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martedì 5 febbraio 2013

Gli F35 e la lucida follia del trio Berlusconi, Bersani & Monti

Nella puntata di Presa Diretta, la bellissima trasmissione su RaiTre di Riccardo Iacona (a quando un nuovo riconoscimento per il suo prezioso contributo al giornalismo d'inchiesta?), domenica sera 3 febbraio, il tema trattato è stato quello delle spese militari, in particolare dell'acquisto dei chiacchieratissimi F35, i cacciabombardieri prodotti negli Stati Uniti.
Vediamo come è andata.

L'F35, il caccia di attacco prodotto dall'americana Lockheed Martin, si profila come un vero e proprio pozzo di San Patrizio per le dissestate casse dello Stato italiano.
Con clamorosi errori di progettazione, tanto che le ripetute correzioni in corso d'opera non bastano a salvare la validità di un progetto malconcepito (il pretendere insieme un cacciabombardiere d'attacco ed un intercettore da difesa), doveva costare 45 milioni di dollari ad esemplare e già ne costa oltre 200 milioni, tra l'altro nella versione più semplice: già adesso il più costoso sistema d'arma mai prodotto negli USA.
E nel complesso, tra costi di manutenzione e d'esercizio, l'F35 costerà 700 milioni di dollari a pezzo, un'emorragia inarrestabile da qui al 2050 per l'Italia: 40 miliardi di euro!
Ma analizziamo gli errori di progettazione più clamorosi.
Il gancio per permetterne l'atterraggio sulle portaerei è stato realizzato troppo vicino alle ruote tanto che l'aereo manca sistematicamente l'ancoraggio al cavo d'acciaio; difettoso è pure l'attacco per la catapulta per il decollo rapido.
Nonostante debba essere un aereo supersonico, dovendo essere il più rapido possibile come intercettore, c'è addirittura la necessità di non superare mai la velocità di 1,6 mach per non correre il rischio di mandare in fiamme la coda.
Di pessima manovrabilità (che per un velivolo militare d'attacco suona come una bestemmia) ed un'aerodinamica pessima (vibra esageratamente), è pure a rischio di esplosioni, sia perché il carburante è posizionato tutto attorno al motore, sia perché il suo sistema elettrico va a 270 volt contro i 48 volt di un caccia normale per cui, se colpito da un proiettile persino sparato da terra con un kalashnikov, si può innescare un corto circuito devastante.
Ancora: se costretto a rientrare all'improvviso ed a scaricare il carburante prima dell'atterraggio, data la sua eccessiva pesantezza, rischia l'esplosione.
Non parliamo poi del software gigantesco, oltre 9 milioni di righe di codice contro i già abbondanti 1,7 milioni dell'F22 (che pure aveva presentato gravissimi problemi di funzionamento), che si presta ad errori di programmazione praticamente certi e impossibili da risolvere.
Non solo:  la strumentazione dell'apparecchio è assai limitata in quanto ci si affida ad un apposito casco per il pilota con un visore interno complicatissimo che riporta le segnalazioni con un ritardo di 1/8 di secondo:  nel corso di un duello aereo, è un'eternità!
Senza neanche prendere in considerazione che se si rompe il casco (che da solo costa 2 milioni di euro!), l'aereo non può neppure decollare.
