sia questo è dimostrato dal fatto che quegli stessi corazzieri di complemento che plaudono alla sconsiderata iniziativa di Napolitano si rendono conto che urge farla passare il più possibile sotto tono.
Macché, non è un atto presidenziale senza precedenti, è una tazzulella 'e caffé! Che volete che sia?
Ammesso e non concesso che sia dell'importanza di una tazzina di caffé, non si capisce come mai Napolitano l'abbia sollevata proprio adesso e contro la Procura di Palermo.
Perché, in precedenza, quella di Firenze, nell'ambito delle indagini sulla cosiddetta cricca degli appalti, aveva messo agli atti proprio le telefonate intercorse tra il Presidente e Bertolaso, in cui il primo si preoccupa, con una grande partecipazione emotiva, della situazione dei terremotati dell'Aquila.
Quindi l'affermazione ripetuta adesso pure da Ezio Mauro che "il Presidente non ritiene che i testi delle sue conversazioni private debbano essere divulgati, a tutela delle sue prerogative più che del caso specifico" suona finta e appare di giorno in giorno come la classica foglia di fico, che però è più imbarazzante di Alte nudità verbali che probabilmente serve ad occultare.

Poi Mauro inizia a menare il can per l'aia, mettendo sullo stesso piano le telefonate di Napolitano con Nicola Mancino, testimone poi divenuto indagato, con quelle intercorse  per finalità istituzionali con i più disparati interlocutori, nell'ambito di quella tipica attività istituzionale di moral suasion che il Capo dello Stato quotidianamente deve esercitare sia come potere discrezionale che come dovere d'ufficio. Come, ad esempio, quella che ha caratterizzato le settimane precedenti le dimissioni di Berlusconi e l'avvento di Mario Monti a Palazzo Chigi.
Per poi domandarsi retoricamente "è interesse di Napolitano (posto che non si parla in alcun modo di reati) o è interesse della Repubblica che queste conversazioni non vengano divulgate? Secondo me è interesse di tutti, con buona pace di chi allude senza alcuna sostanza a misteriosi segreti da proteggere, già esclusi da tutti gli inquirenti."
Ecco che il direttore di Repubblica finisce per attestarsi rapidamente sulla linea di Scalfari circa l'esistenza di un complotto contro il Quirinale, che egli ammette di aver focalizzato sul nascere già due mesi fa.
Non arriva a definirne i contorni, con nomi e cognomi, ma siamo lì, è lo stesso populismo giuridico evocato da Luciano Violante qualche giorno fa.
Solo che ci arriva, con uno sforzo retorico degno di migliore causa, con un discorso tutto strampalato dove, ficcandoci dentro tutto e il suo contrario e agitando prima dell'uso (shakerando da bravo barman persino le categorie culturali della destra e della sinistra), alla fine va a parare sempre lì, sull'antipolitica, che sarebbe l'origine di tutti i mali italiani.
Due i passaggi decisivi:
"Io ho una mia risposta, che non piacerà ai miei critici sui due spalti contrapposti. Il fatto è che l'onda anomala del berlusconismo ha spinto nella nostra metà del campo (che noi chiamiamo sinistra) forze, linguaggi, comportamenti e pulsioni che sono oggettivamente di destra. Una destra diversa dal berlusconismo, evidentemente, ma sempre destra: zero spirito repubblicano, senso istituzionale sottozero (come se lo Stato fosse nemico), totale insensibilità sociale ai temi del lavoro, della disuguaglianza e dell'emancipazione, delega alle Procure non per la giustizia ma per la redenzione della politica, considerata tutta da buttare, come una cosa sporca."

Ma con chi ce l'ha? E' l'identikit dell'attuale Partito Democratico...
Sembra impossibile, forse abbiamo capito male, così andiamo avanti:
"Ma per chi ha queste posizioni, cultura è già una brutta parola. Meglio alzare ogni giorno di più i toni chiamando i politici "larve", "moribondi", "morti". Meglio alimentare la confusione, fingere che la destra sia uguale alla sinistra, che è il vero nemico, come il riformismo è stato sempre il nemico del massimalismo.
Ecco perché per coloro che sostengono queste posizioni Berlusconi non è mai stato il vero avversario, ma semplicemente lo strumento con cui suonare la loro musica. Per questa nuova destra, Napolitano e Berlusconi devono essere uguali, ingannando i cittadini."
Ah, adesso è chiaro: ce l'ha pure lui con Beppe Grillo, Antonio Di Pietro, e perché no?, Marco Travaglio e i ragazzi del Fatto Quotidiano!
Siamo all'apoteosi del ridicolo: insomma, la colpa della decadenza italiana, del fallimento politico-istituzionale ed economico-finanziario, sarebbe, udite udite, di chi fuori dal Palazzo (è bene precisare, con la propria dedizione quotidiana e senza prendere una sola lira di denaro pubblico!) negli ultimi vent'anni ha denunciato la corruzione, le ruberie, il parassistismo, il nepotismo e l'incompetenza della partitocrazia, le deviazioni dal solco costituzionale della nostra democrazia.
Gli unici responsabili dello scempio attuale sarebbero cioè coloro che da sempre invocano verità e giustizia e sostengono il lavoro dei magistrati affinché accertino la responsabilità di quanti, dentro e fuori le Istituzioni, quale che sia il colore politico e il ruolo ricoperto, sono stati gli ispiratori, i mandanti, i lucratori della stagione del Terrore politico-mafioso.
Per Mauro addirittura rappresentano "la nuova destra", non meno pericolosa di quella berlusconiana, da  "'il Borghese' degli anni più torvi" (dice proprio così!).
Adesso si capisce come mai dalle parti del Pdl, Bondi, Cicchitto, Gasparri, Ferrara & c., increduli, stiano festeggiando.