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domenica 7 agosto 2016

Il rigurgito antidemocratico di Scalfari

Anche Scalfari, nell'editoriale di oggi, non riuscendo a dimenticare i propri trascorsi fascistoidi, proprio come il piduista Cicchitto ha fatto qualche sera fa su La7 dichiara che bisogna cambiare l'Italicum perché altrimenti vince il M5S. 
La motivazione è spudoratamente eversiva: "l'ipotesi del ballottaggio è molto realistica ed estremamente pericolosa perché il sistema politico vivente non è affatto bipolare ma tripolare il che significa che in caso di ballottaggio vince il terzo e non uno dei primi due."
Intanto assegna un implicito ordine, non si sa bene in virtù di cosa, alle forze politiche in campo, in cui relega il M5S a  terzo. Perché non secondo o primo, visto che da solo raccoglie più voti dello stesso PD? Mistero!
Ma esalta tutta la sua settaria follia ritenendo che, dato che con questa legge appena approvata dal PD va a finire che vince il M5S, allora essa vada immediatamente cambiata. 
Ovvio che se premiasse il PD, allora diverrebbe la migliore legge del mondo...
Dunque, parole usate disinvoltamente come pietre, di estrema portata antidemocratica.
Come si possa costruire un dialogo sereno o costruttivo con personaggi del genere, che si dichiarano appartenenti al Partito Democratico ma che tengono una condotta squadristica sui media, resta davvero difficile da capire. 
Ecco perché non deve meravigliare se quello che pure riconosce essere il 'colpo di spugna sulla Rai', ovvero l'occupazione manu militari dei TG, viene liquidata frettolosamente a 'questione di relativa importanza'.
La sensazione è che con questi fasulli 'democratici' del PD non sia possibile alcuna forma di confronto ma che bisogna al più presto estrometterli, beninteso con la forza della democrazia, non solo dalla gestione diretta della cosa pubblica ma anche allontanarli da ogni anticamera, ballatoio, ripostiglio, strapuntino, che dir si voglia, del potere.
Vanno semplicemente mandati a casa. Non ci sono alternative.

domenica 3 gennaio 2016

Scalfari, il guastatore del referendum confermativo, che soffia sul fuoco della svolta autoritaria

Dopo 68 anni, oggi sulle pagine di Repubblica, a proposito della riforma del Senato, il novantenne Scalfari scopre che il referendum costituzionale confermativo non prevede quorum e che quindi "un  Paese così [...] cessa di essere democratico".
Ma guarda un po'! Siamo per 70 anni vissuti in un paese non democratico e nessuno ce l'aveva mai detto!
Si capisce subito che Scalfari vuole tirare la volata all'ignobile riforma targata Renzi, blindandola nell'ipotesi che il referendum costituzionale la possa bocciare, e che le critiche che nel passato ha rivolto al ducetto di Rignano si riducono a poco meno che l'intemperanza di un vecchio brontolone che si sente messo da parte! Nulla più!
Quando nel '99 passò, a fine legislatura e con soli 4 voti di scarto di maggioranza, la modifica del titolo V della Costituzione, il referendum del 2001 la confermò con un misero 34,1% dei votanti e solo il 64,2% dei favorevoli!!! Ma in quell'occasione Scalfari non ebbe nulla da obiettare, benché quella riforma, griffata centrosinistra, concepita male e scritta peggio, si sia rivelata nefasta per il funzionamento delle nostre istituzioni, ampliando a dismisura il contenzioso Stato-Regioni! (*)

