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domenica 24 marzo 2013

Il dilemma da Fazio: Gramellini o... Talebani?

In Rai sono tutti preoccupatissimi dei tagli ai costi della politica che l'avvento del M5S in Parlamento già ha  prodotto, per la prima volta nella storia d'Italia.
Laura Boldrini e Piero Grasso, aderendo alla sollecitazione di Beppe Grillo che li aveva invitati dal suo blog a dimezzare le loro indennità di carica, gli hanno dato retta ritoccando prontamente la decurtazione del loro appannaggio rispetto all'iniziale 30%, con cui si erano spontaneamente presentati alle rispettive assemblee appena eletti. 
Naturalmente i giornali della Casta hanno depotenziato lo scoop a semplice trafiletto in pagina interna. 
Alla direzione dei maggiori quotidiani infatti si sono subito attrezzati a capire come fosse possibile  neutralizzare la notizia per evitare che la gente finisca per convincersi che lo tsunami del M5S stia già producendo i frutti sperati. E si mugugna: va a finire che chi lo ha votato non si stia pentendo affatto del voto dato a Grillo? Non sia mai!!!
Giovanni Floris, intervistato ieri sera da Fabio Fazio, della serie  "La TV autoreferenziale che ispeziona il proprio ombelico", è apparso sgomento mentre presentava il suo libro di prossima uscita. 
Così si è cimentato in una difesa degli alti stipendi dei parlamentari, del valore metafisico del superfluo, contro ogni peccaminosa tentazione pauperista, invocando il ritorno all'antico, cioè allo scialo generalizzato della Casta. Perché, dice lui, i parlamentari (ma forse ci metteva inconsciamente dentro anche i conduttori televisivi) hanno un incarico di grossa responsabilità e dunque devono essere pagati profumatamente, hanno il diritto di sognare ad occhi aperti!
Non riportiamo il resoconto stenografico del suo intervento solo per carità di patria, comunque chi vuole se lo può rivedere qui.
Anche Fazio, guarda un po', sembrava ammaliato dagli aforismi sgangherati del collega e annuiva convinto: sì questa maledetta spirale pauperista, a causa di quella inaspettata e terribile tenaglia mediatica rappresentata, da un lato, dalla novità storica del papa Francesco verso una chiesa degli umili e dei poveri e, dall'altro, dallo schiacciasassi del Movimento 5 Stelle che finalmente vuole fare i conti in tasca ai politici con un drastico ridimensionamento dei loro privilegi, sta creando subbuglio nella nostra classe dirigente!

In spregio ai 4 milioni di indigenti in Italia recentemente censiti e in crescita al ritmo di un milione all'anno, o agli stipendi da fame di sconfinate praterie di lavoratori dipendenti, o alla corsa ad ostacoli dei milioni di lavoratori parasubordinati, ma anche alle pensioni da inedia, senza trascurare le migliaia di persone che ogni giorno perdono definitivamente il posto di lavoro, l'ineffabile pattuglia dei conduttori Rai è visibilmente preoccupata di veder infranti i propri sogni di ricchezza e guarda con diffidenza ad ogni provvedimento che miri ad equidistribuire il peso dell'austerity tra tutti i cittadini. 
Perché se il vento dell'austerity varcherà, dopo quello del Parlamento, persino il portone di Viale Mazzini, per loro addio sogni di gloria...
Ed ecco un irresistibile e sperticato elogio della ricchezza, della necessità di sognare di essere tutti benestanti (almeno gli adepti della Casta!), del pericoloso virus inoculato da papa Francesco e dall'antipolitica: alla faccia di quanti non riescono a conciliare il pranzo con la cena! (Per non parlare del miliardo di persone nel mondo che non possiede proprio nulla...).
La morale di Floris è questa: voi potete pure morire di fame; pazienza, ci dispiace ma al momento non possiamo farci nulla. L'importante è che vi possiate nel frattempo consolare sognando ad occhi aperti la nostra vita dorata!

