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sabato 21 luglio 2012

Prove tecniche di dittatura

Per capire in che degrado sia precipitata la libertà di pensiero e di parola in Italia, basta guardare a come giornali, televisioni, Tg, hanno trattato la notizia sensazionale del conflitto di attribuzione che il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha sollevato contro la Procura di Palermo, che sta indagando sulla trattativa tra Stato e mafia nel biennio stragista 1992-1993.
L'attacco diretto che il Presidente della Repubblica ha portato ai pm siciliani non ha precedenti nella storia d'Italia; eppure, con l'eccezione di qualche voce isolata e di un solo giornale, il Fatto Quotidiano, non c'è giornalista della carta stampata o della televisione che, invece di informare e di ricostruire con oggettività la vicenda, non abbia preferito prendere, secondo una regia che sembra quasi studiata a tavolino, la difesa d'ufficio di Giorgio Napolitano.
Il modo con cui la notizia viene gestita dagli organi di informazione è veramente vergognoso: in un'unanimità di consensi, tra centrodestra e centrosinistra, non c'è nessuno che abbia ricostruito la vicenda per quello che è, nessuno che abbia osato semplicemente descrivere il comportamento eccezionale di Re Giorgio, a cui vengono ancora in queste ore tributati gli onori che un tempo si concedevano ai monarchi assoluti, di cui almeno nel mondo occidentale non dovrebbe esserci restata traccia.
Sul piano politico, l'unico che abbia alzato il dito per sottolineare che il re è nudo è Antonio Di Pietro, a cui tutti gli Italiani devono riconoscere, al di là delle simpatie personali o delle proprie convinzioni ideologiche, in questa come in altre recenti occasioni, una prova di onestà intellettuale, lealtà istituzionale e senso civico che, ad esempio, i sepolcri imbiancati del Partito Democratico non si sono neppure sognati di avere.
Tralasciamo poi, per carità di patria, la posizione del Pdl e dell'Udc, partiti in cui ad esempio personaggi come Salvatore Cuffaro,  Raffaele Cosentino,  Marcello Dell'Utri, ecc.,  hanno avuto e spesso ancora hanno un ruolo apicale, che condividono con il Pd la stessa posizione di totale sudditanza alle mosse del Colle, con l'obiettivo neppure sottaciuto di precostituirsi un formidabile e gigantesco precedente. 
Successivamente, capitando con certezza matematica l'occasione buona, potranno comodamente passare all'incasso, vedendosi restituire a vantaggio dei propri uomini un analogo favore: basta sfogliare i giornali di area berlusconiana in questi giorni per farsene un'idea.
Dicevamo prima che il quarto potere ha dato di sè una prova pessima.
Nessun telegiornale ha fatto eccezione, anche la squadra di Rai News 24, di solito così pronta a decodificare i segnali della politica ed a ricostruire con attenzione i fatti di giornata, si è limitata a fare da grancassa alle iniziative del sovrano del Quirinale.
Particolarmente in difficoltà il direttore Corradino Mineo:  solitamente mostra una certa autonomia di giudizio  ma parlando di Napolitano le sue qualità professionali d'incanto vengono obnubilate.
Da sempre trapela dalle sue parole una autentica Venerazione nei confronti dell'attuale Inquilino del Colle: ne parla con ammirazione, con timorosa cautela e con la premurosa circospezione da tributare ad un Dio in terra, i cui comportamenti sono ispirati da un'Intelligenza Superiore e i cui interventi sono sempre opportuni, pertinenti, necessari, decisivi, equilibrati, mirati, una immeritata manna per l'Italia.
La consueta vivacità intellettuale delle sue riflessioni si scioglie, definitivamente e malinconicamente, in un'adesione cieca e totale alle Gesta Sovrane.
C'è da temere che quando finalmente giungerà a compimento il Celeste Mandato, il Mineo si presenterà ai suoi telespettatori in gramaglie e annuncerà la notizia come fece qualche mese fa la conduttrice della televisione nordcoreana per annunciare la dipartita del dittatore Kim Jong II.



Nella classifica della libertà di stampa siamo al 40° posto, subito dopo la Corea del Sud: ancora uno sforzo e quella del Nord sarà alla nostra portata...

PS: chi ci vuole capire qualcosa sul conflitto tra Napolitano e Procura di Palermo è pregato di spegnere la televisione, buttare nella pattumiera i giornali (ad eccezione del Fatto Quotidiano, che guarda caso è l'unico che non riceve un euro di finanziamento pubblico) e di cliccare sul link del FattoQuotidianoTV della registrazione della diretta-streaming da Via D'Amelio del 19 luglio: è  un video di oltre 8 ore dove compaiono interventi autorevoli, anche dei magistrati del pool di Palermo. Da non perdere, dopo 6h e 7' circa, la lezione civile di Marco Travaglio: 60 minuti da antologia.

giovedì 19 luglio 2012

Via D'Amelio: vent'anni dopo

L'attacco frontale che il Presidente della Repubblica ha voluto portare alla Procura di Palermo per la vicenda delle telefonate intercorse tra lui e Nicola Mancino è la dimostrazione più  eclatante, se ancora ce ne fosse bisogno, di come la Casta, anche in uno dei momenti più difficili della storia d'Italia, non abbia alcuna intenzione di farsi giudicare, prima ancora che dalla magistratura, dai cittadini, assumendosi una buona volta il peso delle enormi responsabilità dell'attuale disastro morale-politico-sociale ed economico in cui versa il nostro Paese.
E' uno spettacolo avvilente che angustia ogni cittadino, anche quelli che meno attenzione pongono alle vicende politiche e che, quando pure vi gettano un occhio di traverso, subito se ne ritraggono disgustati.
E' sorprendente che il primo cittadino d'Italia, su una vicenda gravissima come la stagione delle stragi di mafia del 1992-93, a vent'anni di distanza da quei fatti sanguinosi che hanno gettato a livello internazionale un'ombra infamante di sospetto su tutti noi ed una seria ipoteca alla credibilità dellle nostre istituzioni, ponga in essere uno scontro durissimo proprio contro quei magistrati che, mettendo a repentaglio la propria stessa incolumità, si stanno dannando l'anima, nell'isolamento generale in cui sono stati confinati dai media di regime e dalla partitocrazia tutta, per recuperare la verità di una stagione maledetta e finalmente portare alla sbarra i mandanti e gli esecutori materiali di quella mattanza.
Il tutto, per distruggere il contenuto di recenti conversazioni telefoniche che Sua Eccellenza ha intrattenuto nei mesi scorsi con un privato cittadino indagato per falsa testimonianza ed intercettato da quegli stessi pm, Nicola Mancino (nel luglio del '92 ministro dell'Interno), che gli si era rivolto sia direttamente che per il tramite del suo consigliere giuridico, affinché intervenisse nell'inchiesta, in barba a elementari principi di correttezza  giuridica.
Volendo pure riconoscere le migliori intenzioni al Capo dello Stato nel delimitare le proprie prerogative costituzionali, è un dato di fatto che la sua condotta finisce per impattare pesantemente con una delicatissima inchiesta dagli esiti decisivi per l'essenza stessa della nostra democrazia: accertare finalmente le responsabilità e i fatti di quel drammatico biennio stragista.
Per tutti gli Italiani questa dovrebbe essere un'assoluta priorità, l'unico lavacro possibile per bonificare le nostre istituzioni e segnare un discrimine con un passato sconvolgente.
Ma non è così per il primo cittadino che subordina l'accertamento di quella tragica verità alla distruzione dei contenuti di quelle sue incaute telefonate con Mancino.
Ma cosa mai ci sarà in esse di tanto sconveniente da fargli preferire la loro immediata distruzione, con un inevitabile strascico di polemiche?
Fra l'altro rinforzando nei cittadini la generale sensazione che la politica è qualcosa di veramente abietto.
Le parole pronunciate da Antonio Di Pietro per esortare Giorgio Napolitano a desistere da questo scontro, tornando sui propri passi e divulgando spontaneamente quelle telefonate, non hanno nulla di indecente come il segretario del Pd Pierluigi Bersani sostiene, cronicamente a corto di argomenti, e volendo quasi assumere improvvidamente le vesti di garante di Napolitano: "Di Pietro sa benissimo, come sanno tutti, che a giudizio di tutti, compresi i magistrati il presidente Napolitano non ha nessuna ragione di difendere la sua persona". 
Ma come fa a dire questo, se non conosce il contenuto delle telefonate?
Indecente è che il segretario di quello che potrebbe diventare la prima forza politica italiana si acconci a una goffa difesa d'ufficio del presidente Napolitano, senza neanche rendersi conto (questo sì è molto grave!) che ponendo questa sgangherata tutela sul Presidente della Repubblica, contribuisce pure lui a metterlo in straordinaria difficoltà.
Bersani si mette a fare il Niccolò Ghedini della situazione, senza però averne né i titoli né le capacità, scimmiottando l'avvocato di Berlusconi con esiti disastrosi.
Insomma anche in questo campo, Pd e Pdl si comportano esattamente allo stesso modo: quando si tratta di difendere i compagni di cordata, usano gli stessi slogan, la stessa arroganza, lo stesso disprezzo per i cittadini.
Insomma, il richiamo della foresta, o meglio il richiamo di Casta, è più forte di tutto. Persino del buon senso.  Per loro il potere viene prima di tutto, è sopra la legge, e non si fa giudicare. Mai.
Neppure quando la loro credibilità è scesa sotto zero, neppure quando i loro comportamenti scavano un fosso incolmabile con gli elettori: basta fare un giro per la rete in queste ore per rendersene conto.
Neppure quando ricorre il ventesimo anniversario della strage di Via D'Amelio e si apprestano a commemorare, come niente fosse, il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta: con la faccia contrita, continueranno a recitare il copione di sempre.
Incuranti di una liturgia ormai logora e vuota, invocheranno per l'ennesima volta giustizia, ma, dietro le quinte, fanno di tutto perché a ciò non si arrivi mai.

venerdì 11 novembre 2011

No, caro Bersani, prima dell'Italia vengono gli Italiani!

