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mercoledì 15 agosto 2018

Il ponte Morandi: l'11 settembre del sogno europeo

Adesso che il ponte Morandi è venuto giù portandosi dietro la vita di decine di vittime innocenti, alle famiglie delle quali va tutta la nostra vicinanza, è partito un vergognoso scaricabarile da parte del mainstream che tende a minimizzare le responsabilità politiche per quanto accaduto sostenendo che, eventualmente, la responsabilità della cattiva manutenzione ricade sulla società Austrade per l'Italia del gruppo Benetton. 
Ma costoro hanno volutamente la memoria corta: perché la società Autostrade era di proprietà statale, dell'Iri, ed è stata prima quotata in Borsa nel 1987 per poi essere privatizzata nel 1999 dal governo D'Alema, con il regalo dell'allungamento della durata delle concessioni autostradali da 30 a 50 anni (governo Berlusconi). 
Risultato: scarsa manutenzione e utili spropositati per il gruppo (ora con gli spagnoli di Abertis si chiama Atlantia). In 6 anni la famiglia Benetton ha quadruplicato l'investimento iniziale. 
La responsabilità di quanto accaduto ieri è di un'intera classe politica, di centrodestra e di centrosinistra, che hanno cavalcato a partire dagli anni '80-'90 il mito delle privatizzazioni selvagge, sostenendo che per salvaguardare gli equilibri di bilancio pubblico imposti dall'UE (parametri di Maastricht), si dovesse fare cassa. 
Così è avvenuta, con il plauso generale di PD e FI, la più colossale svendita ai privati dei principali servizi e delle infrastrutture pubbliche italiane, che il Paese aveva messo su con decenni di sudore e sacrifici, a partire dal secondo dopoguerra. 
Chi non ricorda i famigerati "capitani coraggiosi" partiti all'assalto della Telecom? 
Ancora oggi costoro, nonostante la clamorosa sconfitta del 4 marzo, insistono nel perorare una dissennata politica delle privatizzazioni, facendo credere che la gestione privatistica sia più efficiente e migliore qualitativamente per il Paese. 
Il degrado attuale dei servizi telefonici, elettrici, ferroviari, autostradali, di tutte le infrastrutture che fanno quotidianamente il Paese reale, sta a lì a smentirli, in modo clamoroso e definitivo. 
Pagheranno mai costoro per il tradimento ordito ai danni dei cittadini e che ha trovato ieri solo l'ennesima, tragica, manifestazione? Ieri si è consumato, nell'incredulità sgomenta di un'opinione pubblica disinformata (richiamando le parole del videoblogger Claudio Messora), l'11 settembre del 'sogno europeo'.

martedì 31 marzo 2015

Che cosa ci vuole per far mettere al leader "maximo" le mani nella merda...

Ma è normale che la CPL di Modena acquisti 2000 bottiglie di vino dall'azienda vinicola della signora D'Alema? E che la stessa coop rossa faccia ripetuti bonifici alla fondazione Italianieuropei del consorte Massimo per 60'000 euro?
Uno degli arrestati dell'ultimo scandalo di mafiapolitica, intercettato, dichiara: “investire negli Italiani Europei” in quanto “D’Alema mette le mani nella merda come ha già fatto con noi ci ha dato delle cose”. Ed ancora: “È molto più utile investire negli Italianieuropei dove D’Alema sta per diventare commissario europeo capito … D’Alema mette le mani nella merda come ha già fatto con noi ci ha dato delle cose”. 
Nella cooperativa rossa i magistrati trovano “tre dispositivi di bonifici effettuati dalla Cpl in favore della Fondazione Italiani Europei, ciascuno per euro 20 mila, un ulteriore bonifico dell’8 luglio 2014 per 4.800 euro per l’acquisto di 500 libri di D’Alema dal titolo: Non solo euro”.
Per capirci, la CPL è quella coop rossa i cui dirigenti, secondo i magistrati napoletani, avrebbero fatto un "sistematico ricorso a un modello organizzativo ispirato alla corruzione che li ha portati ad accordarsi non solo con i Sindaci, gli amministratori locali ed i pubblici funzionari, ma anche con esponenti della criminalità organizzata casertana e con gli amministratori legati a tali ambienti criminali".
Ma per D'Alema è tutto regolare. Anzi replica infuriato  “La diffusione di notizie e intercettazioni che non hanno alcuna attinenza con le vicende giudiziarie di cui si occupa la procura di Napoli è scandalosa e offensiva”. 
Parafrasando D'Alema quando parlava con disprezzo di Beppe Grillo, ci siamo sottoposti per anni al sacrificio di vederlo in TV a parlare a ruota libera in modo supponente e caustico di chiunque non si accorgesse della sua smisurata intelligenza o non gli concedesse la licenza di smentire nei fatti sistematicamente tutto quello che andava blaterando sulle piazze di mezza Italia agli ingenui compagni.
E' giunto il tempo che qualcuno lo spedisca finalmente ai giardinetti a lanciare pezzetti di pane raffermo ai piccioni.

giovedì 7 marzo 2013

Ma perché PD e PDL non continuano a governare insieme??

Nel totale caos politico di queste ore, con i due grandi sconfitti PD e PDL che cercano di esorcizzare la débacle elettorale, sparlando a vanvera contro i cittadini eletti nelle fila del M5S e addirittura rilanciandosi loro stessi per guidare il prossimo esecutivo,  proprio come niente fosse, ancora una volta è Beppe Grillo a pronunciare parole di verità. Infatti sul suo blog un attivista del M5S si domanda:

"pdl e pdmenoelle hanno più punti programmatici in comune tra loro:
1) entrambi vogliono la TAV

2) entrambi sono per il MES
(nda: cioè il fondo salva stati europeo che l'Italia ha alimentato con 20 miliardi di euro, l'importo totale dell'IMU, per consentire alle banche greche e spagnole di restituire i prestiti ottenuti da Francia e Germania)
3) entrambi per il Fiscal Compact
4) entrambi per il pareggio di bilancio
5) entrambi per le "missioni di pace"
6) entrambi per l'acquisto degli F-35
7) entrambi per lo smantellamento dell'art.18
8) entrambi per la perdita della sovranità monetaria
9) entrambi per il finanziamento della scuola privata
10) entrambi per i rimborsi elettorali
Quanti punti programmatici comuni ho trovato così su due piedi??? DIECI. Ne hanno più loro che quello che afferma Bersani con il M5S (lui dice 8). Non per niente hanno governato per un anno e più insieme".
 
Effettivamente l'osservazione non fa una piega: perché Bersani e Berlusconi, nel tempo necessario a cambiare la loro legge elettorale porcata e magari fino alla primavera del 2014 (quando si svolgeranno le elezioni Europee), non continuano a governare insieme, magari con la guida 'esperta' dello stesso Mario Monti, visto che condividono lo stesso programma in quelli che sono dieci punti altamente qualificanti di una possibile azione di governo?
Non saranno solo le cene di Arcore o il caso Ruby a dividerli!
Anche perché se fossero sinceramente intenzionati ad imprimere una svolta nella politica italiana avrebbero entrambi già fatto un  passo indietro, dopo essersi reciprocamente e pubblicamente cosparso il capo di cenere.
Invece, come due sfingi, additano Grillo come il responsabile dell'ingovernabilità e continuano per la loro strada.
Berlusconi che tenta l'inciucio, terrorizzato di restare fuori dalla stanza dei bottoni; Bersani che riunisce una direzione nazionale di impresentabili (ci sono tutti, da D'Alema a Veltroni, anche se quest'ultimo ha almeno la dignità di non parlare) per dettare agli italiani gli otto punti di un'improbabile agenda di governo. Tra questi, ancora una volta, la legge anticorruzione, pure licenziata dall'allegra brigata PD-PDL-Centro nel dicembre scorso e balzata agli onori della cronaca sotto il nome di legge Severino.
"Che cos'è, è uno scherzo?" si domandava ieri Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, dopo aver preso atto, dal gip di Monza, proprio di quello che era il prevedibile effetto della suddetta legge: perché derubricando il reato di concussione per induzione a reato minore, con pene dimezzate e prescrizione più breve, sono saltate (perché prescritte!) le accuse alle coop rosse nel processo a Filippo Penati, già braccio destro di Bersani, cioè le tangenti che secondo l'accusa sono finite ai DS per il recupero delle aree ex Falck e Marelli. Così come accadrà tra poco per il grosso delle accuse allo stesso Penati.
Come si vede, PD e PDL vanno d'accordo pure in materia di giustizia, avendo ognuno  le proprie belle gatte da pelare. 
Pertanto, cosa c'è di meglio di riproporre l'ennesima legge anticorruzione, dietro la cui foglia di fico nascondere definitivamente altre questioni scottanti, per esempio l'affaire Monte Paschi di Siena? 
In fondo la legge anticorruzione serve proprio a questo, ad eliminare all'istante la corruzione, nel senso di far sparire  corrotti e corruttori dalle aule giudiziarie, con il più classico dei colpi di spugna.
E allora ci si accorge che il programma dal PD e quello del PDL sono due gocce d'acqua: in materia di politica economica, giustizia, scuola, beni culturali, difesa, non-tagli alla Casta, esteri. 
Alzi la mano chi vi riscontra differenze sostanziali!
L'unico vero motivo di frizione tra i due partiti, dal punto di vista strettamente mediatico, resta ancora la figura di Silvio Berlusconi che rappresenta per i piddini il simbolo della loro inadeguatezza, essendo riusciti a farlo risorgere più volte dalle sue ceneri.
E' vero, quelli del PD temono che l'abbraccio con il Cavaliere a favore di telecamere si possa rivelare mortale e tradursi alle prossime elezioni in un'ulteriore emorragia di voti, quella definitiva. Con il rischio di lasciare al Movimento 5 Stelle l'intera scena e la maggioranza assoluta dei consensi. 
Ecco perché Bersani vuole sì arrivare a tanto ma solo dopo essere riuscito ad inguaiare Beppe Grillo con un ricatto del tipo: o appoggi dall'esterno il nostro governo oppure faremo credere alla gente che la responsabilità di tornare alle urne tra tre mesi sarà esclusivamente tua. Infatti, checché tu sbraiti, il sistema dei media tradizionali è ancora a nostro completo servizio: in questi giorni ti abbiamo dimostrato che, pur vantando il M5S la pattuglia dei parlamentari più preparati perché quasi tutti laureati, grazie ai nostri giornalisti, siamo stati in grado di metterli alla gogna facendoli passare non solo come degli ignoranti ma, peggio, degli emeriti cretini.