Qualche istante dopo Massimo Gramellini, ospite fisso del talkshow, come fa ormai da varie settimane, ha preso di mira Beppe Grillo raccontando che, giovedì dopo il colloquio al Quirinale, è tornato a casa di gran carriera sulla macchina guidata dall'autista passando con il rosso due o tre volte e facendo pure un paio di inversioni ad U. 
Naturalmente, con tutta la sua disarmante perché affettata onestà intellettuale, si è guardato bene dal precisare che il leader del M5S è stato vittima nella circostanza di un vera e propria azione di stalking, letteralmente inseguito per le vie di Roma da torme di giornalisti e fotoreporter in sella a potenti moto che hanno tentato in più di un'occasione un vero e proprio arrembaggio alla sua macchina sperando di rubare qualche scatto e pure un'impossibile intervista al volo fin sopra il raccordo anulare. 
Ma così dicendo avrebbe dovuto smontare quel simpatico ritratto da Attila del codice della strada, così faticosamente costruito su Grillo,  grazie all'immancabile contorno delle sue insipide battutine.
Non contento, ha pure riferito, leggendo quasi per intero il pezzo di un retroscenista del suo stesso giornale, Andrea Malaguti, delle presunte lamentele dei parlamentari pentastellati, che si sentirebbero offesi perché il loro leader non è passato a salutarli prima di tornarsene nella sua Genova. 
Gramellini ha così, in prima serata Rai, improvvisato la tac del gruppo parlamentare di Grillo: innanzitutto ci sarebbero i trattativisti, quelli che si sono lamentati della mancata visita del capo e che il suo giornale già quantifica essere una ventina (e sogna transfughi alla corte di Bersani...); poi, sempre secondo il vicedirettore de la Stampa, ci sarebbe la pattuglia degli spaventati, cioè quelli che temono le ire di Grillo di fronte ad un loro possibile voltafaccia. Infine i talebani, lealisti e fedeli alle indicazioni di gruppo, che si attengono scrupolosamente al mandato politico ricevuto dagli elettori. Ma proprio per questo, per sentenza pronunciata da Massimo Gramellini in nome e per conto del suo quotidiano, sono degli irriducibili talebani.
Forza Gramellini, che cosa ci suggerisci adesso:  li vogliamo bombardare per esportare la democrazia??
Naturalmente lui spera che il suo delirio onirico, cioè l'esistenza di una fronda interna al M5S che possa dare la fiducia al governo dell'impresentabile smacchiatore di giaguari, Pierluigi Bersani, diventi realtà e che anche il movimento di Beppe Grillo possa trasformarsi in una gigantesca fabbrica di cloni di Scilipoti, così da far impallidire il ricordo della campagna acquisti a suo tempo organizzata dal premier Silvio Berlusconi per parare il colpo della defezione dei vari Fini, Bocchino, ecc. 
Il tutto corredato da un bello scroscio telecomandato di applausi di sottofondo in modo che, subliminalmente, davanti alla platea televisiva passi il messaggio che tutta Italia la pensi esattamente come Gramellini: non ci sono alternative, o con Bersani o Talebani!
Squallida propaganda a favore del PD rifilata al'interno di un contenitore televisivo del sabato sera con millantate ambizioni culturali.
A cui non possiamo che rispondere con una battutina come quelle a cui ci ha abituati il vicedirettore della Stampa: chi non salta... Gramellini è!

martedì 20 settembre 2011

La tenaglia Pd-Pdl contro il meteorologo Luca Mercalli di 'Che tempo che fa'

