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mercoledì 5 settembre 2018

No, Travaglio, neppure stavolta il PD ha ragione!

Questa volta non siamo d'accordo con Travaglio.
Il ministro Toninelli, che ha denunciato 'pressioni interne ed esterne' subìte contro la revoca delle concessioni ad Autostrade, non necessariamente deve rendere pubblici autori e contenuti di tali pressioni. Al contrario: è nella sua responsabilità e discrezionalità di ministro decidere liberamente che rilevanza darne. E' ovvio, che se queste si fossero estrinsecate in minacce (sia pure velate), dovrebbe rivolgersi di corsa alla magistratura.
La polemica finisce qui.
Ovviamente non si tratta, come dice Travaglio, di  'lanciare il sasso e nascondere la mano e il caso che finisce a tarallucci e vino, senza colpevoli né innocenti.' Ci si chiede, anzi, come Travaglio possa scivolare logicamente sulla classica buccia di banana lanciata a bella posta dal PD.
Il ministro Toninelli ha, per trasparenza, denunciato in Parlamento il clima pesante in cui è costretto a lavorare dopo il crollo del ponte, che la dice lunga sulla situazione politicamente disastrosa in cui le Istituzioni sono state trovate dal governo gialloverde, venticinque anni dopo l'inchiesta di mani Pulite. Che, al di là dei risvolti giudiziari, avrebbe dovuto restituire un messaggio chiaro all'opinione pubblica: la res publica è dei cittadini, e va tenuta fuori dagli appetiti e dalle contese di clan e cordate politico-imprenditoriali; mentre le Istituzioni devono essere collocate in una posizione di rispetto, lontane da queste dinamiche clientelari, in una condizione di assoluta terzietà e di serenità nell'azione di indirizzo politico.
Dalle parole del Ministro, ci rendiamo conto, ancora una volta, che non è così: purtroppo! Quanto al fatto che il ministro, tra le sue prerogative, abbia quella di scegliersi la propria squadra e rimuovere coloro che agiscono nel suo dicastero in dissonanza dalle sue linee guida, la cosa è pacifica e non vale la pena di scomodare monsieur de La Palisse.
Ed è sorprendentemente ingenuo da parte dello 'scafato' Travaglio ritenere che tali pressioni si siano necessariamente tradotte in fattispecie di reato o in comportamenti apertamente illeciti: il problema, evidentemente, è molto più sottile e coinvolge spesso aspetti culturali piuttosto che burocratico-amministrativi.
Ha fatto benissimo Toninelli a lanciare l'altolà ed a sottolineare che simili comportamenti non verranno più tollerati. Senza la necessità di ricorrere ad un giudice.
L'idea sottintesa da Travaglio che la magistratura possa essere il deus ex machina della decadenza italiana è semplicemente ridicola.
E il caso Finocchiaro, di queste ore, lo conferma in modo eclatante.

domenica 12 agosto 2018

L'insostenibile leggerezza del non essere: la fine malinconica del PD



Quando, qualche giorno fa, in Parlamento si è visto sventolare dai banchi dell’opposizione il foglio di carta a4 con su scritto "-80'000 #bybyelavoro" all’approvazione del decreto dignità, si è avuta la misura della distanza che separa il PD dalla vita degli Italiani: costoro non rappresentano più nessuno se non se stessi, tanto da non poter scendere in strada a giustificare il loro gesto se non sotto una selva di fischi. Così abissale è il solco che li divide dalle vite dei cittadini normali che sembrano finti in quello sventolìo, in quell’agitarsi all’apparenza in difesa di interessi, quelli dei lavoratori, che hanno contribuito a affossare, sistematicamente, per anni.
Rivediamola quella scena: spiega molto più di mille editorali che cosa significhi per una forza, tradizionalmente di ‘sinistra’, il PD, aver abbracciato a corpo morto la causa della grande finanza internazionale, in barba ad ogni principio di lealtà e di coerenza e di adesione ad una tradizione culturale prima ancora che sociale.
Quando si perde la memoria e il senso della propria funzione storica, si smarrisce la propria identità, si diventa come marionette che seguono un copione scritto da altri e mai compreso fino in fondo, si ride quando per coerenza si dovrebbe essere tristi e inquieti, ci si acconcia a gitanti della domenica, scadendo nel farsesco e nell’isteria nel momento in cui si dovrebbe manifestare con austerità tutto il proprio sdegno e dissenso, ci si atteggia a figuranti incontenibili del solito talkshow televisivo mentre si scopre nuda la propria cattiva coscienza.

mercoledì 4 luglio 2018

La Xylella, il 4 marzo e... la democrazia

Se vi abbeveraste non soltanto sulla Pravda piddina sapreste che la malattia degli ulivi ha poco a che fare con la xylella un po' come il 3% del rapporto debito/pil è un numero totalmente arbitrario e avulso da qualunque considerazione scientifica. Ci sono zone del territorio pugliese dove è presente il batterio ma sono in perfetto stato di salute e zone dove il batterio non è stato trovato ma dove la moria degli ulivi è massiccia. Correlare la malattia degli ulivi con il batterio è proprio sul piano scientifico un errore: a maggior ragione se l'unica soluzione prospettata è l'eradicazione di alberi plurisecolari che, peraltro, non impedisce comunque la diffusione (non del batterio) ma della malattia.
Se poi bevete a ciò che dicono i piddini, note autorità scientifiche, c'è qualcosa che non va.
Lo spazio che Beppe Grillo sul suo blog ha dedicato ad un intervento della giornalista tedesca Petra Reski, che denuncia l'inconsistenza della correlazione tra batterio della xylella e CodiRo (sindrome del disseccamento rapido dell'olivo), ovvero della malattia che ha colpito i secolari, meravigliosi, ulivi pugliesi, ha fatto sì che il livore che alberga da anni negli animi dei piddini e che trova in Repubblica l'habitat ideale quale principale collettore di fango che viene schizzato sul M5S a quantità industriali ogni santo giorno, abbia trovato un'altra, l'ennesima, occasione di vituperio.
Impossibile replicare al pensiero unico di chi ritiene che, eradicando il batterio (attualmente cosa impossibile, come insegna la lunga esperienza americana), si possa sconfiggere la malattia. Tanto più che ciò passerebbe per l'uso massiccio dei neonicotinoidi (responsabili della moria di api e dunque recentemente messi al bando dall'UE) e per l'eradicazione delle piante malate ma anche di quelle sane ubicate in una vasta fascia territoriale ai margini di quella colpita.
E' questo l'obiettivo del decreto del piddino ex-ministro dell'Agricoltura Martina, varato in febbraio, che per combattere la xylella ha imposto l’uso dell’insetticida Imidacloprid della classe dei neonicotinoidi persino per le coltivazioni biologiche.
I neonicotinoidi sono stati di recente vietati in Europa perché mortali per le api (e secondo l’EFSA, neurotossici per gli esseri umani).  Non a caso un mese più tardi, a Bruxelles, l’Italia ha bocciato l’insetticida tossico assieme ad altri 15 Paesi: oggi è vietato l’uso dei neonicotinoidi nei campi.
Questo è l'antefatto.
Sul forum collegato all'articolo di Repubblica secondo cui la pubblicazione di tale presa di posizione della Reski sul blog avrebbe fatto infuriare tutti (si cita il commissario UE che bolla l'intervento come "fake news") si è scatenato un vero e proprio linciaggio nei confronti di chi, come il sottoscritto, ha cercato in qualche modo di riportare la questione alla pacatezza del dibattito scientifico sottraendola alla polemica politica, benché ancora una volta il PD, quasi per una sorta di richiamo della foresta, si trovi sistematicamente a schierarsi sempre dalla parte di big pharma, ovvero di chi propone la soluzione più antieconomica, socialmente insostenibile e devastante sul piano ambientale.
Ecco il primo commento riportato dal sottoscritto:

"Se vi abbeveraste non soltanto alla Pravda piddina, sapreste che la malattia degli ulivi ha poco a che fare con la xylella un po' come il 3% del rapporto debito/pil è un numero totalmente arbitrario e avulso da qualunque considerazione scientifica. 
Ci sono zone del territorio pugliese dove è presente il batterio ma sono in perfetto stato di salute e zone dove il batterio non è stato trovato ma dove la moria degli ulivi è massiccia. 
Correlare la malattia degli ulivi con il batterio è proprio sul piano scientifico un errore: a maggior ragione se l'unica soluzione prospettata è l'eradicazione di alberi plurisecolari che, peraltro, non ne impedisce comunque la diffusione (della malattia, non del batterio!).
Se poi bevete ciò che dicono i piddini, note autorità scientifiche, c'è qualcosa che non va.
Contro le ciance insulse della Aspesi, il parere dell'ex direttore del CNR vale di più. O no?"

Se vi abbeveraste non soltanto sulla Pravda piddina sapreste che la malattia degli ulivi ha poco a che fare con la xylella un po' come il 3% del rapporto debito/pil è un numero totalmente arbitrario e avulso da qualunque considerazione scientifica. Ci sono zone del territorio pugliese dove è presente il batterio ma sono in perfetto stato di salute e zone dove il batterio non è stato trovato ma dove la moria degli ulivi è massiccia. Correlare la malattia degli ulivi con il batterio è proprio sul piano scientifico un errore: a maggior ragione se l'unica soluzione prospettata è l'eradicazione di alberi plurisecolari che, peraltro, non impedisce comunque la diffusione (non del batterio) ma della malattia.
Se poi bevete a ciò che dicono i piddini, note autorità scientifiche, c'è qualcosa che non va.
Di fronte alla sequela di insulti e alla gogna dei repubblichini ho invano tentato di replicare riportando le osservazioni di Pietro Perrino, ma il moderatore ha messo la censura a questo secondo post:

"Riporto le osservazioni fatte dal genetista Pietro Perrino,  già direttore dell'Istituto di genetica vegetale del CNR di Bari, al Fatto:
"1. non è stato ancora dimostrato, in modo inequivocabile, che la Xylella sia causa della malattia;
2. ci sono piante d'ulivo positive con il batterio (da anni) che non manifestano la malattia;
3. ci sono piante negative, senza batterio, che manifestano la malattia e sono la stragrande maggioranza.
I patogeni sono opportunisti che diventano virulenti quando la pianta, per le criticità (uso di pesticidi, erbicidi, inquinamento, desertificazione del terreno), s'indebolisce in quanto non riesce più a nutrirsi proprio perché viene a trovarsi in un terreno sterile e inquinato. E' dimostrato che il glifosato, potente erbicida, rende sterili i terreni. Mentre tornando a buone pratiche agronomiche i terreni recuperano biodiversità e le piante tornano in salute."
Chiaro???"