Beppe Grillo ha quindi ragioni da vendere quando proprio oggi sul suo blog mette in guardia deputati e senatori dal cedere alle lusinghe dei conduttori televisivi avvisandoli: Attenti ai lupi!.
"Il loro obiettivo è, con voce suadente, sbranare pubblicamente ogni simpatizzante o eletto del M5S e dimostrare al pubblico a casa che l'intervistato è, nell'ordine, ignorante, impreparato, fuori dalla realtà, sbracato, ingenuo, incapace di intendere e di volere, inaffidabile, incompetente. Oppure va dimostrato il teorema che l'intervistato è vicino al pdmenoelle, governativo, ribelle alla linea sconclusionata di Grillo, assennato, bersaniano. In entrambi i casi, il conduttore si succhia come un ghiacciolo il movimentista a cinque stelle, vero o presunto (più spesso presunto), lo mastica come una gomma americana e poi lo sputa, soddisfatto del suo lavoro di sputtanamento. E' pagato per quello dai partiti.
L'accanimento delle televisioni nei confronti del M5S ha raggiunto limiti mai visti nella storia repubblicana, è qualcosa di sconvolgente, di morboso, di malato, di mostruoso, che sta sfuggendo forse al controllo dei mandanti, come si è visto nel folle assalto all'albergo Universo a Roma dove si sono incontrati lunedì scorso i neo parlamentari del M5S. Scene da delirio. Questa non è più informazione, ma una forma di vilipendio continuato, di diffamazione, di attacco, anche fisico, a una nuova forza politica incorrotta e pacifica. Le televisioni sono in mano ai partiti, questa è un'anomalia da rimuovere al più presto. Le Sette Sorellastre televisive non fanno informazione, ma propaganda."
Emblematico il caso di Barbara d'Urso che su Canale 5 ha invitato a parlare a nome del M5S, guarda caso, un signor nessuno, che si era iscritto via internet al Movimento di Beppe Grillo appena il giorno stesso delle elezioni, invitandolo a dialogare con deputati della Lega e facendo così fare al movimento stesso una pessima figura.
Si può pensare di aprire una trattativa politica con partiti che ricorrono a qualsiasi nefandezza pur di screditare quella che dovrebbe essere la loro controparte politica??
Intanto la macchina del fango di Repubblica - L'Espresso continua a vomitare contro il leader del M5S di tutto, prendendo di mira qualunque cosa o chiunque semplicemente sia a lui vicino, persino il suo autista...
Ma questa non ha più nulla a che vedere con l'informazione  nè con il giornalismo, è semplicemente guerriglia  mediatica: vergogna!



mercoledì 27 febbraio 2013

La sfilata degli zombie all'uscita dal Gran Consiglio del PD

Quest'oggi apriamo con un video di Nino Luca tratto da youtube di straordinaria efficacia; riprende i dirigenti del PD all'uscita dalla riunione notturna in cui hanno preso atto della sconfitta elettorale, l'ennesima della loro vita. 
La spocchia resta la stessa di sempre ma la delusione, forse un pizzico di vergogna, per la prima volta fa capolino nelle loro espressioni accigliate e stupefatte. Non rispondono alle domande del giornalista, cercando di sgattaiolare via il più velocemente possibile, proteggendosi infine dietro i vetri scuri di  potenti auto blu che partono sgommando.
Sembrano degli zombie.
Ma com'è possibile che per tanti anni abbiamo affidato le sorti del paese a personaggi simili, dall'ego tanto smisurato quanto la loro mediocrità, evidentemente del tutto inadatti al ruolo? 
Ne abbiamo adesso, proprio grazie a queste immagini di cronaca destinate a diventare storiche, una conferma plastica. E solo adesso ci rendiamo conto fino in fondo come sia stato facile per Silvio Berlusconi  fare per vent'anni il bello e il cattivo tempo, rialzandosi almeno una decina di volte dalla polvere in cui da solo era precipitato.
Insomma, la sfilata dei gerarchi all'uscita del Gran Consiglio del PD come nemesi storica, il 25 febbraio di questa finta sinistra italiana.


giovedì 16 agosto 2012

Incubo di Ferragosto: Veltroni prossimo presidente della Camera!

Si vocifera all'interno del Pd che già siano state spartite le principali poltrone della prossima legislatura, dando per certo già da adesso che sarà proprio il Pd il partito di maggioranza relativa.
Insomma, i principali azionisti del partito (i soliti D'Alema, Veltroni, Bindi, Franceschini,  Letta, ecc.), piuttosto che fare un passo indietro, finalmente ritirandosi a vita privata (dopo i gravi e irreparabili danni causati al Paese assieme agli omologhi del Pdl e dell'Udc), sarebbero di nuovo in pole position per accaparrarsi i posti di maggiore visibilità e prestigio.
Addirittura circolerebbe un papello, secondo la felice espressione del Foglio, tra i corridoi democratici in cui, oltre ad assicurare il pieno appoggio a Monti fino allo scadere dell'attuale legislatura e rilanciare la grosse koalition per i successivi cinque anni (l'ammucchiata 'Tutti dentro' Pd-Pdl-Udc), sarebbero state decise persino le principali cariche del nuovo esecutivo con i big del partito determinati a sfruttare fino in fondo  la loro rendita di posizione contro gli appetiti di vecchi e possibili nuovi rottamatori.
Ecco la lista degli incarichi:
Pierluigi Bersani:  a Palazzo Chigi come premier o Ministro dell'Economia
Walter Veltroni: Presidente della Camera
Massimo D'Alema: Ministro degli Esteri o Commissario Europeo
Rosy Bindi: Vicepresidente del Consiglio
Enrico Letta: Ministro allo Sviluppo Economico
Dario Franceschini: Segretario del Pd.

Un'organigramma da mettere i brividi, dove agli ex democristiani Fioroni e Carra verrebbero affidati importanti sottosegretariati per programmare in tempo la spartizione prossima ventura.
Insomma, per la nomenklatura del Pd la parola d'ordine è quella di contare sempre di più, tutto il contrario di chi spera che si siano rassegnati ad appendere la grisaglia al chiodo, dopo lo scasso degli ultimi vent'anni...
Pensate un po', i perdenti e nemici di sempre D'Alema e Veltroni, invece di lasciare, doverosamente e in punta di piedi, di fronte all'elettorato inferocito, starebbero contro ogni logica per raddoppiare.
Così, dopo l'abominio del governo Monti, ci ritroveremmo come terza carica dello Stato, Walter Se po' ffà, il kennediano de Roma, che speravamo finalmente avviato, dopo l'intervista all'attrice Stefania Sandrelli, a fare l'intrattenitore culturale...
Un incubo!

mercoledì 25 aprile 2012

La Contropolitica? "Alzi la mano chi non è mai stato in barca a fare una vacanza!"