Il Partito Democratico, con la copertura mediatica del gruppo De Benedetti-Repubblica e di RCS-Corriere della Sera, si sta preparando a consumare l'ennesimo tradimento nei confronti di quello che è il suo elettorato di riferimento: lavoratori, pensionati, donne e giovani in cerca di prima occupazione, precari e disoccupati.
Prendendo spunto dalla tempesta finanziaria scatenata dall'estero con la partecipazione straordinaria di grosse banche d'affari americane e che mira ad annientare l'euro per riportare il derelitto dollaro di nuovo al centro della scena economica internazionale, sta siglando una patto indecente con Silvio Berlusconi per dare vita ad un nuovo esecutivo dove siederebbero insieme uomini del Pd e  del Pdl.
Così, forse, potrebbero ritrovarsi in consiglio dei ministri zio Gianni e il nipote Enrico Letta, che la malasorte per troppo tempo ha visto schierati inopinatamente su fronti avversi... e poi vivranno tutti felici e contenti!
In gioco non c'è la credibilità internazionale dell'Italia, come ci propinano le finte Cassandre di destra e di sinistra, già allo zero assoluto per la presenza da diciassette anni nella cabina di comando di un personaggio pittoresco come Silvio da Arcore, il buon samaritano che aiuta le ragazze in difficoltà pure di notte, ma ciò che resta dello stato sociale che questa inedita armata brancaleone si appresta a smantellare gridando al lupo al lupo!
A chiacchiere se ne sono date di santa ragione almeno da dieci anni a questa parte, con le maiuscole eccezioni dei due litiganti Massimo D'Alema e Walter Veltroni sempre pronti ad improvvise aperture di credito in bianco nei confronti di Berlusconi.
Ma adesso si ritroverebbero insieme appassionatamente a gestire la macelleria sociale.
Caro Silvio, posso? Ma certo, carissimo Pierluigi, il primo colpo di mannaia spetta a te!
Due visioni della politica opposte, due ricette economiche alternative, che adesso troverebbero una incredibile imprevista sintesi, griffata dall'ex commissario europeo Mario Monti, già consulente per Goldman Sachs e membro del Gruppo Bilderberg, senza dover dare spiegazioni a nessuno in nome di un millantato interesse nazionale.
E' la quadratura del cerchio, o meglio l'unipolarismo della Casta.
Il problema è che per pensare all'Italia (quale Italia, quella che mangia di lusso con pochi spiccioli in Parlamento o l'Italia delle banche e dei poteri forti?) si sacrificano gli Italiani, cioè quelli che, nella migliore delle ipotesi, si ammazzano tutto il giorno con stipendi da fame, o si godono generosissimi vitalizi dall'alto dei loro 500 euro mensili; a cui verranno inflitti nuovi pesantissimi tagli di spesa e di diritti.
Del resto, Ragasssi, siamo o no un popolo benestante? Non è vero che i ristoranti sono sempre pieni??
Ecco perché è questione di sopravvivenza per Bersani, per non essere colto in trappola e trovarsi isolato dilapidando in poche settimane il tesoretto elettorale che i sondaggi gli attribuiscono, cooptare nell'invincible armada quella testa calda di Antonio Di Pietro a cui non più tardi di stamattina ha rivolto l'ennesimo, struggente appello al concorso esterno in associazione a macellare: "Ripensaci, viene prima l'Italia".
L'invito che invece noi giriamo al Tonino nazionale è, giustamente, proprio quello a suo tempo pronunciato in altro frangente dal suo ex capo del pool di Milano Francesco Saverio Borelli:
"Resistere, Resistere, Resistere!"

giovedì 10 novembre 2011

E' partita la campagna di Repubblica per un governo Monti lacrime e sangue

Messa da parte la barzelletta del governo Berlusconi, è partito l'affondo della corazzata del finanziere De Benedetti, il gruppo Repubblica - l'Espresso, a favore di un governo tecnico guidato dal bocconiano Mario Monti ed eterodiretto dal direttorio Merkel Sarkozy.
Obiettivo: spremere a fondo gli Italiani con operazioni su larga scala di macelleria sociale, senza assumersene la responsabilità politica, trattandosi di un governo che non riceverà un mandato dal popolo ma la cui investitura avviene solo a furor di mercati, sotto l'incalzare della speculazione internazionale.
Si consuma così fino in fondo un furto di sovranità popolare per mano della tecnocrazia europea che in questi mesi ha trovato nel governo di centrodestra diretto dall'uomo di Arcore un bersaglio sin troppo facile da colpire.
In un sistema bipolare, stringere la tenaglia Pd-Pdl per costituire un governo che non risponde a nessuno se non alla coppia Bersani-Berlusconi e all'ineffabile Casini, vuol dire costituire un unipolarismo che ha come missione esclusiva quella di sporcarsi le mani per prendere decisioni irrevocabili sopra la testa della gente, senza che questa venga interpellata o possa eccepire alcunché.
Vuol dire darla vinta all'attacco speculativo arrivato da lontano.
Al gravissimo danno del governo Berlusconi seguirebbe quindi la memorabile beffa del governo Monti, con buona pace di chi ancora crede nella democrazia rappresentativa.
Paradossalmente questo sarebbe il trionfo della Casta, che si fa scudo della tempesta internazionale per infliggere il colpo mortale allo stato sociale e ai cittadini che ormai all'unanimità la disprezzano.
In nome di cosa il Pd di Pierluigi Bersani, l'Udc di Pierferdinando Casini e il Pdl di Silvio Berlusconi, con il beneplacito del presidente Giorgio Napolitano, possano gettare alle ortiche le proprie piattaforme programmatiche su cui avevano ricevuto il consenso nelle Politiche del 2008, senza doverne preventivamente rendere conto al corpo elettorale, è questione che attiene  al funzionamento costituzionale della nostra democrazia che neanche l'eccezionalità del momento può sovvertire.
L'attacco proditorio mosso ad Antonio di Pietro dalle colonne di Repubblica, facendo credere che i suoi sostenitori tifano per il governo tecnico e disapprovano in larga maggioranza  la posizione espressa dal leader dell'Italia dei Valori di netta opposizione ad un tale esecutivo, è la riprova dello stato miserevole in cui versa il centrosinistra che, quando pure riesce a liberarsi del fantasma del Cavaliere, si trova in balìa dei cosiddetti riformisti, alias poteri forti, sempre pronti a scatenargli contro una campagna mediatica di inaudita portata, da far impallidire per virulenza la berlusconiana macchina del fango.
Chi decreterà la fine dello stato sociale per colpa della finanza mondiale impazzita, riducendo sul lastrico milioni di persone e quasi per intero il ceto medio, deve avere una chiara investitura popolare che non può che passare per elezioni anticipate.
Nel frattempo, un altro governo di centrodestra a guida Gianni (non Enrico!) Letta o Angelino Alfano deve approvare rapidamente la legge di stabilità, concordare con l'opposizione una nuova legge elettorale e poi, di corsa, mandarci a votare tra il febbraio e il marzo 2012, presentandosi con  il proprio fallimentare bilancio dinanzi al popolo sovrano.
E' la democrazia, bellezza!
Scherzare con il fuoco, dispensando urbi et orbi il messaggio subliminale che la bancarotta finanziaria dell'Italia sia solo questione di giorni o addirittura di ore, denota grave spregiudicatezza politica e assoluta mancanza di senso dello Stato, un pessimo biglietto da visita per chi dovrà farci dimenticare il nefasto ventennio di Silvio Berlusconi.
Anche perché, disgraziatamente, questo riprovevole espediente serve a far digerire agli Italiani una medicina amarissima ma soprattutto letale. 

lunedì 13 giugno 2011

13 giugno: per l'Italia è l'inizio di una nuova era!

Una magnifica giornata di tarda primavera ha visto soccombere sotto una valanga di sì i tentativi della tecnocrazia di destra e di sinistra di fare strame della nostra democrazia, prendendo decisioni strategiche per il futuro del nostro Paese sopra la testa di noi cittadini.
Le urne non lasciano adito a dubbi: oltre 25 milioni di Italiani hanno deciso di interrompere le loro faccende quotidiane per recarsi al seggio ed affermare che quello della gestione dei servizi pubblici locali, dell'energia nucleare, della legge uguale per tutti, sono materie su cui vogliono decidere in prima persona, malgrado il Presidente del Consiglio li abbia invitati a non andare a votare perché quesiti inutili!
Malgrado la RAI,  abbia cercato in ogni modo di occultare la consultazione popolare dando spazi minimi all'evento o inducendo in errore i telespettatori con i notiziari della principale fascia oraria che hanno addirittura sbagliato le date in cui si sarebbe svolta: qualcosa non solo di vergognoso ma, chiaramente, di illegale.
Come illegale è stato il tentativo maldestro del Ministro dell'Interno Maroni di dichiarare stamattina, ad urne aperte, che il quorum era stato raggiunto, in modo da disincentivare gli elettori dell'ultima ora ad andare a votare.
Vergognoso anche il tentativo di nascondere le immagini del Presidente Giorgio Napolitano che si reca al seggio e depone le schede referendarie nell'urna: una censura eversiva, mai visto niente di simile in televisione, dalla nascita della Repubblica.
Per non parlare dello sconcio dei telegiornali Mediaset, esperti confezionatori da vent'anni  dell'informazione di regime, che hanno praticamente ignorato il grande appuntamento elettorale.
E la vergogna mediatica ancora continua in queste ore!
Sulla tv pubblica, la linea diretta iniziata alle 15,00  su Rete Tre, a scrutinio ancora in corso, non trova di meglio che chiedere un parere a caldo al politico a sua insaputa, Claudio Scajola, lasciando poi campo aperto alle onnipresenti intemperanze di Ignazio La Russa; entrambi, naturalmente, fanno finta che non sia successo niente, anzi,  ribadiscono, come spudoratamente fa l'inquilino dell'appartamento con vista sul Colosseo, che l'energia nucleare resta la soluzione dei problemi energetici italiani.
Assurdo: la TV pubblica ancora stende il tappeto rosso a questi zombies mentre l'Italia in carne e ossa festeggia in un caleidoscopio di suoni e di colori dovunque, in casa e per strada, la fine di un'epoca (purtroppo non ancora di un incubo!). E quasi dimentica i fautori di questa apoteosi di popolo, Antonio Di Pietro, Beppe Grillo e i comitati dei cittadini per l'acqua pubblica.
Nello studio della Berlinguer tocca accontentarsi di Rosy Bindi, dell'ex verde Francesco Rutelli, del giornalista à la page  Antonio Polito, mentre questo voto dimostra che gli Italiani hanno votato anche contro quei dirigenti del centrosinistra che per diciassette lunghi anni, se non altro con la loro ignavia, hanno reso possibile ad un politico improbabile come Silvio Berlusconi di diventare per quasi vent'anni il padre padrone della vita pubblica italiana.
Speriamo che stasera fischino le orecchie persino a Pierluigi Bersani, il Bersani, come dice Grillo, di quarta generazione, quello che è rimasto folgorato dalle sacrosante ragioni della battaglia referendaria appena in tempo per evitare l'ennesimo shock elettorale e mangiare la polvere dell'indignazione popolare contro il PD.
Ma adesso l'Italia è in festa: lasciateci brindare!

lunedì 16 maggio 2011

Il Movimento 5 Stelle fa crollare la II Repubblica!