Niente da fare. Al di là della questione scientifica, ciò che lascia attoniti è come sia possibile che su una tema squisitamente tecnico (purtroppo con drastiche conseguenze economico-sociali-ambientali seguendo la ricetta dell'establishment tecnocratico-europeista) un quotidiano di rilievo nazionale  debba procedere con tanta superficialità, arroganza, disinformazione, pregiudizio, facendo credere erroneamente che la questione delle origini della malattia degli ulivi pugliesi sia ormai acclarata e risolta. Quando è lampante che, nella migliore delle ipotesi (pure per chi è fautore della guerra chimica e della soluzione finale per la biodiversità degli ulivi pugliesi),  il problema è ancora  controverso se non del tutto aperto.

Eppure questa semplice costatazione espone chi la fa alla gogna mediatica, orchestrata da un grande gruppo editoriale, che lascia che ti insultino senza attenersi a basilari princìpi di correttezza deontologica, senza possibilità per il malcapitato di poter eccepire alcunché, imbavagliando il dibattito con la censura preventiva nel forum e, in prospettiva, di essere persino oscurato in  rete.
Attraverso un fantomatico comitato europeo a cui la Commissione Europea affida il ruolo di bollinare ciò che è bufala e ciò che non lo è o la preannunciata tutela del copyright che, fingendo di tutelare gli autori e gli editori, di fatto impedisce la libertà di  opinione.
I rischi per la democrazia e per le fondamentali libertà costituzionali sono enormi.
Se il semplice sottolineare, asserendo banalmente solo la verità dei fatti, che allo stato attuale non ci sono certezze scientifiche di una corripondenza biunivoca tra batterio della xylella e disseccamento degli ulivi, ti condanna al pubblico ludibrio ed allo stigma del bufalaro, mette i brividi  pensare cosa potrà succedere con l'istituzione di un ministero della Verità europeo!

Il fascismo è già purtroppo in mezzo a noi e spesso veste i panni del conformismo e del partito-stato, interfaccia politica della tecnocrazia e della finanza internazionale, che ha occupato per decenni molti gangli del sistema istituzionale: quello stesso partito-stato, in buona parte espresso dal PD, che, uscito a marzo storicamente ridicolizzato dalle urne, ancora si arroga la pretesa di conferire agli altri la patente di democraticità e di certificare, chissà come, l'attendibilità delle fonti d'informazione.

giovedì 10 novembre 2016

E' la democrazia, bellezza!

Mentre Renzi innesta frettolosamente la retromarcia per tentare di riavvicinarsi a Trump rimangiandosi goffamente tutto ciò che gli vomitava addosso solo qualche ora fa, i media, la cui sonora batosta di ieri sembra proprio non sia servita a niente, insistono enfatizzando le  manifestazioni di chi è sceso in piazza in America per protestare contro la sua elezione.
Alla faccia delle democrazia!
Si dà il caso che la vittoria di Donald Trump sia stata decisa da trenta milioni di americani; che cosa rappresentano adesso poche migliaia di persone deluse? Nulla!
A meno che Repubblica & c. non condividano un particolare concetto di democrazia secondo cui se vince la solita élite radical chic, è tutto ok; ma se a vincere sono gli altri, allora la democrazia non va più bene.
E' lo stesso schema eversivo che si usa con i 5Stelle: l'Italicum andava bene finché i sondaggi davano per vincente il PD; ma se forse così vincono loro, è immediatamente da cambiare, perché a vincere deve essere il PD!
Ma ciò non ha nulla a che vedere con la democrazia!
Piuttosto è la PDcrazia: la PartitoDemocrazia, ovvero la dittatura del PD, partito di potere che ad esso ha sacrificato ormai pure la sua identità!
Il voto di ieri significa proprio questo: lungi da un'appartenenza ideologica che tutto irrigidisce e troppe volte deforma, il popolo americano ha dimostrato tutta la propria insofferenza verso l'establishment: guai a farlo arrabbiare! 
Ha ancora una volta avuto ragione Grillo: è stato un gigantesco Vaffa...
Il campanello d'allarme che ormai dall'Italia del M5S alla Brexit, alle presidenziali USA, suona in tutto l'occidente è che le élite devono sapere che non è più il tempo di sentirsi superiori alla 'plebe' e di gestire il potere come per investitura divina, quasi che le elezioni fossero divenute un noioso adempimento burocratico.
Se la gente si accorge che fai esattamente il contrario di ciò che ti eri impegnato a fare, se tradisci tutti gli slogan che ti eri dato finendo per svuotarli di ogni significato, se (è il caso di Obama) hai sprecato otto anni della tua amministrazione senza essere riuscito a combinare un granché, impoverendo la classe media, rendendo il mondo più insicuro, combattendo il terrorismo più sui giornali che nei vari teatri di crisi, alimentando il sospetto che stai seguendo una strategia inconfessabile, beh, ti meriti di essere rispedito a casa da un Trump qualsiasi, a dispetto di tutti i limiti che quest'ultimo palesa.
Intanto se qui in Italia, qualche sapientone dei media vorrà avvertire il Cialtrone, mai eletto da nessuno e che punta tutto sulla velocità e sul furto di sovranità, che è in arrivo il conto anche per lui, almeno gli risparmierà l'amara sorpresa che ieri ha ricevuto la Clinton.

sabato 29 ottobre 2016

Il miracolo di Renzi: 44 gatti voteranno sì...


Ma dov'è finito il suo popolo? Senza la macchina organizzativa del partito (che agli Italiani costa un occhio della testa!), oggi in piazza del Popolo non ci sarebbe praticamente nessuno. Sono più le bandiere, nuove di zecca, che le persone: molti ne agitano due insieme!
Ma dove sono gli operai, le famiglie, i giovani, le mamme, i nonni, gli zii, i precari, i co.co.co., le casalinghe, i disoccupati?
Eppure è una magnifica giornata di sole!
E' l'Italia della narrazione renziana: fatta di sagome, non di vite, di pullman non di passeggini o di biciclette, di voci non di cori, di gerarchi non di compagni.
La telecamera si concentra sul palco e quando fugacemente si rivolge al pubblico zooma sulle prime file in modo da non far percepire le dimensioni della piazza: camuffare i vuoti gonfiando i pieni.
Desolante spettacolo di fine regime.

domenica 7 agosto 2016

Il rigurgito antidemocratico di Scalfari

Anche Scalfari, nell'editoriale di oggi, non riuscendo a dimenticare i propri trascorsi fascistoidi, proprio come il piduista Cicchitto ha fatto qualche sera fa su La7 dichiara che bisogna cambiare l'Italicum perché altrimenti vince il M5S. 
La motivazione è spudoratamente eversiva: "l'ipotesi del ballottaggio è molto realistica ed estremamente pericolosa perché il sistema politico vivente non è affatto bipolare ma tripolare il che significa che in caso di ballottaggio vince il terzo e non uno dei primi due."
Intanto assegna un implicito ordine, non si sa bene in virtù di cosa, alle forze politiche in campo, in cui relega il M5S a  terzo. Perché non secondo o primo, visto che da solo raccoglie più voti dello stesso PD? Mistero!
Ma esalta tutta la sua settaria follia ritenendo che, dato che con questa legge appena approvata dal PD va a finire che vince il M5S, allora essa vada immediatamente cambiata. 
Ovvio che se premiasse il PD, allora diverrebbe la migliore legge del mondo...
Dunque, parole usate disinvoltamente come pietre, di estrema portata antidemocratica.
Come si possa costruire un dialogo sereno o costruttivo con personaggi del genere, che si dichiarano appartenenti al Partito Democratico ma che tengono una condotta squadristica sui media, resta davvero difficile da capire. 
Ecco perché non deve meravigliare se quello che pure riconosce essere il 'colpo di spugna sulla Rai', ovvero l'occupazione manu militari dei TG, viene liquidata frettolosamente a 'questione di relativa importanza'.
La sensazione è che con questi fasulli 'democratici' del PD non sia possibile alcuna forma di confronto ma che bisogna al più presto estrometterli, beninteso con la forza della democrazia, non solo dalla gestione diretta della cosa pubblica ma anche allontanarli da ogni anticamera, ballatoio, ripostiglio, strapuntino, che dir si voglia, del potere.
Vanno semplicemente mandati a casa. Non ci sono alternative.

domenica 16 febbraio 2014

Renzi ripropone le larghe intese con il Pregiudicato d'Italia

Il ciclone Renzi che ha abbattuto d'improvviso e in sole 48 ore il governo Letta, senza un doveroso passaggio parlamentare, riporta agli antichi fasti la stagione delle larghe intese
Perché il tentativo del sindaco di Firenze può spiegarsi unicamente con l'aver ricevuto l'esplicito inconfessabile nulla osta di Silvio Berlusconi, il Pregiudicato d'Italia. Altrimenti la sua iniziativa fallirebbe già in queste ore, ancor prima che il suo governo possa accendere i motori.
O Renzi è uno squilibrato, ma non abbiamo motivo di pensarlo, oppure la riedizione delle larghe intese, riveduta ed edulcorata con le bischerate del guitto fiorentino, è ai nastri di partenza, con un orizzonte temporale che comunque resta incerto.
Sono i numeri che lo dicono: il perimetro del futuro governo Renzi è lo stesso, identico, di quello di Letta. Ragione per cui il programma politico non potrà in nulla deviare da questo: Renzi potrebbe comodamente riciclare lo sbiadito Impegno Italia, approntato solo lunedì scorso dal nipote di suo zio, senza neppure fare la fatica di riscriverlo e magari neppure di rileggerlo. 
Sì, certo, potranno cambiare alcune figure dell'esecutivo, come l'impresentabile Cancellieri. Ci potrà essere l'ingresso di personalità carismatiche come Epifani, l'inevitabile sostituzione di Saccomanni all'Economia, ma la politica economica di questo governo, elemento decisivo per tratteggiarne la fisionomia, non potrà differire di una virgola da quella del governo Letta: una supina accettazione dei diktat europei, una cieca e cronica austerity che proseguirà per mancanza di liquidità, le privatizzazioni di buona parte dei pochi gioielli di famiglia rimasti (Eni, Enel, Finmeccanica), la necessità di nuovi tagli alla spesa e l'introduzione ormai imminente di una tassa sui depositi bancari e sulla ricchezza finanziaria in tandem con una rimodulazione di quella sulla proprietà immobiliare, ovvero la famosa patrimoniale che i tedeschi, non avendo alcuna intenzione di venire in nostro soccorso, ci vogliono imporre da tempo.
In fondo, è l'esatto contrario di quello che solo fino ad una settimana fa Renzi si era impegnato a fare, lasciando libertà di movimento ad Enrico Letta, in attesa di prenderne il posto dopo le prossime elezioni politiche anticipate. 
Come sia possibile che Renzi possa compiere un simile voltafaccia, una mossa così avventata e autolesionista, sembra un mistero. Qui non si tratta di rischiare il tutto per tutto, come lui stesso ha già ammesso, ma di consegnarsi anima e corpo al Pregiudicato. 
Una condotta apparentemente dissennata: infatti, cosa accadrebbe se non dovesse trovare i numeri per ottenere la fiducia? Di certo, passerebbe alla storia come il kamikaze del PD! 
Insomma, Renzi affida il suo destino politico nelle mani di Berlusconi e dei suoi bravi... se non è questo un suicidio politico!
Ma se questo puzzle non torna, forse può voler dire che le cose non stanno proprio come ci vengono presentate.
E' molto strano che, come si mormora da più parti dentro al PD, la "profonda sintonia" con il Pregiudicato d'Italia dichiarata giorni fa da Renzi a Largo del Nazzareno a conclusione dell'incontro con quest'ultimo sulla legge elettorale e sulle riforme costituzionali (un pessimo biglietto di presentazione!) non coinvolga evidentemente anche la partita del governo, cosa che anche sul piano logico sembrerebbe scontata.
Non si capisce infatti come sia possibile per i due compagni di merende fare le riforme costituzionali insieme, d'amore e d'accordo, e poi schizofrenicamente farsi la guerra all'ultimo sangue sul governo: una buffonata a cui nessun italiano, con un minimo di spirito di osservazione, potrebbe mai abboccare.
Come riconosce pure il corazziere Eugenio Scalfari, nell'odierno messale,  il programma economico di Renzi non si differenzia in nulla da quello di Forza Italia:
   