Dulcis in fundo, consuma in modo esagerato e richiede una continua manutenzione. Tanto da far ritenere che, utlizzato per semplici esercitazioni, non potrebbe restare in volo più di 15 ore la settimana; ma un buon pilota ha bisogno almeno di 35-40 ore di addestramento settimanale... 
A detta di autorevoli esperti, un vero bidone che vedrà la luce pure con due anni di ritardo, non prima del 2015, su cui si sono incaponiti, inspiegabilmente, i vertici dell'aeronautica e i governi italiani degli ultimi 15 anni: a cominciare da quello di D'Alema del 1999 per finire, ci mancherebbe altro!, con il governo Monti.
Per giunta, sacrificando la contemporanea partecipazione italiana al consorzio Eurofighter per la costruzione del cacciabombardiere europeo  Typhoon che vede l'Italia protagonista, con Alenia, anche sotto il profilo tecnologico in partnership con Germania, Inghilterra, Spagna: qui l'Alenia, controllata da Finmeccanica, assume il ruolo non di oscuro subfornitore degli americani ma di progettatore, produttore, esportatore. Inoltre tutti soldi investiti nel progetto europeo dal governo italiano restano in Italia a finanziare manutenzione, produzione e sviluppo del caccia. 
A confronto, l'F35 è una scelta fallimentare a livello industriale, tecnologico e occupazionale.
Perché la ricaduta tecnologica per l'industria italiana di questo investimento di guerra è praticamente zero.
In cambio di un ordine così esagerato (90 esemplari), l'Italia ha ricevuto dagli USA il contratto per l'assemblaggio finale degli F35 destinati anche all'Olanda, in tutto 165, e per la costruzione del 70% delle ali.
Ciò avverrà nello stabilimento di Cameri, vicino Malpensa, in una fabbrica nuova costruita a tempo di record e costata allo Stato italiano 800 milioni di euro, dove già lavorano 130 operai; a regime ne dovrebbe impiegare 3'000.
Ovvero, ogni posto di lavoro viene a costare 10 milioni di euro: un'enormità se si tiene conto che nell'industria civile, anche avanzata, tale costo scende a 200.000 euro, 50 volte di meno!
Dettaglio non trascurabile: posti di lavoro a basso contenuto tecnologico, per un'attività di mero assemblaggio.
Non  a caso il Canada, l'Australia, la Turchia e l'Olanda (a Cameri l'assemblaggio riguarderebbe, a questo punto, solo i 90 pezzi italiani) hanno deciso di sospenderne l'acquisto perché i caccia costano troppo e perché, come abbiamo visto, hanno enormi problemi tecnici, praticamente irrisolvibili.
Ma qui in Italia, il ministro della Difesa, l'ammiraglio Gabriele Di Paola, e il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Giuseppe Bernardis, pur decidendo di ridurne il numero da ordinare da 131 a 90, con il consenso di tutto il Parlamento (salvo IDV e radicali), ne confermano l'acquisto.
L'11 dicembre scorso, mentre fuori del Parlamento si manifestava contro l'acquisto degli F35, i nostri deputati approvavano la legge delega di revisione dello strumento militare, stanziando per la difesa 230 miliardi di euro per i prossimi 12 anni e stabilendo libertà di spesa per i militari all'interno di questo budget. Tutti i partiti si sono espressi a favore tranne Italia dei Valori, radicali e i leghisti (che si sono astenuti), lasciando quindi al ministero della Difesa carta bianca nello spendere circa 20 miliardi all'anno in barba ai tagli inflitti agli altri ministeri (scuola, sanità, previdenza, ecc.) in cupissimi tempi di spending review.