Per capire lo stato tragico in cui versa il nostro Paese, stretto in una morsa mortale dagli oligarchi del Pd e del  Pdl, basta rivedere l'inizio della trasmissione inaugurale della nuova stagione televisiva del programma 'Che tempo che fa' di Fabio Fazio, andata in onda domenica sera.
Sono bastate le semplici parole pronunciate dal meteorologo Luca Mercalli, indignato per l'arresto, protrattosi da più di dieci giorni, di due attiviste del movimento No Tav semplicemente perché trovate in possesso di mascherine (di quelle che si trovano normalmente in commercio per evitare di respirare i vapori della vernice), per far scattare inesorabile l'offensiva dei berlusconiani di destra e di sinistra, ancora una volta tutti insieme appassionatamente.
Inaspettatamente, si fa per dire, i più infuriati sono proprio quelli del Pd con argomentazioni alla Gasparri, a riprova ancora una volta che, come non si stanca mai di ripetere Beppe Grillo, Pd e Pdl sono le facce di una stessa medaglia: quella della partitocrazia, che sta divorando il nostro Paese, politicamente, moralmente ma anche economicamente, intaccandone persino la sua stessa identità, culturale e ambientale. 
Sentite che cosa dichiara, Giorgio Merlo, deputato del Pd e vicepresidente della Commissione di Vigilanza Rai:
"Anche per Fazio dovrebbe valere il principio che la propaganda aperta deve essere più contenuta, almeno quando si toccano temi delicati. Siamo contenti della permanenza in Rai di Fazio, ma ci chiediamo se la propaganda contro la Tav sia un modello di giornalismo da servizio pubblico" .
Mentre il suo collega di partito Stefano Esposito urla: "Ora Fazio dovrebbe invitare gli agenti feriti o gli operai del cantiere minacciati. Non è possibile che Mercalli faccia l'avvocato dei No-Tav con i soldi dei contribuenti."
Ci domandiamo che idea hanno di servizio pubblico costoro, improvvisati portavoce di un partito, il Pd, che di democratico nei loro intendimenti, chissà deve mantenere a malapena il nome.
Forse quello rappresentato dalla Rai attuale, dove mentre Augusto Minzolini e Giuliano Ferrara fanno il bello e cattivo tempo sulla Rete Uno, avendo licenza di dire tutto quello che gli passa per la mente da autentici pasdaran di Silvio Berlusconi, vengono soppresse le poche voci ancora fuori del coro, si cancella in silenzio la bellissima e popolarissima trasmissione della brava Emanuela Falcetti su RadioUno 'Italia Istruzioni per l'uso', si rende a Milena Gabanelli ed alla sua troupe di 'Report' la vita sempre più difficile, si condannano all'ostracismo Marco Travaglio e Michele Santoro (per non parlare del cordone sanitario alzato da vent'anni nei confronti di Beppe Grillo!), si liquida senza tante spiegazioni la satira di Serena Dandini.
Ma facciamo ripetere a Mercalli ciò che di scandaloso avrebbe detto nel salotto di Fazio:
"Ho detto che da cittadino sono indignato dal fatto che due donne, incensurate, siano in carcere per porto abusivo di maschere antigas. Ma poi quali maschere: sono filtri da verniciatore che si vendono nelle ferramenta. Una cosa non tollerabile in un paese civile. Sarebbe forse il caso di uscire da questo squallido teatrino delle ragioni di ordine pubblico, delle botte e dei lacrimogeni per tornare a parlare del merito."
Parole che solo il pregiudizio può interpretare come una difesa anti Tav ma si rivelano di assoluto buon senso e che chiunque sottoscriverebbe, a meno che nella Rai, come è purtroppo ormai da ritenere, il comune buon senso sia stato messo al bando e trasformato in un che di eversivo.
Il piddino Stefano Esposito, uno dei tanti carneadi  mandati in Parlamento grazie alla legge elettorale di Calderoli, non dovrebbe ignorare che la trasmissione di Fabio Fazio è uno dei fiori all'occhiello della Rai, grazie alla cui raccolta pubblicitaria l'azienda di viale Mazzini riesce a rimpinguare le proprie esauste casse: molto meglio, cioè, che se fosse a costo zero!
Dire che Mercalli fa l'avvocato dei No Tav a spese del contribuente non solo è una menzogna, peggio, è un'idiozia!
Cercare poi, anche semplicemente sul piano del paradosso retorico, di mettere i poliziotti contro gli abitanti della Val di Susa, quasi che la polizia debba coprire le responsabilità amministrative di una classe politica e di governo  al tracollo e che rifugge le occasioni di confronto pubblico a sostegno della bontà di quel progetto, è un'operazione scellerata. 
Ma finché si ritroverà inopinatamente al proprio fianco questa nutrita pattuglia di berluschini nel Pd, Berlusconi, a dispetto dell'esecrazione e del discredito globale, avrà facile gioco a restare a Palazzo Chigi, incurante dello spread BTP- Bund, da giorni sull'orlo dell'abisso.

domenica 14 marzo 2010

Nonchalance senza uguali di Ferruccio De Bortoli a 'Che Tempo che fa'