"Renzi si è impegnato a non fare governi con Forza Italia e — si spera — manterrà l’impegno, ma gli accordi con Berlusconi si estendono ad una buona parte del suo programma di riforme. Non comprendono la politica economica e i provvedimenti che la riguardano. Ma, nelle ancora vaghe dichiarazioni di Renzi in proposito, non si ravvisano sostanziali diversità da Forza Italia: sgravi ai lavoratori e alle imprese e quindi cuneo fiscale ridotto per quanto possibile; prevalenza del contratto di lavoro aziendale su quello nazionale; nuove forme di ammortizzatori sociali; semplificazione delle procedure, più elasticità finanziaria rispetto ai vincoli di Bruxelles; diminuzione delle tasse e tagli delle spese.
Queste finora sono le dichiarazioni di Renzi. Ricordano sia quelle di Letta sia quelle di Squinzi e della Confindustria, sia quelle della Cgil, sia quelle di Forza Italia quando ancora si chiamava Pdl."

Il renzismo non è altro che la continuazione del berlusconismo in forme più adeguate ai tempi sul piano della comunicazione: in sintesi, il cinepanettone che diventa pratica di governo. 
Di qui la necessità impellente di Renzi di rompere gli indugi per piazzare i suoi uomini prima che lo spoils system di Letta ne potesse bloccare la proliferazione.
Ma a questo punto si capisce anche perché Napolitano non lo abbia rinviato alle Camere. 
Al contrario di ciò che afferma Scalfari infatti presentarsi alle Camere avrebbe fatto emergere di fronte al Paese i veri motivi di questo affrettato e inopinato cambio in corsa: ovvero, il riemergere della figura del Pregiudicato come eminenza grigia del nuovo esecutivo, vero mattatore delle larghe intese. 
Ciò spiega pure perché Re Giorgio non abbia trovato nulla di disdicevole nell'accogliere al Quirinale il frodatore fiscale, in predicato di scontare la pena, per le Consultazioni.
Anche in questo caso, la figura di Napolitano che ormai dal Colle gioca una partita politica a tutto campo, infischiandosene di ciò che prescrive la Costituzione riguardo alla sua funzione super partes, ne esce a pezzi. Quando l'arbitro non solo inizia a fischiare i rigori esclusivamente a favore di una squadra ma lui stesso inizia a calciarli per infilare la porta dell'Opposizione, vuol dire proprio che lo stato democratico è giunto al capolinea: chiamatelo, se volete, un nuovo 8 settembre.
Ma una ultima riflessione va a questo punto fatta: possibile che dentro il PD lascino agire indisturbato il kamikaze Renzi  e osservino indifferenti le macerie ideologiche che sta causando, senza muovere un dito? Dà tanto la sensazione che il Pregiudicato d'Italia, proprio grazie a Renzi, abbia ormai ultimato la scalata a questo partito, la cui nomenklatura resta inerte, intenta solo ad occultare i troppi scheletri nell'armadio.
Insomma, non solo ancora non è ancora stata fusa la chiave per la cella del Pregiudicato ma è proprio lui a possedere la combinazione di qualche cassaforte dal contenuto scottante e, quindi, giocoforza a comandare le danze.


venerdì 2 agosto 2013

1° agosto 2013 h. 19,40: la caduta del berlusconismo

Con la sentenza pronunciata a Roma dalla Corte di Cassazione, ieri sera, che ha sancito la condanna definitiva di Silvio Berlusconi a quattro anni di reclusione per frode fiscale con l'interdizione dai pubblici uffici (da quantificare in separata sede con rinvio ad una sezione diversa della Corte d'Appello di Milano), si chiudono vent'anni di storia della Seconda Repubblica con un verdetto che non ammette repliche.
Berlusconi è stato dichiarato definitivamente colpevole di un grave reato, aver frodato il fisco.
Adesso politicamente andranno tratte le dovute conseguenze, tenuto conto che fino ad oggi la vita istituzionale del Paese è stata dominata da un dominus che, con un potere se possibile ancora più invasivo proprio negli ultimi dieci anni, è stato dichiarato un delinquente, cioè un soggetto che commette un atto anti-sociale ritenuto reato dalla legge penale. 
Al di là delle determinazioni che assumerà Berlusconi in seguito all'esecutività di una pena che già molti  sui media si sono già presi la briga di tentare invano di annacquare ("sì, è stato condannato ma l'interdizione dai pubblici uffici richiederà un nuovo giudizio per cui fino ad allora Berlusconi è ancora un cittadino libero con i normali diritti di chiunque altro...") ma che scatta sin da subito per cui egli resta già adesso a disposizione della giustizia, spetta alla politica prendere atto di quanto accaduto per adottare le determinazioni del caso.
In particolare il Partito Democratico non può più accettare, per non perdere definitivamente la faccia di fronte non solo alla sua base elettorale ma alla comunità internazionale, la tutela di un tal personaggio sul governo che esso stesso appoggia.
Ormai non è più in gioco la credibilità della sua classe dirigente, l'impresentabile nomenklatura del Pd, ma quella del Paese di fronte al suo popolo ed agli osservatori internazionali. 
Sul punto non è più possibile glissare neppure per una malintesa ragion di Stato perché il discredito internazionale che ogni tentativo sia pure di stendere un velo pietoso sulla vicenda provocherebbe ipso facto è ragion di Stato.
E' la Storia che chiede adesso ad una classe politica delegittimata di fare per una volta i conti con se stessa: fughe dalla realtà nè per il partito di Berlusconi ma soprattutto per il Pd non sono più possibili.
E' in gioco la tenuta dello Stato di diritto e della nostra democrazia.
L'ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti qualche giorno fa sosteneva che la condanna di Berlusconi avrebbe comportato inevitabilmente la fine del Pd.
Sarebbe l'auspicabile catarsi di questa vicenda, il lieto fine di vent'anni malvissuti.

