L’ultimo fine settimana ci ha regalato sul fronte mediatico tutta una serie di conferme, ampiamente previste nei mesi scorsi da questo blog.
Continuano, anzi sono in stato avanzato di realizzazione, le prove tecniche di larghe intese.
Il soccorso insperato che la senatrice Anna Finocchiaro, recentemente bocciata alle elezioni regionali siciliane ma inopinatamente più in sella che mai nel PD, ha portato al neo presidente del Senato Renato Schifani in merito alle dichiarazioni di Marco Travaglio nella trasmissione di Fabio Fazio di sabato sera è quanto di peggio, cioè nello stesso tempo inopportuno, imbarazzante, irrituale, incoerente potesse fare un esponente dell’opposizione, per giunta ad un mese dalla batosta elettorale subita.
Soprattutto, di incompatibile con la lezione morale di Enrico Berlinguer, del quale molti tra i politici del Partito Democratico si sono dimenticati completamente mentre dovrebbero testimoniarne la stringente attualità.
Purtroppo, invece di occuparsi di giustizia sociale, di scottanti questioni economiche, di stipendi e pensioni, di sanità a rischio, perché no? di questione morale, i dirigenti del Partito Democratico continuano a fare i portatori d’acqua per il Popolo della Libertà attaccando le poche voci fuori dal coro.
Non sono stati in grado di cancellare nemmeno una delle leggi vergogna ma sanno benissimo come togliere il microfono a chi si ostina, magari con tono caustico ed un linguaggio non politically correct, a ricordare fatti e misfatti del pasticcio italiano.
Facciano pure, mandino a picco la Rai cacciandone anche gli ultimi spettatori insieme ai residui spazi di libertà. Dopo l’Alitalia, sotto a chi tocca!
Nello specifico, non è chiaro perché prima si inviti un vero giornalista come Marco Travaglio in una trasmissione di conversazione con ambizioni culturali e poi si cerchi goffamente di prenderne le distanze di fronte all’Italia televisiva, semplicemente perché questi ancora una volta mostra l’imperdonabile vizio di dire quello che pensa e scrive da anni; difetto che gli ha permesso di acquisire una stima sconfinata fuori dal fortino in cui si è asserragliata la nomenklatura.
Se il senatore Schifani ritiene che le affermazioni nei suoi confronti siano state ingiuriose prenda le determinazioni del caso (come ha preannunciato).
Ma per piacere che Petruccioli, la Finocchiaro, la Melandri e mezzo PD la smettano di fare i farisei.
Si stracciano le vesti forse per il paragone irriverente muffa – lombrico fatto da Travaglio e non fanno una piega di fronte alle ripetute ingiurie rivolte a presenti ed assenti soltanto due settimana fa da Sgarbi.
E’ il loro il comportamento più inqualificabile.
Il giornalista Giuseppe D’Avanzo su la Repubblica critica Travaglio sostenendo che egli abbia rispolverato storie vecchie e stravecchie che non hanno offerto alcun, ulteriore e decisivo, elemento di verità; ripete la solita litania delle agenzie del risentimento che lavorano ad un cattivo giornalismo che solo abusivamente si definisce d’informazione ma è d’opinione per poi, in modo palesemente contraddittorio, chiudere improvvisamente su Schifani affermando che “dalle inchieste del 2002, ha sempre preferito tacere su quel suo passato sconsiderato”.
In altri termini, finisce per dare ragione a Travaglio senza volerlo ammettere, dopo aver confezionato tutto il pezzo in segno contrario.
Insomma, D’Avanzo contro tutti, persino contro se stesso.
Travaglio non è un inquisitore, racconta fatti sulla base di evidenze processuali, fossero anche di vent’anni. Infatti non è alla magistratura che si rivolge ma al pubblico televisivo: perché questo deve essere tenuto all’oscuro di alcune storie facilmente disponibili a pochi euro sugli scaffali delle librerie?
Il torto di Travaglio è quello di parlare in televisione a milioni di persone perché fino a quando si limita a scrivere poderosi volumi, nessuno ha nulla da obiettare: sono pochi gli Italiani che leggono e di certo il loro isolato sdegno non costituisce una minaccia per la nomenklatura.
Ma se Marco Travaglio parla in televisione come autore dei suoi libri, apriti cielo!
Stessa sorte per Michele Santoro: se lascia spazio in prima serata alle parole pronunciate in piazze gremite da Beppe Grillo, dal Palazzo d’Inverno piovono strali.
I più agguerriti diventano proprio gli uomini dell’opposizione, sorpresi dai telespettatori nell’inerzia più completa di fronte alle tante verità scomode: sono per primi loro, con il loro seguito di giornali d’area, ad invocare la censura preventiva sulla tv pubblica ed a ostentare solidarietà nei confronti di chi proprio non ne ha bisogno.