Particolare curioso ma significativo: coloro che tra i partiti di maggioranza hanno votato contro, Savino Pezzotta (Udc), Andrea Sarubbi (Pd), non sono stati ricandidati per le prossime elezioni.
Conclusione: la lobby dei militari è sicuramente più forte della politica.
Interpellati sulla questione, i politici e aspiranti premier della strana maggioranza uscente non si sono smentiti nella loro doppiezza e mediocrità.
Silvio Berlusconi rinnega il progetto, pur portato avanti dai suoi governi, ma è d'accordo sul continuarlo perché, udite udite, gli impegni presi vanno rispettati.
Finalmente un po' di coerenza!
Mario Monti, che ha premuto sull'acceleratore della riforma militare, accusa i detrattori del progetto di  populismo  (e ti pareva!...) e ritiene che, sia pure ridimensionato a 90 unità, l'acquisto vada comunque fatto.
Onestamente, da loro due non ci si poteva attendere altro!
Beppe Grillo e Antonio Ingroia sono, invece, nettamente contrari.
E Pierluigi Bersani? Cosa ne pensa?
Ecco il resoconto dattiloscritto dell'intervista concessa a Presa Diretta:
Bersani: Le priorità adesso sono altre e quindi vedremo come assieme naturalmente alle nostre forze armate, come questo programma possa essere rivisto a riduzione. E credo anche una riduzione significativa. Certamente bisogna, pur in un programma ridotto, alcune nostre presenze industriali bisogna garantirle.
Giornalista: Voi al governo non fareste come il Canada?
Bersani: No, credo adesso io diciamo non conosco nei dettagli la situazione dei canadesi… Sì, c’è stato… grossi problemi su copertura, investimenti, ecc
No, se la domanda significa noi proponiamo di cancellare la cosa. Non si può dirlo perché ci esporremo alla domanda: da qui a 5 anni che cosa fate?
Ecco..il vero risparmio nella prospettiva è creare un modello europeo di difesa…
Quello è il vero grande risparmio che potremo fare, via via… e bisogna lavorare su questo.
Io credo che già un gesto di questo genere possa indurre ad una riflessione anche dal punto di vista di impostazione del modello di difesa.
Giornalista: Cifre di riduzione non ne possiamo dare, cioè siamo a 90. E’ sensato dire…
Bersani: E’ sensato dire che li ridurremo… naturalmente quando avremo la possibilità, anche perché adesso si ragiona fuori dalla stanza dei bottoni, come si dice.
Giornalista: E chi continua a darvi dei guerrafondai per una scelta troppo filo…
Bersani: E ho capito sui guerrafondai, e purtroppo il mondo… O ci arrendiamo al fatto che poi chi avrà in mano un fucile potrà fare quel che vuole, possiamo anche arrenderci a questa logica, possiamo anche dire che noi, per l’amor di Dio, faccia la Francia se vuole, il Mali non ci interessa… Dopodiché siamo lì noi, no?
E quindi un meccanismo di difesa che svolga, naturalmente ripeto sempre sotto l’egida dell’organizzazione internazionale, sempre ai fini di pacificazione e quindi anche come deterrenza, io credo che nel mondo di oggi sia ancora necessario. Purtroppo. Ma è ancora necessario.