giovedì 11 luglio 2013

La nuova notte della repubblica

Il governo Letta è una contraddizione in termini.
Ormai dopo tre mesi, questa sembra la scoperta dell'acqua calda. 
Ciò nonostante, grazie al tam tam dei media, poteva fino all'altro ieri vantare un grosso avvenire dietro le spalle, in forza del mandato eccezionale ricevuto dal Presidente della Repubblica, chiamato a fare gli straordinari dopo che una legge elettorale palesemente incostituzionale ci ha restituito un Parlamento senza alcuna maggioranza politica.
Tecnicamente, è stato il governo del tirare a campare per non tirare le cuoia, come avrebbe suggerito Giulio Andreotti: l'ammucchiata Pd-Pdl si è caratterizzata per la necessità di gestire il potere senza però concretamente esercitarlo, cioè senza incidere nel tessuto sociale del Paese.
La situazione economica è difficilissima, non parliamo di quella finanziaria, conseguenza della rigidità dell'euro che di fatto impedisce qualsiasi seria politica fiscale: senza leva monetaria che accompagni la politica fiscale, non ci sono gradi di libertà per qualsiasi governo varchi la stanza dei bottoni.
L'unica cosa che sarebbe possibile attuare (e non è da poco!) è la legge sul conflitto di interessi, una nuova legge elettorale, il riassetto del sistema radiotelevisivo, la riforma della pubblica amministrazione, una nuova politica industriale, il riassetto del sistema bancario italiano, la riforma della sanità, della scuola, del finanziamento della politica, degli ordini professionali, dell'assetto istituzionale che, senza la necessità di abolire le province, ridefinisca funzioni, capacità di spesa e risorse degli enti locali, in un quadro di riorganizzazione dell'intera macchina pubblica.
Alcune di queste riforme sono a costo zero, altre consentirebbero un notevole risparmio di spesa che potrebbe poi essere destinata a quegli interventi strutturali che richiedono necessariamente nuovi investimenti. 
Ma allora perché il governo Letta non le mette perlomeno in cantiere? 
Semplice. Pd e Pdl esprimono proprio quella classe dirigente che ha plasmato così male il nostro Paese in questi ultimi vent'anni e che, pertanto, non ha la minima intenzione di cambiare, non fosse altro perché entrerebbe in conflitto d'interessi con se stessa. 
D'altra parte, a livello europeo, essa è priva di qualsiasi credibilità, sia per il livello di corruzione raggiunto che per l'estrema inaffidabilità mostrata in più occasioni, a cui fa paradossalmente da contraltare una totale subordinazione ai diktat USA, come la recente vicenda degli F35 e la posizione del Ministero degli Esteri rispetto al caso Morales-Snowden dimostrano inoppugnabilmente.
Vicenda sconcertante quella dei cacciabombardieri americani, affrontata dalla nostra classe di governo con il pragmatismo levantino dei mercanti d'armi, piuttosto che, come sarebbe stato lecito attendersi, con la consapevolezza e la fermezza di uomini dello stato che hanno sinceramente a cuore gli interessi della comunità nazionale.
Impossibile quindi che l'inesperto Enrico Letta possa mai recarsi  a Bruxelles a battere i pugni al tavolo della Merkel, senza fare il bis dell'accoglienza, eufemisticamente goliardica, riservata due anni fa dal duo Merkel-Sarkozy a Silvio Berlusconi.
Ci sono quindi abbastanza motivi per cui il suo esecutivo sia diventato, senza che i media lo abbiano fatto notare al grande pubblico, un governo balneare, il dicastero delle mille proroghe: dall'Imu, all'Iva, agli F35, è tutto un rinvio... aspettando Godot.
L'unico provvedimento preso, il cosiddetto decreto del fare, è un tale guazzabuglio giuridico, un tale sconsiderato affastellamento di norme le più disparate, come il M5S aveva da subito denunciato, che bisognerà al più presto rimetterci mano. 
E' di ieri la notizia che le norme sul cosiddetto wi-fi libero, la liberalizzazione della banda larga attraverso l'estensione dei nodi di accesso pubblici, contrariamente alle intenzioni dello stesso governo, sono un tale pasticcio da frenarne lo sviluppo. A dimostrazione che anche sul piano squisitamente operativo e persino nella scelta dei suoi collaboratori, il governo del grande inciucio non smentisce la propria vocazione maggioritaria all'inettitudine.
Ma adesso ci si è messo pure Berlusconi in persona che, mandando avanti i suoi uomini alla Camera ed al Senato, ha di fatto aperto la crisi di governo, pur non avendola finora voluta formalizzare. 
Il casus belli, ancora una volta, i suoi problemi personali: ovvero la decisione della Corte di Cassazione di calendarizzare per il 30 luglio il processo Mediaset che, al secondo grado di giudizio, ha già condannato Berlusconi per frode fiscale a 4 anni di reclusione con l'interdizione per 5 anni dai pubblici uffici.
Se la corte non dovesse rilevare le eccezioni formali che l'imputato ricorrente ha avanzato (cosa che appare ai più esperti abbastanza scontata), la sentenza contro Berlusconi diverrebbe definitiva.
Platealmente, Berlusconi rovescia così sul piano istituzionale una sua privatissima questione, a suggello del profilo di un personaggio in cui l'aspetto pubblico è indissolubilmente intrecciato con quello personale, tanto da non potere distinguere il politico dall'uomo d'affari da sempre ai ferri corti con la giustizia.  
Andare a dibattere se la scesa in campo di Berlusconi nel '94 sia stata conseguenza delle sue urgenze giudiziarie o viceversa, questione che inopinatamente ancora anima dopo vent'anni gli ascari berlusconiani nei talk show televisivi, è un po' come azzuffarsi se sia nato prima l'uovo o la gallina...
Il fatto è che, con le dichiarazioni dei suoi uomini ( e delle sue donne!) di questi due giorni ma soprattutto con la sospensione dei lavori parlamentari pretesa ieri con il vergognoso voto del Pd, in una sorta di impossibile sciopero del Parlamento contro la Magistratura (scontro di potere di inaudita e pericolosissima portata eversiva), la divisione dei poteri si è andata a fare benedire.
Comunque vada, l'intimidazione che ha subito la Corte di Cassazione da parte di un Parlamento che si è prestato, con la complicità del Pd (è bene sottolinearlo!), a fungere da scudo istituzionale per proteggere gli interessi privati del condannato Silvio Berlusconi, produce inesorabilmente uno strappo tremendo al nostro assetto costituzionale e non può in nessun modo essere ignorato, condizionando pesantemente e per la prima volta in forma così pubblica e solenne, un altro potere dello Stato nell'esercizio delle sue prerogative costituzionali.
Le parole di oggi del capogruppo del Pdl Renato Schifani, già presidente del Senato (quindi seconda carica dello Stato) che minaccia l'uscita dal governo in caso di una decisione della Cassazione contraria agli interessi di Berlusconi (decisione della Suprema Corte che, si badi bene, è solo di legittimità, non potendo esprimere la stessa una pronuncia di merito che è già avvenuta e che, in quanto formatasi nei due precedenti livelli di giudizio, è da considerarsi, nel merito, definitiva) rappresentano un ulteriore attacco alle Istituzioni di portata platealmente deflagrante a cui il Capo dello Stato non può restare in alcun modo indifferente.
Ma prima ancora è il Pd che deve prendere atto di questa gravissima situazione, tirandosi fuori, innanzitutto per sensibilità e decoro istituzionale, da questo gioco al massacro che sta facendo collassare, prima che la sua rappresentanza democratica, lo stato di diritto.
Anche perché qualunque sia il pronunciamento della Cassazione, esso avrà a questo punto una portata dirompente. 
Se verrà confermata la condanna d'appello contro l'imputato Berlusconi, ne discenderà la crisi di governo; se la cancellerà, dimostrerà comunque la propria gravissima ed incostituzionale subalternità ai diktat di un pluriinquisito. 
Comunque la si pensi, l'uomo di Arcore, vero deus ex machina del governo presieduto da Enrico Letta, ha ipso facto messo in crisi la Corte di Cassazione.
La condizione drammatica in cui la Cassazione si trova ad operare è quindi conseguenza di un putsch mediatico orchestrato dai luogotenenti di Berlusconi, che intende, neppure più velatamente, piegare a proprio vantaggio l'opera della magistratura.
E tutto ciò senza la necessità di usare le maniere forti ma con lo stesso intento prevaricatore.
Solo il Pd, giocando d'anticipo ed aprendo formalmente la crisi di governo, poiché il gioco di Berlusconi è ormai scoperto e di palese violazione delle regole costituzionali (mai s'è visto prima d'ora che la vita di un governo dipenda dal destino giudiziario privato di un singolo parlamentare, peraltro non investito di alcun incarico governativo), può mettere fine a questa deriva da incubo.
Che dovrebbe indurre anche la Procura della Repubblica di Roma ad intervenire, avendo la sfida berlusconiana oltrepassato ogni limite.
Infine, una domanda a Guglielmo Epifani, segretario pro tempore del Pd.
Ma come è possibile restare ancora un attimo a reggere il moccolo al Cavaliere in questa tremenda notte delle Istituzioni?

lunedì 20 maggio 2013

No, Gabanelli, questa volta il tuo Report ha fatto cilecca

Ieri sera, nel corso dell'ultima puntata di Report, sorprendentemente è arrivato proprio da Milena Gabanelli, già candidata al Colle per il M5S nelle Presidenziali dello scorso aprile, un attacco spropositato allo stesso movimento con il pretesto di chiedere una rendicontazione dei proventi del blog di Beppe Grillo e di esigere la messa on line di tutte le fatture della trascorsa campagna elettorale, la prima a livello nazionale tenuta dalla nuova forza politica. 
L'intervento della Gabanelli, oltre ad essere ingeneroso (ma questo lo lasciamo alla sua coscienza) verso il movimento che, attraverso una consultazione on line, l'aveva designata un mese fa, non ad un consiglio di quartiere ma alla Presidenza della Repubblica, con buone chance iniziali di successo (se non altro per essere ipso facto espressione di un gruppo parlamentare che conta 163 tra deputati e senatori), si rivela intempestivo e giornalisticamente velleitario. 
Perché voler fare le pulci in tasca ad un movimento che ha appena rinunciato a 42 milioni di legittimi rimborsi elettorali, esigendo la pubblicazione on line di tutte le fatture pagate per la campagna elettorale, suona quantomai stravagante. Lei stessa ammette che non c'è nessun obbligo di legge a riguardo ma tant'è: ne fa una questione di trasparenza che, spinta alle estreme conseguenze, diventa inevitabilmente una gratuita caccia alle streghe contro Grillo e i suoi ragazzi.
Siamo fuori dal mondo. 
Di fronte alle fantomatiche fondazioni private orbitanti attorno alla Casta, i famigerati think tank, dove affluiscono generosissime donazioni da parte di entità fisiche e giuridiche non sempre identificabili che potrebbero pure prefigurare, come la puntata di ieri di Report adombra, una sorta di via telematica alla corruzione in politica di faccendieri e lobbisti (senza il rischio di farsi cogliere in flagrante con le mazzette nella ventiquattrore), l'accostamento tra queste inquietanti vicende e l'attività del Movimento 5 Stelle non solo è arbitrario e fuorviante, ma decisamente azzardato e imbarazzante per una giornalista del calibro della Gabanelli.
Nell'Italia delle mille cricche, dello scandalo milionario dei tesorieri della Lega e del PD (ve li ricordate Belsito e Lusi?, sono passati solo pochi mesi!), della Protezione Civile per i lavori del G8, della gestione allegra dei finanziamenti nei consigli regionali in mezza Italia, dello scandalo Penati (braccio destro di Pierluigi Bersani), del maxibuco di bilancio del Monte dei Paschi di Siena, del recente arresto per concussione del presidente PD della provincia di Taranto per una storia annosa di irregolare smaltimento dei rifiuti dell'Ilva, dove va a parare lo sguardo acuminato della Gabanelli? 
Contro l'unica forza politica che  ha fatto della trasparenza un vessillo e che rappresenta degnamente e lealmente l'indignazione dei cittadini contro il malcostume partitocratico e lo sperpero vergognoso di questi decenni del denaro pubblico.
Firmando, dulcis in fundo, una pesante caduta di stile: quando  rinfaccia al M5S l'immobilismo politico per l'esistenza dei tre milioni di disoccupati a fronte delle sofistiche dispute tra i suoi parlamentari sugli scontrini fiscali.
Senza rendersi neppure conto della contraddizione in cui proprio la Gabanelli si viene a trovare, avendo appena intimato ai vertici del M5S, in prima serata Rai, di documentare, fino all'ultima fattura, le spese sostenute nell'ultima campagna elettorale, il famoso Tsunami Tour.
Ma Grillo, dopo aver rendicontato le spese in circa 550.000 euro e i contributi volontari (pari complessivamente a 568.832 euro), non ieri ma due mesi fa, aveva già deciso di devolvere la parte restante alle popolazioni terremotate dell'Emilia-Romagna!
Di fronte alla trave nell'occhio di PD e PDL, attaccarsi all'eventuale pagliuzza in quello del M5S, non è solo una patente incoerenza logica ma l'ostentazione di un ridicolo zelo che, in un momento tragico come l'attuale con una crisi economica che sta degenerando rapidamente in crisi sociale, è veramente fuori tono, sbagliando completamente bersaglio.
In fondo, cosa ci sarebbe di disdicevole se si scoprisse che parte dei proventi pubblicitari del blog di Grillo vengono dirottati al finanziamento dell'attività politica del movimento che rinuncia volontariamente ai soldi pubblici? (Ma lo staff di Grillo seccamente smentisce questa eventualità).
Del resto, prima di lanciare appelli al M5S, la Gabanelli ne dovrebbe aver viste  di cotte e di crude dentro la partitocrazia, anche se le sue denunce sono restate spesso inascoltate se non addirittura liquidate con fastidio.
Non vorremmo che dietro questo sacro furore di trasparenza riservato al M5S, che di tutte le forze politiche presenti in Parlamento è ampiamente l'unica che si  può presentare alla cittadinanza con le carte in regola, non si nasconda la necessità di saldare un debito di riconoscenza verso i vecchi e malandati partiti, quelli della Casta, che le hanno permesso in questi anni di restare in onda, magari strumentalizzandola ricorrentemente per un loro sottaciuto regolamento di conti. 
Perché separare il grano dal loglio,  per una giornalista d'inchiesta, ci dispiace doverglielo ricordare, dovrebbe essere un preciso dovere deontologico.
Per non correre il rischio, come in questo caso, che a fare le spese di cotanto zelo, additati alla gogna pubblica, siano proprio quei cittadini che la corruzione hanno in programma di scardinare, ora con maggiori possibilità di successo, stando finalmente in Parlamento.