Non staremo qui a spiegare a Scalfari i motivi per cui i padri costituenti non introdussero il quorum previsto invece per quello abrogativo, in quanto come recita l'adagio, non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire. 
Ma tant'è, l'uscita di Scalfari, improponibile solo qualche tempo fa, la dice lunga sul clima avvelenato che si respira nel paese, dove la classe dirigente, di fronte al manifestarsi per la prima volta, di una protesta popolare organizzata nel solco delle libertà costituzionali e che trova in una forza parlamentare, il Movimento 5 Stelle, una insostituibile e cruciale sponda nelle istituzioni, spinga per una svolta autoritaria. 
Questa volta senza carri armati ed esercito ma facendosi scudo del meccanismo legislativo che viene manipolato al bisogno per rendere impossibile il ricambio al vertice.
Poiché si preannunciano tempi ancora più duri, con una crisi finanziaria che letteralmente è destinata a sconvolgere tutti gli assetti economici e sociali, accanendosi specialmente sulle fasce più deboli della popolazione (come già sta avvenendo!) grazie alla complicità delle istituzioni europee, occorre approntare in tutta fretta uno schermo giuridico che permetta di assecondare formalmente questo disegno chiaramente eversivo, dove la parola democrazia viene svuotata di ogni significato sostanziale.
Non è infatti un caso che mentre il "liberale" Scalfari tuona contro il referendum costituzionale previsto dalla Carta del 1948, per lasciare la strada spianata alla controroforma Renzi, non abbia nulla da ridire sul fatto che un parlamento illegittimo, come la Corte Costituzionale ha sancito due anni fa, continui a restare in carica e, addirittura, si appresti a varare la riforma della Costituzione.
C'è da essere seriamente preoccupati di quello che sta accadendo e di quello che ci verrà rovesciato addosso nei prossimi mesi: l'entrata in vigore del bail in bancario, con la crisi finanziaria che viene fatta pagare esclusivamente ai risparmiatori, è solo l'ultimo segnale in ordine di tempo del processo autoritario che ridisegnerà su basi ancor più inique e classiste la società italiana.

(*): il predetto commento è stato censurato sul forum di Repubblica, in calce all'editoriale odierno del suo fondatore.

domenica 30 marzo 2014

Rivelazione shock di Scalfari: per paura di Grillo, i media censurano Papa Francesco

"Gesù che bastona è stato riportato d’attualità alle sette del mattino del giorno in cui Obama è arrivato a Roma per la sua breve ma intensa visita in Vaticano, al Quirinale e a Villa Madama con Renzi. Alle sette del mattino Papa Francesco aveva convocato a messa in San Pietro 500 membri del Parlamento e tutti i ministri del governo e li ha bistrattati di santa ragione. Non li ha abbracciati, non li ha perdonati, non li ha salutati. Li ha soltanto bastonati.

Il circuito mediatico giornalistico e televisivo, con l’eccezione di pochissimi giornali e di Enrico Mentana, ha sottovalutato quella messa molto particolare di Papa Francesco. Il motivo credo sia quello che le parole del Papa potevano esser ritenute simili agli slogan di Grillo, ma non è così. Grillo straparla contro la casta ma ne fa sostanzialmente parte specie quando si impegna ad abolire la libertà di mandato dei parlamentari per meglio tenerli in pugno impedendo proprio a loro la libertà d’opinione. Il Papa invece parlava ai politici italiani di una battaglia che Lui a sua volta sta combattendo in Vaticano contro tutte le forme di temporalismo."
(Eugenio Scalfari, editoriale odierno su la Repubblica).