Un inutile giro di parole, ammiccando a coloro che criticano l'acquisto dei caccia, per ammettere di essere comunque d'accordo con l'operazione.
Ecco l'identità del Pd: rispetto alla politica di Berlusconi e della destra italiana, posizionarsi solo un millimetro prima...
Il massimo dell'inadeguatezza e della doppiezza: non una sola idea, un solo valore non negoziabile, su cui i piddini sentano il dovere morale di spendersi con tutte le proprie energie!
E' forse un caso che Bersani, da Berlino, ha lanciato oggi  la proposta di collaborazione a Mario Monti?


 

lunedì 7 gennaio 2013

Le bianche elezioni, ennesimo furto di democrazia

Questa si avvia ad essere la più strana campagna elettorale che si ricordi, la più incostituzionale di sempre.
Non si era mai visto uno scioglimento delle camere così precipitoso, che costringe gli Italiani a votare in pieno inverno, probabilmente sotto la neve.
E' vero che non esiste più il semestre bianco di una volta ma è di tutta evidenza che il Presidente della Repubblica nella circostanza abbia forzato la mano,  accettando le dimissioni del premier Monti senza la doverosa verifica di un voto di sfiducia del Parlamento. Per giunta, con contestuale scioglimento anticipato delle camere ed indizione delle elezioni a febbraio, quando si sarebbe potuto votare rispettando la scadenza naturale della legislatura soltanto due mesi più tardi, ad aprile.
Che si sia in questo modo inteso sbarrare la strada al Movimento 5S è più che un sospetto, tenuto conto dei tempi concitati per la raccolta di firme previste dal Porcellum per le forze politiche ancora non presenti in Parlamento: una regola capestro all'interno di una legge porcata che tutti a chiacchiere volevano cancellare ma che nessuno nei fatti ha inteso neppure parzialmente modificare.
In fondo, facendo molto comodo ai segretari di partito l'attuale andazzo che consente loro di piazzare i propri uomini nei listini bloccati, infischiandosene altamente degli umori dell'opinione pubblica, esacerbata da una crisi infinita e ormai apertamente in lite con questa impresentabile classe dirigente (basta assistere alla bellissima trasmissione Presa Diretta di Riccardo Iacona di ieri sera su Rai Tre intitolata Ladri di Partito per spedirli tutti a casa).
Sì, quegli stessi segretari della Casta che si ritrovano, guarda caso, d'accordo quando si tratta di fare le pulci al movimento di Beppe Grillo di cui in tempo reale vogliono misurare il tasso di democrazia interna. Al punto che gli sconosciuti (e tutto sommato mediocri) Favia e Salsi, grazie ad un subdolo tam tam  mediatico,  per la partitocrazia sono diventati nel breve giro di qualche settimana paladini di non si sa bene cosa, sicuramente della propria malriposta ambizione.
Ma l'aspetto più inquietante della campagna elettorale è che, data la stagione, tutto si giocherà nel chiuso degli studi televisivi e non come sarebbe stato auspicabile nell'agorà, ovvero sulle piazze d'Italia con un confronto leale, da politici veri che stanno fisicamente in mezzo alla gente.
