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giovedì 26 marzo 2015

Lupi si dimette... E Bersani che fa? Ovvio, tuona contro le intercettazioni!

Che Bersani non sia esattamente un cuor di leone, l'emblema del cambiamento o di una auspicabile svolta nella politica italiana, meno che meno il protagonista di un possibile riscatto dei cittadini onesti, lo abbiamo ribadito più volte. Troppo contiguo ai potentati economici (non a caso, a suo tempo ricevette un cospicuo "regalo" per la sua campagna elettorale dai proprietari inquinatori dell'Ilva di Taranto), troppo ambiguo nel suo modo di fare politica, troppo subalterno alle ragioni della grande industria, troppo debole nella difesa dei diritti di lavoratori e pensionati, totalmente assuefatto alle nefandezze della Casta che si è sempre ben guardato dal denunciare.
Per giunta, del tutto prono ai diktat europei, a suo tempo impostò la campagna elettorale del PD sull'agenda Monti. Sappiamo tutti com'è andata a finire: lui alle corde, dopo l'ennesima beffa alle Politiche del 2013 e Mario Monti passato alla storia come il commissario liquidatore dell'economia italiana e di cui si sono perse le tracce...
Una fine veramente ingloriosa per il preside della Bocconi, abbandonato persino dai suoi stessi compagni di partito.
Abbiamo più volte sottolineato che chi spera in una sterzata della politica renziana sotto la spinta di Bersani e di quella che dovrebbe essere l'anima di sinistra del PD, è un povero illuso: lo dimostra che l'opposizione che egli ha fatto a Renzi, alla sua indegna riforma costituzionale, al Jobs Act, è stata solo fumo negli occhi.
All'ultimo, Pierluigi Bersani ha finito per votare tutte, ma proprio tutte, le pessime riforme renziane, nessuna esclusa, con la scusa, risibile, di non voler spaccare il partito.
Un comportamento che considerare contraddittorio è un eufemismo. Ultima perla bersaniana è stata quella di intervenire, all'indomani delle dimissioni di Maurizio Lupi da ministro, a gamba tesa sulle intercettazioni chiedendo a gran voce una legge che le limiti.
Intervento più intempestivo, meno opportuno non si poteva concepire, in un momento in cui gli scandali sugli appalti pubblici scoppiano quotidianamente e la classe politica viene per l'ennesima volta investita dal ciclone della corruzione.
In un contesto anche moralmente così degradato, quale sarebbe dovuta essere la reazione di Bersani? Magari infierire contro il ministro dei lavori pubblici per l'ennesima figuraccia delle nostre istituzioni e benedire il cielo che l'immancabile scandalo della vita pubblica italiana sia venuto alla luce proprio grazie all'impegno della magistratura?
Macché! L'esatto contrario: mostrarsi adirato ed invocare una legge bavaglio perché, come dice lui, "Con questo sistema si impallina chiunque".
Difficile credere a chi, proprio come lui, sostiene che non sia questione di poltrona: la sensazione ormai diffusa e consolidata proprio tra l'elettorato di riferimento, è che il nocciolo della questione sia una maledetta questione di potere e di privilegi ad esso connessi.
Così Bersani resta a galla e non concepisce neppure lontanamente che è arrivato il momento di farsi da parte.
Insomma se Renzi è quello che è, una maschera televisiva al servizio della tecnocrazia europea, incapace culturalmente prima che politicamente, di imprimere una svolta all'Italia che, se avvenisse davvero, travolgerebbe in primis proprio lui e il suo indecoroso cerchio magico, Bersani rappresenta il nulla, ovvero la difesa dei privilegi della vecchia nomenklatura che non si rassegna a cedere il passo.
E' per questo che Bersani in fondo rappresenta la migliore polizza assicurativa per il governo Renzi, la cui durata è destinata a prolungarsi a tempo indeterminato per assurdo proprio in virtù dei suoi demeriti e continui fallimenti.
Più Renzi racconta frottole, più disattende tutte ma proprio tutte le promesse fatte, più ci prende in giro con slogan da quattro soldi, più rischia di rimanere a Palazzo Chigi sine die.
Naturalmente, finché la gente non si sveglia...
Ma si sveglierà mai? Con una opposizione alla Bersani, una politica portata avanti dai vecchi compagni di merende, uno schieramento mediatico che h 24 dispensa torpore e disinformazione, abbiamo più di un motivo per dubitarne! 

martedì 30 aprile 2013

La scorciatoia di Repubblica per le larghe intese

Repubblica.it pubblica un videomessaggio di Massimo Giannini, "La scorciatoia", in cui il vicedirettore  traccia un rapido bilancio del discorso di fiducia tenuto alle Camere dal neopremier Enrico Letta. 
Esordisce con un vecchio espediente retorico, ponendosi una domanda da novello piccolo principe: "Un male necessario può diventare un bene collettivo?"
Cosa vi aspettate sia stata la sua conclusione?
Certo che Sìiiii! 
Infatti si affretta subito a definire quello di Letta  "un buon discorso, che non nasconde le difficoltà ma cerca di trasformarle in opportunità".
Ecco un primo tentativo, un po' patetico, di cercare di raddrizzare all'improvviso la baracca, ovvero la linea editoriale di Repubblica, dopo che per anni (ma sarebbe meglio parlare dell'intero ventennio berlusconiano) il quotidiano di Scalfari si è contraddistinto, anima e corpo, per un antiberlusconismo di facciata irriducibile e oltranzista,  che, a conti fatti, presentava più ombre che luci.
Così, dalla cabina di regìa di  Repubblica, mai una parola chiara e definitiva di critica sull'impostazione economica della proposta politica di Berlusconi, né sul modello sociale di riferimento, solo polemiche di piccolo cabotaggio, di forma più che di sostanza, spesso personali, magari sul ministro Tremonti, al massimo sul millantato riformismo del partito di Arcore; mutuandone molto spesso idee e linguaggio per un'agenda di governo (come nel caso del federalismo, delle tasse, dei fannulloni, della privatizzazioni, delle grandi opere, dei tagli all'università, ecc.).
Mai e poi mai una severa disanima del paradigma berlusconiano, solo e soltanto un faro acceso sulle sue vicissutidini private e giudiziarie: che seppure possono mettere in discussione l'uomo politico, di certo non ne mettono in dubbio l'ideologia, cioè il berlusconismo, che trova nell'uomo di Arcore il massimo interprete, non di certo l'unico e quel che è peggio, non confinato al solo centrodestra.
E' così potuto accadere che il volume di fuoco di Largo Fochetti si sia concentrato, per un'estate intera, sui suoi festini e le tante starlette di corte: di qui  l'ossessivo e stucchevole decalogo di domande su tale Noemi da Casoria, ripetuto infinite volte, a nome di due prime firme, Giuseppe D'Avanzo ed Ezio Mauro.
Il paese già stava affondando ma Repubblica scontava tutto a Berlusconi tranne le sue imperdonabili scappatelle.
Ma adesso, finalmente, è arrivato il rompete le righe: le truppe della corazzata De Benedetti si stanno riorganizzando perché il nemico storico non esiste più, parola degli strateghi di Largo Fochetti!, e tutte le forze devono essere ricompattate contro il nuovo nemico, questo sì, l'Acerrimo, contro il quale rispolverare l'armamentario peggiore: Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle.
A cui Scalfari e c. hanno dichiarato guerra totale, non si sa quando e soprattutto perché: tanto che moltissimi lettori, in ondate ripetute, sono stati costretti a fare le valigie.
Scoppiata la pace tra i due poli (ma quando mai si sono fatti la guerra?), è in atto il riposizionamento delle forze. 
Particolarmente rischioso, perché il fuoco amico, come si sa, è il peggiore: come potrebbe spiegarci Romano Prodi...
Così alcuni deputati democrat brancolano nella più totale confusione (comunque meglio dei loro elettori, caduti in depressione) con il loro segretario Bersani, mai stato tanto operoso da quando ha rassegnato le dimissioni, che in Parlamento prima abbraccia Alfano per rieleggere Napolitano e poi fa il segno di vittoria a Enrico Letta.
Per le giovani leve, oggi è un nuovo otto settembre: i nemici di ieri sono diventati gli amici di oggi e tra amici evidentemente non ci si può sparare.
Come urlava al telefono Alberto Sordi nei panni del tenente Innocenzi nel capolavoro di Luigi Comencini "Tutti a casa" (titolo paradossalmente emblematico anche oggi): "Signor colonnello, tenente Innocenzi, accade una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani!.... No, allora tutto è finito signor colonnello! (esplode una bomba) Ma non potreste avvertire i tedeschi che stanno continuando a sparare... mi scusi, signor colonnello, ma cerchi di comprendere, io ero all'oscuro di tutto! Quali sono gli ordini?" 

Se il PD ha trovato intese larghissime con il PDL bisogna ormai farsene una ragione.
Intanto i deputati dei due gruppi agiscono in tandem per tentare di mettere a tacere, appellandosi impropriamente al regolamento, chi a Montecitorio ha il coraggio di dire la verità: è il caso del deputato del M5S Colletti, il cui intervento è stato preso in sandwich dalle parole rabbiose sia del piddino Rosato che della pidiellina Saltamarini, in un'assonanza di toni e di contenuti veramente inedita e rivelatrice.
Ma a questo punto le vecchie battaglie di sempre (conflitto di interessi, legge anticorruzione, riordino del sistema radiotelevisivo) vanno archiviate rapidamente come episodi del passato: da adesso in poi, col nuovo ministero Letta (zio o nipote, a voi la scelta!), diventeremo patriotticamente tutti nipoti di Mubarak!
Ormai, da Libero, al Giornale, a Repubblica, a L'Espresso, a l'Unità, al Corriere, sale un solo comune grido: Abbasso Grillo! Bandiera Azzurra trionferà! (quando Berlusconi diventerà Presidente della Repubblica... a quel punto vedremo Bersani fare la ola).
Guai naturalmente ad esibire una qualche perplessità per l'improvviso e inopinato cambio di campo di Largo Fochetti: ogni commento che non sia più che in linea con il nuovo Verbo delle larghe intese è messo al bando!
Mica come quel bontempone di Grillo che prima i commenti li pubblica e poi, semmai, li fa rimuovere.
No, quelli di Repubblica sono dei veri professionisti, intervengono chirurgicamente alla radice.
A meno che l'opinione non sia talmente sgangherata da trasmettere la sensazione che chi critica il matrimonio PD-PDL o è un esaltato o un ignorante. Oppure il commento viene pubblicato per semplici esigenze statistiche: possibile mai che nei forum di Repubblica vige il pensiero unico?
Qualcuno tra i lettori a lungo andare potrebbe sentire puzza di bruciato... molto ma molto meglio un pluralismo telecomandato.




