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domenica 16 febbraio 2014

Renzi ripropone le larghe intese con il Pregiudicato d'Italia

Il ciclone Renzi che ha abbattuto d'improvviso e in sole 48 ore il governo Letta, senza un doveroso passaggio parlamentare, riporta agli antichi fasti la stagione delle larghe intese
Perché il tentativo del sindaco di Firenze può spiegarsi unicamente con l'aver ricevuto l'esplicito inconfessabile nulla osta di Silvio Berlusconi, il Pregiudicato d'Italia. Altrimenti la sua iniziativa fallirebbe già in queste ore, ancor prima che il suo governo possa accendere i motori.
O Renzi è uno squilibrato, ma non abbiamo motivo di pensarlo, oppure la riedizione delle larghe intese, riveduta ed edulcorata con le bischerate del guitto fiorentino, è ai nastri di partenza, con un orizzonte temporale che comunque resta incerto.
Sono i numeri che lo dicono: il perimetro del futuro governo Renzi è lo stesso, identico, di quello di Letta. Ragione per cui il programma politico non potrà in nulla deviare da questo: Renzi potrebbe comodamente riciclare lo sbiadito Impegno Italia, approntato solo lunedì scorso dal nipote di suo zio, senza neppure fare la fatica di riscriverlo e magari neppure di rileggerlo. 
Sì, certo, potranno cambiare alcune figure dell'esecutivo, come l'impresentabile Cancellieri. Ci potrà essere l'ingresso di personalità carismatiche come Epifani, l'inevitabile sostituzione di Saccomanni all'Economia, ma la politica economica di questo governo, elemento decisivo per tratteggiarne la fisionomia, non potrà differire di una virgola da quella del governo Letta: una supina accettazione dei diktat europei, una cieca e cronica austerity che proseguirà per mancanza di liquidità, le privatizzazioni di buona parte dei pochi gioielli di famiglia rimasti (Eni, Enel, Finmeccanica), la necessità di nuovi tagli alla spesa e l'introduzione ormai imminente di una tassa sui depositi bancari e sulla ricchezza finanziaria in tandem con una rimodulazione di quella sulla proprietà immobiliare, ovvero la famosa patrimoniale che i tedeschi, non avendo alcuna intenzione di venire in nostro soccorso, ci vogliono imporre da tempo.
In fondo, è l'esatto contrario di quello che solo fino ad una settimana fa Renzi si era impegnato a fare, lasciando libertà di movimento ad Enrico Letta, in attesa di prenderne il posto dopo le prossime elezioni politiche anticipate. 
Come sia possibile che Renzi possa compiere un simile voltafaccia, una mossa così avventata e autolesionista, sembra un mistero. Qui non si tratta di rischiare il tutto per tutto, come lui stesso ha già ammesso, ma di consegnarsi anima e corpo al Pregiudicato. 
Una condotta apparentemente dissennata: infatti, cosa accadrebbe se non dovesse trovare i numeri per ottenere la fiducia? Di certo, passerebbe alla storia come il kamikaze del PD! 
Insomma, Renzi affida il suo destino politico nelle mani di Berlusconi e dei suoi bravi... se non è questo un suicidio politico!
Ma se questo puzzle non torna, forse può voler dire che le cose non stanno proprio come ci vengono presentate.
E' molto strano che, come si mormora da più parti dentro al PD, la "profonda sintonia" con il Pregiudicato d'Italia dichiarata giorni fa da Renzi a Largo del Nazzareno a conclusione dell'incontro con quest'ultimo sulla legge elettorale e sulle riforme costituzionali (un pessimo biglietto di presentazione!) non coinvolga evidentemente anche la partita del governo, cosa che anche sul piano logico sembrerebbe scontata.
Non si capisce infatti come sia possibile per i due compagni di merende fare le riforme costituzionali insieme, d'amore e d'accordo, e poi schizofrenicamente farsi la guerra all'ultimo sangue sul governo: una buffonata a cui nessun italiano, con un minimo di spirito di osservazione, potrebbe mai abboccare.
Come riconosce pure il corazziere Eugenio Scalfari, nell'odierno messale,  il programma economico di Renzi non si differenzia in nulla da quello di Forza Italia:
   
