E’ inaccettabile l’attacco personale che il giornalista Giuseppe D’Avanzo ha mosso a Marco Travaglio nella controreplica di ieri su Repubblica che segue il suo già pessimo editoriale di martedì scorso.
Per dimostrare che il suo metodo di lavoro, ovvero il giornalismo d’inchiesta, possa inconsapevolmente produrre effetti perversi si è messo a raccontare una storia che soltanto qualcuno roso dal rancore o dall’invidia potrebbe avvicinare in qualche modo alle vicende raccontate da Marco Travaglio nei suoi poderosi e documentatissimi libri.
D’Avanzo la tira in ballo quasi di soppiatto facendola uscire chissà da quale cassetto per lanciargliela addosso dichiarando che lo stesso Travaglio ne è parte in causa. Ne riportiamo testualmente il contenuto tratto dal suo editoriale:
Per dimostrare che il suo metodo di lavoro, ovvero il giornalismo d’inchiesta, possa inconsapevolmente produrre effetti perversi si è messo a raccontare una storia che soltanto qualcuno roso dal rancore o dall’invidia potrebbe avvicinare in qualche modo alle vicende raccontate da Marco Travaglio nei suoi poderosi e documentatissimi libri.
D’Avanzo la tira in ballo quasi di soppiatto facendola uscire chissà da quale cassetto per lanciargliela addosso dichiarando che lo stesso Travaglio ne è parte in causa. Ne riportiamo testualmente il contenuto tratto dal suo editoriale:
“Farò un esempio che renderà, forse, più chiaro quanto può essere letale questo metodo.
8 agosto del 2002. Marco telefona a Pippo. Gli chiede di occuparsi dei "cuscini". Marco e Pippo sono in vacanza insieme, concludono per approssimazione gli investigatori di Palermo. Che, durante le indagini, trovano un'ambigua conferma di quella villeggiatura comune. Prova maligna perché intenzionale e non indipendente. Fonte, l'avvocato di Michele Aiello. Il legale dice di aver saputo dal suo assistito che, su richiesta di Pippo, Aiello ha pagato l'albergo a Marco. Forse, dicono gli investigatori, un residence nei dintorni di Trabia.
Michele Aiello, ingegnere, fortunato impresario della sanità siciliana, protetto dal governatore Totò Cuffaro (che, per averlo aiutato, beccherà 5 anni in primo grado), è stato condannato a 14 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Pippo è Giuseppe Ciuro, sottufficiale di polizia giudiziaria, condannato a 4 anni e 6 mesi per aver favorito Michele Aiello e aver rivelato segreti d'ufficio utili a favorire la latitanza di Bernardo Provenzano. Marco è Marco Travaglio.
Michele Aiello, ingegnere, fortunato impresario della sanità siciliana, protetto dal governatore Totò Cuffaro (che, per averlo aiutato, beccherà 5 anni in primo grado), è stato condannato a 14 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Pippo è Giuseppe Ciuro, sottufficiale di polizia giudiziaria, condannato a 4 anni e 6 mesi per aver favorito Michele Aiello e aver rivelato segreti d'ufficio utili a favorire la latitanza di Bernardo Provenzano. Marco è Marco Travaglio.
Ditemi ora chi può essere tanto grossolano o vile da attribuire all'integrità di Marco Travaglio un'ombra, una colpa, addirittura un accordo fraudolento con il mafioso e il suo complice? Davvero qualcuno, tra i suoi fiduciosi lettori o tra i suoi antipatizzanti, può credere che Travaglio debba delle spiegazioni soltanto perché ha avuto la malasorte di farsi piacere un tipo (Giuseppe Ciuro) che soltanto dopo si scoprirà essere un infedele manutengolo?
Nessuno, che sia in buona fede, può farlo. Eppure un'"agenzia del risentimento" potrebbe metter su un pirotecnico spettacolino con poca spesa ricordando, per dire, che "la mafia ha la memoria lunghissima e spesso usa le amicizie, anche risalenti nel tempo, per ricattare chi tenta di scrollarsele frettolosamente di dosso" . Basta dare per scontato il "fatto", che ci fosse davvero una consapevole amicizia mafiosa: proprio quel che deve essere dimostrato ragionevolmente da un attento lavoro di cronaca.”
Nessuno, che sia in buona fede, può farlo. Eppure un'"agenzia del risentimento" potrebbe metter su un pirotecnico spettacolino con poca spesa ricordando, per dire, che "la mafia ha la memoria lunghissima e spesso usa le amicizie, anche risalenti nel tempo, per ricattare chi tenta di scrollarsele frettolosamente di dosso" . Basta dare per scontato il "fatto", che ci fosse davvero una consapevole amicizia mafiosa: proprio quel che deve essere dimostrato ragionevolmente da un attento lavoro di cronaca.”
Non ci vuole molto a capire che l’esempio proposto da D’Avanzo non dimostra un bel niente e nulla ha a che vedere con la vita specchiata che i cittadini possono e devono pretendere da una carica istituzionale.
Scopriamo l’acqua calda nell'affermare che la moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto?
Fa bene, dunque, Marco Travaglio a sporgere querela nei suoi confronti per una storia che, pur senza alcuna rilevanza, potrebbe, questo sì, metterlo in cattiva luce di fronte a lettori distratti o sprovveduti oppure gettare ombre sull’efficacia del suo metodo di lavoro.
Non è così, ne siamo certi, ma dispiace che Travaglio debba essere costretto a prendere carta e penna semplicemente per dichiararne la totale falsità e denunciare i possibili fini calunniosi.
Giuseppe D’Avanzo ci ha abituato da un po’ di tempo a prove incredibilmente scialbe e opache.
In questo caso è andato veramente oltre misura scadendo non solo nel cattivo gusto ma anche incorrendo in una serie di grossolane pecche deontologiche che ad un giornalista, fosse pure alle prime armi, non si possono perdonare e per le quali il suo ordine professionale farebbe bene ad intervenire.
Se con quell’esempio aveva soltanto intenti didascalici perché non lo ha costruito su se stesso, violando la sua di privacy?
Alla minuziosa lettera con cui, oggi, Marco Travaglio sul quotidiano di Piazza Indipendenza cancella definitivamente il teorema D’Avanzo segue un’ultima imbarazzata ed inquietante risposta del suo maldestro autore.
Una cosa è certa: questo suo clamoroso passo falso ci convince una volta di più della giustezza della battaglia intrapresa da Beppe Grillo per la libera informazione nel nostro Paese.
A questo punto, firmare i suoi referendum non è più un’opportunità ma un dovere civico.
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