Con l'enorme conflitto di interessi e la lottizzazione esasperata che contraddistingue il nostro Paese in campo radiotelevisivo, dove spadroneggiano non solo Berlusconi, con le reti Mediaset e i suoi luogotenenti in Rai, ma tutti i partiti della Casta, cioè proprio quelli che hanno portato l'Italia alla rovina, i Bersani, i Casini, i Fini, ecc.,  un presidente della Repubblica che avesse avuto sinceramente a cuore la nostra Costituzione e le regole basilari di una democrazia rappresentativa, avrebbe fatto di tutto per limitare questa affezione ormai endemica al nostro tessuto democratico, cercando innanzitutto di proseguire la legislatura fino al suo termine naturale, per garantire agli Italiani  una campagna elettorale normale:  poter affollare le piazze, ascoltare dal vivo i propri leader politici, formarsi autonomamente e con la necessaria riflessione i propri convincimenti elettorali, infine votare in una tiepida domenica primaverile, fra l'altro risparmiando alcuni milioni di euro alle asfittiche casse statali per luce e riscaldamento dei seggi.
Nulla di tutto questo è accaduto.
Perché, si sa, agli esponenti della Casta i bagni di folla ormai troppo spesso vanno di traverso: confortati da scorte impenetrabili, temono comunque le contestazioni a scena aperta, pericolose proprio perché  pacifiche, visto che rilanciate dai media suonano peggio di una chiamata in correità.
Che la casalinga di Voghera o il pensionato di Canicattì, senza potersi scambiare né condividere neppure un parere in pubblico, costretti come sono dal generale inverno a restare in casa  con il cappotto (pur di tenere il riscaldamento al minimo!), debbano assistere tutto il giorno per i prossimi due mesi attraverso il moderno focolare domestico alle interviste telecomandate, agli sproloqui ed alle piroette verbali dei vari Berlusconi, Bersani, Casini, mentre l'ex tecnico Mario Monti, in preda a bulimia mediatica, chiede persino di silenziare chi già è praticamente assente dalla scena radiotelevisiva, è l'ennesima beffa della Casta, questa volta per opera di Re Giorgio, autoproclamatosi proprio a fine mandato sovrano assoluto (dopo l'inspiegabile annoso letargo su tutte le leggi vergogna del Cavaliere).
E' vero che Grillo rifugge la tv lottizzata e nessuno in buona fede può dargli torto, data la situazione complessiva di degrado gestionale, culturale e morale in cui versa la Rai, ma a lui come ai tanti altri esponenti della società civile che si presentano alle Politiche, viene inferto un doppio colpo, potenzialmente da ko.
Non solo viene loro preclusa la ribalta e non si fa nulla, nel caso del leader del M5S, per disinnescare l'ostrascismo mediatico che egli patisce addirittura dagli anni del socialismo rampante di Craxi (non fatevi ingannare, quando i media parlano di Grillo lo fanno soltanto per screditarlo e delegittimarlo!) ma contemporaneamente si impone, con il placet del Quirinale e per la prima volta nella storia d'Italia,  una brevissima campagna elettorale indoor, virtuale, ovvero a vocazione esclusivamente radiotelevisiva.
Ecco perché per le prossime bianche elezioni, ce n'è già abbastanza per richiedere da subito la presenza degli osservatori OSCE, ridotti come siamo al livello di una repubblica caucasica!