sabato 20 aprile 2013

Bersani e Berlusconi hanno condotto l'Italia nell'abisso

Un paese nella melma fino alla punta dei capelli, con due partiti, PD e PDL, compagni di merende nella più scellerata e scandalosa gestione della cosa pubblica, che si affidano ancora una volta all'ottantottenne Giorgio Napolitano per non lasciare la stanza dei bottoni e garantirsi la reciproca e perenne impunità.
E' questa la disgraziata e impietosa fotografia del Paese che ci viene restituita dalla quinta fumata nera per le elezioni del Presidente della Repubblica.
Il governo del cambiamento, che sembrava così a cuore all'impareggiabile Pierluigi Bersani (in questa fase storica, peggio di lui nessun cittadino, persino analfabeta, avrebbe potuto procedere, a meno di essere contemporaneamente senza intelletto, senza passione e senza vergogna) si è rivelato uno squallido bluff con cui ha preso in giro per settimane il corpo elettorale accusando ingiustamente e proditoriamente il leader del M5S di essere lui a non volere formare un nuovo governo: quando invece ne pretendeva solamente una firma in bianco per continuare a fare, d'intesa con Berlusconi, i fatti propri.
E' stata dura, a causa di una vergognosa campagna orchestrata dai media dell'eterno inciucio per confondere l'opinione pubblica, ma alla fine l'amara verità si staglia limpida e inconfutabile. E' merito proprio del grandissimo Beppe Grillo, già per questo padre della patria, a cui gli Italiani onesti dovrebbero serbare una grande riconoscenza, a fronte di queste termiti che hanno letteralmente spolpato il paese, se il mostruoso bluff si è disvelato.
Del cambiamento, la banda Bersani&Berlusconi non sa veramente cosa farsene, anzi ne ha il massimo sgomento: troppi devono essere gli scandali che li uniscono, troppe le partite rimaste in sospeso, troppe le collusioni, gli accordi sottobanco, i dossier tenuti in cassaforte, le cordate parallele, i ricatti incrociati.
Al Quirinale non può andare né Stefano Rodotà né chiunque altro sia una persona perbene fuori dalla mischia, nessun Italiano con la I maiuscola che possa semplicemente far rispettare la Costituzione: perché un requisito essenziale per gli aspiranti inquilini del Colle deve essere la ricattabilità, il controllo in remoto.
Ci può andare, quindi, solo chi è parte integrante di questo avvelenato sistema di potere, dove la gestione della cosa pubblica diventa funzionale al mantenimento dei privilegi della nomenklatura, delle ruberie, dell'ingiustizia sociale, della negazione dei diritti di cittadinanza agli stessi Italiani. 
Oppure ci può restare chi è organico a questo sistema inemendabile e non ha più né la forza fisica né l'età anagrafica e politica per potervisi efficacemente opporre, o semplicemente emendarlo: così Napolitano viene preso virtualmente in ostaggio da PD e PDL,  asserragliati nel Palazzo, che se ne infischiano altamente dei mugugni della piazza, ancor meno di una situazione economica di una gravità senza precedenti.
Così potranno continuare a sopravvivere d'amore e d'accordo ancora a lungo senza lasciare soverchie speranze a coloro che in queste ore li stanno osservando attoniti dall'agorà mediatico.
Grillo è riuscito, con una condotta democraticamente irreprensibile e grazie ad un linguaggio efficace, a scoperchiare finalmente il vaso di Pandora mostrando a tutti i cittadini che, dietro il solito teatrino quotidiano ad uso e consumo degli ingenui e dei distratti, le classi dirigenti di destra e di sinistra hanno stipulato, da tempo, all'insaputa dei propri elettori, un'alleanza tanto forte quanto inconfessabile, un vero patto di ferro.
Tenuto coperto in tutti i modi. Ma il buio pesto dell'Italia dei misteri verrà prima o poi squarciato.
E forse un giorno la storia degli ultimi vent'anni, dalle bombe di Capaci e Via D'Amelio, potrà essere completamente riscritta. Riina,  Provenzano, Ciancimino, i Graviano, torneranno ad essere quello che sempre in fondo sono stati: marionette sanguinarie nelle mani di menti criminali raffinatissime e senza morale, reggenti occulti del nostro sventurato Paese.
A meno di un miracolo dell'ultima ora, per noi Italiani non ci sono ancora speranze: se di colpo di stato di può parlare, esso è in atto dal 1992 e né il clamoroso responso delle urne del 25 febbraio né l'indignazione popolare possono al momento sovvertire questa sporca partita che vede sconfitti i cittadini onesti.

martedì 16 aprile 2013

Il Movimento 5 Stelle ha costruito al PD un'autostrada per il cambiamento


Dopo tante chiacchiere, è arrivato il momento di giocare a carte scoperte. 
Perché Pierluigi Bersani, ormai all'ultimo giro di giostra, deve finalmente dimostrare che il refrain di queste settimane, ripetuto come un tormentone estivo, varare il tanto famigerato governo del cambiamento, non è un semplice espediente dilatorio, cioè uno slogan da dare in pasto alla sua base elettorale, con il morale sotto le scarpe, per confortarla dopo l'ennesima cocente delusione di una vittoria mancata sul filo di lana: forse l'estremo bluff di una leadership ormai senza idee e senza passione.
In queste settimane, facendo a pugni persino con il comune buon senso prima ancora che con la legge dei numeri, il segretario democratico ha cercato in tutti i modi di farsi dare un incarico pieno da Giorgio Napolitano per dare vita ad un esecutivo di minoranza che, di volta in volta, avrebbe cercato i voti in Parlamento, magari facendo scouting tra gli eventuali Scilipoti del M5S ovvero continuando ad inciuciare con il Cavaliere in incontri a porte chiuse. 
Una strada sbarrata che ha costretto il Paese alla paralisi dell'attività istituzionale, perché nel frattempo, d'accordo col PDL, Pierluigi Bersani ha impedito la costituzione delle commissioni parlamentari permanenti e dunque l'avvio dei lavori delle assemblee legislative, oltre a rendere ancora più impervia la strada per un nuovo esecutivo, costringendo il Presidente della Repubblica a prendere tempo.
Solo così si può spiegare la convocazione di un'imbarazzante Congrega dei Dieci Saggi che in dieci giorni di inutile 'copia e incolla' hanno prodotto delle relazioni assolutamente irrilevanti, di cui nessuno già oggi, a distanza di soli quattro giorni, si ricorda più.
Mentre dentro il suo partito i mugugni si sono trasformati rapidamente in una vera e propria guerra di tutti contro tutti e, soprattutto contro di lui, Bersani, che già aveva giocato ambiguamente di sponda con il Cavaliere per l'elezione di Piero Grasso, uomo d'apparato, alla presidenza del Senato.
In questo quadro, il duello a distanza di ieri tra il rottamatore Matteo Renzi e la senatrice Anna Finocchiaro denuncia lo sfaldamento del PD mentre il segretario si incaponisce ad inseguire l'araba fenice di un governo a sua immagine e somiglianza,  seguendo una strategia schizofrenica: insistere con Napolitano nel volersi presentare alle Camere con un governo di minoranza mentre contemporaneamente cerca addirittura le larghe intese con Berlusconi per la scelta del prossimo inquilino del Colle. 
Una pretesa politicamente assurda: come pure i sassi sanno, la partita del prossimo governo si giocherà, come la Costituzione impone, proprio nelle stanze del Quirinale per cui non si capisce perché il maldestro smacchiatore di giaguari voglia lasciare fuori dalla porta di Palazzo Chigi il Cavaliere, quando proprio con lui intende scegliere il nome del nuovo Presidente della Repubblica, per i prossimi sette anni vero deus ex machina della vita istituzionale del nostro Paese.
Com'è possibile che Berlusconi sia impresentabile per Palazzo Chigi ma è partner affidabile, leale e autorevole per il Colle? 
Ai simpatizzanti del PD l'ardua sentenza!
Forse dietro questo suo atteggiamento apparentemente incomprensibile c'è la convinzione di poter contare comunque sui voti del M5S, come se ritenesse inconsciamente che siano voti del PD in momentanea libera uscita: ma se così fosse, la parola dovrebbe passare ad un bravo psicanalista.
Anche perché il M5S e il suo leader Beppe Grillo gli hanno sbarrato la strada da subito, in modo plateale, senza lasciargli speranza alcuna. 
E' vero, Bersani ha cercato di 'convincere' Grillo attraverso una  fatwa mediatica, accusandolo indirettamente di tutto, semplicemente perché, coerentemente alla campagna elettorale e alle battaglie politiche degli ultimi cinque anni (a partire dal primo V-day), il leader del M5S si è rifiutato di firmargli una delega in bianco su quei famigerati otto punti di programma, fra l'altro tutto fumo e niente arrosto.
Un politico con un minimo di senso della realtà avrebbe immediatamente compreso che un movimento di cittadini come quello guidato da Grillo si sarebbe condannato all'irrilevanza politica se avesse dato il nulla osta ad un'operazione del genere, ovvero un governo a guida Bersani, il quale, già durante le consultazioni, dichiarava che, una volta seduto a Palazzo Chigi, in mancanza dell'appoggio dei parlamentari pentastellati sui singoli provvedimenti, avrebbe non solo fatto scouting nelle sue fila ma cercato pure il soccorso azzurro di Berlusconi.
Ad esempio, su una questione cruciale come la Tav, in mancanza dei voti di Grillo, l'impareggiabile premier Pierluigi avrebbe cercato il consenso scontato del PDL, con il M5S messo così fuori gioco e lasciato in un angolo a leccarsi le ferite e a meditare con Seneca sull'ingratitudine umana
Perché togliere la fiducia ad un governo a cui la si è inizialmente accordata non è così facile come qualche ingenuo potrebbe pensare: anzi, in talune circostanze, è praticamente impossibile. 
A quel punto, addio Movimento, morto prima di essere diventato adulto, come un fiore di campo che resiste al gelo primaverile ma perde i petali al primo soffio di vento.
Adesso, grazie alla coerenza e lungimiranza del suo leader, il M5S torna al centro della scena politica avendo, con le sue Quirinarie (tanto sbeffeggiate dai media di regime quanto in fin dei conti rivelatesi preziose), indicato al PD un poker di nomi, difficilmente rispedibili al mittente.
Milena Gabanelli in pole position, Gino Strada, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, tutte persone perbenissime, esponenti di chiara fama di quella società civile con cui, in queste settimane, Bersani ha detto di voler interloquire (lo dimostra il numero sterminato di delegazioni non partitiche ricevute nel suo giro di consultazioni).
C'è solo l'imbarazzo della scelta: non sta a noi ripercorrere lo specchiato curriculum di questi Italiani a cui gli iscritti al M5S hanno riservato le loro simpatie.
La scelta di uno di loro, posto che il candidato di bandiera per le prime tre votazioni per Grillo sarà proprio Milena Gabanelli, significherebbe finalmente una svolta nella politica italiana, capace di rappresentare per la prima volta dai tempi fulgidi di Sandro Pertini un sentimento di stima diffuso e trasversale che scavalca la tradizionale e sclerotica dicotomia destra - sinistra, che ha nascosto in questi anni, dietro un'apparente contrapposizione ideologica, una smaccata convergenza di interessi, tanto torbida quanto sottaciuta: il famigerato inciucio.
Grillo e i suoi parlamentari hanno così scaraventato la palla nel campo del PD che a questo punto deve scoprire le proprie carte: perché rifiutare questi nomi sembrerebbe una missione impossibile. 
Non fosse altro che  appaiono di altissimo gradimento proprio nell'elettorato di centrosinistra e alcuni di loro pescano larghi consensi anche nel centrodestra: è il caso dei due insigni costituzionalisti Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà.
In una fase storica in cui si tratta di mettere mano a imponenti riforme istituzionali, chi meglio di un valente giurista può farsi garante della transizione indolore e in punta di Costituzione alla Terza Repubblica?
Se Bersani e il gruppo dirigente del PD non saprà cogliere l'attimo fuggente che da giovedì mattina si presenterà al Parlamento riunito in seduta comune con i rappresentanti delle Regioni, non solo decreterà un definitivo fallimento personale ma innescherà la deflagrazione del Partito Democratico, costringendo il Paese a tornare al più presto alle urne dopo un drammatico nulla di fatto.
Contro la tentazione del grande inciucio con Silvio Berlusconi per puntare su nomi a questo punto di basso o bassissimo profilo come Amato, Marini, D'Alema, Violante, Severino, Cancellieri, Bonino, Finocchiaro, Monti, Casini e chi più ne ha più ne metta, il poker esibito dal Movimento 5 Stelle metterà automaticamente a nudo i vizi e le virtù del gruppo dirigente del PD. 
Anche perché qualcuno dovrà prima o poi spiegare ai propri elettori perché mai le larghe intese si debbano fare con il PDL, terza forza politica alla Camera, e non con il Movimento di Grillo che, almeno in Italia, ha preso pure un numero di voti superiore a quelli dello stesso PD.
Insomma, il Movimento 5 Stelle, lungi dall'Aventino in cui certa stampa lo accusa di essersi relegato, ha costruito in tempi record un'autostrada al Partito Democratico per far uscire il Paese dall'intricatissimo ingorgo istituzionale e magari dargli, dopo quattro mesi, un buon governo finalmente nella pienezza dei suoi poteri.
Per Bersani e c., insistere con i vecchi riti sarebbe politicamente irresponsabile oltre ad essere esiziale per il suo partito, fra l'altro dovendo smetterla di ripetere come un disco rotto: è tutta colpa di Grillo...
Aspettiamo pazientemente il PD al casello con uno dei quattro prestigiosissimi ticket.