Dal fondatore di Repubblica oggi apprendiamo una cosa tanto spudorata quanto evidente, voce dal sen fuggita: il circuito mediatico giornalistico e televisivo seleziona e fa filtrare le sole notizie funzionali alle proprie strategie di comunicazione; fa insomma attività di gatekeeping
Purtroppo niente di nuovo (siamo abituati al peggio) se non fosse che in questo caso riescono persino a mettere la sordina alle parole del Papa (e che Papa!): Papa Francesco. Ciò per timore che le sue parole possano essere accomunate in qualche modo a quelle di Beppe Grillo e che qualche pecorella possa sfuggire dal recinto dove la Casta tiene rinchiuso il popolo sovrano. 
Se volevamo una riprova del livello di degrado a cui è giunto lo stato dell'informazione in Italia, questa ci è stata servita su un vassoio d'argento inopinatamente proprio dal decano dei giornalisti italiani. Che poi si arrampica sugli specchi pur di gettare la sua quotidiana palata di fango contro Beppe Grillo che, da anni grazie al suo blog ed adesso attraverso il movimento politico di cui è leader, ha svelato anche ai più disattenti e smemorati il meccanismo totalitario su cui si fonda il circuito mediatico. 
Sì, perché accusarlo di far parte della Casta è un ossimoro. E poi, fino ad oggi non era per antonomasia il tribuno dell'antipolitica, il populista?
Questa virata di 180 gradi di Scalfari nell'invettiva contro Grillo dimostra chiaramente il disorientamento e la preoccupazione, l'affanno estremo,  con cui il tandem editoriale De Benedetti - Berlusconi e schiere di giornalisti embedded stanno seguendo e organizzando questa lunga campagna elettorale per le Europee temendo un risultato che potrebbe punire severamente proprio i due blocchi sociali di riferimento, Pd e Fi, insieme alla tappezzeria delle rispettive liste civetta, cuoè Scelta civica, Popolari per l'Italia, Sel, Ncd, Lega e chi più ne ha più ne metta.
L'articolo 67 a cui si richiama Scalfari, che prevede l'assenza di vincolo di mandato, è una norma del tutto anacronistica che ha consentito ai politicanti di lungo corso proprio di violare impunemente la Costituzione e il suo impianto democratico, infischiandosene del risultato elettorale. 
Perché, a prescindere dall'esito elettorale, prima di scendere in campo con la squadra di governo, basta fare campagna acquisti nelle fila avversarie per poter vincere a tavolino il campionato: dieci - cento Scilipoti e si getta alle ortiche qualsiasi risultato delle urne, in barba alla sovranità popolare. 
Altro non è che il famoso scouting di Bersani, riveduto e corretto alla luce dell'esperienza processuale del Pregiudicato (vedi caso De Gregorio). 
Ti mancano i numeri in Parlamento per dare la fiducia ad un tuo esecutivo? Semplice: porti dalla tua parte il parlamentare di campo avverso con le buone (guarnendo la pubblica solidarietà umana e la corrispondenza di politici intenti con la promessa, privata, di una serie di benefici per sè e la sua famiglia) o con le cattive (l'ascia del ricatto non è mai sotterrata!). 
Così dando luogo ad una maggioranza nuova di zecca, talmente nuova da non essere mai stata sottoposta in precedenza al giudizio degli elettori! 
Quello che Scalfari fa finta di non sapere è che se un elettore ha votato una lista (e non un candidato!, trattandosi di liste bloccate che rimarranno tali anche col Porcellum a quadrato griffato dalla premiata ditta Renzi&Verdini) sulla base di un programma politico prestabilito, pretende come minimo che l'eletto agisca nel rispetto di questo e che da tale gentlemen's agreement non possa allontanarsi a meno di non rinunciare, per legittimi motivi ideologici sopravvenuti, alla propria carica. 
Capiamoci! Il parlamentare può benissimo esprimere liberamente le proprie opinioni personali ma è giusto che, se queste disattendono gli obiettivi che lui stesso pubblicamente, con la propria firma autografa, si è impegnato  a perseguire insieme ai suoi colleghi all'atto della candidatura, getti la spugna, lasciando a qualcun altro (magari il primo dei non eletti) tale onere e onore.  
Anche se con un minimo di discernimento colui che è stato folgorato sulla via di Roma si dovrebbe pure domandare come mai il circuito mediatico semplicemente lo abbia ignorato per 364 giorni di seguito fino a quando, d'improvviso, lo strappa dall'oblìo e gli concede le accecanti e roboanti luci della ribalta. Guarda un po',  non appena spara ad alzo zero sul suo gruppo politico di appartenenza o dichiara di voler agire in fattuale violazione  del patto a suo tempo sottoscritto con gli elettori, di cui lui non è l'artefice ma si è comunque proposto di diventare uno degli esecutori, uscendo così dal rispettabilissimo buio del proprio anonimato.
Va da sè che all'interno del suo gruppo egli possa esprimere qualsiasi opinione e magari votare pure contro la linea politica maggioritaria che in esso si venga a formare ma, a decisione presa, è suo dovere comportarsi secondo le indicazioni collettive. 
Così come è evidente che, qualora le sue valutazioni personali fatte in pompa magna nell'agorà mediatica siano di chiara delegittimazione o aperta denigrazione dell'operato della forza politica e del vertice con cui ha sottoscritto volontariamente e alla luce del sole il predetto patto di fronte agli elettori, in quanto  rappresentante e  testimone di valori e obiettivi che la stessa si è impegnata a portare avanti in Parlamento, debba soggiacere ai voleri di quei cittadini che là lo avevano catapultato.
Che c'è di strano in simili considerazioni? 
E' la scoperta dell'acqua calda che, ciononostante, i colossi dell'informazione intendono occultare. 
Un esempio per tutti: forse che il "dissidente" Giuseppe Civati non sarebbe stato espulso dal PD se avesse votato contro la fiducia al governo Renzi e, dieci mesi prima, al governo Letta? Lui stesso dichiarò: se votassi contro, verrei cacciato. 
Come mai in quel caso nessuno osò eccepirgli nulla  nè si stracciò le vesti di fronte ad una dichiarazione, che secondo i pennuti di corte, sarebbe dovuta suonare eversiva proprio in base all'articolo 67? 
Il fatto è che i rappresentanti del popolo, nonostante la finta riforma elettorale del premier Renzi, vengono ancora nominati dalle segreterie di partito attraverso liste bloccate, su cui si sono concentrati gli strali della Corte Costituzionale che bocciò per questo motivo nel gennaio scorso il Porcellum.
Quindi, quando si attacca Grillo sull'articolo 67, si fa finta di dimenticare che esso è sistematicamente violato da sempre, in primis dal fatto che il parlamentare non viene eletto in quanto cittadino che aspira individualmente ad un incarico legislativo ma come membro di un partito alla cui disciplina è evidentemente tenuto. In secondo ordine, con il meccanismo delle liste bloccate dichiarato recentemente incostituzionale, egli viene nominato de facto dai segretari di partito, non certo scelto dai cittadini che possono apporre solo un segno sul simbolo della lista!
Di che cosa stiamo parlando allora? 
I soliti farisei: fanno finta di tenere l'articolo 67 in piedi per ammantarsi di un malinteso velo di democraticità, per poi irriderlo e violarlo sistematicamente ed in modo plateale.