I risultati delle amministrative stanno regalando agli Italiani, dopo anni di inesorabile degrado della nostra democrazia per opera del finto bipolarismo targato PD-PDL, una gran bella notizia: il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo raggiunge alle prime proiezioni il 9% a Bologna, il 5% a Milano, Torino, Napoli, doppiando in molti casi il cosiddetto Terzo Polo.
Finalmente, centrodestra e centrosinistra arretrano e subiscono una sonora sberla da parte dei cittadini della rete, stanchi di sentirsi presi in giro e sfruttati da una casta di politici incompetenti, incapaci, che vive alle loro spalle e che hanno fatto della cosa pubblica merce di scambio e terreno di conquista per le organizzazioni criminali.
Dove il PDL subisce le sconfitte più sonore lo si deve, infatti,  non agli uomini del partito democratico ma ad esponenti della società civile come Luigi De Magistris e Giuliano Pisapia, che si sono imposti all'attenzione generale per la loro militanza di cittadini contro le vecchie mafie politiche.
Non vince la protesta, come i media di regime, presi in contropiede, si affretteranno a strepitare sin dalle prossime ore: vince la Politica, quella con la P maiuscola, quella che in tutti questi anni ha visto soccombere nel loro silenzio omertoso e connivente, la parte migliore della nostra Italia, l'Italia dei giovani e delle persone oneste.
Un grandissimo grazie a Beppe Grillo ed Antonio Di Pietro, uomini che in questo lunghissimo inverno della nostra repubblica ci hanno aiutato a  non perdere la speranza; e a giornalisti veri come Milena Gabanelli, Marco Travaglio, Michele Santoro, lucidi osservatori di questo regime in decomposizione, ma anche testimoni di un'Italia migliore che non aspetta altro che scacciare i mercanti dal tempio.

domenica 14 febbraio 2010

Un quesito per Di Pietro: meglio un ripensamento o... una ripassatina?

La scelta di Antonio di Pietro di appoggiare il candidato del PD alla regione Campania il pluriinquisito Vincenzo De Luca, ha seminato sconcerto tra i suoi elettori, anzi, li ha gettati nello sconforto. La scelta appare inspiegabile soprattutto in un momento in cui il governo di Silvio Berlusconi appare in grossa difficoltà.
Sta finalmente saltando il tappo ma l’ex magistrato di Mani pulite fa finta di non accorgersene.
Ai rimproveri amichevoli che gli hanno rivolto a più riprese Beppe Grillo e Marco Travaglio, ultimo in ordine di tempo l’editoriale di oggi su il Fatto Quotidiano, risponde in modo monocorde il leader dell’Italia dei Valori dicendo di non voler consegnare la Campania al clan dei casalesi con la possibile vittoria del candidato Pdl Stefano Caldoro.
La giustificazione è risibile e non convince alla luce del fatto che gli elettori di centrosinistra che in questi anni hanno appoggiato il partito di Di Pietro gli hanno riconosciuto il merito di aver condotto un’opposizione ferma e chiara al governo delle destre, senza i tentennamenti, se non addirittura il tacito sostegno, che il Partito Democratico gli ha invece riservato.
Quindi, la sua non è stata un’opposizione sterile e se il mosaico di stato autoritario voluto da Berlusconi non è stato completato è stato grazie proprio al popolo viola che ripetutamente è sceso in piazza per denunciarne le pessime intenzioni ed i rischi conseguenti.
Per cui il dietro front di Di Pietro appare politicamente irragionevole e inopportuno anche semplicemente nei tempi.
C’è da chiedersi perché Di Pietro, dopo aver ingaggiato una lotta impari contro Silvio Berlusconi ed essere stato premiato elettoralmente per il suo coraggio e la sua coerenza, si accodi adesso a sostenere un personaggio che, anche soltanto dal punto di vista giudiziario, potrebbe far rimpiangere lo stesso Antonio Bassolino.
Se la questione morale rappresenta la vera linea di demarcazione tra Pd e Italia dei Valori e se molta gente ha rinunciato a votare per il Pd proprio per l’opacità e la scarsa lungimiranza dimostrata dalla sua classe dirigente su questo tema, non si capisce perché dilapidare un tale patrimonio di credibilità, così duramente conquistato, per appoggiare un candidato debole come l’ex sindaco di Salerno Vincenzo De Luca.
Mentre lo scandalo della Protezione Civile investe addirittura il braccio destro di Berlusconi, Guido Bertolaso, gettando discredito su tutto il governo e sfiducia nei suoi più accesi sostenitori, la mossa di Di Pietro diventa inopinatamente il grande enigma di questo difficile passaggio politico; senza considerare, poi, che la gravissima crisi economica sta sfaldando a vista d’occhio il blocco sociale che aveva nel 2008 consentito a Silvio Berlusconi , dopo solo 2 anni di assenza, di ritornare con tanto di squilli di tromba a Palazzo Chigi.
Non ci vuole molto a capire, prima che i sondaggi ne registrino l’entità, che ormai la maggioranza degli Italiani è persuasa che Silvio Berlusconi, invischiato in mille vicende giudiziarie ancora aperte, talune delle quali di gravissimo allarme sociale, incapace semplicemente di dare efficienza all’azione del suo esecutivo impedendo, perlomeno, scandalose ruberie in seno alla Protezione Civile, non possa più considerarsi una risorsa per il Paese ma una zavorra di cui liberarsi prima che sia troppo tardi, magari con nuove elezioni politiche.
Ma per farlo occorrono politici capaci di resistere alle sirene del consociativismo, anzi in grado di recidere qualsiasi legame con una classe politica che, tanto nel Pd che nel Pdl, è ormai impresentabile.
Su, Tonino, non ci sarebbe nulla di sconveniente in un ripensamento: mica stiamo parlando di una ripassatina!

domenica 4 ottobre 2009

Scudo fiscale: la Casta tutta sorregge Silvio Berlusconi

Il modo con cui gli ambienti del Quirinale si sono affrettati a giustificare l’immediata promulgazione del decreto legge che contiene le norme sullo scudo fiscale tradisce il grave imbarazzo di spiegare all’opinione pubblica il perché di un passaggio istituzionale così impopolare.
A fronte dei mille gravi rilievi di un provvedimento che, nonostante le migliori intenzioni, oggettivamente favorisce gli interessi della criminalità organizzata mentre fa a pugni con la nostra Costituzione, la risposta che discende dal Colle appare perlomeno insufficiente.
Basterebbe ascoltare l’intervista rilasciata dal magistrato Roberto Scarpinato, della DIA di Palermo, ai microfoni di RaiNews24, per farsene un’idea.
Sconcertano sia i cosiddetti motivi tecnici che avrebbero indotto il Capo dello Stato a non avere esitazioni nell’apporre la propria firma, sia l’argomentazione da questi espressa informalmente ad alcuni cittadini nel corso della visita di Stato in Basilicata, secondo cui, anche astenendosene in questa occasione, egli sarebbe stato comunque costretto a farlo successivamente, qualora le Camere avessero di nuovo licenziato lo stesso testo.
Ragionamento perlomeno bizzarro: è vero che il capo dello Stato non ha un diritto di veto sulle decisioni del Parlamento ma, per l’art. 74 della nostra Costituzione, "può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata".
Ritenere invece che, nel processo di formazione delle leggi, il Presidente della Repubblica sia solo un passacarte, questo sì è lesivo della sua dignità e delle sue prerogative.
Perciò, ha ancora una volta ragioni da vendere Antonio Di Pietro nel sostenere che, di fronte ad un provvedimento che sana comportamenti gravemente illeciti garantendo a coloro che se ne sono macchiati l’immunità e l’anonimato, Giorgio Napolitano avrebbe dovuto rinviare il testo di legge alle Camere, separando quindi la propria responsabilità formale da quella, politica, del Governo.
Così non è stato ma, in fondo, da questo presidente non ci si poteva attendere nulla di diverso. L’amara esperienza maturata dall’anno scorso con l’immediata promulgazione del lodo Alfano e, quest’anno, con il varo del pacchetto sicurezza, non lasciava adito a dubbi.
E’ convinzione da tempo maturata da alcuni osservatori che l’ex comunista Napolitano, nonostante il partito di Repubblica ne incensi quotidianamente l’opera, si collochi sul gradino più basso di un’ipotetica classifica degli inquilini del Quirinale. Il pur contestato Giovanni Leone, su cui si concentrarono a suo tempo sospetti e critiche anche ingenerose, fu almeno un fine giurista.

Ma, adesso, è tutta la Casta dei politici di Pdl, Lega, Udc e Pd ad essere messa sotto accusa.
La legge sullo scudo fiscale ha mostrato, inoppugnabilmente, l’assoluta inconsistenza dell’opposizione espressa dal Partito democratico: il decreto è passato con 270 sì contro 250 no.
Solo venti voti hanno, cioè, separato una maggioranza che sulla carta disponeva di ben altri numeri da una minoranza in cui si sono registrati addirittura 29 defezioni!
E non era una delle tante votazioni di commissione: il governo di centrodestra aveva posto la fiducia e, con l’eventuale bocciatura dello scudo fiscale, si sarebbe potuta sancire la fine dell’era berlusconiana e l’inizio di una stagione nuova per l’Italia.
Così non è stato, per colpa dei deputati di opposizione, 22 dei quali assenti tra le fila del Partito democratico.
Di fronte ad un passaggio istituzionale tanto delicato, che poteva rivelarsi storico, a nessuno doveva essere consentito di sottrarsi al solenne rito del voto; neppure per ordinari motivi di salute.
Infatti, l’unico motivo plausibile per cui chi rappresenta gli elettori può godere di una sin troppo sterminata serie di privilegi è forse proprio perché le sue sono specialissime funzioni, da esercitarsi anche in frangenti particolari.
E’ paradossale che mentre l’ineffabile ministro Brunetta escogita per i lavoratori italiani in malattia un istituto molto simile agli arresti domiciliari, i parlamentari si prendano il lusso di astenersi da una votazione importantissima, per la quale il Governo ha imposto persino il voto di fiducia, per motivi risibili: a causa di una banale febbriciattola o, peggio, per sottoporsi ad accertamenti clinici di routine o, peggio di peggio, per recarsi ad una conferenza.
Poche illusioni, è la Casta tutta a sorreggere il governo di Silvio Berlusconi.