giovedì 28 marzo 2013

Il fallimento di Bersani auspicio per un nuovo inizio

Interessante scambio di battute l'altra sera a Ballarò tra il vicedirettore di Repubblica Massimo Giannini e l'economista Lidia Undiemi, esperta  in problemi inerenti la crisi del debito sovrano in Europa, su cui è da tempo viva l'attenzione dei sostenitori del Movimento 5 Stelle.
In particolare sul meccanismo del fondo salva stati (ESM) e del fiscal compact che impegnerà l'Italia in un esborso finanziario complessivo di 125 miliardi sul quale il silenzio dei media è stato sin dall'inizio  assordante, praticamente facendo trovare gli Italiani con le spalle al muro, di fronte al fatto compiuto.
In primis, la reticenza di Repubblica che pure avrebbe potuto svolgere nell'occasione un insostituibile ruolo informativo, come ha subito sottolineato l'economista aggiungendo che è stato proprio il blog di Beppe Grillo a veicolare questo tipo di informazioni al grande pubblico.
125 miliardi per i quali l'Italia ha già iniziato a pagare le prime quote di adesione: siamo già a 43 miliardi di euro, fuoriusciti dall'Italia. Altro che IMU!
Giannini ha cercato inizialmente di contrastare la Undiemi dicendo che si trattava di una bugia ma è dovuto ritornare sui suoi passi e cambiare tono nel momento in cui la stessa economista ha insistito sulla fondatezza e giustezza delle sue osservazioni, avendo studiato a lungo il documento europeo istitutivo di tale fondo e per averci realizzato sopra un apposito dossier e varie altre pubblicazioni.
A smentire sfortunatamente Giannini, il Corriere della Sera, in un pezzo a firma di Antonella Baccaro del 16 marzo a pagina 51, che così titolava a cinque colonne: «Debito oltre quota duemila miliardi / Il conto (salato) del fondo salva Stati»; dove ad un certo punto si dice: «Sempre nel mese di gennaio, il sostegno dei Paesi dell'area dell'Euro in difficoltà, cioè la quota di competenza dell'Italia dei prestiti erogati dall'Efsf (fondo salvaStati) è costata 0,4 miliardi, portando complessivamente tale contributo a 43 miliardi
Ma rivelatrici dell'assoluta inconsistenza e labilità, persino sul piano ideologico e programmatico, dell'attacco forsennato che la corazzata mediatica Repubblica-L'Espresso muove da sempre al M5S sono proprio le ultime parole di Giannini. Ve le riportiamo sia per iscritto che in video:
«Tanto per essere chiaro io penso che il M5S ha avuto un ruolo importantissimo anche in questo ultimo passaggio politico così delicato. 
Faccio un esempio: Piero Grasso e Laura Boldrini non sarebbero mai stati eletti se non ci fosse stata la spinta del M5S. Oggi avremmo probabilmente in quei due posti due esponenti della, tra virgolette, vecchia politica, rispettabilissimi ma comunque non nuovi come sono stati quei due. Da questo punto di vista io non mi sogno di criticare assolutamente il ruolo positivo del M5S. 
Dove però non ci siamo proprio, non ci siamo proprio, è quando questo movimento, pur essendo così innovativo e così utile da questo punto di vista, assume atteggiamenti spocchiosi rispetto all'esistente. D'accordo?
Allora, benissimo che ci sia questo rinnovamento in Parlamento, lo chiediamo da tempo tutti quanti e ci fa piacere che ora ci sia, però vedere persone che entrano in Parlamento e intanto trattano i giornalisti dicendo: "Voi siete spalamerda", organizzano conferenze stampa la cui premessa è: "Però non si possono fare domande", poi.. una deputata non stringe la mano a Rosy Bindi, perché non ha piacere di stringere la mano a Rosy Bindi: quando avessimo avuto tutti i politici... Poi la si può pensare in maniera diversa da Rosy Bindi, io la penso in modo diverso su tante cose, ma avessimo avuto in questi decenni politici con la passione di Rosy Bindi, oggi non ci troveremmo dove ci troviamo. Tanto per dirne una. 
Ma vado avanti, vado avanti. Poi sentiamo le critiche al sistema bancario ed abbiamo deputate grilline che, di fronte alla Camera, interrogate dalle Iene, non sanno che cos'è la BCE, non sanno chi è Mario Draghi...».
Interviene Floris: "Quello diciamo... purtroppo succede in tutto lo spettro parlamentare compreso [...]" .
Prosegue Giannini:    «Però dov'è  la differenza? Se poi arrivano con l'atteggiamento di chi dice:  "La ricreazione è finita, adesso levatevi tutti di mezzo perché ci siamo noi", allora lì c'è un cortocircuito. Io dico umiltà, perché l'umiltà la dobbiamo avere tutti, e senso di responsabilità perché c'è un paese da governare.... facciamoci carico di questi problemi, tutti quanti.».

Insomma, dopo un inaspettato e sperticato elogio al movimento di Grillo, Giannini gli avanza critiche, tutto sommato, assai deboli. Riassumiamole: 

1. la 'spocchia' dei nuovi parlamentari. La critica ci può stare, da parte di chi per carriera ha più dimestichezza e confidenza con la vecchia Casta, ma è evidentemente un rilievo di carattere meramente stilistico, insomma più di forma che di sostanza. Fra l'altro, con un'attenuante enorme: l'attenzione aggressiva e morbosa dei media verso questi nuovi deputati e senatori, osservati e descritti con circospezione quasi se su Montecitorio e Palazzo Madama fossero calati i marziani;

2. il linguaggio scurrile e l'atteggiamento di diffidenza nei confronti dei giornalisti italiani i quali, ad onore del vero, se lo sono meritato pienamente per essersi distinti in queste settimane proprio per la faziosità dei loro resoconti, spargendo disinformazione a mani basse anche quando si trattava semplicemente di riportare le parole pronunciate da Beppe Grillo in interviste a testate straniere, travisando pesantemente e sistematicamente il suo pensiero. 
Tant'è che in più di un'occasione è dovuta addirittura intervenire la rettifica dell'intervistatore per smentire il senso delle affermazioni che gli venivano attribuite dalla stampa di casa nostra. 
Insomma una costante e per certi versi inspiegabile delegittimazione del Movimento 5 Stelle ed in particolare del suo leader da parte dei principali organi di informazione, soprattutto non di partito;

3. la presunta 'ignoranza' dei nuovi parlamentari a 5 stelle. Se ci riferiamo alla conoscenza del diritto parlamentare, ciò è vero analogamente alle new entry degli altri partiti: si tratta di una normale e prevedibile iniziale difficoltà legata al nuovo ruolo acquisito che, evidentemente, non deve far gridare allo scandalo. Tanto più se coinvolge i neoeletti di tutti gli schieramenti.
Quanto alla presunta incompetenza tecnica o alla scarsa cultura generale dei neoeletti, l'88% dei 5 Stelle è laureato, molto di più delle altre forze politiche. Circa l'intervista delle Iene di qualche giorno fa, basta andarsi a rivedere il video completo per rendersi conto di chi ha fatto la figura più barbina: non a caso Repubblica.it ha inizialmente pubblicato, provocando clamore nella rete, un video che tagliava proprio le risposte imbarazzanti dei parlamentari del PD.
Possibile quindi che Massimo Giannini, in un'occasione ghiotta come quella di Ballarò in cui avrebbe potuto squadernare di tutto contro il M5S, particolarmente in un momento tanto cruciale per la vita istituzionale del nostro Paese, si sia limitato a rilievi di dettaglio, solo di natura estetica? 
Come fa a giustificare allora una linea editoriale del giornale che dirige tanto aggressiva e negativa contro Beppe Grillo e il suo movimento?