lunedì 10 ottobre 2011

Ma la Casta sembra vivere su Marte

Anche ieri sera Presa Diretta di Riccardo Iacona con la sua squadra di bravissimi giornalisti ha ribadito, con la puntata Terra e Cibo, quella che ormai è una verità che sta sotto gli occhi di tutti.
Il declino italico è dovuto alla mancanza di una classe dirigente degna di questo nome: il Paese è abbandonato a se stesso, difettando non solo di una vera azione politica di qualche segno e di qualche evidenza ma, è questo il problema più spinoso, di un'azione amministrativa minimamente attenta, continua e coerente.
Non è solo la politica ad essere messa sotto accusa, è la totalità della struttura amministrativa dello Stato, soprattutto ai livelli più alti degli apparati burocratici, a mostrare tutta la sua inerzia e incapacità.
Di fronte ad una congiuntura economica preda di fenomeni totalizzanti come quelli della globalizzazione e della concorrenza che si sviluppa su dimensioni mondiali, con un pugno di gruppi multinazionali  che sconvolgono gli equilibri economici anche della più remota contrada, la politica e la pubblica amministrazione semplicemente non esistono, si defilano su questioni che sono di vitale importanza per il futuro di ciascuno di noi.
Qui non si sta dicendo solo che la Casta conduce un'esistenza di grandi privilegi infischiandosene delle condizioni di vita della popolazione: ciò è senza dubbio vero, tanto da raccogliere ormai l'unanimità di consensi in tutto il Paese.
Ma il fatto più grave è che, impegnata esclusivamente a perpetuare le sue prerogative, al di là del colore del proprio vessillo, finisce per ignorare la realtà che la circonda, oscillando tra l'assoluta incompetenza e la totale estraneità ai problemi di cui si dovrebbe fare carico.
Insomma, se non c'è un'occasione di fare business per aiutare la propria cricca, magari ponendo in essere attività di investimento infrastrutturale persino controproducenti e dannose per la comunità che ne è destinataria, finisce per dimenticare completamente la propria missione, rimuovendo il senso stesso della propria funzione.
Non c'è campo della nostra vita economica e sociale che non patisca questa aberrazione.
Come è  per la questione giovanile, così è per lo stato dell'agricoltura nel nostro paese.
Antiche produzioni di qualità, il grano duro, il pomodoro, il latte, vanno letteralmente in malora semplicemente perché nessuno se ne occupa seriamente, gettando alle ortiche migliaia di ettari di terreni agricoli condannati all'abbandono, sconvolgendo i ritmi di vita di larga parte del nostro Mezzogiorno dove tali produzioni potrebbero essere un fiore all'occhiello, riducendo sul lastrico migliaia e migliaia imprenditori agricoli.
Per non parlare degli allevamenti di animali condannati alla decimazione o del dissesto idrogeologico che segue inevitabilmente quello produttivo.
Non abbiamo neppure uno straccio di burocrazia in grado di difendere il prodotto italiano, se non sui mercati internazionali, almeno sui tavoli dell'Europa verde, a Bruxelles o Strasburgo!
E pure sui contributi europei all'agricoltura le cordate fameliche di burocrati e parlamentari continuano, imperterrite, ad azzuffarsi in una serie di scandali senza fine.
E, ufficialmente, la politica cosa fa?
Parla di legge elettorale, di intercettazioni, di leggi ad personam, di pareggio del bilancio, di condoni, di grande centro, ... cose lunari, peggio, roba da marziani!