martedì 30 aprile 2013

La scorciatoia di Repubblica per le larghe intese

Repubblica.it pubblica un videomessaggio di Massimo Giannini, "La scorciatoia", in cui il vicedirettore  traccia un rapido bilancio del discorso di fiducia tenuto alle Camere dal neopremier Enrico Letta. 
Esordisce con un vecchio espediente retorico, ponendosi una domanda da novello piccolo principe: "Un male necessario può diventare un bene collettivo?"
Cosa vi aspettate sia stata la sua conclusione?
Certo che Sìiiii! 
Infatti si affretta subito a definire quello di Letta  "un buon discorso, che non nasconde le difficoltà ma cerca di trasformarle in opportunità".
Ecco un primo tentativo, un po' patetico, di cercare di raddrizzare all'improvviso la baracca, ovvero la linea editoriale di Repubblica, dopo che per anni (ma sarebbe meglio parlare dell'intero ventennio berlusconiano) il quotidiano di Scalfari si è contraddistinto, anima e corpo, per un antiberlusconismo di facciata irriducibile e oltranzista,  che, a conti fatti, presentava più ombre che luci.
Così, dalla cabina di regìa di  Repubblica, mai una parola chiara e definitiva di critica sull'impostazione economica della proposta politica di Berlusconi, né sul modello sociale di riferimento, solo polemiche di piccolo cabotaggio, di forma più che di sostanza, spesso personali, magari sul ministro Tremonti, al massimo sul millantato riformismo del partito di Arcore; mutuandone molto spesso idee e linguaggio per un'agenda di governo (come nel caso del federalismo, delle tasse, dei fannulloni, della privatizzazioni, delle grandi opere, dei tagli all'università, ecc.).
Mai e poi mai una severa disanima del paradigma berlusconiano, solo e soltanto un faro acceso sulle sue vicissutidini private e giudiziarie: che seppure possono mettere in discussione l'uomo politico, di certo non ne mettono in dubbio l'ideologia, cioè il berlusconismo, che trova nell'uomo di Arcore il massimo interprete, non di certo l'unico e quel che è peggio, non confinato al solo centrodestra.
E' così potuto accadere che il volume di fuoco di Largo Fochetti si sia concentrato, per un'estate intera, sui suoi festini e le tante starlette di corte: di qui  l'ossessivo e stucchevole decalogo di domande su tale Noemi da Casoria, ripetuto infinite volte, a nome di due prime firme, Giuseppe D'Avanzo ed Ezio Mauro.
Il paese già stava affondando ma Repubblica scontava tutto a Berlusconi tranne le sue imperdonabili scappatelle.
Ma adesso, finalmente, è arrivato il rompete le righe: le truppe della corazzata De Benedetti si stanno riorganizzando perché il nemico storico non esiste più, parola degli strateghi di Largo Fochetti!, e tutte le forze devono essere ricompattate contro il nuovo nemico, questo sì, l'Acerrimo, contro il quale rispolverare l'armamentario peggiore: Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle.
A cui Scalfari e c. hanno dichiarato guerra totale, non si sa quando e soprattutto perché: tanto che moltissimi lettori, in ondate ripetute, sono stati costretti a fare le valigie.
Scoppiata la pace tra i due poli (ma quando mai si sono fatti la guerra?), è in atto il riposizionamento delle forze. 
Particolarmente rischioso, perché il fuoco amico, come si sa, è il peggiore: come potrebbe spiegarci Romano Prodi...
Così alcuni deputati democrat brancolano nella più totale confusione (comunque meglio dei loro elettori, caduti in depressione) con il loro segretario Bersani, mai stato tanto operoso da quando ha rassegnato le dimissioni, che in Parlamento prima abbraccia Alfano per rieleggere Napolitano e poi fa il segno di vittoria a Enrico Letta.
Per le giovani leve, oggi è un nuovo otto settembre: i nemici di ieri sono diventati gli amici di oggi e tra amici evidentemente non ci si può sparare.
Come urlava al telefono Alberto Sordi nei panni del tenente Innocenzi nel capolavoro di Luigi Comencini "Tutti a casa" (titolo paradossalmente emblematico anche oggi): "Signor colonnello, tenente Innocenzi, accade una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani!.... No, allora tutto è finito signor colonnello! (esplode una bomba) Ma non potreste avvertire i tedeschi che stanno continuando a sparare... mi scusi, signor colonnello, ma cerchi di comprendere, io ero all'oscuro di tutto! Quali sono gli ordini?" 

Se il PD ha trovato intese larghissime con il PDL bisogna ormai farsene una ragione.
Intanto i deputati dei due gruppi agiscono in tandem per tentare di mettere a tacere, appellandosi impropriamente al regolamento, chi a Montecitorio ha il coraggio di dire la verità: è il caso del deputato del M5S Colletti, il cui intervento è stato preso in sandwich dalle parole rabbiose sia del piddino Rosato che della pidiellina Saltamarini, in un'assonanza di toni e di contenuti veramente inedita e rivelatrice.
Ma a questo punto le vecchie battaglie di sempre (conflitto di interessi, legge anticorruzione, riordino del sistema radiotelevisivo) vanno archiviate rapidamente come episodi del passato: da adesso in poi, col nuovo ministero Letta (zio o nipote, a voi la scelta!), diventeremo patriotticamente tutti nipoti di Mubarak!
Ormai, da Libero, al Giornale, a Repubblica, a L'Espresso, a l'Unità, al Corriere, sale un solo comune grido: Abbasso Grillo! Bandiera Azzurra trionferà! (quando Berlusconi diventerà Presidente della Repubblica... a quel punto vedremo Bersani fare la ola).
Guai naturalmente ad esibire una qualche perplessità per l'improvviso e inopinato cambio di campo di Largo Fochetti: ogni commento che non sia più che in linea con il nuovo Verbo delle larghe intese è messo al bando!
Mica come quel bontempone di Grillo che prima i commenti li pubblica e poi, semmai, li fa rimuovere.
No, quelli di Repubblica sono dei veri professionisti, intervengono chirurgicamente alla radice.
A meno che l'opinione non sia talmente sgangherata da trasmettere la sensazione che chi critica il matrimonio PD-PDL o è un esaltato o un ignorante. Oppure il commento viene pubblicato per semplici esigenze statistiche: possibile mai che nei forum di Repubblica vige il pensiero unico?
Qualcuno tra i lettori a lungo andare potrebbe sentire puzza di bruciato... molto ma molto meglio un pluralismo telecomandato.




sabato 20 aprile 2013

Bersani e Berlusconi hanno condotto l'Italia nell'abisso

Un paese nella melma fino alla punta dei capelli, con due partiti, PD e PDL, compagni di merende nella più scellerata e scandalosa gestione della cosa pubblica, che si affidano ancora una volta all'ottantottenne Giorgio Napolitano per non lasciare la stanza dei bottoni e garantirsi la reciproca e perenne impunità.
E' questa la disgraziata e impietosa fotografia del Paese che ci viene restituita dalla quinta fumata nera per le elezioni del Presidente della Repubblica.
Il governo del cambiamento, che sembrava così a cuore all'impareggiabile Pierluigi Bersani (in questa fase storica, peggio di lui nessun cittadino, persino analfabeta, avrebbe potuto procedere, a meno di essere contemporaneamente senza intelletto, senza passione e senza vergogna) si è rivelato uno squallido bluff con cui ha preso in giro per settimane il corpo elettorale accusando ingiustamente e proditoriamente il leader del M5S di essere lui a non volere formare un nuovo governo: quando invece ne pretendeva solamente una firma in bianco per continuare a fare, d'intesa con Berlusconi, i fatti propri.
E' stata dura, a causa di una vergognosa campagna orchestrata dai media dell'eterno inciucio per confondere l'opinione pubblica, ma alla fine l'amara verità si staglia limpida e inconfutabile. E' merito proprio del grandissimo Beppe Grillo, già per questo padre della patria, a cui gli Italiani onesti dovrebbero serbare una grande riconoscenza, a fronte di queste termiti che hanno letteralmente spolpato il paese, se il mostruoso bluff si è disvelato.
Del cambiamento, la banda Bersani&Berlusconi non sa veramente cosa farsene, anzi ne ha il massimo sgomento: troppi devono essere gli scandali che li uniscono, troppe le partite rimaste in sospeso, troppe le collusioni, gli accordi sottobanco, i dossier tenuti in cassaforte, le cordate parallele, i ricatti incrociati.
Al Quirinale non può andare né Stefano Rodotà né chiunque altro sia una persona perbene fuori dalla mischia, nessun Italiano con la I maiuscola che possa semplicemente far rispettare la Costituzione: perché un requisito essenziale per gli aspiranti inquilini del Colle deve essere la ricattabilità, il controllo in remoto.
Ci può andare, quindi, solo chi è parte integrante di questo avvelenato sistema di potere, dove la gestione della cosa pubblica diventa funzionale al mantenimento dei privilegi della nomenklatura, delle ruberie, dell'ingiustizia sociale, della negazione dei diritti di cittadinanza agli stessi Italiani. 
Oppure ci può restare chi è organico a questo sistema inemendabile e non ha più né la forza fisica né l'età anagrafica e politica per potervisi efficacemente opporre, o semplicemente emendarlo: così Napolitano viene preso virtualmente in ostaggio da PD e PDL,  asserragliati nel Palazzo, che se ne infischiano altamente dei mugugni della piazza, ancor meno di una situazione economica di una gravità senza precedenti.
Così potranno continuare a sopravvivere d'amore e d'accordo ancora a lungo senza lasciare soverchie speranze a coloro che in queste ore li stanno osservando attoniti dall'agorà mediatico.
Grillo è riuscito, con una condotta democraticamente irreprensibile e grazie ad un linguaggio efficace, a scoperchiare finalmente il vaso di Pandora mostrando a tutti i cittadini che, dietro il solito teatrino quotidiano ad uso e consumo degli ingenui e dei distratti, le classi dirigenti di destra e di sinistra hanno stipulato, da tempo, all'insaputa dei propri elettori, un'alleanza tanto forte quanto inconfessabile, un vero patto di ferro.
Tenuto coperto in tutti i modi. Ma il buio pesto dell'Italia dei misteri verrà prima o poi squarciato.
E forse un giorno la storia degli ultimi vent'anni, dalle bombe di Capaci e Via D'Amelio, potrà essere completamente riscritta. Riina,  Provenzano, Ciancimino, i Graviano, torneranno ad essere quello che sempre in fondo sono stati: marionette sanguinarie nelle mani di menti criminali raffinatissime e senza morale, reggenti occulti del nostro sventurato Paese.
A meno di un miracolo dell'ultima ora, per noi Italiani non ci sono ancora speranze: se di colpo di stato di può parlare, esso è in atto dal 1992 e né il clamoroso responso delle urne del 25 febbraio né l'indignazione popolare possono al momento sovvertire questa sporca partita che vede sconfitti i cittadini onesti.