Perché essere così a corto di argomenti fa sorgere più di un sospetto; cioè che, in fondo, dietro la guerriglia mediatica di Repubblica, ci sia probabilmente solo una bassa questione di potere, intesa non come disputa sui massimi sistemi ma come opaca questione di poltrone e di assetti organizzativi. 
Probabilmente quello che più spaventa almeno una parte dell'intelligentia che fa riferimento al Partito Democratico è di restare fuori dai giochi, dalle spartizioni prossime venture, dalle future cordate, dai nuovi business, da inedite aree di influenza. 
Insomma un problema di ricambio della vecchia nomenklatura democratica che verrebbe spazzata via dall'onda d'urto degli attivisti di Grillo e che impone ai vecchi centri di potere una ricompattazione immediata.
Ad esempio sulla questione Tav, la preoccupazione sembra essere non quella di rinunciare ad una infrastruttura strategica per l'Italia (a cui, ormai è chiaro, non crede più nessuno), ma di vedersi mancare gli  appalti per le cooperative e le imprese amiche col conseguente inaridirsi di una preziosa fonte di consenso, così necessario in tempi di emorragia di voti!
Il problema cioè non è la politica ma è il binomio politica-affari, non è la buona amministrazione, lo sviluppo economico, uno stato che funziona bene, offrire servizi sociali di avanguardia, un fisco equo, una giustizia giusta: no, ciò che conta è piazzare i propri uomini nei gangli del potere.
Se poi questi politici, come è successo negli ultimi vent'anni, fanno il contrario di quello che hanno promesso al loro elettorato, per Giannini e c. la cosa è irrilevante: l'importante è che restino dei referenti affidabili per le esigenze dei gruppi di potere, per le lobby multicolore.
Lasciare che della cosa pubblica si occupino direttamente i cittadini senza cooptazioni di sorta, senza debiti di riconoscenza verso chicchessia, ecco questo è un grosso pericolo da evitare. 
La riorganizzazione della democrazia prefigurata dal movimento di Grillo attraverso la partecipazione diretta dei cittadini, senza l'intermediazione organica e strutturata dei vecchi partiti, significa la ristrutturazione di tutte, ma proprio tutte, le strutture di formazione, concentrazione e conservazione del consenso: dalle banche alle municipalizzate, dai giornali agli apparati ministeriali, ai partiti, agli enti locali, ai sindacati.
Ecco perché la ricetta di Pierluigi Bersani, uomo dell'apparato partitocratico che si candida a guidare un millantatato governo del cambiamento,  è quella tipicamente del Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare nulla.
Non si capirebbe altrimenti come egli stia insistendo tanto, malgrado l'evidenza dei numeri, a voler ancora tentare di costruire un'improbabile alleanza di governo, dopo ben sei giorni di consultazioni infruttuose.
E' invece cruciale che Giorgio Napolitano già stamane gli ritiri il mandato esplorativo e proponga finalmente un nome di vero cambiamento: a quel punto, una volta che la partitocrazia targata PD-PDL avrà fatto il sospirato (da tanti Italiani) fatidico passo indietro, i giochi si riapriranno.
E forse tutti gli Italiani, anche quelli che si sono spinti in questi giorni a formulare accuse tremende e isteriche contro Grillo, lo dovranno ringraziare perché lui e il suo movimento, con la loro trasparente inflessibilità, avranno reso possibile finalmente l'avvio della rottamazione della vecchia classe dirigente di destra e di sinistra.
E l'Italia potrà finalmente ripartire.


domenica 17 marzo 2013

Bersani per salvare se stesso sacrifica il PD

La giornata di ieri ha visto in Parlamento il proseguimento del più bieco tatticismo del partito democratico, già esibito nella giornata di inaugurazione della legislatura, nonostante a conti fatti siano stati eletti due illustri personalità, fra l'altro estranee al mondo della politica, che sicuramente, dai loro alti scranni, potranno fare nient'altro che bene.
Pierluigi Bersani, alla spasmodica ricerca di un ticket da Napolitano che gli consenta di avere l'incarico pieno in vista delle consultazioni per la formazione del nuovo governo, ha così sacrificato sull'altare delle proprie ambizioni il tandem Franceschini-Finocchiaro, per convergere a notte fonda sui nomi che poi sarebbero risultati eletti.
Una decisione talmente verticistica che ieri mattina, di fronte alla lapide che ricorda le vittime della strage di Via Fani nella ricorrenza del 35° anniversario, alcuni dirigenti del PD ancora non ne erano ben a conoscenza.
Tanto per rispondere alla leggenda metropolitana, abilmente rilanciata dai media, secondo cui mentre nel M5S tutto verrebbe deciso esclusivamente dal duo Grillo - Casaleggio, nel PD si respirerebbe ben altra aria di libertà e tutto si svolgerebbe alla luce del sole: anzi,  soltanto a seguito di una discussione assembleare e, per di più, all'unaninimità.
Ma a scomporre questo quadretto idilliaco, ci sono all'interno del PD i molti mugugni in corso e l'ira di quanti (non pochi!), sono stati presi in contropiede dall'iniziativa del segretario.
Il voto a Laura Boldrini e Piero Grasso di fatto stravolge l'identità politica del partito democratico che, nonostante i numeri esagerati ottenuti con la legge elettorale porcata (con il 25% dei voti il PD capeggia una coalizione a cui è andato un mostruoso premio di maggioranza del 55% dei seggi!), ha dovuto ripiegare su figure del tutto estranee al suo entourage per le massime cariche delle aule parlamentari.
Come se lo stesso segretario implicitamente riconoscesse che la tessera PD di fronte alla pubblica opinione vada tenuta nascosta.
In breve, Bersani ha sparigliato il gioco, con un duplice effetto: ha assestato un colpo formidabile all'immagine del PD, perorando presso il Colle la propria personalissima causa, ed ha creato scompiglio nelle fila del Movimento 5 Stelle. 
Un colpo di scena con cui sacrifica l'apparato del partito per sostenere la sua candidatura a premier: un doppio salto mortale, foriero di sviluppi tutt'altro che prevedibili. 
Nella partita delle presidenze delle camere, dire quindi che abbia vinto il PD è una bugia pietosa: ha vinto Bersani che paradossalmente al suo interno è diventato più debole e in evidente deficit di credibilità.
Quanto al M5S, è probabile che almeno una decina di senatori abbia votato contro le indicazioni di maggioranza. 
Qui si apre un caso politico: si possono disattendere le decisioni di gruppo per votare a ranghi sparsi? 
Evidentemente no, soprattutto se questo avviene alla prima occasione che conta: i senatori che hanno disobbedito agli ordini di scuderia, come dice Grillo, per quell'obbligo di trasparenza nei confronti dei propri sostenitori, lo dovrebbero dichiarare pubblicamente, assumendosene tutte le responsabilità. 
Il che non significa vederli espulsi dal gruppo ma ammonirli ufficialmente.
Uno vale uno, non significa che ognuno fa quello che gli pare, con buona pace dei media tendenziosi che puntano a far cadere il M5S nel caos. 
Del resto, la disciplina di gruppo è un valore in sé, come avviene per tutte le forze parlamentari: che cosa sarebbe successo ieri se 35-40 deputati del PD, contro le indicazioni del segretario, avessero votato per Franceschini??
Per quanto riguarda poi gli elettori del M5S che già dopo due giorni di apertura del Parlamento dichiarano pubblicamente di essersi pentiti del voto dato solo venti giorni fa, è chiaro che, nella migliore delle ipotesi, sono semplicemente voti a perdere e la velocità del loro pentimento tradisce la loro totale inaffidabilità e mutevolezza d'opinione. 
Guai a inseguire umoralmente queste persone, ne va dell'identità del movimento che rischia altrimenti di trasformarsi nella stampella sinistra del partito democratico, perdendo la sua carica di innovazione e, in pochi mesi, il suo straordinario appeal politico.
E' vero, nel ballottaggio tra Schifani e Grasso, a mente sgombera dal tatticismo partitico, sembrerebbe assurdo non optare per Grasso ma nell'ipotesi che avesse prevalso Schifani, la responsabilità sarebbe ricaduta in toto sul PD che, con la sua mossa tatticamente spregiudicata, ha intenzionalmente voluto mettere il M5S in un angolo. 
Possibile che il M5S, prima forza politica alla camera (un sondaggio del 15/3 lo dà al 30% delle intenzioni di voto, 5 punti sopra il PD!), non avesse diritto ad una presidenza e che il PD non potesse fare un gesto distensivo in questa direzione?
Lascia perplessi anche la mossa del PDL che, da forza di minoranza, ripresentando  Renato Schifani ha obiettivamente proposto una candidatura debolissima, quasi sospetta. 
Una sorta di inconfessabile mossa a tenaglia tra PD e PDL ai danni del M5S (non a caso Berlusconi ha attaccato ieri non il PD ma Grillo, trattenendo la delusione e limitandosi a far dichiarare che il PD aveva così fatto incetta di cariche istituzionali), prova tecnica di un inciucio prossimo venturo.
Ecco perché i senatori del M5S che hanno votato Grasso, al di là della persona, hanno commesso un madornale errore politico. 
Per questa volta passi: perché è compito anche di Beppe Grillo spiegare per bene a dei neofiti, al di là delle regole interne, come funziona la politica e in cosa si traduce l'esasperato tatticismo dei suoi principali esponenti.
Errare è umano... ma la prossima volta perseverare sarebbe diabolico.