domenica 26 luglio 2009

La legge sulla sicurezza, un'altra legge vergogna

La legge sulla sicurezza che è stata promulgata il 15 luglio dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è l’ulteriore passo in avanti di una democrazia malata, avviata verso la terra di nessuno dei regimi autoritari.
Non ci vuole una laurea in diritto per capire che sotto molti profili questa legge viene a collidere con alcuni principi della nostra carta costituzionale, primo tra tutti quello di uguaglianza.
Perché l’ingresso illegale del singolo straniero viene ipso facto considerato una fattispecie di reato, rendendo la semplice condizione di immigrato come sanzionabile penalmente: ovvero, lo stato di diritto viene fatto a pezzi.
Non si capisce come sia stato possibile per il presidente Napolitano, già promulgatore a tempo di record del famigerato lodo Alfano, scegliere la strada più inusuale ed impervia: quella di promulgare immediatamente la legge per poi disconoscerla a stretto giro di posta con la lettera inviata al premier Berlusconi in cui ne evidenzia ben nove punti di attrito con il nostro ordinamento.
In particolare, a proposito del reato di immigrazione clandestina il Capo dello Stato riconosce che "Allo stato esso apre la strada a effetti difficilmente prevedibili".
Ma un altro punto che risulta dirimente è quello delle ronde per il quale per Napolitano "appare urgente la definizione" di un decreto del Ministro dell’Interno che le disciplini in modo rigoroso.
Alla luce degli scontri verificatisi la notte scorsa a Massa tra ronde di destra e ronde di sinistra si capisce quanto il punto si presentasse da subito cruciale, anche ad una sola sommaria lettura del provvedimento. E quanto grave sia stata la sottovalutazione delle possibili conseguenze.
Lo stesso ex presidente della Consulta Valerio Onida, intervistato da Repubblica (1) , riconosce che "Certo la lettera colpisce per il numero e la qualità delle critiche che avrebbero potuto certamente motivare un rinvio. Mi pare che la scelta sia stata di non utilizzare il proprio potere di rinvio, più che per non ritardare l’entrata in vigore di alcune norme del pacchetto più largamente condivise (dubito che anche quelle contro la mafia rispondano a ragioni di urgenza), per non scontrarsi frontalmente con il governo e la sua maggioranza su un tema ritenuto caldo".
Ed alla giornalista Liana Milella che lo incalza ipotizzando una mossa politica del Colle, Valerio Onida così risponde: "Ognuno può apprezzare come vuole questa scelta, e tuttavia solo il presidente è arbitro del modo in cui intende esercitare la propria funzione di persuasione e di influenza".
Ecco, ci limitiamo ad eccepire che Napolitano ha esercitato, in questo frangente, la sua soggettivissima funzione di persuasione e di influenza in modo deludente.
Perché l’effetto complessivo del suo intervento, promulgazione immediata e invito al governo a riflettere sulle norme appena approvate, è di denunciare inevitabilmente la propria debolezza: come Don Abbondio, un vaso di coccio tra tanti vasi di ferro.
Se anche il Presidente della Repubblica denuncia l’impossibilità di arginare il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, a difesa dei principi generali dell’ordinamento e del sistema penale vigente, in un momento in cui la disapprovazione dell’opinione pubblica internazionale per la condotta pubblica e privata del Cavaliere è generale, non si capisce chi ci possa ancora riuscire.
Ha quindi ragioni da vendere Antonio Di Pietro quando esprime (2) "profondo dolore per la titubanza del presidente nell’affrontare i compiti che la Costituzione gli assegna".
Mentre è assolutamente irriguardosa e brutale la difesa d'ufficio che ne fa il Pd per voce di Anna Finocchiaro che attacca Di Pietro definendone la logica come quella del "tanto peggio tanto meglio".
E’ davvero incredibile che i Democratici siano scesi così in basso: a conferma di un totale stato confusionale in cui si trovano, arriva persino la dichiarazione dello "scaltro" Massimo D’Alema che attacca ciecamente Di Pietro per le critiche a Napolitano, rispolverando, non avendo probabilmente di meglio a disposizione, la solita solfa (ossessivamente ma sterilmente utilizzata anche contro Beppe Grillo) secondo la quale criticare la non-opposizione del Pd rafforza Berlusconi.
Incredibile ma vero, dice proprio così: "Da membro dell'opposizione trovo sinceramente che indirizzare un attacco in modo pretestuoso e anche volgare contro il capo dello Stato è un modo per aiutare il governo, ed il presidente del Consiglio, a sollevarsi dalle proprie responsabilità. Quindi spero che l'onorevole Di Pietro la smetta: vedo che anche nel suo movimento comincia a sorgere qualche dubbio e qualche riserva su questa condotta".
Ecco il vicolo cieco in cui la nomenklatura democratica ci ha infilato: che continua imperterrita a non fare il suo dovere ma se ti azzardi a criticarne la totale inconsistenza vieni denigrato e accusato di stare dalla parte del governo…
Insomma, hanno disconosciuto a rate tutta la loro storia, ma non rinunciano ai vecchi metodi di propaganda: del resto sono o non sono una nomenklatura?
(1) Repubblica 16/07/2009
(2) Repubblica, 18/07/2009

lunedì 25 maggio 2009

Nulla di scandaloso nel "respingimento" di questo Pd

La politica italiana è arrivata ad un livello di degrado intellettuale (quello morale è superato da tempo!), come probabilmente non si era mai verificato nella storia repubblicana.
Non si era mai vista tanta povertà di idee e una così forte omologazione nella proposta politica da parte dei due grandi contenitori politici, PD e PDL, che, riflessi l’uno nell’altro, per attirare le simpatie di coloro che ancora resistono a guardarli, hanno imboccato decisamente la strada del reality show, sicuri di replicarne le fortune.
Repubblica, lancia in resta, si spinge a rinnovare i fasti di Cronaca Vera, con le famose dieci domande al premier su Noemi e famiglia.
Per capire quale sia la potenza di fuoco messa in campo da questa corazzata editoriale, basta rendersi conto che ormai nei media nazionali da quattro giorni a questa parte non si parla di altro ed il centrosinistra si uniforma alla politica scandalistica del gruppo De Benedetti, rilanciando per bocca dei suoi dirigenti, il questionario di D’Avanzo & c.
Tutti gli altri grandi temi, dalla crisi economica sempre più grave alla questione ammortizzatori sociali, dalla giustizia in stato catatonico al nuovo sviluppo economico verde, dai tagli indecenti a scuola e università alla ricostruzione in Abruzzo ancora da progettare, tutto, ma proprio tutto, è sparito sotto i colpi dell’ultima intervista del quotidiano di piazza Indipendenza, udite udite, al personaggio del momento: l’ex ragazzo di Noemi...
Che Repubblica ieri gli abbia dedicato oltre la prima pagina ben due pagine interne con tanto di foto a colori e riproduzione della lettera che la ragazza gli scrisse prima di Natale, ci fa rabbrividire: alla faccia del giornalismo d’inchiesta, siamo caduti nella morbosità stile Cogne!
Certamente, nessuno può accusarci di essere stati mai morbidi con Silvio Berlusconi che, lo ribadiamo, non avrebbe mai dovuto salire a Palazzo Chigi se la nostra fosse stata una vera democrazia; perché le leggi, prima ancora di un’opposizione presentabile, glielo avrebbero dovuto impedire.
Ma questo è il paese in cui l’ex segretario del Partito democratico, Walter Veltroni appena acclamato vincitore delle primarie del 2007, tese la ciambella di salvataggio al Cavaliere, in caduta libera nei sondaggi e nel credito politico, dichiarando di volere concordare le riforme istituzionali proprio con lui, scaricando a stretto giro di stampa Prodi e i partiti della sua maggioranza e portando il Paese, inopinatamente, alle elezioni anticipate dopo appena 1 anno e mezzo di governo!
Questo è il paese in cui è tuttora in corso una durissima lotta di potere all’interno della casta dei politici, ma non in nome di principi costituzionali da salvaguardare o di interessi dei cittadini da difendere; unicamente allo scopo di una più ricca spartizione delle poltrone, un redde rationem tra potentati di varia matrice.
Il povero Dario Franceschini, che in questi mesi ha dimostrato di essere enormemente più abile di Veltroni, è suo malgrado espressione di quel gruppo dirigente che oggi si nasconde alle sue spalle: anzi trama nel dimenticatoio, nella prospettiva di un rilancio in grande stile.
Diverso sarebbe potuto essere il suo destino se sul suo nome si fosse coagulato un nuovo consenso nell’ambito di un congresso vero, che la nomenklatura non ha invece voluto celebrare, negandogli un mandato diverso.
Votare per il Partito democratico alla prossima tornata elettorale è, per l’elettore di centrosinistra, un po’ come gettarsi la zappa sui piedi: sai che soddisfazione a rivedere in primo piano i Fassino, D’Alema, Veltroni, Violante, Finocchiaro, i Bettini, cioè coloro che hanno permesso dopo pochi mesi a Silvio Berlusconi di tornare a Palazzo Chigi con le chiavi del portone!
Coloro che hanno tifato per la doppia scalata Bnl-Antonveneta e hanno favorito l’ostracismo contro Clementina Forleo e, contemporaneamente, contro Luigi de Magistris, titolare dell’inchiesta Why Not, colpevoli solo di aver fatto rispettare la legge.
Per fortuna i successivi pronunciamenti della magistratura ci hanno restituito adesso l’immagine specchiata e fulgida di questi due valorosi magistrati e la vergogna di una classe politica che ha scomodato il Csm pur di bloccarli.
Al procuratore di Salerno Luigi Apicella sono giunti persino a togliergli lo stipendio: un provvedimento del genere non sembra sia stato mai preso, neppure contro magistrati collusi con la mafia!
Eugenio Scalfari, maître à penser del Partito democratico, nel suo ultimo editoriale di ieri si dimentica di tutte queste vicende e, proprio come se non fosse successo niente, si ostina a pensare che il significato delle Europee andrà valutato attraverso la misura del distacco che ci sarà tra Partito democratico e Pdl.
Ci racconta la solita favoletta: elettori delusi del centrosinistra, se non volete rafforzare Silvio Berlusconi, votate Partito democratico!
Purtroppo per lui, è vero esattamente il contrario: è stato proprio il Partito democratico di Veltroni, quello che l’anno scorso perse clamorosamente raggiungendo il 33% dei voti, in questo primo anno di legislatura a lasciare campo libero a Silvio Berlusconi ed al suo enorme conflitto di interessi.
Soltanto indebolendo la stampella del Cavaliere, questo inguardabile Partito democratico, nonostante il recente make-up a cui lo ha sottoposto il bravo Franceschini, si potrà fare piazza pulita di un gruppo di potere che domina il centrosinistra da quasi vent’anni e che ha permesso all’uomo di Arcore di regnare per oltre un decennio e farsi con tutta tranquillità tante leggi ad personam ed, in ultimo, il lodo Alfano, vero buco nero della nostro assetto Costituzionale.
Accusare Di Pietro, delle cui ambiguità ideologiche certo noi non gli facciamo sconto, di spalleggiare il Cavaliere semplicemente perché critica le perplessità, cioè le vischiosità del PD, nell’opporvisi fieramente, è un’autentica castroneria!
Purtroppo Scalfari fa finta di non comprendere che il successo berlusconiano del 2008 è dipeso in misura soverchiante proprio dal fatto che la classe dirigente del Pd, rinnegate le proprie origini e la sua presunta diversità morale, abbia indossato gli stessi abiti dei lacchè di Berlusconi, diventandone troppo spesso una pessima controfigura, cioè mal destra.
Per sentire ancora una volta Piero Fassino ragionare come fanno Maroni e La Russa, beh è decisamente meglio cercarsi i propri rappresentanti altrove: magari nel variopinto arcipelago di sinistra o nelle liste civiche di Beppe Grillo; o proprio nell’Idv di Antonio Di Pietro, della cui fiera opposizione al Cavaliere gli va oggettivamente reso merito.
Un’opposizione che trova più congeniale rinfacciare a Silvio Berlusconi le sue burrascose vicende extraconiugali, piuttosto che affondare il coltello sulla scandalosa vicenda Mills o sulla gravità della situazione economica o, ancora, sui dissennati tagli alla spesa pubblica decisi da Tremonti, è destinata all’ennesimo naufragio.
Prendendo in prestito le parole di Fassino, per gli elettori di centrosinistra, non c’è niente di scandaloso nel respingimento di questo Pd. Anzi.