"[...]Dopo di che, essendo accaduto un fatto increscioso [...], io credo che il decreto del governo, firmato non senza polemiche dal Presidente della Repubblica, sia stato opportuno e necessario. Forse non un bel decreto, criticabile, e l'abbiamo criticato anche sulle colonne del Corriere della Sera, ma alla fine bisognava salvaguardare il diritto di voto.[...]"
Lo ha detto il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, intervistato sabato sera da Fabio Fazio a Che tempo che fa.
Fenomenale! Grandissima concezione dello stato di diritto e della democrazia: un decreto ampiamente incostituzionale, bocciato ripetutamente, persino dal Tar, viene ritenuto al tempo stesso criticabile ma opportuno e necessario.
Quando si tratta delle piccole liste, delle piccole formazioni politiche è bene che prevalgano le regole (infatti, in caso di inadempienze burocratiche, restano fuori!) ; ma se la vicenda coinvolge la lista del partito di maggioranza, è opportuno e necessario che delle stesse regole si faccia un gran falò, fossero pure princìpi basilari della nostra Costituzione.
Una grande lezione di diritto costituzionale propinataci, col suo solito aplomb, dal direttore De Bortoli per il pubblico televisivo del sabato sera.
Se il direttore del principale quotidiano italiano fa pacatamente di queste considerazioni, con massima nonchalance, non c'è da meravigliarsi se tutto il circuito radiotelevisivo e della carta stampata versi in Italia in condizioni gravissime.
E che la nostra democrazia stia, con uguale nonchalance, inesorabilmente affondando.
Meditate, lettori del Corriere, meditate!

lunedì 16 marzo 2009

La congiura di Walter e... il nuovo che avanza!

E’ storia nota e arcinota. Pausilypon da sempre sostiene che la caduta del governo Prodi del 2008 fu dovuta ad una congiura di Palazzo che aveva in Walter Veltroni l'ispiratore ed in Clemente Mastella soltanto l’esecutore materiale.
Bastava leggere le cronache di quei giorni.
Ieri sera Romano Prodi, ospite di Fabio Fabio nel suo programma Che tempo che fa, ha ribadito il concetto in modo definitivo ed inoppugnabile. Leggiamo dal Corriere.it:

«Il mio esecutivo — ha detto l'ex premier — poteva andare avanti, perché dopo una Finanziaria durissima il Paese avrebbe finalmente potuto raccogliere i frutti di quei sacrifici. E invece, come successe anche con il mio primo esecutivo, dopo l'ingresso nell'euro, il governo è stato fatto cadere». Prodi ha quindi rievocato l'esatto momento in cui le sorti dell'Unione sono precipitate nell'abisso. La scintilla fu l'annuncio di Veltroni, da poco eletto al vertice del Pd, di andare soli alle elezioni, senza Rifondazione, senza ali. Domanda di Fazio: «Cosa ha pensato in quel momento, Professore?». Risposta: «Non ebbi bisogno di pensare. Ricordo che si affacciò Mastella alla porta del mio ufficio a Palazzo Chigi. Teneva la testa piegata da un lato e urlò: se voi volete fare fuori me, sono io che faccio fuori prima voi. Per la verità la frase di Clemente era un po' più colorita, ma la sostanza non cambia...».

Se non fosse stata l’incredibile uscita di Veltroni sulla millantata vocazione maggioritaria del PD e sul desiderio di correre da soli (mentre il governo Prodi era pienamente in carica, proprio con l'appoggio del partito leader della coalizione, il PD), oggi Romano Prodi siederebbe ancora a Palazzo Chigi con una guida sicuramente più sicura e competente di quella mostrata da Silvio Berlusconi in questi mesi, che riceve ormai l’aperta disapprovazione pure della stessa Confindustria, uno degli sciagurati protagonisti l’anno scorso assieme a Veltroni della resistibile rinascita del Cavaliere.
Il fatto che Veltroni abbia ripetutamente dichiarato di aver affrontato le elezioni politiche del 2008 in condizioni impossibili, quasi che a lui non si potesse addebitare la responsabilità della sconfitta, è sempre stato un suo curioso modo per allontanare da sé i sospetti sulla prematura caduta del governo di centrosinistra.
Ma le parole di Romano Prodi sono come pietre: nessun politico con un minimo di buon senso, poteva pensare che le parole esplosive di Veltroni sarebbero state lasciate cadere senza prima provocare un vero terremoto nell'Unione. Come è infatti stato.
Rispetto a quel cataclisma, le successive, infinite sconfitte di Walter Veltroni, hanno, tutto sommato, un rilievo minore: la sua gravissima, incancellabile, responsabilità è stata quella di aver fatto cadere il governo Prodi proprio nel momento in cui stava finalmente per raccogliere, insieme agli Italiani, i frutti di un duro lavoro di risparmi e sacrifici compiuti per risistemare le finanze pubbliche.
Proprio quando si trattava di ripartire il tesoretto, ve lo ricordate?, dispensando agli Italiani qualche beneficio, l’impareggiabile Walter se ne uscì in quel modo incredibile, roba da far venire la pelle d’oca.
E’ chiaro che finché il PD non avrà fatto chiarezza su questo punto, celebrando un vero congresso che mandi a casa non solo l’ex sindaco di Roma ma l’intera sua classe dirigente, rea di aver abbandonato l'Italia su un piatto d'argento a Berlusconi (altro che l'insulsa petizione Salva l'Italia!), le speranze per il Paese sono ridotte al lumicino.
Peggio, c’è il rischio che dentro il Partito democratico emergano leader improbabili, che hanno il solo dichiarato merito di candidarsi contro l’incapace nomenklatura di quel partito: come tal Matteo Renzi da Firenze che, ammiccando ai telespettatori con il golfino color Fiorentina, si è presentato giovedì scorso nello studio televisivo di Michele Santoro ciacolando di Costituzione, in modo veramente imbarazzante.
Se questo è il nuovo…