"Renzi si è impegnato a non fare governi con Forza Italia e — si spera — manterrà l’impegno, ma gli accordi con Berlusconi si estendono ad una buona parte del suo programma di riforme. Non comprendono la politica economica e i provvedimenti che la riguardano. Ma, nelle ancora vaghe dichiarazioni di Renzi in proposito, non si ravvisano sostanziali diversità da Forza Italia: sgravi ai lavoratori e alle imprese e quindi cuneo fiscale ridotto per quanto possibile; prevalenza del contratto di lavoro aziendale su quello nazionale; nuove forme di ammortizzatori sociali; semplificazione delle procedure, più elasticità finanziaria rispetto ai vincoli di Bruxelles; diminuzione delle tasse e tagli delle spese.
Queste finora sono le dichiarazioni di Renzi. Ricordano sia quelle di Letta sia quelle di Squinzi e della Confindustria, sia quelle della Cgil, sia quelle di Forza Italia quando ancora si chiamava Pdl."

Il renzismo non è altro che la continuazione del berlusconismo in forme più adeguate ai tempi sul piano della comunicazione: in sintesi, il cinepanettone che diventa pratica di governo. 
Di qui la necessità impellente di Renzi di rompere gli indugi per piazzare i suoi uomini prima che lo spoils system di Letta ne potesse bloccare la proliferazione.
Ma a questo punto si capisce anche perché Napolitano non lo abbia rinviato alle Camere. 
Al contrario di ciò che afferma Scalfari infatti presentarsi alle Camere avrebbe fatto emergere di fronte al Paese i veri motivi di questo affrettato e inopinato cambio in corsa: ovvero, il riemergere della figura del Pregiudicato come eminenza grigia del nuovo esecutivo, vero mattatore delle larghe intese. 
Ciò spiega pure perché Re Giorgio non abbia trovato nulla di disdicevole nell'accogliere al Quirinale il frodatore fiscale, in predicato di scontare la pena, per le Consultazioni.
Anche in questo caso, la figura di Napolitano che ormai dal Colle gioca una partita politica a tutto campo, infischiandosene di ciò che prescrive la Costituzione riguardo alla sua funzione super partes, ne esce a pezzi. Quando l'arbitro non solo inizia a fischiare i rigori esclusivamente a favore di una squadra ma lui stesso inizia a calciarli per infilare la porta dell'Opposizione, vuol dire proprio che lo stato democratico è giunto al capolinea: chiamatelo, se volete, un nuovo 8 settembre.
Ma una ultima riflessione va a questo punto fatta: possibile che dentro il PD lascino agire indisturbato il kamikaze Renzi  e osservino indifferenti le macerie ideologiche che sta causando, senza muovere un dito? Dà tanto la sensazione che il Pregiudicato d'Italia, proprio grazie a Renzi, abbia ormai ultimato la scalata a questo partito, la cui nomenklatura resta inerte, intenta solo ad occultare i troppi scheletri nell'armadio.
Insomma, non solo ancora non è ancora stata fusa la chiave per la cella del Pregiudicato ma è proprio lui a possedere la combinazione di qualche cassaforte dal contenuto scottante e, quindi, giocoforza a comandare le danze.