domenica 16 febbraio 2014

Renzi ripropone le larghe intese con il Pregiudicato d'Italia

Il ciclone Renzi che ha abbattuto d'improvviso e in sole 48 ore il governo Letta, senza un doveroso passaggio parlamentare, riporta agli antichi fasti la stagione delle larghe intese
Perché il tentativo del sindaco di Firenze può spiegarsi unicamente con l'aver ricevuto l'esplicito inconfessabile nulla osta di Silvio Berlusconi, il Pregiudicato d'Italia. Altrimenti la sua iniziativa fallirebbe già in queste ore, ancor prima che il suo governo possa accendere i motori.
O Renzi è uno squilibrato, ma non abbiamo motivo di pensarlo, oppure la riedizione delle larghe intese, riveduta ed edulcorata con le bischerate del guitto fiorentino, è ai nastri di partenza, con un orizzonte temporale che comunque resta incerto.
Sono i numeri che lo dicono: il perimetro del futuro governo Renzi è lo stesso, identico, di quello di Letta. Ragione per cui il programma politico non potrà in nulla deviare da questo: Renzi potrebbe comodamente riciclare lo sbiadito Impegno Italia, approntato solo lunedì scorso dal nipote di suo zio, senza neppure fare la fatica di riscriverlo e magari neppure di rileggerlo. 
Sì, certo, potranno cambiare alcune figure dell'esecutivo, come l'impresentabile Cancellieri. Ci potrà essere l'ingresso di personalità carismatiche come Epifani, l'inevitabile sostituzione di Saccomanni all'Economia, ma la politica economica di questo governo, elemento decisivo per tratteggiarne la fisionomia, non potrà differire di una virgola da quella del governo Letta: una supina accettazione dei diktat europei, una cieca e cronica austerity che proseguirà per mancanza di liquidità, le privatizzazioni di buona parte dei pochi gioielli di famiglia rimasti (Eni, Enel, Finmeccanica), la necessità di nuovi tagli alla spesa e l'introduzione ormai imminente di una tassa sui depositi bancari e sulla ricchezza finanziaria in tandem con una rimodulazione di quella sulla proprietà immobiliare, ovvero la famosa patrimoniale che i tedeschi, non avendo alcuna intenzione di venire in nostro soccorso, ci vogliono imporre da tempo.
In fondo, è l'esatto contrario di quello che solo fino ad una settimana fa Renzi si era impegnato a fare, lasciando libertà di movimento ad Enrico Letta, in attesa di prenderne il posto dopo le prossime elezioni politiche anticipate. 
Come sia possibile che Renzi possa compiere un simile voltafaccia, una mossa così avventata e autolesionista, sembra un mistero. Qui non si tratta di rischiare il tutto per tutto, come lui stesso ha già ammesso, ma di consegnarsi anima e corpo al Pregiudicato. 
Una condotta apparentemente dissennata: infatti, cosa accadrebbe se non dovesse trovare i numeri per ottenere la fiducia? Di certo, passerebbe alla storia come il kamikaze del PD! 
Insomma, Renzi affida il suo destino politico nelle mani di Berlusconi e dei suoi bravi... se non è questo un suicidio politico!
Ma se questo puzzle non torna, forse può voler dire che le cose non stanno proprio come ci vengono presentate.
E' molto strano che, come si mormora da più parti dentro al PD, la "profonda sintonia" con il Pregiudicato d'Italia dichiarata giorni fa da Renzi a Largo del Nazzareno a conclusione dell'incontro con quest'ultimo sulla legge elettorale e sulle riforme costituzionali (un pessimo biglietto di presentazione!) non coinvolga evidentemente anche la partita del governo, cosa che anche sul piano logico sembrerebbe scontata.
Non si capisce infatti come sia possibile per i due compagni di merende fare le riforme costituzionali insieme, d'amore e d'accordo, e poi schizofrenicamente farsi la guerra all'ultimo sangue sul governo: una buffonata a cui nessun italiano, con un minimo di spirito di osservazione, potrebbe mai abboccare.
Come riconosce pure il corazziere Eugenio Scalfari, nell'odierno messale,  il programma economico di Renzi non si differenzia in nulla da quello di Forza Italia:
   