lunedì 3 ottobre 2011

Riccardo Iacona ci racconta l'Italia peggiore... macché, è la meglio gioventù!

Bravo, bravo Riccardo Iacona che con il suo Presa Diretta domenica sera su Rai Tre apre uno squarcio sui mille aspetti del disastro italico.
Ieri sera è stata la volta dei precari e la trasmissione ha preso spunto dalla famosa contestazione al ministro Renato Brunetta di questa estate quando, nel corso di un convegno sull'innovazione nella pubblica amministrazione, si rese protagonista di un episodio d'intemperanza particolarmente odioso essendosi rifiutato di rispondere ad una ragazza appena invitata a salire sul palco  che si accingeva a rivolgergli una domanda non appena questa si era qualificata appartenente ad una rete di precari; allontanandosi, poi in fretta e furia dalla sala  sentenziando "Questa è la peggiore Italia".
La lente di Riccardo Iacona è andata subito dentro il mondo variegato del precariato cioè di chi lavora in condizioni di incertezza assoluta sia sotto il piano della durata contrattuale che del trattamento economico, spesso coperto dalla foglia di fico del numero di partita iva, che dissimula un rapporto di lavoro subordinato sotto le mentite spoglie di un'attività di libero professionista. Con la possibilità per il datore di lavoro di  licenziarti da un momento all'altro senza garantire né una remunerazione adeguata né i normali diritti alle ferie, alla malattia, alla maternità, alla pensione.
Insomma una generazione di desaparecidos del mondo del lavoro dipendente che, appiccati al chiodo lauree, master, dottorati vari, si deve sentire fortunata se raggiunge i 1000 euro al mese. E questo in ogni ambito di attività: dai biologi ai chimici, dai medici agli ingegneri, dagli architetti agli archeologi.
La furia devastatrice del precariato a vita non risparmia neppure i giornalisti, neanche i pochi collaboratori che lavorano per primarie testate nazionali della carta stampata e della televisione.
Così si scopre che c'è il giornalista che scrive su un grande quotidiano nazionale e che guadagna dai 10 ai 30 euro (s'intende, lordi) a pezzo, quando magari il suo articolo gli ha portato via tre giorni (e notti) di lavoro, 15 euro di telefonate e non si sa quanto in spese di viaggio per raggiungere i protagonisti della propria inchiesta.
Per non parlare della giornalista di RadioTre, Silvia Bencivelli, che cura e conduce una bellissima e seguita rubrica scientifica del mattino e che tira avanti con contratti a singhiozzo per i famosi 1000 euro al mese, quando lavora.
E gli archeologi impegnati nei mille cantieri stradali di Roma che sono di fatto dei manovali laureati a metà stipendio.
Per finire coi diplomati, spesso vittime di veri e propri contratti capestro: nel settore commercio, anche il contratto di associazione in partecipazione. Ed invece di ricevere una normale  retribuzione, partecipando tanto agli utili quanto alle perdite, più che un corrispettivo riscuotono mensilmente un semplice anticipo in conto utili. Con la conseguenza che, chiusa la contabilità a fine anno, i guadagni si possono trasformare pure in perdite: una ragazza con un fisso di 1000 euro al mese si è ritrovata per 9 mesi di lavoro e 50 ore settimanali un addebito di 11.000!
E i finti stage con cui pubblica amministrazione e imprese fanno lavorare gratis migliaia di giovani laureati, rimpallati così da un'occupazione all'altra, senza nessuna speranza di uscire dal tunnel dello sfruttamento?
Guardatevela la trasmissione: ne vale veramente la pena, è proprio il caso di dirlo, purtroppo.
Questo stato tremendo in cui versa la nostra gioventù, senza alcuna certezza previdenziale (quando andranno in pensione che ne sarà di loro non avendo accantonato i contributi necessari?) è il risultato di politiche fallimentari sia di centrodestra che di centrosinistra.
Entrambi hanno puntato ad un'esasperata flessibilità in entrata nel mondo del lavoro (vi ricordate il pur decantato pacchetto Treu del governo Prodi o la legge 30 Maroni del II governo Berlusconi?) che ha finito per togliere alla parte più vitale della nostra società qualsiasi entusiasmo e buona parte delle speranze.
Con la conseguenza che i più bravi e determinati dei nostri ragazzi cerca (e  trova!) fortuna all'estero.
Un autentico genocidio perpetrato dalla Casta che tutte le sere, egoista e sorda, ci vomita addosso i suoi teatrini sempre più squallidi, ammorbandoci l'aria a tutte le ore con la solita tiritera della mancata crescita.
Ma come fa a crescere un Paese che rinuncia alla sua parte migliore?
Brunetta la chiama l'Italia peggiore... invece, è la meglio gioventù.