mercoledì 15 agosto 2012

La democrazia ai tempi della Casta

L'anno che si chiude con queste ferie d'agosto segna per molti versi un passaggio epocale.
Il 2011-2012 ci consegna, in fatti, il volto di una classe dirigente che, messe da parte tutte le ipocrisie e i convenevoli di facciata, usa la democrazia a fini privati, cioè come strumento di massa per affermare la propria supremazia sociale, infischiandosene al momento giusto delle regole, della legge, della stessa Costituzione.
La Casta aspira al potere non per accarezzare la propria idea, il proprio modello di società, e magari vederlo sviluppato e realizzato in concreto.
E' bene per gli elettori non farsi più soverchie illusioni! 
Una volta coagulato sulla base di poche parole d'ordine un consenso abbastanza vasto tra i cittadini tale da potersi considerare prevalente  (e su questo si concentrano tutti gli sforzi, anche facendo carte false o cercando di finanziare la propria campagna elettorale con aiuti esterni al prezzo di inquinare la propria asserita spinta ideale),  i politici di professione lo strumentalizzano  per poter improntare finalmente la propria esistenza al di sopra di ogni limite che non sia quello della propria esclusiva discrezionalità, sistematicamente violando le norme quando queste entrano in rotta di collisione con il proprio agire.
Perché, per questi personaggi, sono le norme che confliggono con i propri comportamenti, e non il contrario, come il buon senso suggerirebbe.
Ed ecco che al momento giusto non tollerano che la magistratura possa chiedere loro conto del proprio operato.
Per loro, infatti, l'obiettivo pressoché unico resta quello di essere eletti: a quel punto, la propria missione può dirsi conclusa.
Da questo momento in poi, si tratterà soltanto di esercitare le proprie prerogative, sia pure nelle forme concordate con gli altri fortunati eletti: ci si metterà d'accordo, non è un problema, quand'anche si finisse formalmente all'opposizione.
Una qualche forma di condivisione del potere comunque ci sarà, magari in forme meno appariscenti. 
Bellezza, questa è la partitocrazia!
Il discorso vale per i parlamentari nazionali,  ma, con necessarie attenuazioni, può essere esteso anche ai livelli amministrativi inferiori. Anche perché, all'interno dei partiti, c'è la necessità di avere, oltre ai classici portatori d'acqua, leader disponibili a coprire i diversi ruoli a seconda delle occasioni.
E' così che ad un parlamentare può essere chiesto il supremo sacrificio di candidarsi a sindaco, persino costringendolo a rinunciare all'attuale seggio, con la promessa di lauta ricompensa alla prima occasione buona.
La legge elettorale, il porcellum, ha poi portato all'esasperazione l'appartenenza di Casta: tra premio di maggioranza e liste bloccate dalle segreterie di partito, il legame tra politici e elettori si fa praticamente inesistente.
E non c'è programma o piattaforma politica che dir si voglia: nessun partito si sbilancia più su ciò che intende veramente fare a vittoria elettorale archiviata, la politica è quella delle mani libere.