Perché la seconda carica dello Stato, per di più sotto l’ombrello protettivo del Cavaliere, disporrà o no degli strumenti necessari per far valere eventualmente le sue ragioni senza che in suo soccorso arrivino le scompaginate truppe democratiche, in ritirata strategica dalla società civile?
Siamo veramente all’anno zero, come efficacemente ha battezzato la sua trasmissione Michele Santoro.
Ormai a testimoniare contro il pensiero unico nell’Italia dei media normalizzati sono rimasti in tre: Marco Travaglio, Michele Santoro e Beppe Grillo.
E i loro più temibili avversari non sono, come si potrebbe pensare ingenuamente, gli esponenti della maggioranza parlamentare che si sta apprestando all’occupazione di tutti i gangli istituzionali: quelli sono antagonisti dichiarati con cui ognuno di loro si misura quotidianamente.
Contro questi valorosi testimoni di una democrazia che brancola nel buio, ci sono proprio gli esponenti di quell’opposizione che, sovvertendo le regole del gioco di uno strano maggioritario bipolare, ha rinunciato ad esistere molto tempo prima di subire il cappotto elettorale.
L’ultima trovata, quella del governo ombra, che ieri ha pure ottenuto il riconoscimento di Berlusconi con la famosa telefonata a Veltroni, escludendo dal valoroso consesso proprio l’alleato vincente Antonio Di Pietro, è l’ennesimo sberleffo rivolto a quegli elettori che appena un mese fa hanno concentrato il voto sul Partito Democratico contro lo spauracchio Berlusconi, agitato dal loft democratico (ormai è lampante) con l’obiettivo prioritario di togliere i voti alla Sinistra.
Quanto a Fabio Fazio, alla sua declamata dissociazione dall’intervento di Travaglio, beh è meglio stendere un velo pietoso; avendo adesso pienamente compreso come mai le gag della Litizzetto sul suo conto siano tanto efficaci.
A sua tempo, si sarà pure proclamato ammiratore di Enzo Biagi ma del compianto giornalista di certo non possiede né statura morale né coraggio intellettuale.
Gioca a presentarsi al pubblico televisivo come il classico vaso di coccio tra tanti vasi di ferro, una sorta di don Abbondio senza tonaca in casa Rai; purché sotto lucroso contratto, s’intende.
Continuano, anzi sono in stato avanzato di realizzazione, le prove tecniche di larghe intese.
Il soccorso insperato che la senatrice Anna Finocchiaro, recentemente bocciata alle elezioni regionali siciliane ma inopinatamente più in sella che mai nel PD, ha portato al neo presidente del Senato Renato Schifani in merito alle dichiarazioni di Marco Travaglio nella trasmissione di Fabio Fazio di sabato sera è quanto di peggio, cioè nello stesso tempo inopportuno, imbarazzante, irrituale, incoerente potesse fare un esponente dell’opposizione, per giunta ad un mese dalla batosta elettorale subita.
Soprattutto, di incompatibile con la lezione morale di Enrico Berlinguer, del quale molti tra i politici del Partito Democratico si sono dimenticati completamente mentre dovrebbero testimoniarne la stringente attualità.
Purtroppo, invece di occuparsi di giustizia sociale, di scottanti questioni economiche, di stipendi e pensioni, di sanità a rischio, perché no? di questione morale, i dirigenti del Partito Democratico continuano a fare i portatori d’acqua per il Popolo della Libertà attaccando le poche voci fuori dal coro.
Non sono stati in grado di cancellare nemmeno una delle leggi vergogna ma sanno benissimo come togliere il microfono a chi si ostina, magari con tono caustico ed un linguaggio non politically correct, a ricordare fatti e misfatti del pasticcio italiano.
Facciano pure, mandino a picco la Rai cacciandone anche gli ultimi spettatori insieme ai residui spazi di libertà. Dopo l’Alitalia, sotto a chi tocca!
Nello specifico, non è chiaro perché prima si inviti un vero giornalista come Marco Travaglio in una trasmissione di conversazione con ambizioni culturali e poi si cerchi goffamente di prenderne le distanze di fronte all’Italia televisiva, semplicemente perché questi ancora una volta mostra l’imperdonabile vizio di dire quello che pensa e scrive da anni; difetto che gli ha permesso di acquisire una stima sconfinata fuori dal fortino in cui si è asserragliata la nomenklatura.
Se il senatore Schifani ritiene che le affermazioni nei suoi confronti siano state ingiuriose prenda le determinazioni del caso (come ha preannunciato).
Ma per piacere che Petruccioli, la Finocchiaro, la Melandri e mezzo PD la smettano di fare i farisei.