Sono due le novità emerse in questo ultimo scorcio di aprile: lo spread che vola e l'attacco concentrico di tutta la vecchia politica e dei media nei confronti del successo elettorale che si profila per il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
Il famigerato spread veleggia spesso insistentemente sopra i 400 punti, sfatando inoppugnabilamente la leggenda metropolitana secondo la quale le cure del governo Monti al capezzale del Belpaese avrebbero almeno stabilizzato le condizioni del grande infermo.
Niente da fare: nonostante la maxi immissione di liquidità della BCE di questo inverno, le manovre lacrime sangue del professore, il livello di tensione sul mercato dei titoli di Stato italiani resta altissimo.
Ed uno dei motivi è proprio la politica fortemente recessiva e impopolare di Mr. Monti che, pur di garantire l'equilibrio dei conti pubblici, non ha esitato un attimo a strangolare la già asfittica economia italiana.
Ciò è avvenuto sia inguaiando il mercato nazionale con un'opera scientifica, questo sì, di demolizione della domanda interna attraverso l'aumento della pressione fiscale, che si attesta ormai sopra al 50% (a dispetto di tutte le rilevazioni ufficiali che comunque la collocano  a ridosso di questa soglia).
Sia con il taglio dei trasferimenti agli enti locali, con  la riforma previdenziale più severa d'Europa e con l'attacco allo Statuto dei lavoratori in nome di un'esasperata flessibilità in uscita stante una non meno estrema flessibilità in entrata.
Fatto sta che delle tre parole d'ordine rigore, equità, crescita ossessivamente ripetute dai tecnici in questi mesi è rimasta in piedi solo la prima, il rigore, declinato tuttavia esclusivamente sulle spalle di giovani, lavoratori e pensionati.
Effettivamente, una politica economica più ottusa e monocorde di quella approntata da Mario Monti sarebbe stata difficile da concepire anche da chiunque altro si fosse trovato al suo posto a gestire l'emergenza finanziaria.
E così la luna di miele tra gli Italiani e il governo dei banchieri (la premiata ditta Monti-Passera e Fornero) si è malinconicamente conclusa: ormai solo il 51% di loro è ancora disposto a scommettere sulle ricette del preside della Bocconi, con un calo di oltre il 10% nelle ultime settimane.
La ciliegina su questo disastro, ampiamente annunciato sin dall'insediamento dell'esecutivo, l'ha messa proprio il premier Monti che in una recente conferenza stampa ha introdotto un nuovo macabro strumento macroeconomico: lo spread tra i suicidi degli imprenditori in Grecia e in Italia.
Secondo lui, noi italiani siamo messi meglio: in Grecia ci sono stati dallo scoppio della crisi 1725 morti, in Italia la sua squadra si sta dando da fare per non raggiungere quel numero.
Quando si dice dare fiducia al paese gettando le basi per un futuro migliore...
Inoltre, con tutta probabilità e nonostante autorevoli smentite ministeriali, entro l'anno bisognerà varare una nuova manovra finanziaria: con lo spread che non è mai sceso quest'anno sotto i 270 punti (mentre l'anno scorso di questi tempi era stabile a 190) si spenderà per interessi almeno 15 miliardi in più mentre con il calo del Pil (stimato attorno al 2%) mancheranno all'appello altri 15 miliardi di entrate fiscali.
Ancora, con la firma del cosiddetto fiscal compact, il governo si è impegnato a rimborsare il 60% del debito pubblico in 20 anni, che fa altri 50 miliardi l'anno.
Totale salasso per il 2012: 15+15+50 cioè altri 80 miliardi sonanti da rastrellare entro l'autunno.
Con un inasprimento della cura Monti di tale portata, questa volta probabilmente orientata su tagli alla spesa pubblica, lo scenario che si prefigura per i prossimi mesi fa venire i brividi.
Sappiamo però già adesso con certezza che l'aver modificato qualche giorno fa a tempo di record, ancora una volta primi in Europa, la Costituzione con il vincolo del pareggio di bilancio, comporta perdere anche quello che resta della sovranità nazionale, ovvero la politica fiscale, affidata come quella monetaria dopo l'ingresso nell'Euro, totalmente alla BCE e, di conseguenza, agli umori e voleri della speculazione internazionale.
Un autentico colpo di stato messo in atto dalle istituzioni europee e dalle banche internazionali, con la complicità del governo dei tecnici, fatto passare sotto silenzio grazie alla disattenzione generale prodotta intanto dal ciclone mediatico sui diamanti e i lingotti della Lega Nord: ennesimo episodio di malapolitica che tuttavia non è assolutamente paragonabile per importanza e gravità a questo enorme strappo costituzionale.
Certamente non per attenuare le pesanti responsabilità leghiste, ieri sera a Ballarò il presidente di RCS Paolo Mieli si chiedeva retoricamente quali partiti siano oggi pronti a documentare il modo con cui hanno effettivamente speso in questi anni il finanziamento pubblico.
Quanti altri altarini potrebbero venir fuori??
Ma in questo quadro già assai fosco, si distinguono degli inguaribili ottimisti come la senatrice del PDL Ombretta Colli che non più tardi di lunedì sera, nella trasmissione L'Infedele condotta da Gad Lerner su La7, per difendere il governatore della Lombardia, il ciellino Roberto Formigoni, dai mille sospetti per le inchieste che vedono coinvolti i suoi più stretti collaboratori e per le vacanze coatte di cui è stato protagonista quest'estate sullo yacht del faccendiere Daccò, se ne è uscita leggiadramente con questa strepitosa battuta: "Alzi la mano chi non è mai stato in barca a fare una vacanza!"
Ha proprio ragione: in fondo si tratta solo di poche decine di milioni di Italiani!
Non è un autogol come si è affrettato a riprenderla Lerner, piuttosto è l'ennesimo calcio di rigore che la vecchia politica batte sistematicamente contro quelli che ritiene essere i suoi veri avversari: cioè gli elettori.
Infatti coloro che spediscono periodicamente, grazie al loro voto, i politici dentro il Palazzo soggiaciono da sempre ad una vecchia regola, ferrea ma crudele e paradossale: corteggiati allo spasimo in campagna elettorale vengono ignorati, peggio, sbeffeggiati a voti ormai accalappiati.
Solo che questa volta il gioco si è svolto sotto le luci di un talk show, in modo incautamente scoperto, non al tavolo riservato del ristorante nei pressi di Montecitorio, né al buio di un tunnel tra Palazzo Chigi e Palazzo Madama o durante le segrete colazioni di lavoro dell'ABC del sottovuoto politico, o meglio della Contropolitica alias il formidabile trio Alfano, Bersani, Casini.
I quali, insieme alle loro sgangherate truppe, si stanno occupando in queste settimane concretamente solo di una cosa: demonizzare il movimento di Beppe Grillo che tutti i sondaggi indicano come futura terza forza politica alle prossime elezioni, con un consenso in forte crescita che già si aggira attorno all'8%, nonostante l'ostracismo che l'intero panorama mediatico gli riserva da sempre.
Infatti quando giornali e televisioni ne parlano è soltanto per mettere in atto una sistematica opera di delegittimazione e farlo passare di volta in volta per un delinquente, un terrorista, un imbonitore, un pericoloso sovversivo, un fascista, un demagogo.
Il massimo complimento è quando gli danno del populista, che in fondo è una parola meno brutta di quanto l'allegra brigata voglia far credere. 
La paura di dover rispondere un domani delle proprie azioni, magari perdendo di colpo gli agi di una vita dorata e vissuta al limite della provocazione sociale, li sta rendendo paranoici fino al punto di abbandonare qualsiasi cautela.
Così lo scaltro Massimo D'Alema, che ad onor del vero non ne ha mai azzeccata una, finisce per accostare il nome di Grillo a quello di Bossi e pure di Berlusconi e la sua formazione politica al berlusconismo.
Ma è un fatto che il Minimo Massimo del PD continui a mantenere con Berlusconi un rapporto schizofrenico: dalle stelle dei tempi della Bicamerale per disegnare con lui la nuova costituzione o dell'inciucio sulle reti televisive (Violante docet),  alle stalle delle accuse di affarismo, di impresentabilità politica dell'uomo di Arcore, a seconda che quest'ultimo gli abbia dato nel frattempo più o meno spago.
Ed ancora una volta,  nell'attacco a Beppe Grillo, D'Alema e Berlusconi finiscono per ritrovarsi sulla stessa barca, o meglio sullo stesso veliero...
Tuttavia, insultare Beppe Grillo senza mai rispondergli a tono, con l'esclusivo obiettivo di nascondere le proprie gravissime inadempienze e gli altrettanto indecenti privilegi, le tante malversazioni su cui la Casta ha prosperato, tentando maldestramente di equiparare le circostanziate denunce del leader genovese a quelle, pensate un po', del Gabibbo(!), significa ancora una volta non aver capito nulla di quello che sta succedendo nel Paese.
Ormai la Casta non ha più il polso della situazione e colpevolmente si rinchiude in un mondo virtuale sperando così, con la complicità di giornali ed emittenti dell'oligopolio televisivo, di esorcizzare le proprie paure allontanando lo spettro  del redde rationem.
Ma ancora una volta ha sbagliato i conti ed il precipitare della situazione economica, a cui concorrono proprio le politiche recessive del governo che sostiene, forse accelererà i tempi di un giudizio pubblico da tanti invocato.
E farà poca differenza se a votare si andrà ad ottobre  o pochi mesi più in là, nella primavera del 2013.
Quello che conta davvero è inchiodare gli autori di tale disastro morale prima ancora che finanziario ed economico  alle proprie gravissime responsabilità, costringendoli a tornare finalmente alla vita dei comuni mortali e condannandoli a restituire almeno una parte delle ricchezze pubbliche depredate nell'ultimo ventennio, a partire da Tangentopoli.
Oggi, nella ricorrenza del 25 aprile, è questo l'auspicio migliore che andrebbe rivolto agli Italiani, un impegno comune di lotta democratica ma senza quartiere alla contropolitica.
Altro che prendersela di nuovo, come ha fatto intendere oggi nel suo discorso commemorativo  il presidente Giorgio Napolitano, con la presunta antipolitica di Grillo e dei tanti Italiani che non ne possono più di pagare il conto di decenni di ruberie e di cattiva amministrazione!




martedì 30 marzo 2010

Dallo shock elettorale, Bersani non riesce a riprendersi...

Che cosa ci si poteva attendere dal commissario liquidatore del PD a seguito della ennesima catastrofe elettorale? Un riconoscimento delle proprie macroscopiche colpe?
Niente affatto! Rivendica addirittura un successo di numeri: «Avanziamo di circa un punto rispetto a tutti gli altri partiti alle europee, c'è solo la Lega Nord che avanza dello 0,9 per cento».
Perché la colpa della sconfitta in Piemonte, udite udite, è di Beppe Grillo: lo definisce cupio dissolvi.
Che cosa dire? Di fronte a tale abisso mentale, si sarebbe tentati di consigliare a Pierluigi Bersani (alias Massimo D'Alema) di rivolgersi ad un bravo medico.
Il suo è un ragionamento di lucida follia: dal momento che i voti democratici sono chiusi in una cassetta di sicurezza, è chiaro che se mancano all'appello, ci deve essere stato un ladro.
Non solo Beppe Grillo ma anche Antonio Di Pietro e, perché no?, mettiamoci pure Marco Travaglio tra i responsabili dell'ennesimo flop democratico.
Non viene sfiorato dal dubbio che il PD dalla sua nascita ha sempre condotto una politica insulsa, che in due anni non abbia fatto la minima opposizione al governo di Berlusconi, che non abbia proposto uno straccio di programma alternativo a quello del Cavaliere, che abbia difeso i ladri piuttosto che i moralizzatori della vita pubblica, che in Piemonte abbia appoggiato inspiegabilmente la mostruosa opera della TAV mettendosi contro i suoi stessi iscritti e simpatizzanti, che non abbia difeso i lavoratori nelle battaglie per l'occupazione e il salario, che non abbia difeso i magistrati dall'attacco orchestrato dal centrodetra, che non abbia difeso l'acqua pubblica, che non abbia combattuto i tagli a scuola e università, che abbia continuato a difendere il Quirinale quando era oggettivamente indifendibile... in breve, che abbia tradito completamente il mandato elettorale.
In ultimo, che abbia proposto candidature vergognose in Campania come in Calabria, non perdendo la Puglia soltanto per la determinazione di Niki Vendola che ha dovuto ingaggiare uno scontro a muso duro con Massimo D'Alema per potersi ricandidare. Altrimenti con la cura D'Alema in Puglia sventolerebbe oggi un'altra bandierina del centrodestra...
Una politica talmente suicida, da far sospettare che ci sia stato, sotto sotto, un patto inconfessabile con il centrodestra per perdere a tavolino alcune regioni in vista di non si sa quale contropartita: l'ennesimo inciucio di cui nel Pd abbondano gli specialisti.
Complimenti Bersani, hai veramente ragione a prendertela con il movimento di Beppe Grillo!

Mentre il PD rantola, vola il Movimento 5 Stelle!