martedì 16 aprile 2013

Il Movimento 5 Stelle ha costruito al PD un'autostrada per il cambiamento


Dopo tante chiacchiere, è arrivato il momento di giocare a carte scoperte. 
Perché Pierluigi Bersani, ormai all'ultimo giro di giostra, deve finalmente dimostrare che il refrain di queste settimane, ripetuto come un tormentone estivo, varare il tanto famigerato governo del cambiamento, non è un semplice espediente dilatorio, cioè uno slogan da dare in pasto alla sua base elettorale, con il morale sotto le scarpe, per confortarla dopo l'ennesima cocente delusione di una vittoria mancata sul filo di lana: forse l'estremo bluff di una leadership ormai senza idee e senza passione.
In queste settimane, facendo a pugni persino con il comune buon senso prima ancora che con la legge dei numeri, il segretario democratico ha cercato in tutti i modi di farsi dare un incarico pieno da Giorgio Napolitano per dare vita ad un esecutivo di minoranza che, di volta in volta, avrebbe cercato i voti in Parlamento, magari facendo scouting tra gli eventuali Scilipoti del M5S ovvero continuando ad inciuciare con il Cavaliere in incontri a porte chiuse. 
Una strada sbarrata che ha costretto il Paese alla paralisi dell'attività istituzionale, perché nel frattempo, d'accordo col PDL, Pierluigi Bersani ha impedito la costituzione delle commissioni parlamentari permanenti e dunque l'avvio dei lavori delle assemblee legislative, oltre a rendere ancora più impervia la strada per un nuovo esecutivo, costringendo il Presidente della Repubblica a prendere tempo.
Solo così si può spiegare la convocazione di un'imbarazzante Congrega dei Dieci Saggi che in dieci giorni di inutile 'copia e incolla' hanno prodotto delle relazioni assolutamente irrilevanti, di cui nessuno già oggi, a distanza di soli quattro giorni, si ricorda più.
Mentre dentro il suo partito i mugugni si sono trasformati rapidamente in una vera e propria guerra di tutti contro tutti e, soprattutto contro di lui, Bersani, che già aveva giocato ambiguamente di sponda con il Cavaliere per l'elezione di Piero Grasso, uomo d'apparato, alla presidenza del Senato.
In questo quadro, il duello a distanza di ieri tra il rottamatore Matteo Renzi e la senatrice Anna Finocchiaro denuncia lo sfaldamento del PD mentre il segretario si incaponisce ad inseguire l'araba fenice di un governo a sua immagine e somiglianza,  seguendo una strategia schizofrenica: insistere con Napolitano nel volersi presentare alle Camere con un governo di minoranza mentre contemporaneamente cerca addirittura le larghe intese con Berlusconi per la scelta del prossimo inquilino del Colle. 
Una pretesa politicamente assurda: come pure i sassi sanno, la partita del prossimo governo si giocherà, come la Costituzione impone, proprio nelle stanze del Quirinale per cui non si capisce perché il maldestro smacchiatore di giaguari voglia lasciare fuori dalla porta di Palazzo Chigi il Cavaliere, quando proprio con lui intende scegliere il nome del nuovo Presidente della Repubblica, per i prossimi sette anni vero deus ex machina della vita istituzionale del nostro Paese.
Com'è possibile che Berlusconi sia impresentabile per Palazzo Chigi ma è partner affidabile, leale e autorevole per il Colle? 
Ai simpatizzanti del PD l'ardua sentenza!
Forse dietro questo suo atteggiamento apparentemente incomprensibile c'è la convinzione di poter contare comunque sui voti del M5S, come se ritenesse inconsciamente che siano voti del PD in momentanea libera uscita: ma se così fosse, la parola dovrebbe passare ad un bravo psicanalista.
Anche perché il M5S e il suo leader Beppe Grillo gli hanno sbarrato la strada da subito, in modo plateale, senza lasciargli speranza alcuna. 
E' vero, Bersani ha cercato di 'convincere' Grillo attraverso una  fatwa mediatica, accusandolo indirettamente di tutto, semplicemente perché, coerentemente alla campagna elettorale e alle battaglie politiche degli ultimi cinque anni (a partire dal primo V-day), il leader del M5S si è rifiutato di firmargli una delega in bianco su quei famigerati otto punti di programma, fra l'altro tutto fumo e niente arrosto.
Un politico con un minimo di senso della realtà avrebbe immediatamente compreso che un movimento di cittadini come quello guidato da Grillo si sarebbe condannato all'irrilevanza politica se avesse dato il nulla osta ad un'operazione del genere, ovvero un governo a guida Bersani, il quale, già durante le consultazioni, dichiarava che, una volta seduto a Palazzo Chigi, in mancanza dell'appoggio dei parlamentari pentastellati sui singoli provvedimenti, avrebbe non solo fatto scouting nelle sue fila ma cercato pure il soccorso azzurro di Berlusconi.
Ad esempio, su una questione cruciale come la Tav, in mancanza dei voti di Grillo, l'impareggiabile premier Pierluigi avrebbe cercato il consenso scontato del PDL, con il M5S messo così fuori gioco e lasciato in un angolo a leccarsi le ferite e a meditare con Seneca sull'ingratitudine umana
Perché togliere la fiducia ad un governo a cui la si è inizialmente accordata non è così facile come qualche ingenuo potrebbe pensare: anzi, in talune circostanze, è praticamente impossibile. 
A quel punto, addio Movimento, morto prima di essere diventato adulto, come un fiore di campo che resiste al gelo primaverile ma perde i petali al primo soffio di vento.
Adesso, grazie alla coerenza e lungimiranza del suo leader, il M5S torna al centro della scena politica avendo, con le sue Quirinarie (tanto sbeffeggiate dai media di regime quanto in fin dei conti rivelatesi preziose), indicato al PD un poker di nomi, difficilmente rispedibili al mittente.
Milena Gabanelli in pole position, Gino Strada, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, tutte persone perbenissime, esponenti di chiara fama di quella società civile con cui, in queste settimane, Bersani ha detto di voler interloquire (lo dimostra il numero sterminato di delegazioni non partitiche ricevute nel suo giro di consultazioni).
C'è solo l'imbarazzo della scelta: non sta a noi ripercorrere lo specchiato curriculum di questi Italiani a cui gli iscritti al M5S hanno riservato le loro simpatie.
La scelta di uno di loro, posto che il candidato di bandiera per le prime tre votazioni per Grillo sarà proprio Milena Gabanelli, significherebbe finalmente una svolta nella politica italiana, capace di rappresentare per la prima volta dai tempi fulgidi di Sandro Pertini un sentimento di stima diffuso e trasversale che scavalca la tradizionale e sclerotica dicotomia destra - sinistra, che ha nascosto in questi anni, dietro un'apparente contrapposizione ideologica, una smaccata convergenza di interessi, tanto torbida quanto sottaciuta: il famigerato inciucio.
Grillo e i suoi parlamentari hanno così scaraventato la palla nel campo del PD che a questo punto deve scoprire le proprie carte: perché rifiutare questi nomi sembrerebbe una missione impossibile. 
Non fosse altro che  appaiono di altissimo gradimento proprio nell'elettorato di centrosinistra e alcuni di loro pescano larghi consensi anche nel centrodestra: è il caso dei due insigni costituzionalisti Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà.
In una fase storica in cui si tratta di mettere mano a imponenti riforme istituzionali, chi meglio di un valente giurista può farsi garante della transizione indolore e in punta di Costituzione alla Terza Repubblica?
Se Bersani e il gruppo dirigente del PD non saprà cogliere l'attimo fuggente che da giovedì mattina si presenterà al Parlamento riunito in seduta comune con i rappresentanti delle Regioni, non solo decreterà un definitivo fallimento personale ma innescherà la deflagrazione del Partito Democratico, costringendo il Paese a tornare al più presto alle urne dopo un drammatico nulla di fatto.
Contro la tentazione del grande inciucio con Silvio Berlusconi per puntare su nomi a questo punto di basso o bassissimo profilo come Amato, Marini, D'Alema, Violante, Severino, Cancellieri, Bonino, Finocchiaro, Monti, Casini e chi più ne ha più ne metta, il poker esibito dal Movimento 5 Stelle metterà automaticamente a nudo i vizi e le virtù del gruppo dirigente del PD. 
Anche perché qualcuno dovrà prima o poi spiegare ai propri elettori perché mai le larghe intese si debbano fare con il PDL, terza forza politica alla Camera, e non con il Movimento di Grillo che, almeno in Italia, ha preso pure un numero di voti superiore a quelli dello stesso PD.
Insomma, il Movimento 5 Stelle, lungi dall'Aventino in cui certa stampa lo accusa di essersi relegato, ha costruito in tempi record un'autostrada al Partito Democratico per far uscire il Paese dall'intricatissimo ingorgo istituzionale e magari dargli, dopo quattro mesi, un buon governo finalmente nella pienezza dei suoi poteri.
Per Bersani e c., insistere con i vecchi riti sarebbe politicamente irresponsabile oltre ad essere esiziale per il suo partito, fra l'altro dovendo smetterla di ripetere come un disco rotto: è tutta colpa di Grillo...
Aspettiamo pazientemente il PD al casello con uno dei quattro prestigiosissimi ticket.


domenica 24 marzo 2013

Il dilemma da Fazio: Gramellini o... Talebani?

