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domenica 14 settembre 2008

Epilogo inglorioso per D'Avanzo contro Travaglio

Ancora una battuta d'arresto per Giuseppe D’Avanzo su Repubblica.
Ormai la lente del grande giornalista d’inchiesta necessita di una seria manutenzione perché, come fu per il telescopio spaziale Hubble, per un sopravvenuto difetto di messa a fuoco è inspiegabilmente concentrata da tempo, come già avemmo occasione di dire, sulle vacanze di Marco Travaglio.
E’ difficile capacitarsi di come tanto talento possa venire sprecato per fare gossip sul giornalista più popolare del momento ma tant’è, bisogna farsene una ragione.
Mancanza di vena creativa, gelosia professionale, improvviso inaridimento delle sue formidabili fonti d’informazione? Chi lo sa, sta di fatto che il quotidiano di piazza Indipendenza gli lascia carta bianca per interrogarsi appassionatamente su come Travaglio si sia pagato le vacanze siciliane del 2002.
Ma non pago di aver potuto controllare gli assegni che questi, recuperandoli presso gli archivi della propria banca gli ha messo addirittura a disposizione sul proprio blog, lo ha accusato implicitamente di fare il finto tonto, perché era alle vacanze del 2003 che intendeva riferirsi!
Forse D’Avanzo in gioventù avrebbe voluto entrare nella polizia tributaria, chissà. Sta di fatto che non confeziona più le sue grandi inchieste sulla criminalità organizzata ma si limita più quietamente a raccontare storie come quella di Travaglio, pretendendo di mettere ordine tra le ricevute di pagamento di un collega che, interpretando la professione in maniera sicuramente più intelligente e coraggiosa di quanto lui non sappia più fare, lo ha messo ultimamente sin troppo in ombra.
Quasi che la ribalta di Repubblica, conquistata per ben altri meriti, gli sia diventata d’un tratto troppo stretta: certo, per un giornalista di razza come lui sentirsi rubare sistematicamente la scena da quella diavoleria di Internet e dall’intraprendenza di un giovane e valente collega, deve sembrargli veramente intollerabile.
Curioso è che il direttore Ezio Mauro non abbia nulla da eccepirgli e lo lasci screditare Travaglio mettendo su, partendo dal niente, una ignobile "polemicuzza personale" anche a costo di compromettere seriamente l’immagine stessa della testata, già in evidente crisi d’identità.
Non a caso, giovedì scorso il quotidiano romano titolava tranquillamente a tutta pagina: “L’ASSEGNO, LA CARTA DI CREDITO E QUELLO CHE TRAVAGLIO NON DICE”.
Dal nostro modesto osservatorio, un suggerimento però a D’Avanzo lo vorremmo dare se non riuscirà in futuro a contenere questa sua morbosa curiosità: per la prossima puntata della sua soap inchiesta, si porti dietro una macchina fotografica così da corredare i suoi pezzi di un ricco apparato di immagini.
Infatti, già nell’occasione di questo suo studio matto e disperatissimo sulle vacanze di Travaglio, alcuni scatti sarebbero stati almeno rivelatori della bellezza dei luoghi che fanno da contorno alla storia e forse ci avrebbero aiutato a meglio inquadrare i personaggi perché, malgrado la sua ricca prosa, ancora non ci è ben chiaro il senso delle vicende che ci ha voluto raccontare.
Così come non ci convince per niente la sua dichiarata applicazione del "cosiddetto principio 'tu quoque': atti uguali vanno valutati a uguali parametri" laddove sancisce, dall’alto dei tre gradi di giudizio del suo indiscusso fiuto da Maigret, che tra le cose raccontate da Travaglio nella trasmissione di Fabio Fazio del maggio scorso sulle imbarazzanti pregresse frequentazioni di una futura alta carica e le vacanze del privato cittadino Marco tra Trabìa ed Altavilla Milicia non ci sia differenza alcuna.
Per non parlare dello strano, irritante modo con cui cerca di trarsi definitivamente d’impaccio di fronte all’ennesima esauriente replica di Marco Travaglio che gli fa pervenire persino gli estremi dell’assegno con cui ha saldato il conto delle vacanze del 2003: “Ciuro che tacerò” risponde provocatoriamente.
Uno sberleffo indirizzato non già al suo giovane collega ma a quanti, assidui lettori delle sue maxi inchieste, lo hanno seguito incautamente in questa squallida deriva.