Tutti adesso stanno a celebrare la vittoria del centrodestra in questa tornata elettorale: 7 a 6 il risultato delle Regionali a favore del centrosinistra. Ma si partiva da un precedente 11 a 2!
Il centrosinistra regge, a fatica, solo nelle regioni un tempo chiamate rosse.
A destra, la vittoria è certamente targata Lega ed ha soprattutto un nome e cognome, Luca Zaia, ministro dell’agricoltura del governo Berlusconi che, con il suo 60% dei voti, proietta il suo partito al vertice della regione Veneto.
Il nuovo doge di Venezia si è meritato sul campo questo successo conducendo una battaglia per la valorizzazione dei prodotti tipici dell’agricoltura italiana contro gli appetiti dei colossi dell’agroindustria e rappresentando un argine alla diffusione degli ogm: insomma, un politico anomalo per il centrodestra.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali, certamente la vittoria della Lega in tutto il nord diventa una spina nel fianco per Berlusconi: ne vedremo delle belle!
Il vero flop è rappresentato ancora una volta dal Partito Democratico, destinato ad implodere lentamente, diretto così com’è da una banda di incapaci.
Non sono bastati in sequenza i Fassino, i Veltroni, i D’Alema; anche il nuovo corso di Pierluigi Bersani va in rotta di collisione con il buon senso.
E per fortuna Niki Vendola, sfidando in Puglia in condizioni impossibili il satrapo D’Alema, è riuscito a metterci una pezza: altrimenti il risultato generale per i democratici sarebbe stato addirittura tragico.
La fotografia di questa ennesima débacle, che finisce per rafforzare, guarda un po’, ancora una volta proprio Silvio Berlusconi, è rappresentata dall’esito elettorale del Piemonte; dove la candidata del centrosinistra Mercedes Bresso, conducendo una politica élitaria, del tutto sorda alle invocazioni della base (disgustoso l’atteggiamento tenuto da lei contro le proteste della TAV in val di Susa), ha perduto clamorosamente, a dispetto del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo che, con la candidatura di Davide Bono, supera i 90.000 voti.
Quella del movimento dei grillini è una grandissima e, lasciatecelo dire, bellissima novità nel grigiore della politica italiana. Un movimento, nato sulla rete e grazie alla rete, a cui i media nazionali non hanno dedicato il minimo spazio: figuriamoci!
Basti pensare che, nelle istruzioni al voto dei principali quotidiani nazionali (per non parlare delle televisioni!) i candidati del Movimento 5 Stelle, neppure comparivano!
Gravissima e totale disinformazione, nonostante i tanti soldi pubblici regalati all’editoria.
Adesso i giornali del centrosinistra piangono lacrime di coccodrillo, accusando Beppe Grillo di avere scippato la vittoria alla Bresso: posizione assolutamente settaria e demenziale che dimostra, una volta di più, come questo Partito Democratico e i suoi sponsor (gruppo L’Espresso – Repubblica) vivono ormai nel paranormale, totalmente estranei alla realtà, semplicemente inadatti come sono ad interpretare i bisogni della base che pure pretendono di rappresentare.
Base che si è stufata, una volta per tutte, di essere diretta da una nomenklatura senza ideali e senza passione, protesa solo a perpetuare i propri privilegi.
Lo avevamo detto, appena qualche settimana dopo il suo insediamento alla segreteria del PD: Pierluigi Bersani rischia di essere il commissario liquidatore di un partito nato senz’anima e con l’unico evidente obiettivo, non di contrastare il governo di Silvio Berlusconi (macché!), di tutelare gli interessi di un’oligarchia, vissuta da sempre alle spalle dei lavoratori.
Grazie, ragazzi del Movimento 5 Stelle che da soli siete riusciti, lottando a mani nude contro il duopolio PD–PDL, a far entrare nei palazzi della politica, da troppo tempo chiusi e polverosi, finalmente una ventata di aria fresca!
Da adesso in poi, la politica italiana non sarà più quella di prima.

domenica 7 febbraio 2010

La Casta demolisce lo stato sociale a pancia piena

La situazione economica italiana si fa di giorno in giorno più difficile ma la televisione dipinge un quadro tutto sommato rassicurante.
La disoccupazione sfiora ormai il 10%, in giro ci sono solo fabbriche che chiudono, pure il terziario scricchiola sotto i colpi di una recessione che ha inaridito le fonti di reddito per decine di milioni di persone.
Il deficit pubblico è di nuovo fuori controllo, il debito pubblico ha raggiunto il livello più alto di sempre, il 120% del PIL, ovvero 1.800 miliardi di euro: una cifra stratosferica.
Qualcuno si consola pensando che se Atene piange, Sparta non ride: perché la Grecia è a rischio default finanziario, la Spagna si dibatte in grave difficoltà, il Portogallo è alle corde.
Ma subito dopo c'è proprio l’Italia di Berlusconi, che fa finta di niente anche se non naviga in acque tranquille. A peggiorare il quadro, la politica deflazionista del ministro Tremonti che finisce per amplificare il ciclo economico recessivo, ampliando la portata della crisi.

Emblematico è il taglio alla scuola che, spacciato sui media per riforma epocale, mette le mani in tasca agli insegnanti già maltrattati e vilipesi, riducendone migliaia alla canna del gas.
Tutto ciò, senza che sulla stampa se ne faccia il minimo cenno.
Operai, insegnanti e buon parte della classe media vengono inesorabilmente trascinati nell’abisso della disperazione e della miseria, mentre la Casta si occupa a tempo pieno di ben altre faccende.
La fotografia simbolo di questo difficile passaggio è stata scattata di fronte a Montecitorio pochi giorni fa, quando i dipendenti sardi dell’ALCOA, multinazionale dell’alluminio, approdati in continente, protestavano contro la chiusura del loro stabilimento supplicando l’intervento del governo, mentre nel Palazzo la Casta discuteva, imperturbabile, di LEGITTIMO IMPEDIMENTO!
Ma che razza di paese è quello in cui un’oligarchia parassitaria vive alla grande, facendo finta di niente, mentre buona parte della popolazione affronta in solitudine i morsi di una crisi di sistema, di cui non è dato vedere la fine?
Se dal PDL, il partito-azienda del Cavaliere, non ci si può aspettare nulla di buono, fa cadere le braccia l’assoluta insipienza di un Partito Democratico che assiste impassibile alla destrutturazione dello stato sociale, senza muovere un dito.
Dopo aver girato la testa dall’altra parte sui tragici fatti di Rosarno, dove si è passati in poche ore da un vergognoso regime di schiavitù a scellerate azioni di pulizia etnica contro gli immigrati, il PD ciurla nel manico di fronte alla vertenza Fiat, alla vendita di Telecom agli spagnoli, alla decapitazione di scuola e università, all’assoluta mancanza di una politica industriale da parte del governo di centrodestra.
Ma alza la voce per sostenere l’Alta velocità in Val di Susa: ovvero accetta di tagliare i soldi a scuola e università pur di non far mancare risorse per la TAV.

Chissà se tra vent’anni ed un sicuro scempio ambientale, le mozzarelle (come direbbe Beppe Grillo) potranno viaggiare veramente a 300 chilometri all’ora!
Bersani farfuglia senza convinzione anacoluti di cui non è più in grado di spiegare il senso: eppure dovrebbe aver capito la lezione della Puglia, dove la gente ha sbattuto la porta in faccia al satrapo D’Alema, pervicace assertore che la politica sia in fondo un’eterna partita a scacchi.
La vittoria di Niki Vendola alle primarie democratiche dimostra una volta di più che, nonostante la sua intelligenza, Max D'Alema è il politico più perdente che la sinistra italiana possa annoverare da cinquant’anni a questa parte, meritevole di un posto nel consiglio di amministrazione di Mediaset, piuttosto che di un seggio in Parlamento.
Non a caso è stato nominato, subito dopo lo schiaffo pugliese e con i voti determinanti del centrodestra, presidente del comitato di controllo sui servizi segreti: il massimo traguardo per il Rasputin di Gallipoli.
Per chiudere in bellezza, ecco cosa proponeva lo chef quella mattina in Parlamento per il pranzo della nostra Casta, come sappiamo impegnatissima a legiferare sul legittimo impedimento del premier, mentre lì davanti al freddo i manifestanti mettevano sì e no sotto i denti un panino:

Antipasti
Pesce spada in carpaccio sul letto di songino al pepe rosa € 3,32
Seppie stufate al prosecco con polentino al timo € 3,32

Primi del giorno
Tagliolini all’astice con julienne di zucchine € 3,32
Gnoccchetti di patate con gorgonzola e lamelle alle pere € 1,59

Secondi del giorno
Filetti di rombo al forno in crosta di mandorle € 5,20
Straccetti di manzo ai fughi porcini con riduzione all’aceto balsamico € 5,20
Spigolette di Orbetello alla griglia € 5,20
Lombatina di vitello ai ferri € 3,53

*: foto tratta da tg24.sky.it

lunedì 7 settembre 2009

Una guerra tra bande nella prospettiva dell'inciucio

Massimo D’Alema, ieri alla festa del Paladido a Milano, ha spiegato che non ci può essere una contrapposizione nel suo partito tra vecchio e nuovo, cioè tra vecchia guardia e giovani dirigenti. Perché quello che conta è la qualità delle persone.
Ecco appunto: poiché i dirigenti ex Pci, ex Pds, ex Ds, ora Pd, hanno fallito su tutta la linea, lasciando il Paese alla mercé dell’uomo di Arcore per quindici anni, la cosiddetta vecchia guardia comunista dovrebbe farsi da parte, lasciando ad una nuova generazione di politici di costruire un’Italia diversa.
In cosa avrebbero brillato loro della vecchia guardia, D’Alema ce lo dovrebbe spiegare una buona volta: forse nel non essere riusciti minimamente a contrastare l’anomalia Berlusconi che con il suo strapotere mediatico-istituzionale è un caso unico al mondo.
Durante i governi di centrosinistra, nessuna delle mille leggi promesse è stata varata dagli attuali dirigenti democratici: da quella sulle televisioni, a quella sul conflitto di interessi, ai provvedimenti contro i monopoli, contro la rendita finanziaria, per la tutela dei servizi pubblici, per l’ambiente… niente di niente.
In compenso c’è stata la madre di tutte le privatizzazioni, quella Telecom: e gli utenti sanno com’è andata a finire!
E poi, chi non ricorda l’impareggiabile segretario Ds Piero Fassino sostenere, durante il governo di centrosinistra, che l’approvazione della legge sul conflitto d’interessi non avrebbe creato posti di lavoro?
Una vergogna, al cui solo ricordo l’indignazione torna quella di sempre.
Siamo giunti al punto di veder promulgare senza battere ciglio il lodo Alfano che pure è un evidente strappo alla nostra Carta fondamentale.
Il fatto è che la degenerazione della politica passa per una completa omologazione della nostra classe dirigente sia di destra che di centrosinistra ad un pensiero unico costruito, in campo internazionale, sui dogmi degli strateghi di Oltreatlantico (per cui in Afghanistan ci si sta, costi quel che costi, sia in termini di risorse economiche che di perdite umane, a dispetto dell’insofferenza dell’opinione pubblica); in economia, sui diktat delle burocrazia di Bruxelles e del direttorio della BCE (per cui non sono ammesse altre ricette per uscire dalla crisi di quella in atto che provoca una disastrosa deflazione).
Se questa condotta è in parte scontata per la destra che ha da sempre aderito alle logiche dei poteri forti, non era prevedibile che ciò avvenisse nelle fila dei già comunisti, già diessini, ora democratici.
Eppure costoro, in reiterate occasioni, hanno disatteso il mandato elettorale ricevuto, sposando in pieno le tesi dei loro avversari putativi.
Perché questo sia avvenuto, è difficile dirlo: forse il motivo di fondo può essere ricercato nello strisciante senso di inadeguatezza nei confronti dell’élite capitalistica.
Un sentimento di inferiorità nutrito nei confronti di chi muove le leve dell’economia reale mentre i vari Fassino, Veltroni, D’Alema si sentono inconsciamente solo dei parolai, buoni al massimo per blaterare in qualche talk show; dediti, prioritariamente, a salvaguardare il proprio tenore di vita molto superiore a quello dei comuni impiegati e della maggior parte di professionisti ma non in grado tuttavia di competere con le risorse economiche praticamente illimitate del capitalismo familiare.
Di qui il bisogno di assidue frequentazioni con quel mondo, tanto criticato a parole ma emulato negli stili di vita: è quella che, con un’espressione felice, è stata definita sinistra radical chic.
Cioè, quella che attacca Di Pietro proprio perché limpidamente antiberlusconiano: un vero paradosso.
Ecco perché la guerra al Cavaliere, condotta dalla corazzata la Repubblica-L’Espresso, è tutta concentrata sui suoi misfatti privati, non sull’azione nefasta del suo governo.
E’ una guerra tra bande, dove in gioco non c’è una politica diversa ma semplicemente l’esercizio del potere: ecco perché si presenta al tempo stesso più cattiva sul piano personale, più violenta nei toni, ma del tutto priva di contenuti programmatici.
Un Partito Democratico inesistente che si accoda ad un quotidiano per ripetere da mesi dieci insulse domande a Berlusconi, senza neanche ipotizzare che la vera opposizione si fa nel Paese, contrastando quotidianamente a viso aperto le scelte sbagliate del governo.
A cominciare dalla politica dell’immigrazione.
Ieri sera, il bravo Riccardo Icona, ripetendo per l’ennesima volta una grande lezione di giornalismo, ha dimostrato col potere delle immagini del suo Presa Diretta, quanto fosse stolta e sciagurata l’uscita di qualche tempo fa di Fassino sulla legittimità dei respingimenti dei barconi di immigrati, senza bisogno neanche di citarlo.
Vedere, uomini donne e bambini, morire in mare per disidratazione, denutrizione e freddo senza neanche tentare di soccorrerli, men che meno identificarli singolarmente per accertare se avessero i requisiti per chiedere l’asilo politico, ma respingerli nell’inferno dei campi libici, deve essere sembrato normale e legittimo per chi ha uno stipendio mensile da onorevole…
Ecco perché anche la stessa guerra tra l’Avvenire di Dino Boffo e il Giornale di Vittorio Feltri non ci appassiona: sono ben altre le tragedie della quotidianità che si consumano in Italia e che la Casta, al gran completo, ha deciso di ignorare.
Infatti, non basta il peggior Berlusconi a ridare fiato a un Partito Democratico ormai imploso: è veramente avvilente come lo scontro in atto tra le due fazioni non riguardi più i problemi dei cittadini ma più prosaicamente un regolamento di conti all’interno della Casta.
Con il rischio, molto concreto, che tutto si concluda a tarallucci e vino!
Non dimentichiamo, infatti, che mezzo Pd tifa ancora per un nuovo grande inciucio con il Cavaliere!