giovedì 15 gennaio 2009

Un governo senza opposizione: il frutto avvelenato del bipolarismo all'italiana

Nel salotto televisivo di Ballarò, dove sfila la politica prêt à porter, per intenderci quella che dopo due ore di trasmissione regala al telespettatore solo sbadigli grazie ad un paludoso chiacchiericcio in cui affondano tutti, in primis i temi della puntata, martedì sera era di scena il leader del Partito democratico, Walter Veltroni.
Sparita la surreale spocchia di qualche mese fa, quando si inorgogliva elencando le sconfitte patite come fossero sue grandi invenzioni, sembrava un cane bastonato: con la solita litania del 25 ottobre ha rivendicato con scarsa convinzione il grande successo dell’adunata del Circo Massimo ma, è stato subito chiaro che, oltre all’entusiasmo, era a corto di argomenti per giustificare una leadership ormai giunta al capolinea.
Il simpatico Maurizio Crozza, nella sua arguta copertina, è riuscito a rinfacciargli in poche battute quello che nessuno tra gli intervenuti ha saputo fare.
Lo stesso pacatissimo Ferruccio De Bortoli (con tutt’altra nonchalance rispetto alla furia esibita nello stesso salotto nell’autunno 2007 allorché incalzava minaccioso l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti), pur orchestrandogli a lungo una sviolinata quasi imbarazzante, dall’alto del suo atteggiamento protettivo, è stato comunque costretto a rivelargli, udite udite, che in Italia sembra non esserci un’opposizione.
Ma invece di andare a parare su problemi concreti, quelli quotidiani degli Italiani, la trasmissione si è andata inopinatamente ad infilare nel vicolo cieco delle alleanze del Pd, in particolare quella con l’Italia dei Valori di Antonio di Pietro.
Sul punto, tutti a fargli notare che quell’accordo elettorale è stato un grave errore, quasi Di Pietro, che della questione morale ha fatto una bandiera, fosse divenuto all'improvviso una cattiva compagnia.
Forse perché, di fronte ai tanti scandali che hanno visto coinvolti amministratori del Pd, parlare di questione morale a Veltroni è un po' come parlare di corda in casa dell’impiccato.
Sul punto, non a caso si è difeso dai rilievi del direttore di Panorama Belpietro, affermando che il Pd è meno peggio del Pdl: bella prova di orgoglio!
Purtroppo, il quadro politico italiano resta disperante: con un governo veramente modesto che, al massimo, sa gridare all’untore nei confronti degli immigrati ma, normalmente, non sa veramente dove sbattere la testa.
Diciamolo chiaramente: dopo sette messi di legislatura, la svolta economica del grande imprenditore si è rivelata un grande bluff.
La vicenda Cai – Alitalia oltre il danno (6 miliardi di euro??) aggiunge la beffa perché non salva neppure l’italianità della compagnia, ormai nell’orbita di Air France come titolano trionfalisticamente i giornali transalpini; è stata un ottimo affare solo per Colanino & c., finanziato obtorto collo dai contribuenti italiani.
La social card si è rivelata un mezzo boomerang per il grande creativo Giulio Tremonti e per i tanti malcapitati (sembra 200mila!) che si sono ritrovati alla cassa del supermercato dovendo lasciare lì i generi alimentari riposti nel carrello perché la tessera, nonostante tutti i requisiti di legge, non è mai stata caricata: neppure di quella miseria!
La crisi delle imprese si aggrava di giorno in giorno; l’occupazione crolla, gli stipendi non bastano più a coprire spesso neanche metà mese: ce n’è abbastanza per dipingere un quadro economico estremamente grave con un governo del tutto incapace di fronteggiarlo.
Sulla politica estera, poi, è meglio stendere un velo pietoso: il sostegno alla scelta del governo israeliano di bombardare Gaza è stato così cieco ed incondizionato da parte del ministro Frattini e di tutto il centrodestra che abbiamo dilapidato in poche settimane un inestimabile patrimonio di credibilità, frutto di un costante e attento lavoro diplomatico di oltre quarant’anni, che ci rendeva interlocutori privilegiati nel conflitto arabo-israeliano.
In un paese normale, a questo punto, l’opposizione alzerebbe la voce; in Italia, no, con un’oligarchia dentro il Partito democratico che pretende di capeggiare il grande malcontento popolare ma che, concretamente, è silenziosa e complice.
E’ questo il cosiddetto bipolarismo italiano, quello tanto vagheggiato da Walter Veltroni che, pur di realizzarlo a tambur battente, non ha esitato un attimo a sacrificare l’innovativa esperienza di governo di Romano Prodi.
L’unica cosa che ci ha regalato il bipolarismo Pd - Pdl è un frutto avvelenato: Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi che minaccia di fare scempio della Costituzione e del principio di divisione dei poteri ed un’opposizione penosamente in disarmo, che non si dà una mossa perché i suoi oligarchi sono convinti di restare conunque a galla.
Si può stare peggio di così?

martedì 9 dicembre 2008

Il Partito democratico va sempre più giù

Ennesima settimana di crisi della politica.
La casta sta affondando ma ha perso anche quel residuo amor proprio, servisse soltanto per risalire la crisi di consensi che la investe aggrappandosi, come un naufrago in un mare in tempesta, alle cime della crisi economica e così dimostrare agli Italiani che ancora serve a qualcosa.
Il governo del centrodestra naviga a vista, tagliando a destra ed a manca la spesa pubblica fino a quando qualcuno da Oltretevere non alza la voce e gli fa rimangiare di colpo il taglio alle scuole cattoliche con tante scuse.
La sua politica deflazionista accelera la crisi e non restituisce in termini di provvidenze sociali neppure una parte di quello che toglie dal bilancio dello Stato: la social card è uno strumento del tutto inadeguato per lenire le sofferenze delle tante famiglie in rosso già alla terza settimana.
Sono bastati pochi giorni dal suo strombazzato varo per capire che, anche sul piano economico, il governo è nudo.
D’altra parte, premere ancora sull’acceleratore dell'ordine pubblico, della sicurezza e della paura dell'immigrazione a due settimane da Natale, con lo shopping che langue, più che una buona idea apparirebbe agli occhi dei più una provocazione.
La riforma della giustizia? Da sempre l’obiettivo dichiarato del Cavaliere, dopo la legge incostituzionale sulle alte cariche, non è poi così impellente almeno fino a quando la Suprema Corte non si sarà pronunciata contro. Diciamo così, il governo sta aspettando Natale…
E l’opposizione? Quale opposizione?
L’intervista di Veltroni a Repubblica della settimana scorsa dimostra che il vertice del Partito democratico ha perso il polso della situazione, non riuscendo neppure a capire cosa stia succedendo in casa propria, figuriamoci ad immedesimarsi nei guai che affliggono gli Italiani: l'odierno sondaggio Ipr per Repubblica.it lo dà in caduta libera di oltre 5 punti percentuali.
Più precisamente, l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro svetta al 7,8% mentre il Partito democratico accusa un crollo sulle Politiche di primavera del 5,7%!
Morale: quando l’opposizione la si pratica quotidianamente, la gente se ne accorge e premia i politici volenterosi; al contrario, quando ci si tira i piatti da pranzo, come fanno Walter Veltroni e Massimo D’Alema, semplicemente per decidere quale sia il modo migliore di non fare opposizione, ecco che anche lì il verdetto popolare cade giù duro come una tegola.
L’impareggiabile coppia Veltroni - D’Alema è riuscita a superarsi facendo addirittura guadagnare al Pdl altri due punti percentuali rispetto alla primavera scorsa, nonostante l’azione di governo sia stata in questi mesi decisamente mediocre: complimenti!
L’altra sera, nel salotto di Fabio Fazio, c’era il fondatore di Tiscali, Renato Soru, che rivendicava la sua coerenza nelle scelte fatte come governatore Pd della Sardegna; scelte che lo hanno costretto alle dimissioni quando si è visto mancare l’appoggio proprio degli esponenti regionali del suo partito.
Il suo parlare schietto, senza fronzoli, che richiama valori antichi ma di grande modernità, come l’impegno personale per la sua terra, l’ottimismo della volontà e del sacrificio contro i compromessi al ribasso, una idea alta della politica, hanno finito per sfiorare corde nell’animo di molti simpatizzanti del Pd che la politica di questi anni dei vari Fassino, Veltroni, D’Alema, Bettini, Rutelli aveva fatto completamente dimenticare.
Il richiamo all’ambiente, al rispetto che dobbiamo alle future generazioni per non lasciare loro un mondo invivibile, alla cultura del lavoro e del risparmio contro gli irresponsabili inviti all’ottimismo dei consumi, ha messo in luce un uomo politico che dimostra una sincera avversione per i riti della casta e che è in sorprendente, quasi inconsapevole, sintonia con ampi settori della società civile.
Ci domandiamo: nella crisi abissale in cui versa il Pd, crisi di identità, di strategia ma soprattutto di etica (come confermano le numerose inchieste in corso sulla sinistra d'affari), cosa impedisce alla leadership democratica di lasciare subito il testimone a uomini nuovi come Renato Soru?

martedì 18 novembre 2008

E non se ne vogliono andare...