giovedì 15 maggio 2008

Il passo falso di D'Avanzo

E’ inaccettabile l’attacco personale che il giornalista Giuseppe D’Avanzo ha mosso a Marco Travaglio nella controreplica di ieri su Repubblica che segue il suo già pessimo editoriale di martedì scorso.
Per dimostrare che il suo metodo di lavoro, ovvero il giornalismo d’inchiesta, possa inconsapevolmente produrre effetti perversi si è messo a raccontare una storia che soltanto qualcuno roso dal rancore o dall’invidia potrebbe avvicinare in qualche modo alle vicende raccontate da Marco Travaglio nei suoi poderosi e documentatissimi libri.
D’Avanzo la tira in ballo quasi di soppiatto facendola uscire chissà da quale cassetto per lanciargliela addosso dichiarando che lo stesso Travaglio ne è parte in causa. Ne riportiamo testualmente il contenuto tratto dal suo editoriale:

“Farò un esempio che renderà, forse, più chiaro quanto può essere letale questo metodo.
8 agosto del 2002. Marco telefona a Pippo. Gli chiede di occuparsi dei "cuscini". Marco e Pippo sono in vacanza insieme, concludono per approssimazione gli investigatori di Palermo. Che, durante le indagini, trovano un'ambigua conferma di quella villeggiatura comune. Prova maligna perché intenzionale e non indipendente. Fonte, l'avvocato di Michele Aiello. Il legale dice di aver saputo dal suo assistito che, su richiesta di Pippo, Aiello ha pagato l'albergo a Marco. Forse, dicono gli investigatori, un residence nei dintorni di Trabia.
Michele Aiello, ingegnere, fortunato impresario della sanità siciliana, protetto dal governatore Totò Cuffaro (che, per averlo aiutato, beccherà 5 anni in primo grado), è stato condannato a 14 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Pippo è Giuseppe Ciuro, sottufficiale di polizia giudiziaria, condannato a 4 anni e 6 mesi per aver favorito Michele Aiello e aver rivelato segreti d'ufficio utili a favorire la latitanza di Bernardo Provenzano. Marco è Marco Travaglio.
Ditemi ora chi può essere tanto grossolano o vile da attribuire all'integrità di Marco Travaglio un'ombra, una colpa, addirittura un accordo fraudolento con il mafioso e il suo complice? Davvero qualcuno, tra i suoi fiduciosi lettori o tra i suoi antipatizzanti, può credere che Travaglio debba delle spiegazioni soltanto perché ha avuto la malasorte di farsi piacere un tipo (Giuseppe Ciuro) che soltanto dopo si scoprirà essere un infedele manutengolo?
Nessuno, che sia in buona fede, può farlo. Eppure un'"agenzia del risentimento" potrebbe metter su un pirotecnico spettacolino con poca spesa ricordando, per dire, che "la mafia ha la memoria lunghissima e spesso usa le amicizie, anche risalenti nel tempo, per ricattare chi tenta di scrollarsele frettolosamente di dosso" . Basta dare per scontato il "fatto", che ci fosse davvero una consapevole amicizia mafiosa: proprio quel che deve essere dimostrato ragionevolmente da un attento lavoro di cronaca.”