domenica 26 luglio 2009

La legge sulla sicurezza, un'altra legge vergogna

La legge sulla sicurezza che è stata promulgata il 15 luglio dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è l’ulteriore passo in avanti di una democrazia malata, avviata verso la terra di nessuno dei regimi autoritari.
Non ci vuole una laurea in diritto per capire che sotto molti profili questa legge viene a collidere con alcuni principi della nostra carta costituzionale, primo tra tutti quello di uguaglianza.
Perché l’ingresso illegale del singolo straniero viene ipso facto considerato una fattispecie di reato, rendendo la semplice condizione di immigrato come sanzionabile penalmente: ovvero, lo stato di diritto viene fatto a pezzi.
Non si capisce come sia stato possibile per il presidente Napolitano, già promulgatore a tempo di record del famigerato lodo Alfano, scegliere la strada più inusuale ed impervia: quella di promulgare immediatamente la legge per poi disconoscerla a stretto giro di posta con la lettera inviata al premier Berlusconi in cui ne evidenzia ben nove punti di attrito con il nostro ordinamento.
In particolare, a proposito del reato di immigrazione clandestina il Capo dello Stato riconosce che "Allo stato esso apre la strada a effetti difficilmente prevedibili".
Ma un altro punto che risulta dirimente è quello delle ronde per il quale per Napolitano "appare urgente la definizione" di un decreto del Ministro dell’Interno che le disciplini in modo rigoroso.
Alla luce degli scontri verificatisi la notte scorsa a Massa tra ronde di destra e ronde di sinistra si capisce quanto il punto si presentasse da subito cruciale, anche ad una sola sommaria lettura del provvedimento. E quanto grave sia stata la sottovalutazione delle possibili conseguenze.
Lo stesso ex presidente della Consulta Valerio Onida, intervistato da Repubblica (1) , riconosce che "Certo la lettera colpisce per il numero e la qualità delle critiche che avrebbero potuto certamente motivare un rinvio. Mi pare che la scelta sia stata di non utilizzare il proprio potere di rinvio, più che per non ritardare l’entrata in vigore di alcune norme del pacchetto più largamente condivise (dubito che anche quelle contro la mafia rispondano a ragioni di urgenza), per non scontrarsi frontalmente con il governo e la sua maggioranza su un tema ritenuto caldo".
Ed alla giornalista Liana Milella che lo incalza ipotizzando una mossa politica del Colle, Valerio Onida così risponde: "Ognuno può apprezzare come vuole questa scelta, e tuttavia solo il presidente è arbitro del modo in cui intende esercitare la propria funzione di persuasione e di influenza".
Ecco, ci limitiamo ad eccepire che Napolitano ha esercitato, in questo frangente, la sua soggettivissima funzione di persuasione e di influenza in modo deludente.
Perché l’effetto complessivo del suo intervento, promulgazione immediata e invito al governo a riflettere sulle norme appena approvate, è di denunciare inevitabilmente la propria debolezza: come Don Abbondio, un vaso di coccio tra tanti vasi di ferro.
Se anche il Presidente della Repubblica denuncia l’impossibilità di arginare il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, a difesa dei principi generali dell’ordinamento e del sistema penale vigente, in un momento in cui la disapprovazione dell’opinione pubblica internazionale per la condotta pubblica e privata del Cavaliere è generale, non si capisce chi ci possa ancora riuscire.
Ha quindi ragioni da vendere Antonio Di Pietro quando esprime (2) "profondo dolore per la titubanza del presidente nell’affrontare i compiti che la Costituzione gli assegna".
Mentre è assolutamente irriguardosa e brutale la difesa d'ufficio che ne fa il Pd per voce di Anna Finocchiaro che attacca Di Pietro definendone la logica come quella del "tanto peggio tanto meglio".
E’ davvero incredibile che i Democratici siano scesi così in basso: a conferma di un totale stato confusionale in cui si trovano, arriva persino la dichiarazione dello "scaltro" Massimo D’Alema che attacca ciecamente Di Pietro per le critiche a Napolitano, rispolverando, non avendo probabilmente di meglio a disposizione, la solita solfa (ossessivamente ma sterilmente utilizzata anche contro Beppe Grillo) secondo la quale criticare la non-opposizione del Pd rafforza Berlusconi.
Incredibile ma vero, dice proprio così: "Da membro dell'opposizione trovo sinceramente che indirizzare un attacco in modo pretestuoso e anche volgare contro il capo dello Stato è un modo per aiutare il governo, ed il presidente del Consiglio, a sollevarsi dalle proprie responsabilità. Quindi spero che l'onorevole Di Pietro la smetta: vedo che anche nel suo movimento comincia a sorgere qualche dubbio e qualche riserva su questa condotta".
Ecco il vicolo cieco in cui la nomenklatura democratica ci ha infilato: che continua imperterrita a non fare il suo dovere ma se ti azzardi a criticarne la totale inconsistenza vieni denigrato e accusato di stare dalla parte del governo…
Insomma, hanno disconosciuto a rate tutta la loro storia, ma non rinunciano ai vecchi metodi di propaganda: del resto sono o non sono una nomenklatura?
(1) Repubblica 16/07/2009
(2) Repubblica, 18/07/2009

domenica 14 giugno 2009

Anche Scalfari perde la pazienza: Veltroni e D'Alema, go home!

In queste ultime ore, a dati elettorali ormai archiviati, tutti i commentatori si sono affrettati a scrivere il proprio pezzo, dimostrando una convergenza di opinioni persino sorprendente.
Il verdetto è stato unanime: gli elettori hanno bocciato entrambi i due colossi, Pdl e Pd.
Un’emorragia di voti che, in termini assoluti (le percentuali spesso travisano la realtà), raggiunge quasi i 3 milioni di consensi in meno per il Pdl e i 4 milioni addirittura per il Pd: una Waterloo.
A sinistra saremmo tentati di chiamarla Walterloo, data la pesante ipoteca dell’ex segretario Walter Veltroni sul risultato del Partito democratico, malgrado l’abilità con cui l’attuale leader Dario Franceschini si è mosso in questa campagna elettorale.
Il commento che più colpisce è quello domenicale di Eugenio Scalfari che oggi fa un’analisi impietosa dell’esito elettorale per il Partito democratico, di cui sembra rimasto l’unico vero ideologo, essendo tutti i suoi dirigenti affaccendati in liti da cortile.
Ma questa volta, abbandonati i toni conciliativi, spara a zero contro i maggiorenti del partito; ne citiamo il passo più significativo:
"Se l'opposizione non fosse così fortemente debilitata avremmo almeno un aggancio robusto per riportare ordine e chiarezza. Purtroppo anch'essa ha perso credibilità anche se la campagna elettorale condotta dal segretario Franceschini è riuscita almeno a contenere le perdite salvando il salvabile. Sono molti ora a chiedere in che modo si possa e si debba costruire un partito che ancora non c'è, che è ancora un'ipotesi di lavoro e fatica a decollare per debolezza dei motori e insufficiente portanza.
Ci sono almeno tre esigenze generalmente avvertite: la prima è quella di radicare il partito nel territorio, la seconda è di selezionare una classe dirigente nuova, la terza riguarda la vecchia nomenclatura composta da quelli che guidarono i vari spezzoni confluiti nel Pd. I membri di quella nomenclatura non sono affatto da ostracizzare; rappresentano tuttora un deposito di esperienze, memorie, valori. Ma dovrebbero riporre ambizioni e pretese rassegnandosi ad un ruolo che resta peraltro di notevole importanza: ruolo di padri e di zii, ruolo di saggezza e incoraggiamento, non di comando e di intervento.
Quando Veltroni si dimise, con lui fece un passo indietro l'intero vecchio gruppo dirigente e questo fu l'aspetto positivo di quella drammatica ma ormai necessaria decisione. Sembra tuttavia che ora quel collettivo passo indietro sia rimesso in discussione e si riaccendano tra gli zii sentimenti di rivalsa e nuovi fuochi di battaglia."
E conclude:
"Controvoglia non so, ma certo il tornare a gara di tutta la vecchia nomenclatura sbarra la strada al necessario rinnovamento e riaccende eterne dispute che un corpo sano e robusto potrebbe sopportare ma un corpo debilitato non tollera rischiando la sua stessa sopravvivenza."
Finalmente anche il fondatore di Repubblica lancia strali contro quella che da tempo chiamiamo la nomenklatura democratica, rea di farci vivere in questa tristissima condizione.
Quella in cui, per fare solo un esempio di stringente attualità, il Presidente del Consiglio denuncia pubblicamente l’esistenza un piano eversivo contro di lui e minaccia apertamente gli industriali di non fare pubblicità sui media cosiddetti disfattisti.
Tutto ciò mentre è in corso di approvazione in Parlamento il ddl sulle intercettazioni che non solo rende impraticabili le indagini della magistratura su gravissime fattispecie di reato ma che imbavaglia la stampa e, tanto per convincere i più scettici sull’instaurazione di un regime, cerca di normalizzare persino la rete impedendo la libertà di espressione in blog, social network e portali informativi, imponendo una serie di vincoli burocratici e di sanzioni pecuniarie, come se ne possono trovare solo nei sistemi autoritari.
Insomma, dopo aver depenalizzato il falso in bilancio e deresponsabilizzato sul piano penale le Alte cariche, diffamato con il ministro Brunetta i dipendenti pubblici, ridotta alla canna del gas la scuola, si cerca adesso di attaccare frontalmemente giornalisti e magistrati, mentre tutto attorno l’economia agonizza.
Che i vertici del Partito democratico, corresponsabili non fosse altro che per ignavia di questo stato di cose, debbano fare un passo indietro per dare vita, subito dopo la prossima domenica dei ballottaggi, ad un percorso congressuale rapido dove si discuta non più sulle persone ma finalmente di politica, sembra talmente scontato da sembrare una precisazione superflua.
Eppure, dell’auspicato passo indietro della vecchia nomenklatura non si può essere per niente certi: lo conferma Massimo D’Alema che, nella trasmissione In 1/2 ora ospite oggi dell'Annunziata, pur convenendo sulla necessità di andare al congresso quanto prima, si è mostrato piccato dell’invito del fondatore di Repubblica di limitarsi ad un’opera di saggezza e incoraggiamento.
Anzi, pur ribadendo di tirarsi fuori da una lotta al vertice, ha però voluto precisare: "Una candidatura come la mia avrebbe senso in una sorta di emergenza nazionale. Non credo, però, che siamo alla necessità di richiamare la vecchia guardia per salvare il salvabile".
Ottimista sulla situazione italiana o ai blocchi di partenza per aggiudicarsi di nuovo la leadership dei democratici, magari dopo uno scontro al calor bianco proprio con il mai rassegnato Veltroni?
Gli elettori del Pd hanno compreso da tempo che al peggio non c’è mai fine… si rassegni anche Scalfari!