Sono mesi che lo ripetiamo. Ma dopo l’ennesima settimana di bufera, il destino del Partito democratico sembra segnato insieme alla sua leadership, in perenne difficoltà anche su questioni apparentemente di ordinaria amministrazione, quale può essere la nomina del presidente di una commissione parlamentare.
Stretto tra l’incudine del governo di centrodestra ed il martello dell’Italia dei Valori, Walter Veltroni sembra l’unico vero vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro.
Purtroppo i vasi di ferro stanno anche dentro il suo partito, per cui quella da lui ingaggiata è una lotta impari: l’assalto alla sua leadership è frutto di una strategia convergente della maggioranza berlusconiana, disposta persino a contendere all’avversario scampoli di potere che per prassi costituzionale andrebbero lasciati all’opposizione giusto per ribadire la propria soverchiante superiorità, e di settori influenti del suo stesso partito, che agendo dietro le quinte ed in tutta calma, stanno preparandogli da settimane il benservito.
E’ in atto una specie di tiro al piccione in cui si cimentano indistintamente un po’ tutti. E’ in questo clima torbido che si possono concepire le teppistiche parole rivolte a Walter Veltroni dal capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, e che confermano una volta di più lo scadimento della nostra vita politica.
Non si capisce a cosa ancora si debba assistere prima che la casta si renda finalmente conto di quale abisso la separi ormai dalla società civile e quanto discredito si porti dietro.
La querelle sulla nomina del presidente della commissione di vigilanza Rai, Riccardo Villari, non solo è emblematica di tale involuzione ma ne rappresenta in modo paradossale un limite quasi invalicabile.
Un senatore del Pd viene eletto con i voti della maggioranza di governo, tanto per fare un dispetto a Veltroni e per sottolineare l’assoluta indisponibilità alla candidatura dell’esponente dell’Italia dei Valori, Leoluca Orlando. Nome sul quale Veltroni, suo malgrado, non è disposto a cedere, pena l’essere travolto dal martello pneumatico Antonio di Pietro.
L’epilogo è noto: in questo braccio di ferro il leader del Pd ha finito nuovamente per soccombere, maramaldeggiato finanche dal suo senatore che, da bravo ex democristiano, non solo non è intenzionato a dimettersi, come gli è stato poco pacatamente intimato, ma adesso vuole pure ritagliarsi il ruolo di uomo-cerniera, lasciando intendere che, sospinto sulla ribalta chissà come, non rinuncerà tanto facilmente al suo momento di celebrità.
L’ennesima Caporetto per Walter Veltroni che si trova così nella scomodissima posizione di dover spiegare ai propri sostenitori, al di là di tutte le liturgie e i giochi della politica, come sia possibile che Villari abbia le carte in regola per diventare addirittura senatore del partito democratico (visto che il suo nome è passato certamente al vaglio di Veltroni prima di essere inserito nella lista bloccata per le politiche della primavera scorsa) ma non abbastanza da insediarsi alla presidenza di una commissione parlamentare.
In ogni caso, il gran rifiuto di Villari, dimostra inequivocabilmente che dentro il Pd ognuno va ormai per conto suo e che il segretario ha completamente perso il controllo della situazione.
Insomma, il centrodestra, trovando una insperata sponda proprio all’interno dei democratici, è riuscito a piazzare l’ennesima botta vincente mettendo un’altra volta fuori gioco il suo avversario che, a questo punto, non sa veramente contro chi combattere, sempre più in minoranza anche tra i suoi.
Ma se Sparta piange, Atene non ride: se qualcuno tira in ballo i dalemiani come ideatori dell'ennesimo sgambetto a Veltroni, gli va ricordato che in questo gioco al massacro nessuno ci guadagna all’interno del Pd, neppure l’odiato amico Massimo D’Alema.
Certo non è bello vedere il suo braccio destro, Nicola Latorre, fare l'occulto suggeritore, in un dibattito televisivo sull’argomento, di Italo Bocchino del Pdl mentre questo interloquisce con un esponente dell’Italia dei Valori, come ha svelato incredibilmente la trasmissione di Antonio Ricci Striscia la Notizia.
Sembrano proprio tornati i tempi della doppia scalata illecita Bnl-Unipol e Antonveneta-Bpi, quando i due poli a chiacchiere se ne davano di santa ragione ma nei fatti erano sorprendentemente concilianti.
Una insopportabile cappa di inciucio che ancor oggi non si riesce a diradare e che continua a celare la prima vera emergenza nazionale: l'irrisolta questione morale.
E’ evidente che la soluzione alla crisi dei Democratici non passa per l’avvicendamento al vertice tra Veltroni e D’Alema: entrambi appartengono ad una stagione politica ormai irrimediabilmente chiusa e rivelatasi fallimentare per la sinistra italiana.
Fanno finta di non capirlo ma è chiaro che il loro vuoto antagonismo sta diventando un problema per il Paese.
E’ l’Italia che ci rimette: con una sinistra fuori dal Parlamento, un’opposizione tenuta in piedi dal solo volenteroso Di Pietro, un pessimo governo messo nelle condizioni di fare tutto quello che vuole (tranne quello che di questi tempi sarebbe necessario per ridare fiato all’economia), gli Italiani rischiano di passarsela sempre peggio.
Finiranno per rimpiangere Prodi… se già non hanno cominciato!

giovedì 23 ottobre 2008

Che tempo che fa: previsioni politiche per il 25 ottobre

Walter Veltroni non finirà mai di sorprenderci.
Messo alle corde da sondaggi, fronda interna, sinistra extraparlamentare, dipietristi e da tutti coloro che hanno ancora a cuore le sorti di una democrazia che versa purtroppo in stato comatoso, domenica scorsa è riuscito a mettere a segno uno di quei colpi che definire politicamente scorretto è quasi eufemistico.
Nel talk show di RaiTre, Che tempo che fa, una volta tanto mostrandosi meno contratto del solito (forse perché calcava una ribalta amica), all’improvviso col sorriso sulle labbra ha comunicato urbi et orbi che l’alleanza con l’Italia dei Valori è finita, perché, rivolgendosi a Fabio Fazio, "Prenda il tema che abbiamo appena affrontato, cioè la capacità del nostro paese di integrare. Chieda a Di Pietro opinioni su questo e troverà delle cose molto lontane dall’alfabeto della cultura democratica del centrosinistra".
Sconfessa quindi con la massima disinvoltura l’unica alleanza che aveva stretto in vista delle elezioni del 13-14 aprile, dopo aver concorso alla caduta del governo Prodi e successivamente abbandonato qualsiasi ipotesi d’intesa elettorale con la sinistra di Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio.
Una scelta sconsiderata che, allora, costò alla Sinistra italiana la sconfitta elettorale più sonora dai tempi della Resistenza e che, ripetuta adesso contro Di Pietro, boicotta la sola efficace opposizione al governo autoritario di Silvio Berlusconi.
E’ assurdo, che in un momento difficile come questo, si chiuda la porta in faccia proprio all’unico politico che in questi mesi abbia cercato di difendere la democrazia materiale opponendosi ai continui strappi costituzionali del governo di centrodestra, nonostante si conoscano da sempre le sue chiusure ideologiche (ma Follini e Casini, per caso, sono più illuminati?).
Invece di riconoscergliene merito Veltroni lo congeda bruscamente, guarda caso, a meno di una settimana dalla manifestazione del 25 ottobre in cui i partecipanti sono, a questo punto, avvisati.
Perché vengono chiamati da Veltroni a sfilare non tanto per protestare contro un pessimo governo ma per manifestare il loro appoggio incondizionato alla sua leadership traballante.
Bene fa Di Pietro a rispondergli per le rime, dandogli del collaborazionista, ed a non tirarsi indietro prendendo parte a pieno titolo alla manifestazione di sabato prossimo.
Le cronache dimostreranno quale maggior credito susciti nell’opinione pubblica di sinistra l’ex magistrato di Mani Pulite nella sua lotta coraggiosa al malaffare che continua anche adesso stando in Parlamento, rispetto all’ex rampollo del vecchio Partito Comunista Italiano che, dopo aver dichiarato candidamente, tempo addietro, di non essere mai stato comunista, adesso si appresta a stringere una pericolosa alleanza elettorale con l’Udc di Totò Cuffaro.
Simbolicamente, nello studio virtuale di Fabio Fazio, evidentemente il luogo meno indicato per consumare una rottura politica così traumatica e foriera di cattivi presagi, Walter Veltroni, ha definitivamente messo sotto le scarpe la questione morale, vecchio cavallo di battaglia di un grande Italiano come Enrico Berlinguer.
Preferire l’Udc di Totò Cuffaro all’Italia dei Valori è la conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che per l’ex sindaco di Roma, quello che conta è trovare a tutti i costi l’accordo con il Cavaliere, al cui raggiungimento è legato indissolubilmente il suo destino politico.
Ecco perchè la giornata del 25 ottobre segnerà, a dispetto delle intenzioni dell’impareggiabile Walter, un punto di svolta nella politica italiana: ci dirà se Veltroni è ancora in grado di fare il capo dell’opposizione e se Di Pietro è in grado di eroderne una cospicua fetta di consensi.
Di sicuro, chi sfilerà al Circo Massimo si troverà, suo malgrado, a dover dirimere una lite tra due separati in casa, piuttosto che testimoniare pubblicamente il suo netto dissenso al disegno reazionario di un governo che sta irresponsabilmente soffiando sul fuoco del malcontento sociale.
Un manifestazione concepita a tavolino oltre tre mesi fa da un leader politico in caduta libera e che adesso si trova, paradossalmente, proiettato dagli eventi a capeggiare la protesta studentesca, magari soltanto per ottenere il lasciapassare che gli consenta di varcare i cancelli di Palazzo Chigi e costringere l’uomo di Arcore ad accettarlo come suo interlocutore privilegiato.
D’altra parte che le ragioni di studenti, docenti e famiglie nei confronti della controriforma Gelmini non possano essere rappresentate coerentemente da chi manda i propri figli a studiare in America è tanto evidente da non valere la pena neppure di spenderci una sola parola in più.
Si capisce a questo punto come sarà difficile cogliere il reale significato di questa giornata di mobilitazione che si preannuncia carica di aspettative da parte del popolo insofferente ai diktat berlusconiani ma che rischia, proprio per questo, di trasformarsi, in una terribile delusione quanto a conseguenze.
Perché una cosa è certa: l’eventuale rilancio della leadership di Walter Veltroni grazie al bagno di folla del Circo Massimo finirebbe proprio per riproporre quel progetto di larghe intese e, paradossalmente, rafforzerebbe, proprio il suo avversario putativo: Silvio Berlusconi.
A meno che tra i due finti litiganti, Antonio Di Pietro non colga, in questa occasione, un buon successo personale; nel qual caso, le cose all’interno dell’opposizione andrebbero completamente riviste.