Non ci vuole molto a capire che l’esempio proposto da D’Avanzo non dimostra un bel niente e nulla ha a che vedere con la vita specchiata che i cittadini possono e devono pretendere da una carica istituzionale.
Scopriamo l’acqua calda nell'affermare che la moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto?
Fa bene, dunque, Marco Travaglio a sporgere querela nei suoi confronti per una storia che, pur senza alcuna rilevanza, potrebbe, questo sì, metterlo in cattiva luce di fronte a lettori distratti o sprovveduti oppure gettare ombre sull’efficacia del suo metodo di lavoro.
Non è così, ne siamo certi, ma dispiace che Travaglio debba essere costretto a prendere carta e penna semplicemente per dichiararne la totale falsità e denunciare i possibili fini calunniosi.
Giuseppe D’Avanzo ci ha abituato da un po’ di tempo a prove incredibilmente scialbe e opache.
In questo caso è andato veramente oltre misura scadendo non solo nel cattivo gusto ma anche incorrendo in una serie di grossolane pecche deontologiche che ad un giornalista, fosse pure alle prime armi, non si possono perdonare e per le quali il suo ordine professionale farebbe bene ad intervenire.
Se con quell’esempio aveva soltanto intenti didascalici perché non lo ha costruito su se stesso, violando la sua di privacy?
Alla minuziosa lettera con cui, oggi, Marco Travaglio sul quotidiano di Piazza Indipendenza cancella definitivamente il teorema D’Avanzo segue un’ultima imbarazzata ed inquietante risposta del suo maldestro autore.
Una cosa è certa: questo suo clamoroso passo falso ci convince una volta di più della giustezza della battaglia intrapresa da Beppe Grillo per la libera informazione nel nostro Paese.
A questo punto, firmare i suoi referendum non è più un’opportunità ma un dovere civico.