martedì 9 dicembre 2008

Il Partito democratico va sempre più giù

Ennesima settimana di crisi della politica.
La casta sta affondando ma ha perso anche quel residuo amor proprio, servisse soltanto per risalire la crisi di consensi che la investe aggrappandosi, come un naufrago in un mare in tempesta, alle cime della crisi economica e così dimostrare agli Italiani che ancora serve a qualcosa.
Il governo del centrodestra naviga a vista, tagliando a destra ed a manca la spesa pubblica fino a quando qualcuno da Oltretevere non alza la voce e gli fa rimangiare di colpo il taglio alle scuole cattoliche con tante scuse.
La sua politica deflazionista accelera la crisi e non restituisce in termini di provvidenze sociali neppure una parte di quello che toglie dal bilancio dello Stato: la social card è uno strumento del tutto inadeguato per lenire le sofferenze delle tante famiglie in rosso già alla terza settimana.
Sono bastati pochi giorni dal suo strombazzato varo per capire che, anche sul piano economico, il governo è nudo.
D’altra parte, premere ancora sull’acceleratore dell'ordine pubblico, della sicurezza e della paura dell'immigrazione a due settimane da Natale, con lo shopping che langue, più che una buona idea apparirebbe agli occhi dei più una provocazione.
La riforma della giustizia? Da sempre l’obiettivo dichiarato del Cavaliere, dopo la legge incostituzionale sulle alte cariche, non è poi così impellente almeno fino a quando la Suprema Corte non si sarà pronunciata contro. Diciamo così, il governo sta aspettando Natale…
E l’opposizione? Quale opposizione?
L’intervista di Veltroni a Repubblica della settimana scorsa dimostra che il vertice del Partito democratico ha perso il polso della situazione, non riuscendo neppure a capire cosa stia succedendo in casa propria, figuriamoci ad immedesimarsi nei guai che affliggono gli Italiani: l'odierno sondaggio Ipr per Repubblica.it lo dà in caduta libera di oltre 5 punti percentuali.
Più precisamente, l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro svetta al 7,8% mentre il Partito democratico accusa un crollo sulle Politiche di primavera del 5,7%!
Morale: quando l’opposizione la si pratica quotidianamente, la gente se ne accorge e premia i politici volenterosi; al contrario, quando ci si tira i piatti da pranzo, come fanno Walter Veltroni e Massimo D’Alema, semplicemente per decidere quale sia il modo migliore di non fare opposizione, ecco che anche lì il verdetto popolare cade giù duro come una tegola.
L’impareggiabile coppia Veltroni - D’Alema è riuscita a superarsi facendo addirittura guadagnare al Pdl altri due punti percentuali rispetto alla primavera scorsa, nonostante l’azione di governo sia stata in questi mesi decisamente mediocre: complimenti!
L’altra sera, nel salotto di Fabio Fazio, c’era il fondatore di Tiscali, Renato Soru, che rivendicava la sua coerenza nelle scelte fatte come governatore Pd della Sardegna; scelte che lo hanno costretto alle dimissioni quando si è visto mancare l’appoggio proprio degli esponenti regionali del suo partito.
Il suo parlare schietto, senza fronzoli, che richiama valori antichi ma di grande modernità, come l’impegno personale per la sua terra, l’ottimismo della volontà e del sacrificio contro i compromessi al ribasso, una idea alta della politica, hanno finito per sfiorare corde nell’animo di molti simpatizzanti del Pd che la politica di questi anni dei vari Fassino, Veltroni, D’Alema, Bettini, Rutelli aveva fatto completamente dimenticare.
Il richiamo all’ambiente, al rispetto che dobbiamo alle future generazioni per non lasciare loro un mondo invivibile, alla cultura del lavoro e del risparmio contro gli irresponsabili inviti all’ottimismo dei consumi, ha messo in luce un uomo politico che dimostra una sincera avversione per i riti della casta e che è in sorprendente, quasi inconsapevole, sintonia con ampi settori della società civile.
Ci domandiamo: nella crisi abissale in cui versa il Pd, crisi di identità, di strategia ma soprattutto di etica (come confermano le numerose inchieste in corso sulla sinistra d'affari), cosa impedisce alla leadership democratica di lasciare subito il testimone a uomini nuovi come Renato Soru?