lunedì 7 settembre 2009

Una guerra tra bande nella prospettiva dell'inciucio

Massimo D’Alema, ieri alla festa del Paladido a Milano, ha spiegato che non ci può essere una contrapposizione nel suo partito tra vecchio e nuovo, cioè tra vecchia guardia e giovani dirigenti. Perché quello che conta è la qualità delle persone.
Ecco appunto: poiché i dirigenti ex Pci, ex Pds, ex Ds, ora Pd, hanno fallito su tutta la linea, lasciando il Paese alla mercé dell’uomo di Arcore per quindici anni, la cosiddetta vecchia guardia comunista dovrebbe farsi da parte, lasciando ad una nuova generazione di politici di costruire un’Italia diversa.
In cosa avrebbero brillato loro della vecchia guardia, D’Alema ce lo dovrebbe spiegare una buona volta: forse nel non essere riusciti minimamente a contrastare l’anomalia Berlusconi che con il suo strapotere mediatico-istituzionale è un caso unico al mondo.
Durante i governi di centrosinistra, nessuna delle mille leggi promesse è stata varata dagli attuali dirigenti democratici: da quella sulle televisioni, a quella sul conflitto di interessi, ai provvedimenti contro i monopoli, contro la rendita finanziaria, per la tutela dei servizi pubblici, per l’ambiente… niente di niente.
In compenso c’è stata la madre di tutte le privatizzazioni, quella Telecom: e gli utenti sanno com’è andata a finire!
E poi, chi non ricorda l’impareggiabile segretario Ds Piero Fassino sostenere, durante il governo di centrosinistra, che l’approvazione della legge sul conflitto d’interessi non avrebbe creato posti di lavoro?
Una vergogna, al cui solo ricordo l’indignazione torna quella di sempre.
Siamo giunti al punto di veder promulgare senza battere ciglio il lodo Alfano che pure è un evidente strappo alla nostra Carta fondamentale.
Il fatto è che la degenerazione della politica passa per una completa omologazione della nostra classe dirigente sia di destra che di centrosinistra ad un pensiero unico costruito, in campo internazionale, sui dogmi degli strateghi di Oltreatlantico (per cui in Afghanistan ci si sta, costi quel che costi, sia in termini di risorse economiche che di perdite umane, a dispetto dell’insofferenza dell’opinione pubblica); in economia, sui diktat delle burocrazia di Bruxelles e del direttorio della BCE (per cui non sono ammesse altre ricette per uscire dalla crisi di quella in atto che provoca una disastrosa deflazione).
Se questa condotta è in parte scontata per la destra che ha da sempre aderito alle logiche dei poteri forti, non era prevedibile che ciò avvenisse nelle fila dei già comunisti, già diessini, ora democratici.
Eppure costoro, in reiterate occasioni, hanno disatteso il mandato elettorale ricevuto, sposando in pieno le tesi dei loro avversari putativi.
Perché questo sia avvenuto, è difficile dirlo: forse il motivo di fondo può essere ricercato nello strisciante senso di inadeguatezza nei confronti dell’élite capitalistica.
Un sentimento di inferiorità nutrito nei confronti di chi muove le leve dell’economia reale mentre i vari Fassino, Veltroni, D’Alema si sentono inconsciamente solo dei parolai, buoni al massimo per blaterare in qualche talk show; dediti, prioritariamente, a salvaguardare il proprio tenore di vita molto superiore a quello dei comuni impiegati e della maggior parte di professionisti ma non in grado tuttavia di competere con le risorse economiche praticamente illimitate del capitalismo familiare.
Di qui il bisogno di assidue frequentazioni con quel mondo, tanto criticato a parole ma emulato negli stili di vita: è quella che, con un’espressione felice, è stata definita sinistra radical chic.
Cioè, quella che attacca Di Pietro proprio perché limpidamente antiberlusconiano: un vero paradosso.
Ecco perché la guerra al Cavaliere, condotta dalla corazzata la Repubblica-L’Espresso, è tutta concentrata sui suoi misfatti privati, non sull’azione nefasta del suo governo.
E’ una guerra tra bande, dove in gioco non c’è una politica diversa ma semplicemente l’esercizio del potere: ecco perché si presenta al tempo stesso più cattiva sul piano personale, più violenta nei toni, ma del tutto priva di contenuti programmatici.
Un Partito Democratico inesistente che si accoda ad un quotidiano per ripetere da mesi dieci insulse domande a Berlusconi, senza neanche ipotizzare che la vera opposizione si fa nel Paese, contrastando quotidianamente a viso aperto le scelte sbagliate del governo.
A cominciare dalla politica dell’immigrazione.
Ieri sera, il bravo Riccardo Icona, ripetendo per l’ennesima volta una grande lezione di giornalismo, ha dimostrato col potere delle immagini del suo Presa Diretta, quanto fosse stolta e sciagurata l’uscita di qualche tempo fa di Fassino sulla legittimità dei respingimenti dei barconi di immigrati, senza bisogno neanche di citarlo.
Vedere, uomini donne e bambini, morire in mare per disidratazione, denutrizione e freddo senza neanche tentare di soccorrerli, men che meno identificarli singolarmente per accertare se avessero i requisiti per chiedere l’asilo politico, ma respingerli nell’inferno dei campi libici, deve essere sembrato normale e legittimo per chi ha uno stipendio mensile da onorevole…
Ecco perché anche la stessa guerra tra l’Avvenire di Dino Boffo e il Giornale di Vittorio Feltri non ci appassiona: sono ben altre le tragedie della quotidianità che si consumano in Italia e che la Casta, al gran completo, ha deciso di ignorare.
Infatti, non basta il peggior Berlusconi a ridare fiato a un Partito Democratico ormai imploso: è veramente avvilente come lo scontro in atto tra le due fazioni non riguardi più i problemi dei cittadini ma più prosaicamente un regolamento di conti all’interno della Casta.
Con il rischio, molto concreto, che tutto si concluda a tarallucci e vino!
Non dimentichiamo, infatti, che mezzo Pd tifa ancora per un nuovo grande inciucio con il Cavaliere!