L'attacco frontale che il Presidente della Repubblica ha voluto portare alla Procura di Palermo per la vicenda delle telefonate intercorse tra lui e Nicola Mancino è la dimostrazione più eclatante, se ancora ce ne fosse bisogno, di come la Casta, anche in uno dei momenti più difficili della storia d'Italia, non abbia alcuna intenzione di farsi giudicare, prima ancora che dalla magistratura, dai cittadini, assumendosi una buona volta il peso delle enormi responsabilità dell'attuale disastro morale-politico-sociale ed economico in cui versa il nostro Paese.
E' uno spettacolo avvilente che angustia ogni cittadino, anche quelli che meno attenzione pongono alle vicende politiche e che, quando pure vi gettano un occhio di traverso, subito se ne ritraggono disgustati.
E' sorprendente che il primo cittadino d'Italia, su una vicenda gravissima come la stagione delle stragi di mafia del 1992-93, a vent'anni di distanza da quei fatti sanguinosi che hanno gettato a livello internazionale un'ombra infamante di sospetto su tutti noi ed una seria ipoteca alla credibilità dellle nostre istituzioni, ponga in essere uno scontro durissimo proprio contro quei magistrati che, mettendo a repentaglio la propria stessa incolumità, si stanno dannando l'anima, nell'isolamento generale in cui sono stati confinati dai media di regime e dalla partitocrazia tutta, per recuperare la verità di una stagione maledetta e finalmente portare alla sbarra i mandanti e gli esecutori materiali di quella mattanza.
Il tutto, per distruggere il contenuto di recenti conversazioni telefoniche che Sua Eccellenza ha intrattenuto nei mesi scorsi con un privato cittadino indagato per falsa testimonianza ed intercettato da quegli stessi pm, Nicola Mancino (nel luglio del '92 ministro dell'Interno), che gli si era rivolto sia direttamente che per il tramite del suo consigliere giuridico, affinché intervenisse nell'inchiesta, in barba a elementari principi di correttezza giuridica.
Volendo pure riconoscere le migliori intenzioni al Capo dello Stato nel delimitare le proprie prerogative costituzionali, è un dato di fatto che la sua condotta finisce per impattare pesantemente con una delicatissima inchiesta dagli esiti decisivi per l'essenza stessa della nostra democrazia: accertare finalmente le responsabilità e i fatti di quel drammatico biennio stragista.
Per tutti gli Italiani questa dovrebbe essere un'assoluta priorità, l'unico lavacro possibile per bonificare le nostre istituzioni e segnare un discrimine con un passato sconvolgente.
Ma non è così per il primo cittadino che subordina l'accertamento di quella tragica verità alla distruzione dei contenuti di quelle sue incaute telefonate con Mancino.
Ma cosa mai ci sarà in esse di tanto sconveniente da fargli preferire la loro immediata distruzione, con un inevitabile strascico di polemiche?
Fra l'altro rinforzando nei cittadini la generale sensazione che la politica è qualcosa di veramente abietto.
Per tutti gli Italiani questa dovrebbe essere un'assoluta priorità, l'unico lavacro possibile per bonificare le nostre istituzioni e segnare un discrimine con un passato sconvolgente.
Ma non è così per il primo cittadino che subordina l'accertamento di quella tragica verità alla distruzione dei contenuti di quelle sue incaute telefonate con Mancino.
Ma cosa mai ci sarà in esse di tanto sconveniente da fargli preferire la loro immediata distruzione, con un inevitabile strascico di polemiche?
Fra l'altro rinforzando nei cittadini la generale sensazione che la politica è qualcosa di veramente abietto.
Le parole pronunciate da Antonio Di Pietro per esortare Giorgio Napolitano a desistere da questo scontro, tornando sui propri passi e divulgando spontaneamente quelle telefonate, non hanno nulla di indecente come il segretario del Pd Pierluigi Bersani sostiene, cronicamente a corto di argomenti, e volendo quasi assumere improvvidamente le vesti di garante di Napolitano: "Di Pietro sa benissimo, come sanno tutti, che a giudizio di tutti, compresi i magistrati il presidente Napolitano non ha nessuna ragione di difendere la sua persona".
Ma come fa a dire questo, se non conosce il contenuto delle telefonate?
Indecente è che il segretario di quello che potrebbe diventare la prima forza politica italiana si acconci a una goffa difesa d'ufficio del presidente Napolitano, senza neanche rendersi conto (questo sì è molto grave!) che ponendo questa sgangherata tutela sul Presidente della Repubblica, contribuisce pure lui a metterlo in straordinaria difficoltà.
Bersani si mette a fare il Niccolò Ghedini della situazione, senza però averne né i titoli né le capacità, scimmiottando l'avvocato di Berlusconi con esiti disastrosi.
Insomma anche in questo campo, Pd e Pdl si comportano esattamente allo stesso modo: quando si tratta di difendere i compagni di cordata, usano gli stessi slogan, la stessa arroganza, lo stesso disprezzo per i cittadini.
Insomma, il richiamo della foresta, o meglio il richiamo di Casta, è più forte di tutto. Persino del buon senso. Per loro il potere viene prima di tutto, è sopra la legge, e non si fa giudicare. Mai.
Neppure quando la loro credibilità è scesa sotto zero, neppure quando i loro comportamenti scavano un fosso incolmabile con gli elettori: basta fare un giro per la rete in queste ore per rendersene conto.
Neppure quando ricorre il ventesimo anniversario della strage di Via D'Amelio e si apprestano a commemorare, come niente fosse, il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta: con la faccia contrita, continueranno a recitare il copione di sempre.
Incuranti di una liturgia ormai logora e vuota, invocheranno per l'ennesima volta giustizia, ma, dietro le quinte, fanno di tutto perché a ciò non si arrivi mai.
Neppure quando ricorre il ventesimo anniversario della strage di Via D'Amelio e si apprestano a commemorare, come niente fosse, il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta: con la faccia contrita, continueranno a recitare il copione di sempre.
Incuranti di una liturgia ormai logora e vuota, invocheranno per l'ennesima volta giustizia, ma, dietro le quinte, fanno di tutto perché a ciò non si arrivi mai.
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