mercoledì 14 maggio 2008

Tutti insieme contro Travaglio

L’ultimo fine settimana ci ha regalato sul fronte mediatico tutta una serie di conferme, ampiamente previste nei mesi scorsi da questo blog.
Continuano, anzi sono in stato avanzato di realizzazione, le prove tecniche di larghe intese.
Il soccorso insperato che la senatrice Anna Finocchiaro, recentemente bocciata alle elezioni regionali siciliane ma inopinatamente più in sella che mai nel PD, ha portato al neo presidente del Senato Renato Schifani in merito alle dichiarazioni di Marco Travaglio nella trasmissione di Fabio Fazio di sabato sera è quanto di peggio, cioè nello stesso tempo inopportuno, imbarazzante, irrituale, incoerente potesse fare un esponente dell’opposizione, per giunta ad un mese dalla batosta elettorale subita.
Soprattutto, di incompatibile con la lezione morale di Enrico Berlinguer, del quale molti tra i politici del Partito Democratico si sono dimenticati completamente mentre dovrebbero testimoniarne la stringente attualità.
Purtroppo, invece di occuparsi di giustizia sociale, di scottanti questioni economiche, di stipendi e pensioni, di sanità a rischio, perché no? di questione morale, i dirigenti del Partito Democratico continuano a fare i portatori d’acqua per il Popolo della Libertà attaccando le poche voci fuori dal coro.
Non sono stati in grado di cancellare nemmeno una delle leggi vergogna ma sanno benissimo come togliere il microfono a chi si ostina, magari con tono caustico ed un linguaggio non politically correct, a ricordare fatti e misfatti del pasticcio italiano.
Facciano pure, mandino a picco la Rai cacciandone anche gli ultimi spettatori insieme ai residui spazi di libertà. Dopo l’Alitalia, sotto a chi tocca!
Nello specifico, non è chiaro perché prima si inviti un vero giornalista come Marco Travaglio in una trasmissione di conversazione con ambizioni culturali e poi si cerchi goffamente di prenderne le distanze di fronte all’Italia televisiva, semplicemente perché questi ancora una volta mostra l’imperdonabile vizio di dire quello che pensa e scrive da anni; difetto che gli ha permesso di acquisire una stima sconfinata fuori dal fortino in cui si è asserragliata la nomenklatura.
Se il senatore Schifani ritiene che le affermazioni nei suoi confronti siano state ingiuriose prenda le determinazioni del caso (come ha preannunciato).
Ma per piacere che Petruccioli, la Finocchiaro, la Melandri e mezzo PD la smettano di fare i farisei.
Si stracciano le vesti forse per il paragone irriverente muffa – lombrico fatto da Travaglio e non fanno una piega di fronte alle ripetute ingiurie rivolte a presenti ed assenti soltanto due settimana fa da Sgarbi.
E’ il loro il comportamento più inqualificabile.
Il giornalista Giuseppe D’Avanzo su la Repubblica critica Travaglio sostenendo che egli abbia rispolverato storie vecchie e stravecchie che non hanno offerto alcun, ulteriore e decisivo, elemento di verità; ripete la solita litania delle agenzie del risentimento che lavorano ad un cattivo giornalismo che solo abusivamente si definisce d’informazione ma è d’opinione per poi, in modo palesemente contraddittorio, chiudere improvvisamente su Schifani affermando che “dalle inchieste del 2002, ha sempre preferito tacere su quel suo passato sconsiderato”.
In altri termini, finisce per dare ragione a Travaglio senza volerlo ammettere, dopo aver confezionato tutto il pezzo in segno contrario.
Insomma, D’Avanzo contro tutti, persino contro se stesso.
Travaglio non è un inquisitore, racconta fatti sulla base di evidenze processuali, fossero anche di vent’anni. Infatti non è alla magistratura che si rivolge ma al pubblico televisivo: perché questo deve essere tenuto all’oscuro di alcune storie facilmente disponibili a pochi euro sugli scaffali delle librerie?
Il torto di Travaglio è quello di parlare in televisione a milioni di persone perché fino a quando si limita a scrivere poderosi volumi, nessuno ha nulla da obiettare: sono pochi gli Italiani che leggono e di certo il loro isolato sdegno non costituisce una minaccia per la nomenklatura.
Ma se Marco Travaglio parla in televisione come autore dei suoi libri, apriti cielo!
Stessa sorte per Michele Santoro: se lascia spazio in prima serata alle parole pronunciate in piazze gremite da Beppe Grillo, dal Palazzo d’Inverno piovono strali.
I più agguerriti diventano proprio gli uomini dell’opposizione, sorpresi dai telespettatori nell’inerzia più completa di fronte alle tante verità scomode: sono per primi loro, con il loro seguito di giornali d’area, ad invocare la censura preventiva sulla tv pubblica ed a ostentare solidarietà nei confronti di chi proprio non ne ha bisogno.
Perché la seconda carica dello Stato, per di più sotto l’ombrello protettivo del Cavaliere, disporrà o no degli strumenti necessari per far valere eventualmente le sue ragioni senza che in suo soccorso arrivino le scompaginate truppe democratiche, in ritirata strategica dalla società civile?
Siamo veramente all’anno zero, come efficacemente ha battezzato la sua trasmissione Michele Santoro.
Ormai a testimoniare contro il pensiero unico nell’Italia dei media normalizzati sono rimasti in tre: Marco Travaglio, Michele Santoro e Beppe Grillo.
E i loro più temibili avversari non sono, come si potrebbe pensare ingenuamente, gli esponenti della maggioranza parlamentare che si sta apprestando all’occupazione di tutti i gangli istituzionali: quelli sono antagonisti dichiarati con cui ognuno di loro si misura quotidianamente.
Contro questi valorosi testimoni di una democrazia che brancola nel buio, ci sono proprio gli esponenti di quell’opposizione che, sovvertendo le regole del gioco di uno strano maggioritario bipolare, ha rinunciato ad esistere molto tempo prima di subire il cappotto elettorale.
L’ultima trovata, quella del governo ombra, che ieri ha pure ottenuto il riconoscimento di Berlusconi con la famosa telefonata a Veltroni, escludendo dal valoroso consesso proprio l’alleato vincente Antonio Di Pietro, è l’ennesimo sberleffo rivolto a quegli elettori che appena un mese fa hanno concentrato il voto sul Partito Democratico contro lo spauracchio Berlusconi, agitato dal loft democratico (ormai è lampante) con l’obiettivo prioritario di togliere i voti alla Sinistra.
Quanto a Fabio Fazio, alla sua declamata dissociazione dall’intervento di Travaglio, beh è meglio stendere un velo pietoso; avendo adesso pienamente compreso come mai le gag della Litizzetto sul suo conto siano tanto efficaci.
A sua tempo, si sarà pure proclamato ammiratore di Enzo Biagi ma del compianto giornalista di certo non possiede né statura morale né coraggio intellettuale.
Gioca a presentarsi al pubblico televisivo come il classico vaso di coccio tra tanti vasi di ferro, una sorta di don Abbondio senza tonaca in casa Rai; purché sotto lucroso contratto, s’intende.