In pasto agli elettori al massimo una dichiarazione d'intenti, come ha fatto il PD, dove si può leggere tutto e il suo contrario.
Così si spiega perché tra PD - PDL e UDC, cioè tra centrodestra - centrosinistra e centristi, non c'è differenza alcuna nella pratica politica.
Tutta la battaglia si concentra, in una campagna elettorale forsennata, sull'accesso, più o meno negoziato, alla stanza dei bottoni: ma una volta preso possesso della tastiera, si è padroni di digitarvi sopra la propria raggiunta immunità, in barba ad ogni regola.
Con due poteri dello Stato, Parlamento e Governo, ridotti così, la magistratura diventa automaticamente il nemico da abbattere, all'occorrenza ribaltando persino il tavolo dei principi della Costituzione grazie alla complicità dei media.
Ecco perché si può stare in Afganistan o in Iraq, in palese violazione dell'art. 11, senza problemi; così come si può bombardare la Libia, solo pochi mesi dopo aver firmato con tutti gli onori e crismi un trattato di non belligeranza.
Ma si può pure delegitimare l'indagine della magistratura sul biennio stragista del 1992-93, invocando inesistenti prerogative costituzionali; e al tempo stesso promulgare le leggi vergogna dell'epoca berlusconiana, tanto prima o poi vanno firmate...
Si può poi nominare un Governo con una maggioranza parlamentare trasversale che, in un sistema maggioritario bipolare, senza un passaggio elettorale, è sostanzialmente illegittimo; esecutivo che poi prende provvedimenti impopolari senza doverne neppure rispondere agli elettori, fungendo da curatore fallimentare del Paese, che in pochi mesi è stato ridotto, anche per effetto di queste misure, alla canna del gas.
Si possono annullare le ordinanze del giudice di Taranto per far riprendere la produzione dell'Ilva, infischiandosene del disastro ambientale e delle morti causate dall'impianto siderurgico fuorilegge, facendo finta di salvare posti di lavoro ma intanto condannando a morte quelli che forse implicitamente vengono considerati Italiani di serie B o C.
Eppure, prima dell'intervento della magistratura, nessuno si preoccupava di imporre all'Ilva il pieno rispetto della normativa ambientale; naturalmente, negli anni passati, l'Ilva provvedeva, piuttosto che gli impianti, a bonificare, beninteso legittimamente, gli amici-nemici Forza Italia e Pierluigi Bersani con cospicue elargizioni, sicuramente in virtù di reciproche affinità elettive.
E' forse un caso che Pierluigi Bersani e Angelino Alfano, si sono scagliati all'unisono contro la decisione del gip, chiedendo al governo di intervenire, in palese violazione della legge?
E' chiaro che la situazione politica del Paese è diventata insostenibile: che a presidiare quello che resta della nostra democrazia sia rimasta, sola e infangata, la magistratura, è  un fatto gravissimo.
E se i cittadini non riprendono in mano la sovranità e cacciano via mercanti e banchieri dalle Istituzioni, questo Paese non ha più futuro.
Ma bisogna fare in fretta, prima che la Casta abbia finito di svendere insieme ai gioielli di famiglia la nostra stessa dignità.