mercoledì 30 luglio 2008

Dallo strappo costituzionale alla prospettiva di un durissimo inverno

Ormai la stampa non ne parla quasi più, ma la legge sull’immunità delle alte cariche resta il buco nero della nostra democrazia. A questo non possiamo rassegnarci, anche se è passata già una settimana.
Perché l’errore più grave è ritenere che si debba rimanere con le mani in mano, magari aspettando il prossimo strappo costituzionale.
Al contrario, occorre percorrere tutte le strade che il nostro ordinamento giuridico prevede per ripristinare l’agibilità costituzionale. In questo riteniamo che anche la via referendaria debba essere battuta pur di sanare la ferita prodotta alla nostra democrazia. Tuttavia, la consideriamo la soluzione estrema, qualora la Consulta, speriamo presto, non azzeri tutto.
Ciò perché di fronte all’incostituzionalità di una legge, neppure la volontà popolare può fare molto: l’eventuale abrogazione con il referendum non è la via maestra; anche perché, con questo clima e questa opposizione, l’esito referendario è tutt’altro che scontato.
Abbiamo un Pd che naviga a vista, avendo perso completamente la bussola.
Soffre la concorrenza di Antonio Di Pietro ma non è in grado di abbozzare alcuna reazione strategica; l’impareggiabile Walter Veltroni ha addirittura il coraggio di giustificare la sciagurata scelta elettorale dei democratici di correre da soli, cinque mesi fa, con le attuali conclusioni del congresso di Rifondazione Comunista che ha visto prevalere Paolo Ferrero: "Auguri a Ferrero, ma oggi si capisce meglio la bontà della scelta di andare liberi, della vocazione maggioritaria del Pd"(1).
Una facile via di fuga dalle proprie responsabilità ma, soprattutto, un grossolano errore di interpretazione politica, perché è chiaro che è stata proprio la scelta isolazionista del Pd che ha spinto Rifondazione comunista verso posizioni più movimentiste, lontane da intese con i democratici.
In altri termini, la sconfitta dell’ala bertinottiana facente capo a Nichi Vendola è dipesa proprio dalla politica fratricida di Veltroni che, invece di fare il gioco di sponda con il vecchio gruppo dirigente di Rifondazione, aiutandolo a consolidarne la disponibilità a future alleanze di governo, ha costretto quel partito a rinchiudersi nel proprio recinto culturale recuperando integralmente la sua identità originaria, lontano dal Palazzo e più vicino alla società.
Fra l’altro, non è detto che questo sia un male per la Sinistra italiana e forse ha ragione il neo segretario Paolo Ferrero quando all’accusa di Veltroni di essere un’estremista risponde facilmente: "E’ una critica sbagliata. Rifiuto l’immagine di una Rifondazione settaria e che si arrocca. Il punto è un nodo drammatico da sciogliere, che del resto anche il Pd ha di fronte: la grande crescita del disagio sociale. Secondo noi, o la sinistra rilancia un conflitto di classe oppure si scatena la guerra fra i poveri. E’ estremismo questo?" (2).
Fatto sta che adesso il Pd si trova tra l’incudine della difesa della legalità costituzionale dell’Italia dei Valori e il martello delle rivendicazioni sociali caldeggiate da Rifondazione Comunista; una posizione scomodissima, di grave debolezza che, per di più, non tiene al riparo il suo gruppo dirigente neppure dagli attacchi ricorrenti di Silvio Berlusconi e del Pdl.
Un vicolo cieco, purtroppo, in cui il vertice ha ficcato il Partito democratico senza sapere più come uscirne.
Paradossalmente, la ciambella di salvataggio all’annaspante Veltroni gliela può lanciare soltanto il Cavaliere che, tuttavia, non ha alcun interesse a farlo ora, preferendo per il momento temporeggiare, giocando con lui come il gatto fa con il topolino.
Per Berlusconi, l’apertura di un dialogo con Veltroni verrà facile quando, per il prevedibile aggravamento della situazione economico-sociale del nostro Paese, i cui segni saranno difficilmente occultabili a partire dal prossimo durissimo inverno, vorrà condividerne il peso delle responsabilità.
Uno scenario che, quindi anche sul piano politico, si presenta negativo per il Paese.
Prepariamoci, sin da queste calde giornate estive, a stringere prossimamente ancor di più la cinghia mentre la Casta si girerà a guardare da un’altra parte…
(1): la Repubblica 29/07/08, "Il day after di Rifondazione...", pag. 6
(2): la Repubblica 29/07/08, "Ferrero: 'Ma quale deriva ...' ", pag. 7

domenica 20 luglio 2008

Berlusconismo e Veltronismo, facce di una stessa medaglia

Al traguardo delle ferie estive, la politica italiana non ne vuole sapere di riprendere un minimo di efficienza e di credibilità dopo mesi di colpevole inerzia a discutere delle urgenze giudiziarie del Cavaliere.
Né i mass media tentano di scuoterla in qualche modo: ascoltare i notiziari della Casta ormai supera l’umana resistenza.
Il solito pastone insipido a cui non ci si riesce ad abituare nonostante sia scodellato più volte al giorno da tutte le reti del duopolio.
Dal Palazzo non arriva mai uno sprazzo di luce, mai una dichiarazione di intenti che apra alla speranza di un autunno un po’ meno fosco, fosse anche un piano dei cento giorni che valga la pena di essere raccontato.
Niente di niente: siamo imballati sul lodo Alfano che potrebbe diventare, se approvato, il buco nero del nostro assetto costituzionale e risucchiare via ogni residua parvenza di democrazia e legalità.
E poi, i soliti attacchi sconsiderati alla magistratura ed al suo organo di autogoverno, colpevoli di voler fare rispettare per dovere d’ufficio la legge.
Infine, il nuovo scandalo della sanità in Abruzzo con gli arresti del governatore Ottaviano Del Turco.

Tutti adesso a strapparsi le vesti in suo favore, in primis Silvio Berlusconi che si fa garante della sicurezza della Casta attaccando per l’ennesima volta le toghe. Abbiamo un capogruppo al Senato del partito di governo che definisce cloaca il Csm, salvo poi precisare che non intendeva riferirsi né agli uomini né all’istituzione.

Ma i mass media, dopo aver dovuto riportare l’episodio, vi hanno fatto scendere subito dopo la sordina. Al contrario di come, soltanto qualche giorno fa, si sono comportati con la manifestazione dell’8 luglio, in cui si sono cimentati in dotte e sprezzanti discussioni sul turpiloquio usato in piazza Navona, con la Guzzanti, Travaglio e Grillo.
Spazzatura l’ha definita Berlusconi e pure il regista Nanni Moretti, ormai in piena crisi d’identità (i suoi ultimi film lo documentano!), si è accodato dietro il Cavaliere.

Secondo il regista di Palombella Rossa questa bellissima manifestazione avrebbe sporcato la storia dei girotondi del 2002 di cui egli fu uno dei protagonisti: affermazione che suona talmente insulsa da non meritare il minimo commento.
Purtroppo sulla scena pubblica resta ancora di incredibile attualità la questione morale, già inutilmente denunciata 25 anni fa da Enrico Berlinguer.

Gli ultimi eventi di malapolitica confermano ancora una volta che se l’Italia non riesce in fretta a estirpare questo bubbone purulento, rischia il totale dissesto non solo economico ma sociale.

Infatti, il pizzo che viene fatto pagare, nelle più disparate forme, ad ogni nuova iniziativa economica che spunti miracolosamente all’orizzonte azzera qualsiasi prospettiva di crescita per il nostro Paese.
La fotografia più fedele di questo deprecabile stato di cose ci viene offerta proprio dai nostri alleati americani che, nello sconfessato kit di documenti distribuito per il G8 tenuto in Giappone ai giornalisti americani al seguito del Presidente Bush, riportano testualmente: “Il premier italiano è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio”.
Ma in Italia, salvo Di Pietro ed il popolo di piazza Navona, di questione morale nessuno vuole sentir parlare, né a destra né tra i democratici.
Al contrario, il Pd sta accelerando il passo per completare il processo di sua completa omologazione ai gusti del Cavaliere: al punto in cui siamo, non c’è da meravigliarsi se in un futuro non lontano i veltroniani possano confluire nel Pdl.
Infatti, se Berlusconi resta ancora un interlocutore autorevole per ridisegnare lo Stato va da sé che criticarne il suo governo nella gestione degli affari correnti risulta molto, molto difficile.
L’assimilazione tra Pdl e Pd, grazie alla segreteria di Veltroni, è tale che persino la rodata redazione del TG1 ha difficoltà a confezionare i famosi panini: su qualsiasi argomento, maggioranza, governo e opposizione dicono essenzialmente le stesse cose e, nonostante tanta buona volontà, la pagina politica del TG1 riesce proprio indigesta perché, più che un collage di punti di vista diversi, si presenta come una insensata liturgia.
Se però un merito va attribuito a Walter Veltroni è quello di tentare di animarla: sue le più originali uscite dell’ultim’ora. Ne segnaliamo due:
"Berlusconi c'e' ma il berlusconismo e' finito, non e' piu' in grado di dare risposte alla crisi dell'Italia" (1);
"Lo dico alla Lega, se si vuole proseguire con il federalismo bisogna evitare commistioni indebite con una riforma della giustizia che favorisce pochi cittadini"
: ovvero, l’ennesimo ultimatum, questa volta rivolto alla Lega Nord.
Non sapendo più a che santo votarsi per uscire dal vicolo cieco in cui si è ficcato, l’ex sindaco di Roma adesso punta sulla Lega: ma, soltanto una settimana fa, aveva rotto definitivamente con l’Italia dei Valori di Di Pietro.
Di una cosa, però, siamo convinti: se un giorno il berlusconismo finirà (che sia già finito non ne siamo tanto convinti!), si porterà via anche la sua immagine speculare, cioè il veltronismo.
Sì perché il veltronismo può esistere solo in presenza del berlusconismo.
Cosa sia il berlusconismo lo lasciamo spiegare all’impareggiabile Walter che dà, però, spesso la sensazione di parlarne più per sentito dire che con cognizione di causa: come se quello che ha combinato Berlusconi in questi mesi, a partire dalla giustizia, non lo abbia coinvolto più di tanto.
Quello che è invece il veltronismo lo diciamo noi: è l’ideologia del potere deideologizzato, cioè di un ceto politico che pretende di sovrintendere i processi di cambiamento sociale senza governarli ma semplicemente assecondandoli, lasciando campo aperto agli animal spirits dell’economia.
In nome di un malinteso senso dell’innovazione tecnologica e del progresso, essi vengono lasciati operare senza frapporre loro ostacoli, salvo quello di lasciare alla Casta la prerogativa di ratificarne le decisioni nelle sedi istituzionalmente deputate.
Il ceto politico, cioè, serve a certificare come democratiche, decisioni prese fuori dalle aule parlamentari. E’ il catering politico così lucidamente descritto dallo scrittore Antonio Tabucchi.
Il ruolo dei partiti, la loro organizzazione, il dibattito interno vengono sviliti, sacrificati sull’altare degli equilibri concordati dagli apparati dirigenti, che trovano la loro legittimazione non nel consenso delle masse ma in accordi formulati dalle consorterie di partito e nella visibilità mediatica che da ciò ne deriva.
Il politico può perdere tutte le elezioni possibili e immaginabili ma non per questo perde autorità e, dunque, autorevolezza nel partito.
Lo si capisce benissimo nel caso di Walter Veltroni: in meno di nove mesi ha perso tutte le scommesse politiche formulate ma non per questo si mette in discussione, consapevole che per mettere in crisi la sua leadership c’è bisogno di ben altro che di un dissenso interno, sia pure organizzato. Occorre un vero e proprio ribaltone nel gruppo dirigente del Pd che, per come questo è stato allestito, non può tecnicamente avvenire.
Né deve temere l’improvviso apparire di un outsider perché il partito è abbastanza destrutturato da vivere solo sotto la spinta di cordate, le cosiddette correnti, e non per l’impulso spontaneo di nuovi fermenti culturali o di istanze provenienti dalla sua base elettorale.
Stesso discorso, naturalmente, vale per il suo tradizionale rivale, Massimo D’Alema, sempre e comunque col vento in poppa, malgrado anch’egli vanti una serie di sconfitte niente affatto secondarie.
Ecco che il veltronismo, coltivando l’antiideologismo fino al punto da farne una vera e propria filosofia, è per sua natura votato alla trattativa ad oltranza con il governo delle destre alla cui politica si lega indissolubilmente: la tentazione del compromesso, l’inciucio, è sempre dietro l’angolo.
Ma Berlusconi non ha alcun interesse di intavolare subito una trattativa con l’opposizione, tanto più che è consapevole di poterselo sempre permettere dato che il veltronismo non ha altre vie d’uscita. Di qui la sua tattica del bastone e carota: un giorno sembra accomodante ma il giorno successivo, maramaldeggiando il povero Walter, dichiara che tirerà dritto.
Questo tira e molla sta logorando il segretario del Pd che appare ormai un leader bollito da un estenuante stop and go: fa l’ennesima apertura di credito al Cavaliere ma, alla conseguente bordata berlusconiana contro tutto e tutti, è costretto addirittura ad innescare la retromarcia.
Dal 13 aprile non si contano più le volte in cui ciò si è verificato: siamo al paradosso che le ultime dichiarazioni di Veltroni sono un continuo replay di cose già dette e suscitano negli osservatori politici ormai solo sbadigli.
Come il Pd, in queste condizioni, possa evitare l’implosione è davvero difficile spiegarlo.