sabato 9 marzo 2013

La petizione-civetta di Repubblica: un'OPA ostile contro Grillo

Che il gruppo L'Espresso-Repubblica si sia trasformato in una formidabile macchina del fango puntata contro Beppe Grillo e il suo movimento è ormai cosa nota: non c'è giorno in cui non compaia un pezzo di carattere diffamatorio e di odio viscerale nei confronti del leader o degli attivisti del M5S. 
Non staremo qui a ripercorrere la lunga sequela di ingiurie nei suoi confronti, molte delle quali troveranno soddisfazione evidentemente soltanto in Tribunale. O i mille tentativi, ancora in corso in queste ore, per sbatterlo fuori dal movimento di cui è primo fondatore, capo carismatico, garante, portavoce, anima.
L'obiettivo dichiarato è infatti, per dirla alla Bersani, quello di fare scouting cioè di fare campagna acquisti tra i  neoeletti del movimento per permettere ai trombati del PD, dal suo segretario a Veltroni, a D'Alema, a Fassino, alla Finocchiaro, alla Bindi e compagnia perdente, di dettare ancora le regole del gioco e di piazzare i propri uomini nelle istituzioni e nei gangli vitali della pubblica amministrazione, proprio come se il 24-25 febbraio non ci fossero mai stati.
E' evidente, che con questo po' po' di pedigree, il gruppo editoriale di Carlo De Benedetti, tessera n. 1 del PD e residenza fiscale in Svizzera (W l'Italia...), sia il pulpito meno indicato per analizzare le dinamiche dell'unica forza politica uscita vittoriosa dalle ultime consultazioni con un risultato, qualcuno fa finta di non ricordarlo, assolutamente straordinario. Né tanto meno per dispensare suggerimenti e moniti sulla linea politica che il M5S dovrà tenere di qui alle prossime settimane. 
Ci mancherebbe altro che proprio coloro che contro Grillo hanno abbracciato su scala industriale il metodo Boffo, ovvero l'intimidazione e la delegittimazione come pratica di informazione quotidiana, possano farsi paladini di una qualche battaglia civile. Meno che meno di una petizione indirizzata agli attivisti e ai parlamentari del M5S per costringerli ad appoggiare nei prossimi giorni un governo a guida PD. 
Eppure Repubblica, in una fase di passaggio istituzionale così difficile e senza precedenti, dà fuoco alle polveri di una lampante e gravissima scorrettezza costituzionale, interferendo pesantemente con la fisiologica dialettica in corso tra le forze politiche prima ancora che si apra il Parlamento, per lanciare una petizione trappola, una vera e propria OPA ostile contro il movimento di Grillo.
Parecchi cittadini, non conoscendo la posta in gioco e i veri obiettivi di Scalfari & c., potrebbero ingenuamente abboccare, apponendo la propria firma su un'iniziativa apparentemente meritoria. 
Trattasi, però, di una gigantesca operazione di manipolazione del consenso che, carpendo la buona fede di quanti, legittimamente, pretendono di avere a breve finalmente un governo che affronti le grandi emergenze del paese, punta alla più spudorata delle operazioni gattopardesche: dichiarare di voler cambiare tutto per non cambiare nulla, così che quegli stessi politici che i cittadini, non solo Grillo, hanno cacciato dalla porta possano comodamente rientrare dalla finestra, magari proprio  grazie al montacarichi messo gentilmente e gratuitamente a disposizione dal gruppo L'Espresso-Repubblica.
Che nel frattempo, prosegue senza soste, la guerra contro il Movimento 5 Stelle, cercando di demolirne mediaticamente non solo i nuovi quadri dirigenti ma la stessa onorabilità del suo leader. 
L'inchiesta farlocca sugli investimenti dell'autista di Grillo in Costarica è quanto di più squallido e vergognoso, nella sua insulsa e totale inconsistenza, sia potuto uscire dalla penna di un giornalista e fatto deragliare  inopinatamente in edicola, senza neanche prendersi la briga di cercare più di tanto dei riscontri. 
Eppure il settimanale di via Colombo vi  dedica a tambur battente la copertina.
Forse s'illudono che Grillo possa essere combattuto con gli stessi mezzi usati in questi anni con Berlusconi, ovvero con una sistematica denigrazione non della sua politica (che in fondo hanno sempre largamente condiviso, tanto da appoggiare con entusiasmo il governo Monti),  ma accendendo i fari sul suo corposo curriculum giudiziario. 
Questa volta, però, sfortunatamente per loro, con il leader genovese  cascano male e il tanto strombazzato scoop rischia di rivelarsi un pericoloso boomerang.
Staremo a vedere.
Per cogliere all'istante il frutto avvelenato di questa torbida operazione di Palazzo, basta comunque osservare che la petizione non è rivolta al gruppo dirigente del PD, vero sconfitto di queste elezioni, a cui il buon senso prima ancora che l'analisi dettagliata del voto avrebbe già dovuto suggerire le immediate e irrevocabili dimissioni collettive per giungere al più presto ad un  Congresso straordinario che sancisca il totale rinnovamento della sua Direzione nazionale, a cominciare dal segretario Bersani. 
Eppure sarebbe stato auspicabile che qualcuno, vicino al patetico  smacchiatore di giaguari, gli consigliasse prudenza e di astenersi dall'intimare ultimatum allegando una risibile lista di 8 punti, che tanto rassomiglia ad un pessimo abbozzo di sceneggiatura per una futura commedia degli equivoci.
Né l'iniziativa di Largo Fochetti è rivolta  genericamente ai rappresentanti di tutte le forze politiche perché diano, in questo difficile momento, prova di moderazione e di responsabilità, iniziando ad anteporre gli interessi del Paese ai propri. No! 
La petizione-civetta è rivolta espressamente ed unicamente al Movimento 5 Stelle ed ospitata sulle pagine proprio di quel giornale che in questi anni si è contraddistinto, nel panorama editoriale italiano già così plumbeo e dilaniato da lotte intestine, per la virulenza degli attacchi contro Grillo e i suoi ragazzi, con lo scopo dichiarato di tentare in qualche maniera di  fargli  terra bruciata.
Ci dispiace che personalità come Salvatore Settis, Roberta De Monticelli, Barbara Spinelli, pure nella sicura generosità del gesto e del sincero interesse per il bene comune, animati come immaginiamo dalle migliori intenzioni, prestino la loro firma ad un'operazione così profondamente di parte e antidemocratica.
Perché lasciare che questa petizione sia usata come una clava  da un gruppo di oligarchi contro quella che è diventata la prima forza politica italiana, significa non solo non aver compreso intimamente il significato del voto popolare ma di tentare prepotentemente di deviarne, se non proprio di sovvertirne, l'esito.


giovedì 7 marzo 2013

Ma perché PD e PDL non continuano a governare insieme??

Nel totale caos politico di queste ore, con i due grandi sconfitti PD e PDL che cercano di esorcizzare la débacle elettorale, sparlando a vanvera contro i cittadini eletti nelle fila del M5S e addirittura rilanciandosi loro stessi per guidare il prossimo esecutivo,  proprio come niente fosse, ancora una volta è Beppe Grillo a pronunciare parole di verità. Infatti sul suo blog un attivista del M5S si domanda:

"pdl e pdmenoelle hanno più punti programmatici in comune tra loro:
1) entrambi vogliono la TAV

2) entrambi sono per il MES
(nda: cioè il fondo salva stati europeo che l'Italia ha alimentato con 20 miliardi di euro, l'importo totale dell'IMU, per consentire alle banche greche e spagnole di restituire i prestiti ottenuti da Francia e Germania)
3) entrambi per il Fiscal Compact
4) entrambi per il pareggio di bilancio
5) entrambi per le "missioni di pace"
6) entrambi per l'acquisto degli F-35
7) entrambi per lo smantellamento dell'art.18
8) entrambi per la perdita della sovranità monetaria
9) entrambi per il finanziamento della scuola privata
10) entrambi per i rimborsi elettorali
Quanti punti programmatici comuni ho trovato così su due piedi??? DIECI. Ne hanno più loro che quello che afferma Bersani con il M5S (lui dice 8). Non per niente hanno governato per un anno e più insieme".
 
Effettivamente l'osservazione non fa una piega: perché Bersani e Berlusconi, nel tempo necessario a cambiare la loro legge elettorale porcata e magari fino alla primavera del 2014 (quando si svolgeranno le elezioni Europee), non continuano a governare insieme, magari con la guida 'esperta' dello stesso Mario Monti, visto che condividono lo stesso programma in quelli che sono dieci punti altamente qualificanti di una possibile azione di governo?
Non saranno solo le cene di Arcore o il caso Ruby a dividerli!
Anche perché se fossero sinceramente intenzionati ad imprimere una svolta nella politica italiana avrebbero entrambi già fatto un  passo indietro, dopo essersi reciprocamente e pubblicamente cosparso il capo di cenere.
Invece, come due sfingi, additano Grillo come il responsabile dell'ingovernabilità e continuano per la loro strada.
Berlusconi che tenta l'inciucio, terrorizzato di restare fuori dalla stanza dei bottoni; Bersani che riunisce una direzione nazionale di impresentabili (ci sono tutti, da D'Alema a Veltroni, anche se quest'ultimo ha almeno la dignità di non parlare) per dettare agli italiani gli otto punti di un'improbabile agenda di governo. Tra questi, ancora una volta, la legge anticorruzione, pure licenziata dall'allegra brigata PD-PDL-Centro nel dicembre scorso e balzata agli onori della cronaca sotto il nome di legge Severino.
"Che cos'è, è uno scherzo?" si domandava ieri Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, dopo aver preso atto, dal gip di Monza, proprio di quello che era il prevedibile effetto della suddetta legge: perché derubricando il reato di concussione per induzione a reato minore, con pene dimezzate e prescrizione più breve, sono saltate (perché prescritte!) le accuse alle coop rosse nel processo a Filippo Penati, già braccio destro di Bersani, cioè le tangenti che secondo l'accusa sono finite ai DS per il recupero delle aree ex Falck e Marelli. Così come accadrà tra poco per il grosso delle accuse allo stesso Penati.
Come si vede, PD e PDL vanno d'accordo pure in materia di giustizia, avendo ognuno  le proprie belle gatte da pelare. 
Pertanto, cosa c'è di meglio di riproporre l'ennesima legge anticorruzione, dietro la cui foglia di fico nascondere definitivamente altre questioni scottanti, per esempio l'affaire Monte Paschi di Siena? 
In fondo la legge anticorruzione serve proprio a questo, ad eliminare all'istante la corruzione, nel senso di far sparire  corrotti e corruttori dalle aule giudiziarie, con il più classico dei colpi di spugna.
E allora ci si accorge che il programma dal PD e quello del PDL sono due gocce d'acqua: in materia di politica economica, giustizia, scuola, beni culturali, difesa, non-tagli alla Casta, esteri. 
Alzi la mano chi vi riscontra differenze sostanziali!
L'unico vero motivo di frizione tra i due partiti, dal punto di vista strettamente mediatico, resta ancora la figura di Silvio Berlusconi che rappresenta per i piddini il simbolo della loro inadeguatezza, essendo riusciti a farlo risorgere più volte dalle sue ceneri.
E' vero, quelli del PD temono che l'abbraccio con il Cavaliere a favore di telecamere si possa rivelare mortale e tradursi alle prossime elezioni in un'ulteriore emorragia di voti, quella definitiva. Con il rischio di lasciare al Movimento 5 Stelle l'intera scena e la maggioranza assoluta dei consensi. 
Ecco perché Bersani vuole sì arrivare a tanto ma solo dopo essere riuscito ad inguaiare Beppe Grillo con un ricatto del tipo: o appoggi dall'esterno il nostro governo oppure faremo credere alla gente che la responsabilità di tornare alle urne tra tre mesi sarà esclusivamente tua. Infatti, checché tu sbraiti, il sistema dei media tradizionali è ancora a nostro completo servizio: in questi giorni ti abbiamo dimostrato che, pur vantando il M5S la pattuglia dei parlamentari più preparati perché quasi tutti laureati, grazie ai nostri giornalisti, siamo stati in grado di metterli alla gogna facendoli passare non solo come degli ignoranti ma, peggio, degli emeriti cretini.