domenica 21 dicembre 2008

Se le sorti dell'opposizione passano per il conclave del Pd

E finalmente il giorno della resa dei conti arrivò.
Il tanto strombazzato chiarimento tra Walter Veltroni e Massimo D'Alema partorì il topolino.
E’ sempre stato così dalla fondazione: la grande montagna del Partito democratico, franando adesso rovinosamente, riesce a malapena ad articolare una minuscola dichiarazione d’intenti: “Sì al rinnovamento, no ai capibastone ”.
Conclusione scontata, quasi liturgica, quella pronunciata da Walter Veltroni nella sua due giorni, prima alla direzione del partito poi alla prima assemblea dei giovani democratici.
Parole giuste, non c’è che dire, ma che non riescono ad infondere quella speranza di cambiamento che da più parti si invoca.
Non si tratta di stabilire se l’amalgama sia più o meno riuscito, lasciamo risolvere questo bizantinismo ai politici di professione.
Il fatto è che la casta dei democratici legge l’emergenza politica in cui ci troviamo (un pessimo governo lasciato libero di fare quello che vuole, persino di annunciare di voler ridisegnare la Costituzione ad immagine e somiglianza del suo premier, senza che l’opposizione dia la sensazione neppure di reagire, semplicemente di esistere) con la lente deformata della sua inattaccabile condizione di privilegio.
E’ un linguaggio paludato quello di Veltroni e D’alema che dista anni luce dalle parole che i cittadini vorrebbero sentire: diranno pure cose sensate ed in gran parte condivisibili ma lontane e fredde.
Solo per fare un paragone, il linguaggio di Renato Soru, presidente Pd della Sardegna, sarà meno elegante, meno costruito secondo i dettami del politichese ma non per questo meno efficace; al contrario, è dotato di una forza ideale e di innovazione sociale decisamente maggiore.
Anche se la parola innovazione non viene abusata dal suo vocabolario: la sua è la politica del fare, rispetto alla politica del parlare.
Si può essere più o meno d’accordo con quello che dice e che propone: fatto sta che parla di cose concrete, non di correnti, non di capibastone, non di innovazione prêt à porter.
E a molti la politica fatta solo di parole, fossero anche le più eleganti e forbite, ha ormai stancato.
Siamo alla pausa di Natale ma la casta anche quest’anno ribadisce il suo peccato originale: quello della sua scarsa credibilità, anche quando mostra le migliori intenzioni.
Neppure l’animosa, vibrante replica di Veltroni ha solo scalfito questa triste realtà.


martedì 9 dicembre 2008

Il Partito democratico va sempre più giù

Ennesima settimana di crisi della politica.
La casta sta affondando ma ha perso anche quel residuo amor proprio, servisse soltanto per risalire la crisi di consensi che la investe aggrappandosi, come un naufrago in un mare in tempesta, alle cime della crisi economica e così dimostrare agli Italiani che ancora serve a qualcosa.
Il governo del centrodestra naviga a vista, tagliando a destra ed a manca la spesa pubblica fino a quando qualcuno da Oltretevere non alza la voce e gli fa rimangiare di colpo il taglio alle scuole cattoliche con tante scuse.
La sua politica deflazionista accelera la crisi e non restituisce in termini di provvidenze sociali neppure una parte di quello che toglie dal bilancio dello Stato: la social card è uno strumento del tutto inadeguato per lenire le sofferenze delle tante famiglie in rosso già alla terza settimana.
Sono bastati pochi giorni dal suo strombazzato varo per capire che, anche sul piano economico, il governo è nudo.
D’altra parte, premere ancora sull’acceleratore dell'ordine pubblico, della sicurezza e della paura dell'immigrazione a due settimane da Natale, con lo shopping che langue, più che una buona idea apparirebbe agli occhi dei più una provocazione.
La riforma della giustizia? Da sempre l’obiettivo dichiarato del Cavaliere, dopo la legge incostituzionale sulle alte cariche, non è poi così impellente almeno fino a quando la Suprema Corte non si sarà pronunciata contro. Diciamo così, il governo sta aspettando Natale…
E l’opposizione? Quale opposizione?
L’intervista di Veltroni a Repubblica della settimana scorsa dimostra che il vertice del Partito democratico ha perso il polso della situazione, non riuscendo neppure a capire cosa stia succedendo in casa propria, figuriamoci ad immedesimarsi nei guai che affliggono gli Italiani: l'odierno sondaggio Ipr per Repubblica.it lo dà in caduta libera di oltre 5 punti percentuali.
Più precisamente, l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro svetta al 7,8% mentre il Partito democratico accusa un crollo sulle Politiche di primavera del 5,7%!
Morale: quando l’opposizione la si pratica quotidianamente, la gente se ne accorge e premia i politici volenterosi; al contrario, quando ci si tira i piatti da pranzo, come fanno Walter Veltroni e Massimo D’Alema, semplicemente per decidere quale sia il modo migliore di non fare opposizione, ecco che anche lì il verdetto popolare cade giù duro come una tegola.
L’impareggiabile coppia Veltroni - D’Alema è riuscita a superarsi facendo addirittura guadagnare al Pdl altri due punti percentuali rispetto alla primavera scorsa, nonostante l’azione di governo sia stata in questi mesi decisamente mediocre: complimenti!
L’altra sera, nel salotto di Fabio Fazio, c’era il fondatore di Tiscali, Renato Soru, che rivendicava la sua coerenza nelle scelte fatte come governatore Pd della Sardegna; scelte che lo hanno costretto alle dimissioni quando si è visto mancare l’appoggio proprio degli esponenti regionali del suo partito.
Il suo parlare schietto, senza fronzoli, che richiama valori antichi ma di grande modernità, come l’impegno personale per la sua terra, l’ottimismo della volontà e del sacrificio contro i compromessi al ribasso, una idea alta della politica, hanno finito per sfiorare corde nell’animo di molti simpatizzanti del Pd che la politica di questi anni dei vari Fassino, Veltroni, D’Alema, Bettini, Rutelli aveva fatto completamente dimenticare.
Il richiamo all’ambiente, al rispetto che dobbiamo alle future generazioni per non lasciare loro un mondo invivibile, alla cultura del lavoro e del risparmio contro gli irresponsabili inviti all’ottimismo dei consumi, ha messo in luce un uomo politico che dimostra una sincera avversione per i riti della casta e che è in sorprendente, quasi inconsapevole, sintonia con ampi settori della società civile.
Ci domandiamo: nella crisi abissale in cui versa il Pd, crisi di identità, di strategia ma soprattutto di etica (come confermano le numerose inchieste in corso sulla sinistra d'affari), cosa impedisce alla leadership democratica di lasciare subito il testimone a uomini nuovi come Renato Soru?