giovedì 23 ottobre 2008

Che tempo che fa: previsioni politiche per il 25 ottobre

Walter Veltroni non finirà mai di sorprenderci.
Messo alle corde da sondaggi, fronda interna, sinistra extraparlamentare, dipietristi e da tutti coloro che hanno ancora a cuore le sorti di una democrazia che versa purtroppo in stato comatoso, domenica scorsa è riuscito a mettere a segno uno di quei colpi che definire politicamente scorretto è quasi eufemistico.
Nel talk show di RaiTre, Che tempo che fa, una volta tanto mostrandosi meno contratto del solito (forse perché calcava una ribalta amica), all’improvviso col sorriso sulle labbra ha comunicato urbi et orbi che l’alleanza con l’Italia dei Valori è finita, perché, rivolgendosi a Fabio Fazio, "Prenda il tema che abbiamo appena affrontato, cioè la capacità del nostro paese di integrare. Chieda a Di Pietro opinioni su questo e troverà delle cose molto lontane dall’alfabeto della cultura democratica del centrosinistra".
Sconfessa quindi con la massima disinvoltura l’unica alleanza che aveva stretto in vista delle elezioni del 13-14 aprile, dopo aver concorso alla caduta del governo Prodi e successivamente abbandonato qualsiasi ipotesi d’intesa elettorale con la sinistra di Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio.
Una scelta sconsiderata che, allora, costò alla Sinistra italiana la sconfitta elettorale più sonora dai tempi della Resistenza e che, ripetuta adesso contro Di Pietro, boicotta la sola efficace opposizione al governo autoritario di Silvio Berlusconi.
E’ assurdo, che in un momento difficile come questo, si chiuda la porta in faccia proprio all’unico politico che in questi mesi abbia cercato di difendere la democrazia materiale opponendosi ai continui strappi costituzionali del governo di centrodestra, nonostante si conoscano da sempre le sue chiusure ideologiche (ma Follini e Casini, per caso, sono più illuminati?).
Invece di riconoscergliene merito Veltroni lo congeda bruscamente, guarda caso, a meno di una settimana dalla manifestazione del 25 ottobre in cui i partecipanti sono, a questo punto, avvisati.
Perché vengono chiamati da Veltroni a sfilare non tanto per protestare contro un pessimo governo ma per manifestare il loro appoggio incondizionato alla sua leadership traballante.
Bene fa Di Pietro a rispondergli per le rime, dandogli del collaborazionista, ed a non tirarsi indietro prendendo parte a pieno titolo alla manifestazione di sabato prossimo.
Le cronache dimostreranno quale maggior credito susciti nell’opinione pubblica di sinistra l’ex magistrato di Mani Pulite nella sua lotta coraggiosa al malaffare che continua anche adesso stando in Parlamento, rispetto all’ex rampollo del vecchio Partito Comunista Italiano che, dopo aver dichiarato candidamente, tempo addietro, di non essere mai stato comunista, adesso si appresta a stringere una pericolosa alleanza elettorale con l’Udc di Totò Cuffaro.
Simbolicamente, nello studio virtuale di Fabio Fazio, evidentemente il luogo meno indicato per consumare una rottura politica così traumatica e foriera di cattivi presagi, Walter Veltroni, ha definitivamente messo sotto le scarpe la questione morale, vecchio cavallo di battaglia di un grande Italiano come Enrico Berlinguer.
Preferire l’Udc di Totò Cuffaro all’Italia dei Valori è la conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che per l’ex sindaco di Roma, quello che conta è trovare a tutti i costi l’accordo con il Cavaliere, al cui raggiungimento è legato indissolubilmente il suo destino politico.
Ecco perchè la giornata del 25 ottobre segnerà, a dispetto delle intenzioni dell’impareggiabile Walter, un punto di svolta nella politica italiana: ci dirà se Veltroni è ancora in grado di fare il capo dell’opposizione e se Di Pietro è in grado di eroderne una cospicua fetta di consensi.
Di sicuro, chi sfilerà al Circo Massimo si troverà, suo malgrado, a dover dirimere una lite tra due separati in casa, piuttosto che testimoniare pubblicamente il suo netto dissenso al disegno reazionario di un governo che sta irresponsabilmente soffiando sul fuoco del malcontento sociale.
Un manifestazione concepita a tavolino oltre tre mesi fa da un leader politico in caduta libera e che adesso si trova, paradossalmente, proiettato dagli eventi a capeggiare la protesta studentesca, magari soltanto per ottenere il lasciapassare che gli consenta di varcare i cancelli di Palazzo Chigi e costringere l’uomo di Arcore ad accettarlo come suo interlocutore privilegiato.
D’altra parte che le ragioni di studenti, docenti e famiglie nei confronti della controriforma Gelmini non possano essere rappresentate coerentemente da chi manda i propri figli a studiare in America è tanto evidente da non valere la pena neppure di spenderci una sola parola in più.
Si capisce a questo punto come sarà difficile cogliere il reale significato di questa giornata di mobilitazione che si preannuncia carica di aspettative da parte del popolo insofferente ai diktat berlusconiani ma che rischia, proprio per questo, di trasformarsi, in una terribile delusione quanto a conseguenze.
Perché una cosa è certa: l’eventuale rilancio della leadership di Walter Veltroni grazie al bagno di folla del Circo Massimo finirebbe proprio per riproporre quel progetto di larghe intese e, paradossalmente, rafforzerebbe, proprio il suo avversario putativo: Silvio Berlusconi.
A meno che tra i due finti litiganti, Antonio Di Pietro non colga, in questa occasione, un buon successo personale; nel qual caso, le cose all’interno dell’opposizione andrebbero completamente riviste.