Beppe Grillo ha quindi ragioni da vendere quando proprio oggi sul suo blog mette in guardia deputati e senatori dal cedere alle lusinghe dei conduttori televisivi avvisandoli: Attenti ai lupi!.
"Il loro obiettivo è, con voce suadente, sbranare pubblicamente ogni simpatizzante o eletto del M5S e dimostrare al pubblico a casa che l'intervistato è, nell'ordine, ignorante, impreparato, fuori dalla realtà, sbracato, ingenuo, incapace di intendere e di volere, inaffidabile, incompetente. Oppure va dimostrato il teorema che l'intervistato è vicino al pdmenoelle, governativo, ribelle alla linea sconclusionata di Grillo, assennato, bersaniano. In entrambi i casi, il conduttore si succhia come un ghiacciolo il movimentista a cinque stelle, vero o presunto (più spesso presunto), lo mastica come una gomma americana e poi lo sputa, soddisfatto del suo lavoro di sputtanamento. E' pagato per quello dai partiti.
L'accanimento delle televisioni nei confronti del M5S ha raggiunto limiti mai visti nella storia repubblicana, è qualcosa di sconvolgente, di morboso, di malato, di mostruoso, che sta sfuggendo forse al controllo dei mandanti, come si è visto nel folle assalto all'albergo Universo a Roma dove si sono incontrati lunedì scorso i neo parlamentari del M5S. Scene da delirio. Questa non è più informazione, ma una forma di vilipendio continuato, di diffamazione, di attacco, anche fisico, a una nuova forza politica incorrotta e pacifica. Le televisioni sono in mano ai partiti, questa è un'anomalia da rimuovere al più presto. Le Sette Sorellastre televisive non fanno informazione, ma propaganda."
Emblematico il caso di Barbara d'Urso che su Canale 5 ha invitato a parlare a nome del M5S, guarda caso, un signor nessuno, che si era iscritto via internet al Movimento di Beppe Grillo appena il giorno stesso delle elezioni, invitandolo a dialogare con deputati della Lega e facendo così fare al movimento stesso una pessima figura.
Si può pensare di aprire una trattativa politica con partiti che ricorrono a qualsiasi nefandezza pur di screditare quella che dovrebbe essere la loro controparte politica??
Intanto la macchina del fango di Repubblica - L'Espresso continua a vomitare contro il leader del M5S di tutto, prendendo di mira qualunque cosa o chiunque semplicemente sia a lui vicino, persino il suo autista...
Ma questa non ha più nulla a che vedere con l'informazione  nè con il giornalismo, è semplicemente guerriglia  mediatica: vergogna!



sabato 16 febbraio 2013

Per il 25 febbraio è in programma la nuova Festa della Liberazione: quella dalla Partitocrazia

Nelle redazioni dei nostri due massimi quotidiani italiani, Repubblica e Corriere della Sera, si respira un'aria pesante mentre nei Palazzi romani dilaga lo sconforto.
Possibile che, dopo aver messo su un'organizzazione mastodontica che segue il leader del M5S dappertutto, in perfetto silenzio, come un'ombra, in attesa del tanto sospirato passo falso, non si riesca a lanciargli addosso una qualche accusa infamante, che gli possa far perdere di colpo qualche migliaio di voti, abbassando l'onda lunga del suo Tsunami Tour che rischia seriamente di travolgere il prossimo 25 febbraio una buona fetta di partitocrazia? 
Ormai mancano solo 8 giorni al voto e qualcosa si deve pur fare: non è possibile accontentarsi del niente raccolto finora contro di lui!
Mentre la magistratura di tutta Italia sta demolendo, pezzo a pezzo, l'intera classe dirigente del nostro Paese, politici, burocrati, manager, boiardi di Stato, mentre  Bersani, Casini, Berlusconi, persino lo stesso Monti, si fanno vedere in giro il meno possibile per non ricevere dai passanti salve di fischi e boati di disapprovazione, Grillo raccoglie consensi crescenti e trasversali, riempiendo, nonostante le temperature polari, le piazze dello stivale, da Catania a Bolzano, da Bari a Novara, di un pubblico attento, caloroso, entusiasta.
E' l'unico che dice cose di buon senso, che non usa slogan tanto per nascondere il vuoto culturale, programmatico ma soprattutto morale dei suoi avversari politici.
Mentre tra Monti e Berlusconi si è ormai ingaggiata la gara a chi scende più in basso nell'insulto all'altro ma anche nel consenso elettorale (il sobrio bocconiano, con un'evidente e ormai ripetuta caduta di stile, adesso rimprovera al Cavaliere addirittura di comprarsi i voti ma, fino ad un mese fa, non aveva proprio nel Cavaliere il suo azionista di riferimento?), Pierluigi Bersani indugia nell'aria fritta, vagheggiando di un'alleanza a doppio filo con il premier uscente e la necessità di riconoscere almeno un premio di testimonianza al fido scudiero Niki Vendola. Quest'ultimo non se la passa per niente bene, dato che i suoi potenziali elettori hanno ormai capito che votare Sel è come votare Pd, che è poi come votare Monti girandosi dall'altra parte, mentre si fischietta l'inno dell'Internazionale...
Indubbiamente, votare un partito che si dichiara di sinistra per ritrovarsi poi lo stesso esecutivo di centro destra che ci sta sgovernando, con brevi interruzioni, da 20 anni grazie all'appoggio decisivo ed ai soldi di Silvio Berlusconi, non è propriamente una prospettiva eccitante per i fan del governatore della Puglia.
Anche perché con la discesa in campo dell'ex pm di Palermo Antonio Ingroia con la sua Rivoluzione Civile che conta sull'apparato organizzativo dell'Idv e di Rifondazione, qualcuno ci dovrebbe spiegare perché mai un elettore di sinistra, che non sia masochista,  dovrebbe votare Sel...
Ecco perché quella volpe di Bersani che, da quando ha vinto le primarie su Matteo Renzi, non ha detto una cosa, che sia una, di sinistra, peggio, non ha detto una cosa (di numero!), proprio oggi se ne è uscito con l'impegno di varare a tempo di record una legge contro l'omofobia.
Infatti milioni di italiani, cassintegrati, disoccupati, pensionati che non arrivano alla seconda settimana, imprenditori a rischio fallimento, giovani precari, studenti, esodati, sessantenni a cui la ministra Fornero chiede di lavorare dieci anni di più, malati buttati giù dai letti d'ospedale per i tagli della spending review ed invalidi lasciati senza assistenza domiciliare, giovani talenti costretti a cercare fortuna all'estero, insegnanti mandati a casa o costretti a lavorare in condizioni impossibili, liberi professionisti senza più una professione, gente sbattuta fuori di casa perché indigente, nient'altro che questo chiedevano da anni cronicamente inascoltati al PD di Pierluigi Bersani: finalmente una legge contro l'omofobia!!!
La nullità politica del leader piddino è confermata pure dalla posizione che egli ha assunto in merito alla questione Euro: ormai, pure i sassi sanno che l'ingresso dell'Italia nelle moneta unica è stata un vero disastro e le statistiche confermano in modo inoppugnabile che il declino economico italiano data 15 anni fa, guarda caso l'inizio della stagione dell'Euro.
L'aver perso la sovranità monetaria, senza prevedere a livello europeo i necessari meccanismi di compensazione, ha significato condannare l'Italia ad una lunga e tormentata decadenza di cui Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi sono i principali responsabili ma, più in generale, è l'intero centrosinistra che, in ragione di ciò, dovrebbe cospargersi il capo di cenere.
E invece cosa avviene? Bersani confonde deliberatamente l'adozione della moneta europea con il sogno di un'Europa più unita e solidale, senza pronunciare l'unica parola di verità: ovvero che proprio l'adesione cieca all'Euro ha reso più lontano e sbiadito il sogno europeo, l'esatto contrario di quello che i media e la Casta ci vogliono ogni giorno far credere, anzi ci hanno sbolognato a carissimo prezzo in questi anni.
Ecco perché il Movimento 5 Stelle, che restituisce la democrazia ai cittadini, è un'inattesa e irripetibile opportunità: mandare a casa una classe politica che è vissuta, nella più elitaria depravazione morale ed incompetenza professionale, alle spalle dei cittadini e che, divorando la cosa pubblica in modo famelico, ha ridotto alla fame quella che ancora dieci anni fa era la quinta potenza economica del mondo.
E gli autori di tanto scempio, non solo non chiedono pubblicamente scusa per i danni arrecati al Paese impegnandosi solennemente a risarcirli almeno parzialmente, magari restituendo il bottino frutto di infinite ruberie, ma si ergono ancora a protagonisti della scena politica prossima ventura, con la spocchia di voler ancora distribuire ai leader della rivoluzione di velluto italiana, in primis Beppe Grillo ed Antonio Ingroia, le carte della partita che sta per cominciare.
Ecco perché, in queste giornate frenetiche, è necessaria da parte di tutti i cittadini massima attenzione e partecipazione, perchè il colpo di coda della Casta partitocratica non solo è possibile ma è anzi assai probabile.
E può manifestarsi nelle forme più diverse e, contemporaneamente, in più ambiti e direzioni: mobilitazione capillare e consapevole, quindi.
Massima vigilanza, infine, nei seggi elettorali  per tutte le operazioni di voto e di spoglio successivo per limitare al massimo il più che concreto rischio di brogli e far sì che il tanto atteso miracolo italiano trovi finalmente la sua definitiva consacrazione nell'urna elettorale.
Perchè quale che sia il risultato che riuscirà a realizzare il Movimento 5 Stelle, dopo le elezioni la vita istituzionale del nostro Paese subirà un forte e positivo cambiamento.
Con una pattuglia colorata, giovane e vivace di 100-200 cittadini incensurati, senatori e deputati nuovi di zecca, la Casta non potrà più fare il bello e il cattivo tempo come prima, quand'anche dovesse restare ancora per un po' nella stanza dei bottoni e continuare ad esprimere, a causa della legge elettorale porcata, una raffazzonata ed inaffidabile maggioranza di governo.
Il 25 febbraio sarà per tutti gli Italiani, anche per chi non ci ha mai creduto, il Giorno della nostra Seconda Liberazione. Questa volta dalla Casta partitocratica.


martedì 5 febbraio 2013

Gli F35 e la lucida follia del trio Berlusconi, Bersani & Monti

Nella puntata di Presa Diretta, la bellissima trasmissione su RaiTre di Riccardo Iacona (a quando un nuovo riconoscimento per il suo prezioso contributo al giornalismo d'inchiesta?), domenica sera 3 febbraio, il tema trattato è stato quello delle spese militari, in particolare dell'acquisto dei chiacchieratissimi F35, i cacciabombardieri prodotti negli Stati Uniti.
Vediamo come è andata.