Si stracciano le vesti forse per il paragone irriverente muffa – lombrico fatto da Travaglio e non fanno una piega di fronte alle ripetute ingiurie rivolte a presenti ed assenti soltanto due settimana fa da Sgarbi.
E’ il loro il comportamento più inqualificabile.
Il giornalista Giuseppe D’Avanzo su la Repubblica critica Travaglio sostenendo che egli abbia rispolverato storie vecchie e stravecchie che non hanno offerto alcun, ulteriore e decisivo, elemento di verità; ripete la solita litania delle agenzie del risentimento che lavorano ad un cattivo giornalismo che solo abusivamente si definisce d’informazione ma è d’opinione per poi, in modo palesemente contraddittorio, chiudere improvvisamente su Schifani affermando che “dalle inchieste del 2002, ha sempre preferito tacere su quel suo passato sconsiderato”.
In altri termini, finisce per dare ragione a Travaglio senza volerlo ammettere, dopo aver confezionato tutto il pezzo in segno contrario.
Insomma, D’Avanzo contro tutti, persino contro se stesso.
Travaglio non è un inquisitore, racconta fatti sulla base di evidenze processuali, fossero anche di vent’anni. Infatti non è alla magistratura che si rivolge ma al pubblico televisivo: perché questo deve essere tenuto all’oscuro di alcune storie facilmente disponibili a pochi euro sugli scaffali delle librerie?
Il torto di Travaglio è quello di parlare in televisione a milioni di persone perché fino a quando si limita a scrivere poderosi volumi, nessuno ha nulla da obiettare: sono pochi gli Italiani che leggono e di certo il loro isolato sdegno non costituisce una minaccia per la nomenklatura.
Ma se Marco Travaglio parla in televisione come autore dei suoi libri, apriti cielo!
Stessa sorte per Michele Santoro: se lascia spazio in prima serata alle parole pronunciate in piazze gremite da Beppe Grillo, dal Palazzo d’Inverno piovono strali.
I più agguerriti diventano proprio gli uomini dell’opposizione, sorpresi dai telespettatori nell’inerzia più completa di fronte alle tante verità scomode: sono per primi loro, con il loro seguito di giornali d’area, ad invocare la censura preventiva sulla tv pubblica ed a ostentare solidarietà nei confronti di chi proprio non ne ha bisogno.
Perché la seconda carica dello Stato, per di più sotto l’ombrello protettivo del Cavaliere, disporrà o no degli strumenti necessari per far valere eventualmente le sue ragioni senza che in suo soccorso arrivino le scompaginate truppe democratiche, in ritirata strategica dalla società civile?
Siamo veramente all’anno zero, come efficacemente ha battezzato la sua trasmissione Michele Santoro.
Ormai a testimoniare contro il pensiero unico nell’Italia dei media normalizzati sono rimasti in tre: Marco Travaglio, Michele Santoro e Beppe Grillo.
E i loro più temibili avversari non sono, come si potrebbe pensare ingenuamente, gli esponenti della maggioranza parlamentare che si sta apprestando all’occupazione di tutti i gangli istituzionali: quelli sono antagonisti dichiarati con cui ognuno di loro si misura quotidianamente.
Contro questi valorosi testimoni di una democrazia che brancola nel buio, ci sono proprio gli esponenti di quell’opposizione che, sovvertendo le regole del gioco di uno strano maggioritario bipolare, ha rinunciato ad esistere molto tempo prima di subire il cappotto elettorale.
L’ultima trovata, quella del governo ombra, che ieri ha pure ottenuto il riconoscimento di Berlusconi con la famosa telefonata a Veltroni, escludendo dal valoroso consesso proprio l’alleato vincente Antonio Di Pietro, è l’ennesimo sberleffo rivolto a quegli elettori che appena un mese fa hanno concentrato il voto sul Partito Democratico contro lo spauracchio Berlusconi, agitato dal loft democratico (ormai è lampante) con l’obiettivo prioritario di togliere i voti alla Sinistra.
Quanto a Fabio Fazio, alla sua declamata dissociazione dall’intervento di Travaglio, beh è meglio stendere un velo pietoso; avendo adesso pienamente compreso come mai le gag della Litizzetto sul suo conto siano tanto efficaci.
A sua tempo, si sarà pure proclamato ammiratore di Enzo Biagi ma del compianto giornalista di certo non possiede né statura morale né coraggio intellettuale.
Gioca a presentarsi al pubblico televisivo come il classico vaso di coccio tra tanti vasi di ferro, una sorta di don Abbondio senza tonaca in casa Rai; purché sotto lucroso contratto, s’intende.
Nessun commento:
Posta un commento