mercoledì 3 dicembre 2008

Aspettando il prossimo chiarimento dentro il Pd

Ennesima figuraccia della politica nostrana.
Un’altra settimana è trascorsa all’insegna di una crisi economica senza precedenti ma la casta si azzuffa ancora una volta sulla televisione.
Questa volta è il turno di Sky, la pay tv del miliardario australiano Rupert Murdoch. Sembra impossibile che l’opposizione capeggiata da Veltroni non trovi nulla di meglio che gridare allo scandalo per l’ennesimo conflitto di interessi in cui è incappato il Cavaliere; a questo punto, verrebbe da dire, suo malgrado.
I fatti sono noti: l’innalzamento dell’Iva sul canone della pay tv dal 10% (aliquota agevolata) all’aliquota ordinaria del 20% è per certi versi un atto dovuto.
Il senso di un’agevolazione del genere è riconducibile ai tempi dell’avvio di una nuova tecnologia digitale su satellite che, a metà degli anni novanta, poteva considerarsi talmente innovativa e pionieristica che meritava sicuramente un occhio di riguardo da parte del fisco per far decollare il settore.
Oggi non è più così: Sky non può più essere considerata un’azienda start up, vantando quasi 5 milioni di abbonati!
Non si capisce perché bisogna pagare l’iva al 20% su un’infinità di prodotti anche di prima necessità e si debba continuare a pagare i canoni della pay tv con l’imposta al 10%.
In un paese normale, un’opposizione con un minimo di sale nella zucca, non si straccerebbe le vesti al limite dell'isteria di fronte ad un provvedimento che, potrà pure essere giudicato inopportuno (tanto più perché varato da un governo diretto da un magnate della televisione), ma non appare particolarmente disdicevole né iniquo; al contrario, oggi veniamo a sapere da un portavoce che era negli auspici della Commissione europea.
Che poi si rinvanghi la solfa del conflitto di interessi, la questione è diventata puro esercizio retorico: c’è la sensazione che venga periodicamente sollevata da Veltroni & c. soltanto per dire qualcosa di sinistra, senza però nessuna convinzione.
Diciamolo chiaramente: qualsiasi provvedimento economico che il governo di centrodestra ha già preso o prenderà in futuro è sempre sotto conflitto di interessi.
In quale settore di attività economica l’impero berlusconiano non è arrivato in forze? Stentiamo a trovarne uno.
Per cui sollevare sterilmente la questione, senza aver mai compiuto in passato alcun passo per una legge che lo risolva in qualche modo, diventa uno spettacolo miserevole e meschino.
Com’è possibile che il sacro furore del conflitto d’interessi non sia stato rivolto quest’estate contro la legge sulle alte cariche? Lì, oltre la palese violazione costituzionale, proprio il conflitto di interessi si stagliava enorme come un grattacielo... Ma Veltroni ebbe a dire che il lodo Alfano non era incostituzionale!
Questa opposizione ha dovuto aspettare la questione Sky per dissotterrare l’ascia del conflitto di interessi. Su altri argomenti, molto più scottanti per le tasche degli Italiani, resta afasica come sempre.
Ad esempio, come mai nessuno ha eccepito nulla sul fatto che il governo ha deciso di congelare al 4% le rate dei mutui prima casa a tasso variabile lasciando quelli a tasso fisso al 6-7 anche 8%? Forse che in tempi di recessione le ragioni di chi ha deciso tempo addietro di cautelarsi con il tasso fisso per evitare successivi rialzi dei tassi di mercato valgono di meno di quelle di chi, optando per il tasso variabile, ha scelto il minor costo immediato (i mutui a tasso variabile scontavano alla stipula un tasso di interesse anche di due punti più basso del corrispondente mutuo a tasso fisso) accollandosi esplicitamente il rischio di futuri aumenti delle rate?
Ma dalla cosiddetta opposizione su questo problema che coinvolge milioni di famiglie non è venuta una sola parola.
Così come sulla cosiddetta social card, che è uno strumento di sostegno ai consumi estremamente modesto sia per importo che per platea di destinatari, dall’opposizione le riserve sono state poche e avanzate senza animosità.
Su un altro versante dell’economia, la Telecom taglia migliaia di posti di lavoro e nessuno eccepisce nulla.
Insomma, stiamo assistendo da troppo tempo al brutto spettacolo di un’opposizione che gioca di rimessa attendendo il governo in difesa per fargli gol in contropiede.
Ma una tattica del genere ha un senso se la squadra che la pratica ha un vantaggio anche solo psicologico sull’avversario, non se sta perdendo alla grande!
Da un’opposizione minimamente decente ci si aspetterebbe un piano dei cento giorni per la crisi economica inquadrato in un progetto politico di più ampio respiro che getti le fondamenta di un ciclo economico virtuoso, basato su incentivi all’innovazione tecnologica a zero impatto ambientale.
Invece ci ritroviamo un Partito democratico che non sa neppure decidere se, a sei mesi dalle Europee, si schiererà al Parlamento europeo con il gruppo socialista o con quello democristiano!!
Capiamo adesso perché l’uomo di Arcore può fare e disfare tutto quello che gli passa per la testa.
Se il futuro dei Democratici passa per l’avvicendamento nel giugno 2009 tra Walter Veltroni e Massimo D’Alema mentre il partito resta fino a quella data ingessato, in attesa dell'ennesimo chiarimento definitivo che non arriva mai, è chiaro che il governo Berlusconi, nonostante tutto, può continuare a dormire sonni tranquilli.

lunedì 24 novembre 2008

Tra i due senatori... l'inciucio vince!

Nell’intervista a la Repubblica di oggi il senatore del Pd Nicola Latorre chiede scusa per la brutta figura in cui è incappato durante un dibattito televisivo della settimana scorsa quando si è fatto sorprendere dalle telecamere di La7 nel passare un “pizzino” all’avversario del Pdl Italo Bocchino per suggerirgli la risposta da dare al capogruppo dell’Idv, Massimo Donadi.
Una scena al tempo stesso fantozziana e surreale, che ricorda Specchio segreto la fortunata trasmissione degli anni sessanta di Nanni Loy che, con l’obiettivo nascosto, filmava in presa diretta in giro per l’Italia frammenti di vita comune, con risultati a volte esilaranti, sempre di rara efficacia narrativa.
Però lo scoop di Striscia la Notizia, nonostante le risate montate di sottofondo com'è uso di questa trasmissione, non ha nulla di esilarante e non è stato realizzato nascondendo le telecamere: si rivela, né più né meno, che uno sberleffo nei confronti dei cittadini, in gran parte ancora troppo ingenui e idealisti.
Perché non rappresenta solo un gravissimo scivolone ed un evidente autogol dei protagonisti.
Quel comportamento molto più di tanti editoriali, commenti, dibattiti mediatici fotografa lo stato della nostra politica.
Uno stato pessimo, a giudicare dalla disinvoltura con cui i due protagonisti Bocchino e Latorre si sono mossi, incuranti dell’occhio vigile delle telecamere di studio.
Non solo è scandalosa l’imbeccata di Latorre, ancora più sconcertante è la reazione compassata di Bocchino che riceve il messaggio senza fare una piega; anzi, subito dopo si dà da fare per raccogliere il suggerimento dell’avversario prendendo la parola contro il rappresentante dell’Idv, alleato di Latorre.
La verità che emerge inconfutabile è che i nostri politici rispondono soltanto a se stessi, coinvolti nei loro giochi sottotraccia, in una strategia trasversale e autoreferenziale in cui i bisogni dei cittadini sono l’ultimo dei loro pensieri.
In un paese normale, come ripete spesso il suo capofila Massimo D’Alema, Nicola Latorre avrebbe dovuto spontaneamente rassegnare le dimissioni da ogni incarico politico.
Da noi, al di là del prevedibile clamore sollevato nella gente dallo scoop della trasmissione di Antonio Ricci, la cosa è passata tra i politici quasi inosservata, tanto a destra quanto a sinistra.
Lo stesso Massimo D’Alema, che sicuramente non deve averla presa bene, fa finta di niente, in ben altre faccende affaccendato nello scontro in corso dentro il Pd.
Eppure Latorre, dopo le scuse d’obbligo, ha l’ardire di rilanciare; ecco come esordisce nell’intervista curata da Goffredo De Marchis:
"Innanzitutto, sento il dovere di chiedere scusa agli elettori e ai militanti del Pd. Ho commesso una grave leggerezza, ho contribuito ad accreditare un'idea della lotta politica che non corrisponde al mio modo di essere. Non volevo mettere in difficoltà il mio partito, semmai il contrario. Ma ho sbagliato il modo. Dunque, mi scuso e l'ho fatto anche sul sito. Detto questo, considero un segnale allarmante far derivare da quella vicenda una sequela di iniziative inquisitorie. Chiedere formalmente le mie dimissioni da tutto, sentirmi dire dal gruppo dirigente che ho infangato miseramente la politica, ascoltare Di Pietro invocare misure poliziesche nei miei confronti senza che nessuno del Pd alzi un dito, beh tutto questo mi fa credere che l'episodio in sé c'entri poco. C'entra invece l'idea di un partito in cui il problema è reintrodurre il reato di lesa maestà".
Chi avrà la calma di leggere l’intera intervista, troverà ulteriori spunti di riflessione su come la casta abbia completamente smarrito il senso della realtà prima ancora che il senso della sua missione.
E qualcuno ci dovrebbe pure spiegare perché, rispetto a quello di Latorre, dovrebbe considerarsi più riprovevole il comportamento di Riccardo Villari, anch’egli senatore del Pd, che resiste pervicacemente sulla poltrona di Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, dopo essere stato regolarmente designato con una votazione parlamentare formalmente ineccepibile, malgrado gli inviti a farsi da parte rivoltigli ormai da entrambi i poli dopo l’intesa bipartizan raggiunta fuori tempo massimo sul nome di Sergio Zavoli.
Perché Ricardo Villari merita l’espulsione dal partito, mentre per Nicola Latorre può bastare al massimo una lavata di testa?
Forse perchè tra i due senatori… l’inciucio vince!

martedì 18 novembre 2008

E non se ne vogliono andare...