In Rai sono tutti preoccupatissimi dei tagli ai costi della politica che l'avvento del M5S in Parlamento già ha  prodotto, per la prima volta nella storia d'Italia.
Laura Boldrini e Piero Grasso, aderendo alla sollecitazione di Beppe Grillo che li aveva invitati dal suo blog a dimezzare le loro indennità di carica, gli hanno dato retta ritoccando prontamente la decurtazione del loro appannaggio rispetto all'iniziale 30%, con cui si erano spontaneamente presentati alle rispettive assemblee appena eletti. 
Naturalmente i giornali della Casta hanno depotenziato lo scoop a semplice trafiletto in pagina interna. 
Alla direzione dei maggiori quotidiani infatti si sono subito attrezzati a capire come fosse possibile  neutralizzare la notizia per evitare che la gente finisca per convincersi che lo tsunami del M5S stia già producendo i frutti sperati. E si mugugna: va a finire che chi lo ha votato non si stia pentendo affatto del voto dato a Grillo? Non sia mai!!!
Giovanni Floris, intervistato ieri sera da Fabio Fazio, della serie  "La TV autoreferenziale che ispeziona il proprio ombelico", è apparso sgomento mentre presentava il suo libro di prossima uscita. 
Così si è cimentato in una difesa degli alti stipendi dei parlamentari, del valore metafisico del superfluo, contro ogni peccaminosa tentazione pauperista, invocando il ritorno all'antico, cioè allo scialo generalizzato della Casta. Perché, dice lui, i parlamentari (ma forse ci metteva inconsciamente dentro anche i conduttori televisivi) hanno un incarico di grossa responsabilità e dunque devono essere pagati profumatamente, hanno il diritto di sognare ad occhi aperti!
Non riportiamo il resoconto stenografico del suo intervento solo per carità di patria, comunque chi vuole se lo può rivedere qui.
Anche Fazio, guarda un po', sembrava ammaliato dagli aforismi sgangherati del collega e annuiva convinto: sì questa maledetta spirale pauperista, a causa di quella inaspettata e terribile tenaglia mediatica rappresentata, da un lato, dalla novità storica del papa Francesco verso una chiesa degli umili e dei poveri e, dall'altro, dallo schiacciasassi del Movimento 5 Stelle che finalmente vuole fare i conti in tasca ai politici con un drastico ridimensionamento dei loro privilegi, sta creando subbuglio nella nostra classe dirigente!

In spregio ai 4 milioni di indigenti in Italia recentemente censiti e in crescita al ritmo di un milione all'anno, o agli stipendi da fame di sconfinate praterie di lavoratori dipendenti, o alla corsa ad ostacoli dei milioni di lavoratori parasubordinati, ma anche alle pensioni da inedia, senza trascurare le migliaia di persone che ogni giorno perdono definitivamente il posto di lavoro, l'ineffabile pattuglia dei conduttori Rai è visibilmente preoccupata di veder infranti i propri sogni di ricchezza e guarda con diffidenza ad ogni provvedimento che miri ad equidistribuire il peso dell'austerity tra tutti i cittadini. 
Perché se il vento dell'austerity varcherà, dopo quello del Parlamento, persino il portone di Viale Mazzini, per loro addio sogni di gloria...
Ed ecco un irresistibile e sperticato elogio della ricchezza, della necessità di sognare di essere tutti benestanti (almeno gli adepti della Casta!), del pericoloso virus inoculato da papa Francesco e dall'antipolitica: alla faccia di quanti non riescono a conciliare il pranzo con la cena! (Per non parlare del miliardo di persone nel mondo che non possiede proprio nulla...).
La morale di Floris è questa: voi potete pure morire di fame; pazienza, ci dispiace ma al momento non possiamo farci nulla. L'importante è che vi possiate nel frattempo consolare sognando ad occhi aperti la nostra vita dorata!

Qualche istante dopo Massimo Gramellini, ospite fisso del talkshow, come fa ormai da varie settimane, ha preso di mira Beppe Grillo raccontando che, giovedì dopo il colloquio al Quirinale, è tornato a casa di gran carriera sulla macchina guidata dall'autista passando con il rosso due o tre volte e facendo pure un paio di inversioni ad U. 
Naturalmente, con tutta la sua disarmante perché affettata onestà intellettuale, si è guardato bene dal precisare che il leader del M5S è stato vittima nella circostanza di un vera e propria azione di stalking, letteralmente inseguito per le vie di Roma da torme di giornalisti e fotoreporter in sella a potenti moto che hanno tentato in più di un'occasione un vero e proprio arrembaggio alla sua macchina sperando di rubare qualche scatto e pure un'impossibile intervista al volo fin sopra il raccordo anulare. 
Ma così dicendo avrebbe dovuto smontare quel simpatico ritratto da Attila del codice della strada, così faticosamente costruito su Grillo,  grazie all'immancabile contorno delle sue insipide battutine.
Non contento, ha pure riferito, leggendo quasi per intero il pezzo di un retroscenista del suo stesso giornale, Andrea Malaguti, delle presunte lamentele dei parlamentari pentastellati, che si sentirebbero offesi perché il loro leader non è passato a salutarli prima di tornarsene nella sua Genova. 
Gramellini ha così, in prima serata Rai, improvvisato la tac del gruppo parlamentare di Grillo: innanzitutto ci sarebbero i trattativisti, quelli che si sono lamentati della mancata visita del capo e che il suo giornale già quantifica essere una ventina (e sogna transfughi alla corte di Bersani...); poi, sempre secondo il vicedirettore de la Stampa, ci sarebbe la pattuglia degli spaventati, cioè quelli che temono le ire di Grillo di fronte ad un loro possibile voltafaccia. Infine i talebani, lealisti e fedeli alle indicazioni di gruppo, che si attengono scrupolosamente al mandato politico ricevuto dagli elettori. Ma proprio per questo, per sentenza pronunciata da Massimo Gramellini in nome e per conto del suo quotidiano, sono degli irriducibili talebani.
Forza Gramellini, che cosa ci suggerisci adesso:  li vogliamo bombardare per esportare la democrazia??
Naturalmente lui spera che il suo delirio onirico, cioè l'esistenza di una fronda interna al M5S che possa dare la fiducia al governo dell'impresentabile smacchiatore di giaguari, Pierluigi Bersani, diventi realtà e che anche il movimento di Beppe Grillo possa trasformarsi in una gigantesca fabbrica di cloni di Scilipoti, così da far impallidire il ricordo della campagna acquisti a suo tempo organizzata dal premier Silvio Berlusconi per parare il colpo della defezione dei vari Fini, Bocchino, ecc. 
Il tutto corredato da un bello scroscio telecomandato di applausi di sottofondo in modo che, subliminalmente, davanti alla platea televisiva passi il messaggio che tutta Italia la pensi esattamente come Gramellini: non ci sono alternative, o con Bersani o Talebani!
Squallida propaganda a favore del PD rifilata al'interno di un contenitore televisivo del sabato sera con millantate ambizioni culturali.
A cui non possiamo che rispondere con una battutina come quelle a cui ci ha abituati il vicedirettore della Stampa: chi non salta... Gramellini è!

venerdì 22 marzo 2013

Corriere e Repubblica non moderano, censurano!

In questi giorni, sia Repubblica che Corriere della Sera, i due maggiori quotidiani nazionali, hanno riempito pagine e pagine della loro foliazione accusando il blog di Beppe Grillo di censurare i commenti non graditi. 
Addirittura hanno riproposto, pubblicandole, intere schermate del sito in cui erano presenti commenti di personaggi che, prendendo spunto dall'episodio dei senatori del M5S che avevano votato per Grasso in contrasto con le decisioni del gruppo parlamentare, accusavano Grillo di ogni infamia equiparandolo rispettivamente e nell'ordine a Hitler, Mussolini, Stalin, ecc. ed altre galanterie di questo genere. 
Sì, parliamo (per l'ultima volta!) dei troll che, come abbiamo già ribadito, vanno debitamente filtrati, pena la destabilizzazione e il dissolvimento di ogni forum o altro ambiente virtuale di discussione collettiva.
Pure Michele Santoro, alla cui trasmissione non ci pentiamo abbastanza di aver contribuito finanziariamente con altri 100.000 sostenitori,  messa in onda nella passata stagione in multipiattaforma (emittenti locali + internet) e che, approdato a La7, di settimana in settimana, allestisce sempre la solita compagnia di giro (Vittorio Sgarbi, Lara Comi, Daniela Santanché, Massimo Cacciari, Giulio Tremonti, Alessandra Mussolini, per citarne solo alcuni, anche se iniziamo a sentire la mancanza di Cicchitto e La Russa o magari Gasparri) senza più la scusante di venire censurato dal clan di Arcore, ha lanciato un servizio curato dalla giovane Giulia Innocenzi che intervista un oscuro blogger, tal Andrea Guerrieri, che ha creato, così assicurano, il sito nocensura.eurosoft.net (qualcuno sa come raggiungerlo?!!!) dove pubblicherebbe tutti i commenti rimossi dal blog di Beppe Grillo utilizzando un apposito software da lui stesso predisposto: software che fotograferebbe di continuo le schermate di commenti per confrontarle immediatamente dopo e verificare se hanno subito cambiamenti e rimozioni. 
Veramente un impegno degno di miglior causa! 
Ma tant'è: la rete annovera personaggi di ogni risma, anche quelli decisamente bizzarri come questo blogger.
La cosa curiosa è che siti come Corriere.it o Repubblica.it praticano molto più efficacemente di Grillo la cosiddetta censura preventiva: il commento non gradito, pure se scritto consultando preventivamente il dizionario dell'Accademia della Crusca e il Galateo di Giovanni della Casa, viene immediatamente cestinato e non apparirà mai in rete. 
Così mentre ad esempio, sotto un pezzo che denigra o comunque mette in cattiva luce il M5S e i suoi protagonisti, sono ammesse tutte le offese possibili e immaginabili (basta che non scadano nel più truce turpiloquio), e censura non ce n'è; appena, però, si tratta di pubblicare commenti a margine di un pezzo sulle mirabolanti avventure del PD o di uno dei suoi massimi esponenti, lì la ghigliottina della censura preventiva scatta  puntuale e affilata.
E del giudizio appena appena critico non resta traccia, con buona pace del software più potente inventato dall'Archimede di turno che non può evidentemente rilevare ciò che non ha mai potuto avere neppure un attimo di notorietà in rete.
Vi invitiamo perciò a provare per verificare personalmente se raccontiamo panzane.
Lo stesso Marco Travaglio, ormai unica luce nel buio di Servizio Pubblico, di fronte allo scoop fantozziano della Innocenzi non ha potuto trattenere una risata di compatimento, precisando che la moderazione dei commenti è la prassi di qualsiasi sito che si rispetti. 
Così mentre il blog di Grillo modera i commenti, cioè li rimuove dopo che sono stati pubblicati (tanto da permettere comunque a qualche strano navigatore della rete di inventarsi giochini insulsi come quello di Guerrieri),  Repubblica.it e Corriere.it marciano imperterriti, sicuri e vincenti, con la censura preventiva, a prova di blogger e dell'acume della Innocenzi.