domenica 6 gennaio 2008

La politica non è una partita a scacchi

Nell’ultima intervista rilasciata su Repubblica a Massimo Giannini alla vigilia dell’Epifania, Walter Veltroni, segretario del PD, dopo aver bocciato il modello elettorale tedesco di tipo proporzionale professa la sua cieca fiducia nel bipolarismo italiano ed in un sistema elettorale di tipo maggioritario a doppio turno, con l’elezione diretta del Capo dello Stato.
E’ abbastanza sferzante sul punto: “Forse chi vuole il sistema tedesco così com’è ha in testa un’altra idea: la Grande Coalizione. L’unica che renderebbe coerente la scelta del modello tedesco integrale. Ma se è così, si sappia fin da ora che la Grande Coalizione non è il progetto politico del PD. Il nostro partito nasce per consentire un sistema bipolare dell’alternanza, ispirato ad un principio di coesione. Questa, per noi, è una frontiera invalicabile”.
Ci piacerebbe, qualche volta, piuttosto di parlare di formule astratte, che gli uomini politici di primo piano si sbilanciassero a discutere dei veri problemi del nostro Paese.
La tiritera del bipolarismo ha fatto il suo tempo.
Mai in questi ultimi quindici anni il bipolarismo italiano ha dato prova di funzionare decentemente: pessimi gli esiti sia con il centrosinistra che con il centrodestra. Mentre la politica nel suo complesso si è sempre più rinchiusa nel proprio fortino, esprimendo un linguaggio criptico, distante dalla gente: è così che la riforma elettorale o quella dell’assetto costituzionale diventano semplicemente l’occasione di una grande partita a scacchi, dove il futuro del Paese viene immaginato sul proprio personale successo.
E’ una politica per primedonne dove le idee contano relativamente poco: tutto si può discutere, non ci sono pregiudiziali; l’importante è non mettere in crisi il proprio sconfinato narcisismo.
Probabilmente, le stesse categorie logiche della destra e della sinistra sono ormai un retaggio del passato e non riescono più a spiegare né tanto meno ad affrontare (meno che mai a risolvere!) i problemi della società contemporanea.
Se Veltroni ci tiene tanto ad un sistema bipolare, dovrebbe meglio spiegarci in che modo PD e Forza Italia rappresentano delle reali alternative sul piano programmatico.
Lasciamo stare le polemiche che puntano tutto sull’uomo Berlusconi e che rappresentano una facile scorciatoia per eludere il quesito principale: qual è il modello di società che il PD sostiene e che sarebbe, a dire del suo leader, contrapposto a quello rappresentato, adesso alla men peggio, dal centrodestra?
L’impressione, condivisa da molti osservatori, è che i due poli si assomiglino molto, anzi troppo: tutta questa differenza sul piano dell’azione di governo non c’è mai stata.
Lasciamo per una volta stare la storia personale del Cavaliere, in eterno conflitto di interessi e sempre polemico con la magistratura.
Se il centrodestra riuscisse ad esprimere una leadership diversa, in che modo il PD di Veltroni resterebbe alternativo a Forza Italia nell’agenda delle cose da fare? E’ questo il vero interrogativo.
Perché avremmo sperato che non dovessimo aspettare la sortita del governatore di Bankitalia Draghi per scoprire all’improvviso che salari e stipendi in Italia sono troppo bassi; o, addirittura, assistere all’affannoso recupero di Piero Fassino, spiazzato dall’amministratore delegato della Fiat Marchionne, quando questi ha recentemente deciso di ritoccare al rialzo le buste paga dei suoi dipendenti.
Ma la classe politica che stava a fare nel frattempo? Di certo, non gli interessi del Paese.
Per non parlare dell’ignavia dimostrata in tante questioni cruciali: difesa del territorio, lotta alla criminalità organizzata, leggi vergogna, ecc. Tutte ancora puntualmente in alto mare.
Ma forse il governo Prodi, ha dato la peggiore prova di sé proprio nell’affrontare la vicenda del gip di Milano Clementina Forleo così come quella che vede protagonista il pm di Catanzaro Luigi De Magistris: due magistrati coraggiosi, non soltanto lasciati soli nel loro compito ingrato ma diventati vittime di una vera e propria campagna mediatica di delegittimazione e discredito.
La vicenda dell’allargamento della base militare di Vicenza, l’avvelenata saga Rai e la questione rifiuti in Campania rappresentano infine l’emblema dell’incapacità di questa classe politica di affrontare questioni tutto sommato di ordinaria amministrazione, spendendo positivamente il consenso ricevuto dai cittadini.
Con minime differenze nel dosaggio degli ingredienti ma, alla prova dei fatti, la ricetta politica del PD e quella proposta da Forza Italia non sono state finora così diverse.
Ma allora che senso ha esaltare tanto un bipolarismo che esiste solo sulla carta? Sembra infatti che sia semplicemente una questione di bottega, un azzuffarsi all’interno della casta. Un voler ribadire la propria supremazia, sbattendo i pugni sul tavolo.
E’ per questo che nel corso del 2007 ha cominciato a soffiare sempre più forte il vento dell’insofferenza popolare contro una politica che nega se stessa, che è cioè diventata antipolitica, appoggiandosi su un’informazione mediatica ridotta al lumicino della disinformazione.
Prima di riscrivere le regole del gioco, come pensano Veltroni ed altri suoi colleghi, bisognerebbe prendere coscienza di quello che i cittadini davvero pretendono dalla classe politica: non chiedono semplicemente di governare o d’inventarsi qualche marchingegno elettorale per assicurarsi la governabilità (questa preme soltanto ai politici!).
Chiedono di risolvere problemi concreti proponendo un modello di società il più possibile condiviso o condivisibile, ben al di là del colore politico, che è sempre più spesso usato dalle burocrazie partitiche solo per attrarre il consenso di massa e continuare a fare in silenzio i propri privatissimi affari.
E intanto, nonostante il diluvio, i nostri politici continuano a giocare a scacchi.