Sono mesi che lo ripetiamo. Ma dopo l’ennesima settimana di bufera, il destino del Partito democratico sembra segnato insieme alla sua leadership, in perenne difficoltà anche su questioni apparentemente di ordinaria amministrazione, quale può essere la nomina del presidente di una commissione parlamentare.
Stretto tra l’incudine del governo di centrodestra ed il martello dell’Italia dei Valori, Walter Veltroni sembra l’unico vero vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro.
Purtroppo i vasi di ferro stanno anche dentro il suo partito, per cui quella da lui ingaggiata è una lotta impari: l’assalto alla sua leadership è frutto di una strategia convergente della maggioranza berlusconiana, disposta persino a contendere all’avversario scampoli di potere che per prassi costituzionale andrebbero lasciati all’opposizione giusto per ribadire la propria soverchiante superiorità, e di settori influenti del suo stesso partito, che agendo dietro le quinte ed in tutta calma, stanno preparandogli da settimane il benservito.
E’ in atto una specie di tiro al piccione in cui si cimentano indistintamente un po’ tutti. E’ in questo clima torbido che si possono concepire le teppistiche parole rivolte a Walter Veltroni dal capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, e che confermano una volta di più lo scadimento della nostra vita politica.
Non si capisce a cosa ancora si debba assistere prima che la casta si renda finalmente conto di quale abisso la separi ormai dalla società civile e quanto discredito si porti dietro.
La querelle sulla nomina del presidente della commissione di vigilanza Rai, Riccardo Villari, non solo è emblematica di tale involuzione ma ne rappresenta in modo paradossale un limite quasi invalicabile.
Un senatore del Pd viene eletto con i voti della maggioranza di governo, tanto per fare un dispetto a Veltroni e per sottolineare l’assoluta indisponibilità alla candidatura dell’esponente dell’Italia dei Valori, Leoluca Orlando. Nome sul quale Veltroni, suo malgrado, non è disposto a cedere, pena l’essere travolto dal martello pneumatico Antonio di Pietro.
L’epilogo è noto: in questo braccio di ferro il leader del Pd ha finito nuovamente per soccombere, maramaldeggiato finanche dal suo senatore che, da bravo ex democristiano, non solo non è intenzionato a dimettersi, come gli è stato poco pacatamente intimato, ma adesso vuole pure ritagliarsi il ruolo di uomo-cerniera, lasciando intendere che, sospinto sulla ribalta chissà come, non rinuncerà tanto facilmente al suo momento di celebrità.
L’ennesima Caporetto per Walter Veltroni che si trova così nella scomodissima posizione di dover spiegare ai propri sostenitori, al di là di tutte le liturgie e i giochi della politica, come sia possibile che Villari abbia le carte in regola per diventare addirittura senatore del partito democratico (visto che il suo nome è passato certamente al vaglio di Veltroni prima di essere inserito nella lista bloccata per le politiche della primavera scorsa) ma non abbastanza da insediarsi alla presidenza di una commissione parlamentare.
In ogni caso, il gran rifiuto di Villari, dimostra inequivocabilmente che dentro il Pd ognuno va ormai per conto suo e che il segretario ha completamente perso il controllo della situazione.
Insomma, il centrodestra, trovando una insperata sponda proprio all’interno dei democratici, è riuscito a piazzare l’ennesima botta vincente mettendo un’altra volta fuori gioco il suo avversario che, a questo punto, non sa veramente contro chi combattere, sempre più in minoranza anche tra i suoi.
Ma se Sparta piange, Atene non ride: se qualcuno tira in ballo i dalemiani come ideatori dell'ennesimo sgambetto a Veltroni, gli va ricordato che in questo gioco al massacro nessuno ci guadagna all’interno del Pd, neppure l’odiato amico Massimo D’Alema.
Certo non è bello vedere il suo braccio destro, Nicola Latorre, fare l'occulto suggeritore, in un dibattito televisivo sull’argomento, di Italo Bocchino del Pdl mentre questo interloquisce con un esponente dell’Italia dei Valori, come ha svelato incredibilmente la trasmissione di Antonio Ricci Striscia la Notizia.
Sembrano proprio tornati i tempi della doppia scalata illecita Bnl-Unipol e Antonveneta-Bpi, quando i due poli a chiacchiere se ne davano di santa ragione ma nei fatti erano sorprendentemente concilianti.
Una insopportabile cappa di inciucio che ancor oggi non si riesce a diradare e che continua a celare la prima vera emergenza nazionale: l'irrisolta questione morale.
E’ evidente che la soluzione alla crisi dei Democratici non passa per l’avvicendamento al vertice tra Veltroni e D’Alema: entrambi appartengono ad una stagione politica ormai irrimediabilmente chiusa e rivelatasi fallimentare per la sinistra italiana.
Fanno finta di non capirlo ma è chiaro che il loro vuoto antagonismo sta diventando un problema per il Paese.
E’ l’Italia che ci rimette: con una sinistra fuori dal Parlamento, un’opposizione tenuta in piedi dal solo volenteroso Di Pietro, un pessimo governo messo nelle condizioni di fare tutto quello che vuole (tranne quello che di questi tempi sarebbe necessario per ridare fiato all’economia), gli Italiani rischiano di passarsela sempre peggio.
Finiranno per rimpiangere Prodi… se già non hanno cominciato!

domenica 2 novembre 2008

Una nuova opposizione in difesa della democrazia

Le manifestazioni di questi giorni contro la legge 133, la controriforma Gelmini che dissimula il taglio di ben 8 miliardi di euro dietro grembiulini e voti in condotta, confermano che il nostro Paese sta tracimando dall’alveo della democrazia verso una terra ignota, sconosciuta ai più, se non altro per motivi anagrafici.
Come battezzarla è questione che non ci appassiona più di tanto perché, a furia di domandarci se sia stato superato o meno il punto di non ritorno, ci stiamo dimenticando che cos’è veramente una democrazia.
Sicuramente non è democratico svuotare il Parlamento dei suoi poteri riducendolo a semplice organismo che trasforma in legge la volontà del premier e del suo direttorio.
L’abuso della decretazione d’urgenza e del voto di fiducia costringe senatori e deputati, non dimentichiamoci eletti sulla base di liste bloccate in disprezzo della sovranità popolare, a votare senza neanche poter alzare lo sguardo sul capo del governo che assume le sue decisioni lontano da occhi indiscreti, forse da una delle sue infinite dimore.
Così un tema così cruciale per la società italiana come quello della scuola e dell’università, per definizione trasversale ai gruppi ed alle categorie di appartenenza, viene lasciato esclusivamente alle forbici del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, senza che semplicemente se ne possa discutere, imponendo la tirannia del voto di maggioranza e dando in pasto ai mass media l’immagine edulcorata di una finta maestrina che, con l’inflessibilità della principiante proiettata di punto in bianco sulla poltrona più alta del ministero della pubblica istruzione, di fronte alla protesta montante in ogni angolo della penisola riesce solamente a dire: Io non li capisco.
Nello stesso modo, da problema squisitamente politico l’indignazione sociale contro i tagli di spesa, che oggi colpiscono l’istruzione ma che domani colpiranno altri settori della vita sociale, viene convenientemente trasformata dal governo in questione di ordine pubblico, usando toni minacciosi ed ultimativi che nessuna tardiva smentita può servire a cancellare.
Tanto più che vengono pronunciati dal premier in persona, cioè da colui che si è fatto confezionare su misura l’immunità delle alte cariche e che nel contempo prosegue una sua personalissima tenzone contro quella parte di magistratura così orgogliosa della propria indipendenza ed autonomia.
Lacunoso e parziale è stata poi il resoconto fatto dal sottosegretario all’Interno venerdì alla Camera sugli scontri di Piazza Navona, nel cuore politico dello Stato, a due passi dal Senato, in una zona perennemente presidiata dalle forze dell’ordine.
Scontri che hanno visto tra i protagonisti elementi di destra che, dopo essersi schierati in falangi con spranghe, cinghie e tirapugni, spuntati fuori chissà come e perché da un camion giunto lì indisturbato, hanno seminato il terrore prendendo di mira manifestanti in erba, sotto gli occhi increduli di docenti e genitori che invano invocavano il pronto intervento delle forze dell’ordine.
Invece di dare dettagliate e puntuali spiegazioni sul perché di taluni comportamenti omissivi della polizia nel corso della mattinata che, nei fatti, hanno permesso agli aggressori di agire a lungo indisturbati, nonché della insolita e strana familiarità che alcuni elementi del cosiddetto Blocco studentesco, formazione della destra neofascista, mostravano con alcuni celerini, fino al punto da essere chiamati per nome, la relazione presentata alla Camera si preoccupa solo di precisare che gli scontri sarebbero stati provocati dai collettivi di sinistra e che la polizia avrebbe agito con prudenza ed equilibrio.
A parte il fatto che nessuna spiegazione convincente viene data su come tanto armamentario sia potuto penetrare fino al cuore della manifestazione mentre gli "studenti di sinistra" reagivano tirando contro le falangi tutto ciò che potevano, sedie, bottiglie e tavolini, sconcerta che il ministero dell’Interno, sulla base di una ricostruzione palesemente frammentaria ed incompleta, anticipi una lettura politica dei fatti, addossando arbitrariamente ai gruppi studenteschi di opposizione la responsabilità di quanto accaduto.
Così lasciando intendere che i ragazzi di destra sarebbero state le vittime di quegli episodi, nonostante l’evidenza di foto e filmati in rete dimostri che questi erano arrivati in piazza con pessime intenzioni, visto l’arsenale di armi improprie tirate giù dal camion.
Inquieta, cioè, che invece di fare effettiva chiarezza e diradare eventuali dubbi sull’operato delle forze dell’ordine, il governo si preoccupi prioritariamente di scagionare gli estremisti armati accreditando integralmente la loro versione di comodo che contrasta radicalmente anche soltanto con la cronologia degli accadimenti, poiché numerose testimonianze fanno risalire le prime aggressioni di tali gruppi di facinorosi ai danni degli studenti medi alle ore 11 circa, cioè almeno un’ora prima dell’impatto diretto tra le opposte fazioni, che la polizia comunque non ha impedito.
L'inviato Curzio Maltese, testimone di alcuni episodi, ad un certo punto così racconta ai lettori di Repubblica: "E’ quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un’azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. «Lei dove va?». Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: «Non li abbiamo notati»".

Data la straordinarietà della situazione che il Paese sta vivendo da mesi e che di giorno in giorno si va approfondendo, è arrivato il momento per l’opposizione di recuperare un minimo di coerenza interna, rinunciando ai propri privilegi di casta per intraprendere una lotta sincera in difesa dei cittadini, facendo proprie molte delle battaglie che la società civile, i ragazzi di Beppe Grillo in testa, da anni segnala invano alla politica.
Il premier lo ha fatto capire chiaramente: i numeri ci consentono di governare anche contro l’opinione pubblica; per cinque anni non è più questione di maggioranze silenziose o rumorose; l’opposizione è avvertita.
Perché se in modo inquietante il Piano di rinascita democratica è tornato così attuale, come ammette senza remore il suo ideatore, l’ancora temibile Licio Gelli, addirittura in procinto di calcare la scena mediatica con un proprio programma televisivo, non è pensabile continuare con un leader del Pd che finora ha saputo costruire solo un’opposizione di facciata, aizzandosi contro il dissenso interno e provocando grande malumore tra gli alleati, senza tuttavia riuscire ad evitare il muro contro muro con il centrodestra e la feroce continua derisione di Silvio Berlusconi.
Massimo D’Alema lo invita pubblicamente, in un’intervista a Repubblica, a rompere gli indugi ed a darsi una mossa per rifondare l’opposizione sulla base di un nuovo progetto comune.
Sommessamente, però, ci chiediamo: si può essere un leader per tutte le stagioni?
Walter Veltroni aveva fatto una scommessa durante il governo Prodi, puntando tutto il suo prestigio personale sul dialogo con Berlusconi.
L’ha persa clamorosamente: la sconfitta elettorale, il lodo Alfano, la legge 133 ce lo dicono in modo inoppugnabile.
Ne prenda atto e passi il testimone. Ormai non è più questione neppure di buona volontà: avete visto come si è risolta la grande manifestazione del 25 ottobre? Un buco nell’acqua.
Immaginare di continuare così fino alle Europee del 2009 sarebbe veramente da irresponsabili, non solo per il Partito democratico ma per l’Italia tutta.