L'F35, il caccia di attacco prodotto dall'americana Lockheed Martin, si profila come un vero e proprio pozzo di San Patrizio per le dissestate casse dello Stato italiano.
Con clamorosi errori di progettazione, tanto che le ripetute correzioni in corso d'opera non bastano a salvare la validità di un progetto malconcepito (il pretendere insieme un cacciabombardiere d'attacco ed un intercettore da difesa), doveva costare 45 milioni di dollari ad esemplare e già ne costa oltre 200 milioni, tra l'altro nella versione più semplice: già adesso il più costoso sistema d'arma mai prodotto negli USA.
E nel complesso, tra costi di manutenzione e d'esercizio, l'F35 costerà 700 milioni di dollari a pezzo, un'emorragia inarrestabile da qui al 2050 per l'Italia: 40 miliardi di euro!
Ma analizziamo gli errori di progettazione più clamorosi.
Il gancio per permetterne l'atterraggio sulle portaerei è stato realizzato troppo vicino alle ruote tanto che l'aereo manca sistematicamente l'ancoraggio al cavo d'acciaio; difettoso è pure l'attacco per la catapulta per il decollo rapido.
Nonostante debba essere un aereo supersonico, dovendo essere il più rapido possibile come intercettore, c'è addirittura la necessità di non superare mai la velocità di 1,6 mach per non correre il rischio di mandare in fiamme la coda.
Di pessima manovrabilità (che per un velivolo militare d'attacco suona come una bestemmia) ed un'aerodinamica pessima (vibra esageratamente), è pure a rischio di esplosioni, sia perché il carburante è posizionato tutto attorno al motore, sia perché il suo sistema elettrico va a 270 volt contro i 48 volt di un caccia normale per cui, se colpito da un proiettile persino sparato da terra con un kalashnikov, si può innescare un corto circuito devastante.
Ancora: se costretto a rientrare all'improvviso ed a scaricare il carburante prima dell'atterraggio, data la sua eccessiva pesantezza, rischia l'esplosione.
Non parliamo poi del software gigantesco, oltre 9 milioni di righe di codice contro i già abbondanti 1,7 milioni dell'F22 (che pure aveva presentato gravissimi problemi di funzionamento), che si presta ad errori di programmazione praticamente certi e impossibili da risolvere.
Non solo:  la strumentazione dell'apparecchio è assai limitata in quanto ci si affida ad un apposito casco per il pilota con un visore interno complicatissimo che riporta le segnalazioni con un ritardo di 1/8 di secondo:  nel corso di un duello aereo, è un'eternità!
Senza neanche prendere in considerazione che se si rompe il casco (che da solo costa 2 milioni di euro!), l'aereo non può neppure decollare.
Dulcis in fundo, consuma in modo esagerato e richiede una continua manutenzione. Tanto da far ritenere che, utlizzato per semplici esercitazioni, non potrebbe restare in volo più di 15 ore la settimana; ma un buon pilota ha bisogno almeno di 35-40 ore di addestramento settimanale... 
A detta di autorevoli esperti, un vero bidone che vedrà la luce pure con due anni di ritardo, non prima del 2015, su cui si sono incaponiti, inspiegabilmente, i vertici dell'aeronautica e i governi italiani degli ultimi 15 anni: a cominciare da quello di D'Alema del 1999 per finire, ci mancherebbe altro!, con il governo Monti.
Per giunta, sacrificando la contemporanea partecipazione italiana al consorzio Eurofighter per la costruzione del cacciabombardiere europeo  Typhoon che vede l'Italia protagonista, con Alenia, anche sotto il profilo tecnologico in partnership con Germania, Inghilterra, Spagna: qui l'Alenia, controllata da Finmeccanica, assume il ruolo non di oscuro subfornitore degli americani ma di progettatore, produttore, esportatore. Inoltre tutti soldi investiti nel progetto europeo dal governo italiano restano in Italia a finanziare manutenzione, produzione e sviluppo del caccia. 
A confronto, l'F35 è una scelta fallimentare a livello industriale, tecnologico e occupazionale.
Perché la ricaduta tecnologica per l'industria italiana di questo investimento di guerra è praticamente zero.
In cambio di un ordine così esagerato (90 esemplari), l'Italia ha ricevuto dagli USA il contratto per l'assemblaggio finale degli F35 destinati anche all'Olanda, in tutto 165, e per la costruzione del 70% delle ali.
Ciò avverrà nello stabilimento di Cameri, vicino Malpensa, in una fabbrica nuova costruita a tempo di record e costata allo Stato italiano 800 milioni di euro, dove già lavorano 130 operai; a regime ne dovrebbe impiegare 3'000.
Ovvero, ogni posto di lavoro viene a costare 10 milioni di euro: un'enormità se si tiene conto che nell'industria civile, anche avanzata, tale costo scende a 200.000 euro, 50 volte di meno!
Dettaglio non trascurabile: posti di lavoro a basso contenuto tecnologico, per un'attività di mero assemblaggio.
Non  a caso il Canada, l'Australia, la Turchia e l'Olanda (a Cameri l'assemblaggio riguarderebbe, a questo punto, solo i 90 pezzi italiani) hanno deciso di sospenderne l'acquisto perché i caccia costano troppo e perché, come abbiamo visto, hanno enormi problemi tecnici, praticamente irrisolvibili.
Ma qui in Italia, il ministro della Difesa, l'ammiraglio Gabriele Di Paola, e il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Giuseppe Bernardis, pur decidendo di ridurne il numero da ordinare da 131 a 90, con il consenso di tutto il Parlamento (salvo IDV e radicali), ne confermano l'acquisto.
L'11 dicembre scorso, mentre fuori del Parlamento si manifestava contro l'acquisto degli F35, i nostri deputati approvavano la legge delega di revisione dello strumento militare, stanziando per la difesa 230 miliardi di euro per i prossimi 12 anni e stabilendo libertà di spesa per i militari all'interno di questo budget. Tutti i partiti si sono espressi a favore tranne Italia dei Valori, radicali e i leghisti (che si sono astenuti), lasciando quindi al ministero della Difesa carta bianca nello spendere circa 20 miliardi all'anno in barba ai tagli inflitti agli altri ministeri (scuola, sanità, previdenza, ecc.) in cupissimi tempi di spending review.
Particolare curioso ma significativo: coloro che tra i partiti di maggioranza hanno votato contro, Savino Pezzotta (Udc), Andrea Sarubbi (Pd), non sono stati ricandidati per le prossime elezioni.
Conclusione: la lobby dei militari è sicuramente più forte della politica.
Interpellati sulla questione, i politici e aspiranti premier della strana maggioranza uscente non si sono smentiti nella loro doppiezza e mediocrità.
Silvio Berlusconi rinnega il progetto, pur portato avanti dai suoi governi, ma è d'accordo sul continuarlo perché, udite udite, gli impegni presi vanno rispettati.
Finalmente un po' di coerenza!
Mario Monti, che ha premuto sull'acceleratore della riforma militare, accusa i detrattori del progetto di  populismo  (e ti pareva!...) e ritiene che, sia pure ridimensionato a 90 unità, l'acquisto vada comunque fatto.
Onestamente, da loro due non ci si poteva attendere altro!
Beppe Grillo e Antonio Ingroia sono, invece, nettamente contrari.
E Pierluigi Bersani? Cosa ne pensa?
Ecco il resoconto dattiloscritto dell'intervista concessa a Presa Diretta:
Bersani: Le priorità adesso sono altre e quindi vedremo come assieme naturalmente alle nostre forze armate, come questo programma possa essere rivisto a riduzione. E credo anche una riduzione significativa. Certamente bisogna, pur in un programma ridotto, alcune nostre presenze industriali bisogna garantirle.
Giornalista: Voi al governo non fareste come il Canada?
Bersani: No, credo adesso io diciamo non conosco nei dettagli la situazione dei canadesi… Sì, c’è stato… grossi problemi su copertura, investimenti, ecc
No, se la domanda significa noi proponiamo di cancellare la cosa. Non si può dirlo perché ci esporremo alla domanda: da qui a 5 anni che cosa fate?
Ecco..il vero risparmio nella prospettiva è creare un modello europeo di difesa…
Quello è il vero grande risparmio che potremo fare, via via… e bisogna lavorare su questo.
Io credo che già un gesto di questo genere possa indurre ad una riflessione anche dal punto di vista di impostazione del modello di difesa.
Giornalista: Cifre di riduzione non ne possiamo dare, cioè siamo a 90. E’ sensato dire…
Bersani: E’ sensato dire che li ridurremo… naturalmente quando avremo la possibilità, anche perché adesso si ragiona fuori dalla stanza dei bottoni, come si dice.
Giornalista: E chi continua a darvi dei guerrafondai per una scelta troppo filo…
Bersani: E ho capito sui guerrafondai, e purtroppo il mondo… O ci arrendiamo al fatto che poi chi avrà in mano un fucile potrà fare quel che vuole, possiamo anche arrenderci a questa logica, possiamo anche dire che noi, per l’amor di Dio, faccia la Francia se vuole, il Mali non ci interessa… Dopodiché siamo lì noi, no?
E quindi un meccanismo di difesa che svolga, naturalmente ripeto sempre sotto l’egida dell’organizzazione internazionale, sempre ai fini di pacificazione e quindi anche come deterrenza, io credo che nel mondo di oggi sia ancora necessario. Purtroppo. Ma è ancora necessario.

Un inutile giro di parole, ammiccando a coloro che criticano l'acquisto dei caccia, per ammettere di essere comunque d'accordo con l'operazione.
Ecco l'identità del Pd: rispetto alla politica di Berlusconi e della destra italiana, posizionarsi solo un millimetro prima...
Il massimo dell'inadeguatezza e della doppiezza: non una sola idea, un solo valore non negoziabile, su cui i piddini sentano il dovere morale di spendersi con tutte le proprie energie!
E' forse un caso che Bersani, da Berlino, ha lanciato oggi  la proposta di collaborazione a Mario Monti?


 

martedì 29 gennaio 2013

Crack MPS: la Casta saccheggia lo Stato. Però è antifascista...