Rettifica del 25/03/13 h. 14.45: il blogger Andrea Guerrieri ci comunica l'indirizzo corretto del suo sito, che non è quello indicato da Servizio Pubblico (e da noi ripreso), ma il seguente: nocensura.eusoft.net .

domenica 17 marzo 2013

Bersani per salvare se stesso sacrifica il PD

La giornata di ieri ha visto in Parlamento il proseguimento del più bieco tatticismo del partito democratico, già esibito nella giornata di inaugurazione della legislatura, nonostante a conti fatti siano stati eletti due illustri personalità, fra l'altro estranee al mondo della politica, che sicuramente, dai loro alti scranni, potranno fare nient'altro che bene.
Pierluigi Bersani, alla spasmodica ricerca di un ticket da Napolitano che gli consenta di avere l'incarico pieno in vista delle consultazioni per la formazione del nuovo governo, ha così sacrificato sull'altare delle proprie ambizioni il tandem Franceschini-Finocchiaro, per convergere a notte fonda sui nomi che poi sarebbero risultati eletti.
Una decisione talmente verticistica che ieri mattina, di fronte alla lapide che ricorda le vittime della strage di Via Fani nella ricorrenza del 35° anniversario, alcuni dirigenti del PD ancora non ne erano ben a conoscenza.
Tanto per rispondere alla leggenda metropolitana, abilmente rilanciata dai media, secondo cui mentre nel M5S tutto verrebbe deciso esclusivamente dal duo Grillo - Casaleggio, nel PD si respirerebbe ben altra aria di libertà e tutto si svolgerebbe alla luce del sole: anzi,  soltanto a seguito di una discussione assembleare e, per di più, all'unaninimità.
Ma a scomporre questo quadretto idilliaco, ci sono all'interno del PD i molti mugugni in corso e l'ira di quanti (non pochi!), sono stati presi in contropiede dall'iniziativa del segretario.
Il voto a Laura Boldrini e Piero Grasso di fatto stravolge l'identità politica del partito democratico che, nonostante i numeri esagerati ottenuti con la legge elettorale porcata (con il 25% dei voti il PD capeggia una coalizione a cui è andato un mostruoso premio di maggioranza del 55% dei seggi!), ha dovuto ripiegare su figure del tutto estranee al suo entourage per le massime cariche delle aule parlamentari.
Come se lo stesso segretario implicitamente riconoscesse che la tessera PD di fronte alla pubblica opinione vada tenuta nascosta.
In breve, Bersani ha sparigliato il gioco, con un duplice effetto: ha assestato un colpo formidabile all'immagine del PD, perorando presso il Colle la propria personalissima causa, ed ha creato scompiglio nelle fila del Movimento 5 Stelle. 
Un colpo di scena con cui sacrifica l'apparato del partito per sostenere la sua candidatura a premier: un doppio salto mortale, foriero di sviluppi tutt'altro che prevedibili. 
Nella partita delle presidenze delle camere, dire quindi che abbia vinto il PD è una bugia pietosa: ha vinto Bersani che paradossalmente al suo interno è diventato più debole e in evidente deficit di credibilità.
Quanto al M5S, è probabile che almeno una decina di senatori abbia votato contro le indicazioni di maggioranza. 
Qui si apre un caso politico: si possono disattendere le decisioni di gruppo per votare a ranghi sparsi? 
Evidentemente no, soprattutto se questo avviene alla prima occasione che conta: i senatori che hanno disobbedito agli ordini di scuderia, come dice Grillo, per quell'obbligo di trasparenza nei confronti dei propri sostenitori, lo dovrebbero dichiarare pubblicamente, assumendosene tutte le responsabilità. 
Il che non significa vederli espulsi dal gruppo ma ammonirli ufficialmente.
Uno vale uno, non significa che ognuno fa quello che gli pare, con buona pace dei media tendenziosi che puntano a far cadere il M5S nel caos. 
Del resto, la disciplina di gruppo è un valore in sé, come avviene per tutte le forze parlamentari: che cosa sarebbe successo ieri se 35-40 deputati del PD, contro le indicazioni del segretario, avessero votato per Franceschini??
Per quanto riguarda poi gli elettori del M5S che già dopo due giorni di apertura del Parlamento dichiarano pubblicamente di essersi pentiti del voto dato solo venti giorni fa, è chiaro che, nella migliore delle ipotesi, sono semplicemente voti a perdere e la velocità del loro pentimento tradisce la loro totale inaffidabilità e mutevolezza d'opinione. 
Guai a inseguire umoralmente queste persone, ne va dell'identità del movimento che rischia altrimenti di trasformarsi nella stampella sinistra del partito democratico, perdendo la sua carica di innovazione e, in pochi mesi, il suo straordinario appeal politico.
E' vero, nel ballottaggio tra Schifani e Grasso, a mente sgombera dal tatticismo partitico, sembrerebbe assurdo non optare per Grasso ma nell'ipotesi che avesse prevalso Schifani, la responsabilità sarebbe ricaduta in toto sul PD che, con la sua mossa tatticamente spregiudicata, ha intenzionalmente voluto mettere il M5S in un angolo. 
Possibile che il M5S, prima forza politica alla camera (un sondaggio del 15/3 lo dà al 30% delle intenzioni di voto, 5 punti sopra il PD!), non avesse diritto ad una presidenza e che il PD non potesse fare un gesto distensivo in questa direzione?
Lascia perplessi anche la mossa del PDL che, da forza di minoranza, ripresentando  Renato Schifani ha obiettivamente proposto una candidatura debolissima, quasi sospetta. 
Una sorta di inconfessabile mossa a tenaglia tra PD e PDL ai danni del M5S (non a caso Berlusconi ha attaccato ieri non il PD ma Grillo, trattenendo la delusione e limitandosi a far dichiarare che il PD aveva così fatto incetta di cariche istituzionali), prova tecnica di un inciucio prossimo venturo.
Ecco perché i senatori del M5S che hanno votato Grasso, al di là della persona, hanno commesso un madornale errore politico. 
Per questa volta passi: perché è compito anche di Beppe Grillo spiegare per bene a dei neofiti, al di là delle regole interne, come funziona la politica e in cosa si traduce l'esasperato tatticismo dei suoi principali esponenti.
Errare è umano... ma la prossima volta perseverare sarebbe diabolico.

venerdì 15 marzo 2013

PD e PDL se ne infischiano dell'Italia e votano scheda bianca!


Che PD e PDL abbiano dato avvio alla nuova legislatura votando ripetutamente scheda bianca per i presidenti di Camera e Senato fotografa, meglio di tante parole, come i vecchi partiti della Casta non solo non si rendano conto della gravità della situazione ma, quel che è peggio, non abbiano in nessuna considerazione l'opinione dei cittadini, nonostante il segnale emerso dalle urne solo venti giorni fa sia stato inequivocabile. 
Ancora una volta il meglio della giornata politica è venuto proprio dal M5S che pure i media in queste settimane hanno avuto la 'premura' di lavorare come un'armata brancaleone, pattuglia disordinata di dilettanti allo sbaraglio che non conoscono le regole del gioco, di estrema rozzezza ed impreparazione.
Eppure, come d'incanto, anche in questo delicato frangente hanno mostrato senso di responsabilità ed attaccamento istituzionale, una compattezza ed un'unità d'intenti veramente inusuali per i ritmi paludati del teatrino parlamentare, designando e votando i propri candidati, senza accordi sottobanco con nessuno. 
Di più, con il massimo rispetto per la democrazia, i loro capigruppo hanno dichiarato che tutte le riunioni con i rappresentanti degli altri partiti avverranno sempre in diretta streaming, ovvero alla luce del sole. 
Così che tutti i citadini, non solo i loro elettori, siano messi al corrente degli accadimenti in tempo reale e possano giudicarli direttamente, senza nessuna intermediazione mediatica: predicare bene, quindi, per razzolare meglio!
Quelli che invece hanno sgovernato il Paese per vent'anni e che hanno ancora la presunzione di continuare a governarlo nei secoli dei secoli, ovvero lo smacchiatore di giaguari e aspirante premier Pierluigi Bersani e il suo omologo Silvio Berlusconi, momentaneamente al riparo dalla magistratura nella suite del San Raffaele, giocano ad un irresponsabile e vergognoso risiko votando e facendo votare scheda bianca, dimostrando che loro la politica, come se non fosse successo niente, la continuano a fare come sempre, ovvero sottobanco, dietro le quinte, tentando di stringere all'ombra del Palazzo accordi scellerati e patti inconfessabili. 
Tant'è che non hanno ancora, dopo un giorno di inutili di votazioni, neppure la più pallida idea di quale possa essere il loro candidato per le due presidenze!!!
Una personalissima partita a poker, da incalliti e spregiudicati giocatori,  fatta alle spalle di un'Italia agonizzante che li fissa con lo sguardo attonito e rabbioso.
Tuttavia per i media è sempre Beppe Grillo l'irresponsabile....
Con tutta sincerità, si può onestamente scendere a patti con personaggi del genere che, quando sono a favore di telecamera, professano sconfinata lealtà istituzionale ma dietro le quinte giocano d'azzardo sulla pelle del Paese?
E Bersani ha pure il coraggio di sbottare: «c'è crisi e perdiamo tempo!»