mercoledì 14 maggio 2008

Tutti insieme contro Travaglio

L’ultimo fine settimana ci ha regalato sul fronte mediatico tutta una serie di conferme, ampiamente previste nei mesi scorsi da questo blog.
Continuano, anzi sono in stato avanzato di realizzazione, le prove tecniche di larghe intese.
Il soccorso insperato che la senatrice Anna Finocchiaro, recentemente bocciata alle elezioni regionali siciliane ma inopinatamente più in sella che mai nel PD, ha portato al neo presidente del Senato Renato Schifani in merito alle dichiarazioni di Marco Travaglio nella trasmissione di Fabio Fazio di sabato sera è quanto di peggio, cioè nello stesso tempo inopportuno, imbarazzante, irrituale, incoerente potesse fare un esponente dell’opposizione, per giunta ad un mese dalla batosta elettorale subita.
Soprattutto, di incompatibile con la lezione morale di Enrico Berlinguer, del quale molti tra i politici del Partito Democratico si sono dimenticati completamente mentre dovrebbero testimoniarne la stringente attualità.
Purtroppo, invece di occuparsi di giustizia sociale, di scottanti questioni economiche, di stipendi e pensioni, di sanità a rischio, perché no? di questione morale, i dirigenti del Partito Democratico continuano a fare i portatori d’acqua per il Popolo della Libertà attaccando le poche voci fuori dal coro.
Non sono stati in grado di cancellare nemmeno una delle leggi vergogna ma sanno benissimo come togliere il microfono a chi si ostina, magari con tono caustico ed un linguaggio non politically correct, a ricordare fatti e misfatti del pasticcio italiano.
Facciano pure, mandino a picco la Rai cacciandone anche gli ultimi spettatori insieme ai residui spazi di libertà. Dopo l’Alitalia, sotto a chi tocca!
Nello specifico, non è chiaro perché prima si inviti un vero giornalista come Marco Travaglio in una trasmissione di conversazione con ambizioni culturali e poi si cerchi goffamente di prenderne le distanze di fronte all’Italia televisiva, semplicemente perché questi ancora una volta mostra l’imperdonabile vizio di dire quello che pensa e scrive da anni; difetto che gli ha permesso di acquisire una stima sconfinata fuori dal fortino in cui si è asserragliata la nomenklatura.
Se il senatore Schifani ritiene che le affermazioni nei suoi confronti siano state ingiuriose prenda le determinazioni del caso (come ha preannunciato).
Ma per piacere che Petruccioli, la Finocchiaro, la Melandri e mezzo PD la smettano di fare i farisei.
Si stracciano le vesti forse per il paragone irriverente muffa – lombrico fatto da Travaglio e non fanno una piega di fronte alle ripetute ingiurie rivolte a presenti ed assenti soltanto due settimana fa da Sgarbi.
E’ il loro il comportamento più inqualificabile.
Il giornalista Giuseppe D’Avanzo su la Repubblica critica Travaglio sostenendo che egli abbia rispolverato storie vecchie e stravecchie che non hanno offerto alcun, ulteriore e decisivo, elemento di verità; ripete la solita litania delle agenzie del risentimento che lavorano ad un cattivo giornalismo che solo abusivamente si definisce d’informazione ma è d’opinione per poi, in modo palesemente contraddittorio, chiudere improvvisamente su Schifani affermando che “dalle inchieste del 2002, ha sempre preferito tacere su quel suo passato sconsiderato”.
In altri termini, finisce per dare ragione a Travaglio senza volerlo ammettere, dopo aver confezionato tutto il pezzo in segno contrario.