Ormai è chiaro (e i loro lettori se ne devono fare una ragione...).
RepubblicaCorriere della Sera in tandem stanno tirando la volata a PD e a Mario Monti e, giorno dopo giorno, spargono a mani basse disinformazione contro l'unica vera novità di questa campagna elettorale: il Movimento 5 Stelle  di Beppe Grillo.
Lo seguono come un'ombra in quello che sempre più si sta profilando come un autentico bagno di folla nelle mille piazze italiane, lo TsunamiTour, restando  in imbarazzato silenzio per settimane data l'accoglienza  trionfale che la gente dovunque gli tributa.
Sperando vivamente in un incidente di percorso ovvero che, preso dalla foga di uno dei tanti discorsi che tiene ogni giorno completamente a braccio, incespichi in qualche iperbole, su cui plotoni di pennivendoli sono lì pronti ad impiccarlo.
Ma nell'attesa dello sfondone che non arriva (quel Grillo si sta rivelando sempre più accorto!), si allestisce una qualche carnevalata.
Così, al soldo della Casta, di fronte al palco, entrano in scena sedicenti antifascisti, uno sparuto gruppo di ragazzotti che, senza sapere di maneggiare parole molto più grosse di loro, in deficit spesso dei più elementari strumenti culturali e di un'accettabile capacità dialettica, inscenano  all'improvviso, ad un preciso ordine di scuderia, una vera e propria gazzarra alzando striscioni vaneggianti accuse di fascismo contro il leader del M5S. Il quale li invita subito dopo a salire sul palco per argomentare il loro dissenso: ma il tentativo va a vuoto, finché la piazza, intuendo che si tratta dell'ennesima provocazione, non li sommerge di fischi.
Ma ciò basta a Corriere e Repubblica, dopo giorni di estenuanti appostamenti a vuoto, di titolare, nuntio vobis gaudium magnum:  "Contestazioni contro Beppe Grillo", facendo assurgere il gesto telecomandato del minuscolo drappello di scalmanati a  notizia del giorno.
E così proprio colui che, unico nel terremotato panorama politico italiano, in questo gelido inverno riempie le piazze, sommerso dal calore e l'entusiasmo di una moltitudine di studenti, lavoratori, pensionati, casalinghe, cassintegrati, ovvero semplici cittadini, (quando non è lui stesso che vi nuota sopra!), ed al quale vengono riservate ovazioni da rockstar, proprio il Beppe nazionale, che va in giro goliardicamente in mezzo ai ragazzi senza scorta alcuna né bisogno di un agguerrito servizio d'ordine, viene additato dai media di regime a parafulmine della Casta.
Tentativo talmente scoperto e maldestro da naufragare miseramente, anzi da rivelarsi un boomerang.
Ma perché tanta animosità contro di lui?
Semplice: con il suo movimento di cittadini, nato per superare vecchi steccati, planando sopra le ideologie con nuove idee processate dalla rete,  il leader del M5S costringe i leader politici come Bersani, Casini, lo stesso Berlusconi, a fare una campagna elettorale su un terreno impervio, per niente congeniale, basato com'è sui contenuti piuttosto che sulle logiche di schieramento.
Ma questi qui contenuti non ne hanno, preoccupati soltanto di mantenere la poltrona  e di continuare a gestire il potere come sempre hanno fatto in passato, attraverso accordi sottobanco, reciproci ricatti, scambio di piaceri, cooptazioni, patetici teatrini televisivi.

Ecco che col suo modo scanzonato di interpretare la politica, sconvolgendo la vecchia liturgia della campagna elettorale, Grillo ha messo in crisi la spartizione del consenso elettorale siglato da sempre dagli uomini della Casta, al riparo delle ideologie.
Perché proprio agitando a comando la bandiera di un'appartenenza ormai fine a se stessa, una generazione di politici è vissuta di rendita alle spalle dei cittadini, che ingenuamente li hanno sostenuti abboccando alle loro vuote parole d'ordine, a cui proprio chi le pronunciava era il primo a non credere.
Vi ricordate l'ex segretario del PD Walter Veltroni, già capolista del vecchio PCI, dichiarare apertamente di non essere mai stato comunista? O Gianfranco Fini, una vita nel MSI, dichiarare che il fascismo è stato il male assoluto.
Per due leader che hanno dovuto fare outing, ce ne sono stati molti altri che hanno fatto finta di niente, usando l'ideologia come un tram su cui salire e scendere alla fermata più vicina, magari col bavero alzato e gli occhiali scuri per non essere riconoscibili.
E' così che si possono mandare in fumo 14 miliardi di euro, secondo una strategia degna non di un management ma di una banda terroristica, mettendo in ginocchio buona parte dell'economia italiana, continuando a fare finta di nulla.
In fondo si tratta solo di compagni che sbagliano, ma che tutti restino tranquilli: sono antifascisti certificati al 100%.
La gente però piano piano si sta svegliando e non gradisce più di essere presa per il naso in questo modo.
Il gioco è ormai così scoperto che i galoppini dei due principali quotidiani sono costretti a confondersi tra la folla mischiandosi proprio con i contestatori.
Le immagini del video girato a Livorno che i due quotidiani esibiscono come un trofeo dimostrano infatti come il punto di osservazione delle riprese fosse proprio a fianco di chi alzava lo striscione: una contiguità più che sospetta!
Nel frattempo Bersani e Monti negano qualsiasi coinvolgimento nello scandalo MPS e Berlusconi preferisce tacere.
Va a finire che la colpa se il Monte dei Paschi sta per saltare per aria è dei correntisti o di coloro che hanno in questi anni preso il mutuo per la prima casa? O dell'artigiano che chiede l'anticipo su fatture?
Nell'attesa che la buriana si plachi, il salvataggio è stato affidato, guarda caso, ancora una volta alle casse dello Stato: e visto che parliamo di qualcosa come 4 miliardi di euro, praticamente all'IMU sulla prima casa, finita di versare dai cittadini appena un mese fa. 
E proprio chi inveisce contro lo Stato sprecone, improduttivo, pieno di debiti, da ridimensionare, (l'opposto del privato che brillerebbe per efficienza e competitività, serietà...) gli assesta il colpo di grazia.
Il ritornello è sempre lo stesso, anche se ci vuole un gran fegato per ripeterlo: socializzare le perdite, privatizzare i profitti ma scagliarsi contro la spesa pubblica improduttiva...
Prima o poi questi cialtroni qualcuno li dovrà pur mandare a casa! 

sabato 26 gennaio 2013

Finalmente c'è un giudice a Siena: l'intervento di Beppe Grillo al Monte dei Paschi


Di fronte allo scandalo finanziario che ha in Siena  e nella sua antichissima banca il suo epicentro e che rischia di mandare all'aria una buona parte del sistema finanziario italiano, già alle corde per la crisi mondiale e per la dissennata gestione della moneta unica da parte delle istituzioni europee, le parole di Beppe Grillo risuonate nell'auditorium senese dove si tiene l'assemblea straordinaria degli azionisti, sono le prime che finalmente restituiscono alla gente comune, ai risparmiatori, ai lavoratori, ai pensionati, agli imprenditori onesti, il diritto di cittadinanza.
Innanzitutto svelano la vera dimensione dello scandalo, da guinness dei primati nonostante la piaga della corruzione italiana ci abbia regalato in passato altri crack finanziari di tutto rispetto: perché la Tangentopoli ambrosiana di inizio anni 90, lo scandalo Parmalat e Cirio a confronto sono quisquilie.
Grillo sostiene che il buco nel bilancio del Monte dei Paschi si aggiri attorno ai 14 miliardi di euro, qualcosa come 28 mila miliardi delle vecchie lire!!!
Il presidente Alessandro Profumo gli ha contestato la veridicità di questa cifra ma è probabile che alla fine della storia sia proprio il leader del Movimento 5 Stelle ad avere ragione: intanto ha facile gioco nel contestargli l'accusa per maxifrode fiscale di quando era amministatore delegato di Unicredit, dunque, di non essere la  persona più adatta a gestire un passaggio così delicato per la banca toscana.
D'altra parte un conticino semplice semplice, senza tentare neppure di girare la copertina di un bilancio MPS che si presenta evidentemente taroccato, muniti di un semplice pallottoliere, è presto fatto.
La banca si appresta a varare un aumento di capitale di dimensioni colossali, il padre di tutti gli aumenti: 6,5 miliardi di euro; condizione questa per consentirle di ricevere dallo Stato, tramite l'emissione dei cosiddetti Monti bonds, un importo aggiuntivo di 3,9 miliardi (lo stesso importo dell'IMU sulla prima casa): il totale fa, a mente, 10,4 miliardi di euro.
Quindi i 14 miliardi paventati da Grillo non sono lontani, anche perché i dati di bilancio vanno presi con le molle, vista la gestione terroristica dell'istituto.
In questo caso infatti non si può parlare di difetto di managerialità, questo è terrorismo finanziario bell'e buono e la politica non può fare, ancora una volta, spallucce.
Dove siano finite in questi anni le autorità di controllo, dalla Banca d'Italia di Mario Draghi e Anna Maria Tarantola, al Tesoro, alla Consob, mentre il Monte dei Paschi si lanciava in operazioni folli (basta citare l'acquisto di Banca Antonveneta, pagata il triplo del suo valore) non è dato sapere.
Che cosa poi ci stesse a fare il PD, così ben rappresentato nell'omonima Fondazione, nel Comune e in tutto il sistema Siena, tanto da rendere, come ha detto giustamente Grillo, il partito una banca e la banca un partito, è ancora più misterioso.
Bersani è riuscito soltanto a dire che, loro non c'entrano. Ragasssi!
Eppure l'amministratore delegato del MPS Giuseppe Mussari, che per tanta maestria era stato pure promosso presidente dell'Abi, è stato uno dei maggiori foraggiatori del PD avendo effettuato negli anni donazioni a titolo personale prima ai DS, poi al PD, per 673.000 euro.
Ma ora che finalmente è stato scoperchiato il vaso di Pandora (neppure una bella e drammatica trasmissione di Report del maggio scorso era stata sufficiente a far accendere i fari sulla vicenda), nessuno ha visto e saputo niente...
Come facciano costoro ancora a comparire in pubblico, peggio, a chiedere carta bianca agli elettori per governare per i prossimi cinque anni è qualcosa che noi umani non possiamo neppure immaginare.
Ecco, il merito di Beppe Grillo è quello di aver restituito alle parole il loro significato, di dire ciò che i politici della Casta, che sembrano sbarcati da chissà quale altro pianeta, semplicemente non si sognano più neppure di pensare.
E' avvilente starli a sentire, anzi è perfettamente inutile: i loro discorsi sono vuoti, autoreferenziali, l'uso di stereotipi è ossessivo, sono arrivati a svuotare le parole del loro significato, prendendo in giro persino la Costituzione.
Parlano di riforme e tagliano le prestazioni sociali, pronunziano la parola missione di pace ma vanno a fare la guerra, dissestano l'ambiente e le finanze pubbliche con progetti inutili e costosissimi come la TAV e delirano di modernità, smaltiscono i fanghi dei grandi cantieri affidandosi alle ecomafie (vedi inchiesta sul passante ferroviario di Firenze), secretano le conversazioni telefoniche del Capo dello Stato trasfigurandolo in un nuovo Re Sole mentre si fanno beffe delle regole della democrazia, ci rendono schiavi dell'Euro e ce lo spacciano come sogno europeo...
Proprio ieri, mentre negava qualsiasi responsabilità politica sul caso Siena, il segretario del PD dichiarava che al centro del suo programma di governo per la prossima legislatura ci sarà il lavoro: ma di quale lavoro ciancia?
Forse di quello degli operai di Taranto a cui i padroni dell'Ilva negavano il diritto alla salute insieme alle loro famiglie a causa delle emissioni fuori controllo di polveri e inquinanti, mentre nel frattempo gli stessi elargivano cospicui finanziamenti a fondo perduto per la campagna elettorale dell'onorevole Bersani.
Che il segretario piddino sia affetto da sdoppiamento della personalità?
Ecco, di fronte al sistematico scempio di verità ed intelligenza che angustia quotidianamente noi cittadini, ben venga uno come Beppe Grillo, tribuno della gente perbene, che dice a tutti pane al pane e vino al vino, restituendo finalmente dignità alla politica.