venerdì 11 luglio 2008

L'8 luglio e il patetico ultimatum di Veltroni a Di Pietro

Casta e mass media stanno cercando in tutti i modi di azzerare il significato dell’8 luglio, giorno in cui, a due mesi dall’insediamento del governo di destra, si è avuta la prima vera risposta di sdegno della società civile contro il kit di leggi vergogna approntato in un battibaleno dalla squadra di Berlusconi.
E’ stata una giornata di passione e fervore popolare, interpretata secondo varie sensibilità e differenti stili comunicativi, ma tutti uniti nel denunciare e condannare lo strappo costituzionale che si sta consumando.
L’obiettivo di far salire verso il Palazzo un vibrato no alle leggi, anticostituzionali piuttosto che incostituzionali, di Silvio Berlusconi è stato netto e chiaro e può ritenersi ampiamente raggiunto.
Ha fatto da sfondo all’evento una piazza Navona gremita all’inverosimile fino a sera inoltrata, in un tripudio di slogan, striscioni colorati, bandiere e battimani spontanei di una folla che, nella sua eterogeneità, si è ritrovata accomunata da un bisogno alto: quello di difesa della legalità e di fedeltà alla carta costituzionale.

E’ chiaro, che lontano da ogni ipocrisia, nella giornata in cui si esprimeva un perentorio no alla politica di Berlusconi non poteva essere steso un velo, neppure pietoso, sul modo disastroso in cui è stata condotta finora l’opposizione: qui la bocciatura di Walter Veltroni e del suo gruppo dirigente è stata altrettanto inappellabile.
Non ci voleva l’intervento di Beppe Grillo o quello di Marco Travaglio, applauditissimi, a capire che se Berlusconi è il primo responsabile di questo tristissimo stato di cose, una buona parte di responsabilità la porta proprio chi, in un Parlamento praticamente divenuto bipartitico, non ha svolto e continua a non svolgere quel ruolo di critica serrata e di opposizione autentica e trasparente che un sistema elettorale nato da una legge porcata gli imporrebbe di fare.
Dalle dichiarazioni del leader del PD di critica durissima alla manifestazione organizzata dai girotondi e dall’Italia dei Valori si comprende, al di là delle apparenze, il motivo vero della sua assenza: senza le stringenti e ferree consegne di un agguerrito servizio di vigilanza ed una claque opportunamente organizzata, Walter Veltroni avrebbe rischiato scendendo in piazza di ricevere soltanto sonore bordate di fischi.
Ma un leader dell’opposizione che teme il confronto aperto con la piazza che manifesta contro il governo in carica (beninteso una piazza speciale, non di estremisti, ma di gente pacifica e perbene che si mobilita non per protestare giustamente contro il carovita o per qualche rivendicazione corporativa, ma semplicemente in difesa della Costituzione), si autocertifica quale leader senza qualità, oscuro portavoce del Palazzo.
Quanto poi al tentativo di ripararsi dietro la figura del Capo dello Stato per ridimensionare il grandissimo valore politico di una manifestazione in difesa della Costituzione, esso è malamente naufragato: ieri, tutti i principali organi di informazione non parlavano d’altro ma bastava andare in giro per le mille piazze d’Italia per sentire ancora intatta l’eco di una soddisfazione malcelata che accomuna trasversalmente settori sociali molto differenti.
D’altronde, solo in una teocrazia criticare il Capo dello Stato è da ritenersi una bestemmia; in ogni paese normale, vagliarne e persino criticarne l’operato magari accostandone la figura ai suoi predecessori, come Pertini, Scalfaro, Ciampi, può essere un esercizio addirittura necessario.
Ma la Casta pur di difendere se stessa è disposta a tutto, anche a fare dell’anziano presidente Giorgio Napolitano l’agnello sacrificale, invocando il peccato di lesa maestà: ecco cos’è la vera antipolitica, non quella di Beppe Grillo o dei girotondini!
Ed è banalmente un mezzuccio ridurre il tutto ad una questione di turpiloquio: di ciò rispondono personalmente i singoli protagonisti di quella serata, senza sfiorare neppure lontanamente la sostanza politica della protesta, civilissima e meritoria.
Prendere le distanze dalle manifestazione, concentrandosi su alcune battute di Sabina Guzzanti, Beppe Grillo e Marco Travaglio, che peraltro danno sfogo a sentimenti non minoritari tra la gente, è un meschino escamotage per nascondere le gravi colpe di una classe politica, rinchiusa nei propri privilegi, sorda e distante anni luce dalla piazza.

Perché martedì in piazza Navona erano rappresentate due Italie.
Il convitato di pietra, l’Italia berlusconiana, quella che fa quello che vuole e non risponde a nessuno se non a se stessa; e la società civile che, pur nelle sue contraddizioni, è pronta e leale al richiamo dei valori costituzionali.
Quest’Italia non solo è vivamente preoccupata per la brutta piega che stanno prendendo gli eventi ma si mostra decisamente irritata con chi, dall’opposizione, non sta facendo affatto il suo dovere.
Altro spazio politico, di fronte alla straordinarietà della sfida berlusconiana, non ce n’è!
Ascoltare, quindi, lo sconfitto Veltroni lanciare una sorta di ultimatum nei confronti di Antonio Di Pietro getta tutti nello sconforto più assoluto: nessuna consapevolezza della propria inadeguatezza, non un briciolo di autocritica, non un minimo di pudore rispetto al patatrac a cui ha costretto l’Italia intera!
Il delirio di onnipotenza lo perseguita (1): "Ora di Pietro scelga e decida con chi sta: se è con Grillo e Travaglio, con la piazza che insulta lo dica, se invece decida di stare in un’area riformista prenda l’impegno conseguente e metta fine a manifestazioni come quella di piazza Navona". Ed ancora: “Sentire quella caterva di insulti a tutto e a tutti mi ha fatto molto male mentre Berlusconi ha goduto, la sceneggiatura sembrava scritta da lui. Se avessimo portato in piazza il Pd oggi saremmo un cumulo di macerie”.
Ma come si fa a dire cose simili, persino rivendicando una qualche lungimiranza, quando egli in meno di sei mesi ha portato la politica italiana a Caporetto!
Adesso taglia i ponti anche con l’alleato Di Pietro, che lo sta surclassando non per qualità del proprio progetto politico ma semplicemente perché dimostra dignità ed onestà intellettuale con i propri elettori.
Ormai l’ex sindaco di Roma è riuscito a compiere un vero capolavoro: di isolare il Pd al punto tale da fargli rompere i rapporti persino con l’alleato dell’ultim’ora!

Di questo passo, rischia di litigare anche con se stesso. Perché solo con Silvio Berlusconi gli riesce di parlare pacatamente, serenamente; con gli altri invece usa toni sempre minacciosi e ultimativi.
La dimostrazione è che, di fronte al diluvio di iniziative ad personam del governo di destra, l’impareggiabile Walter abbia pensato prima di raccogliere le famose 5 milioni di firme (ma forse qualcuno lo convincerà a soprassedere…) e poi di organizzare una giornata di protesta, fissandola tra più di tre mesi: addirittura per il 25 ottobre!
Sembra che Silvio Berlusconi sia compiaciuto di quanto non stia facendo Walter Veltroni ma, raccontano (2), “se davvero resterà segretario solo fino alle europee, allora tanto vale iniziare a cambiare interlocutore fin da ora”.
Insomma, siamo al paradosso che persino ad Arcore si lamentino di non poter più contare su un avversario credibile.
Anche il Cavaliere si è stancato di tanta mediocrità!
(1): la Repubblica, 10/07/08, pag. 6, "Lodo, oggi il sì della Camera cambia il blocca-processi"
(2): la Repubblica, 10/07/08, pag. 6, "E Berlusconi plaude al leader del Pd [...]"