Insomma, D’Avanzo contro tutti, persino contro se stesso.
Travaglio non è un inquisitore, racconta fatti sulla base di evidenze processuali, fossero anche di vent’anni. Infatti non è alla magistratura che si rivolge ma al pubblico televisivo: perché questo deve essere tenuto all’oscuro di alcune storie facilmente disponibili a pochi euro sugli scaffali delle librerie?
Il torto di Travaglio è quello di parlare in televisione a milioni di persone perché fino a quando si limita a scrivere poderosi volumi, nessuno ha nulla da obiettare: sono pochi gli Italiani che leggono e di certo il loro isolato sdegno non costituisce una minaccia per la nomenklatura.
Ma se Marco Travaglio parla in televisione come autore dei suoi libri, apriti cielo!
Stessa sorte per Michele Santoro: se lascia spazio in prima serata alle parole pronunciate in piazze gremite da Beppe Grillo, dal Palazzo d’Inverno piovono strali.
I più agguerriti diventano proprio gli uomini dell’opposizione, sorpresi dai telespettatori nell’inerzia più completa di fronte alle tante verità scomode: sono per primi loro, con il loro seguito di giornali d’area, ad invocare la censura preventiva sulla tv pubblica ed a ostentare solidarietà nei confronti di chi proprio non ne ha bisogno.
Perché la seconda carica dello Stato, per di più sotto l’ombrello protettivo del Cavaliere, disporrà o no degli strumenti necessari per far valere eventualmente le sue ragioni senza che in suo soccorso arrivino le scompaginate truppe democratiche, in ritirata strategica dalla società civile?
Siamo veramente all’anno zero, come efficacemente ha battezzato la sua trasmissione Michele Santoro.
Ormai a testimoniare contro il pensiero unico nell’Italia dei media normalizzati sono rimasti in tre: Marco Travaglio, Michele Santoro e Beppe Grillo.
E i loro più temibili avversari non sono, come si potrebbe pensare ingenuamente, gli esponenti della maggioranza parlamentare che si sta apprestando all’occupazione di tutti i gangli istituzionali: quelli sono antagonisti dichiarati con cui ognuno di loro si misura quotidianamente.
Contro questi valorosi testimoni di una democrazia che brancola nel buio, ci sono proprio gli esponenti di quell’opposizione che, sovvertendo le regole del gioco di uno strano maggioritario bipolare, ha rinunciato ad esistere molto tempo prima di subire il cappotto elettorale.
L’ultima trovata, quella del governo ombra, che ieri ha pure ottenuto il riconoscimento di Berlusconi con la famosa telefonata a Veltroni, escludendo dal valoroso consesso proprio l’alleato vincente Antonio Di Pietro, è l’ennesimo sberleffo rivolto a quegli elettori che appena un mese fa hanno concentrato il voto sul Partito Democratico contro lo spauracchio Berlusconi, agitato dal loft democratico (ormai è lampante) con l’obiettivo prioritario di togliere i voti alla Sinistra.
Quanto a Fabio Fazio, alla sua declamata dissociazione dall’intervento di Travaglio, beh è meglio stendere un velo pietoso; avendo adesso pienamente compreso come mai le gag della Litizzetto sul suo conto siano tanto efficaci.
A sua tempo, si sarà pure proclamato ammiratore di Enzo Biagi ma del compianto giornalista di certo non possiede né statura morale né coraggio intellettuale.
Gioca a presentarsi al pubblico televisivo come il classico vaso di coccio tra tanti vasi di ferro, una sorta di don Abbondio senza tonaca in casa Rai; purché sotto lucroso contratto, s’intende.