"Renzi si è impegnato a non fare governi con Forza Italia e — si spera — manterrà l’impegno, ma gli accordi con Berlusconi si estendono ad una buona parte del suo programma di riforme. Non comprendono la politica economica e i provvedimenti che la riguardano. Ma, nelle ancora vaghe dichiarazioni di Renzi in proposito, non si ravvisano sostanziali diversità da Forza Italia: sgravi ai lavoratori e alle imprese e quindi cuneo fiscale ridotto per quanto possibile; prevalenza del contratto di lavoro aziendale su quello nazionale; nuove forme di ammortizzatori sociali; semplificazione delle procedure, più elasticità finanziaria rispetto ai vincoli di Bruxelles; diminuzione delle tasse e tagli delle spese.
Queste finora sono le dichiarazioni di Renzi. Ricordano sia quelle di Letta sia quelle di Squinzi e della Confindustria, sia quelle della Cgil, sia quelle di Forza Italia quando ancora si chiamava Pdl."

Il renzismo non è altro che la continuazione del berlusconismo in forme più adeguate ai tempi sul piano della comunicazione: in sintesi, il cinepanettone che diventa pratica di governo. 
Di qui la necessità impellente di Renzi di rompere gli indugi per piazzare i suoi uomini prima che lo spoils system di Letta ne potesse bloccare la proliferazione.
Ma a questo punto si capisce anche perché Napolitano non lo abbia rinviato alle Camere. 
Al contrario di ciò che afferma Scalfari infatti presentarsi alle Camere avrebbe fatto emergere di fronte al Paese i veri motivi di questo affrettato e inopinato cambio in corsa: ovvero, il riemergere della figura del Pregiudicato come eminenza grigia del nuovo esecutivo, vero mattatore delle larghe intese. 
Ciò spiega pure perché Re Giorgio non abbia trovato nulla di disdicevole nell'accogliere al Quirinale il frodatore fiscale, in predicato di scontare la pena, per le Consultazioni.
Anche in questo caso, la figura di Napolitano che ormai dal Colle gioca una partita politica a tutto campo, infischiandosene di ciò che prescrive la Costituzione riguardo alla sua funzione super partes, ne esce a pezzi. Quando l'arbitro non solo inizia a fischiare i rigori esclusivamente a favore di una squadra ma lui stesso inizia a calciarli per infilare la porta dell'Opposizione, vuol dire proprio che lo stato democratico è giunto al capolinea: chiamatelo, se volete, un nuovo 8 settembre.
Ma una ultima riflessione va a questo punto fatta: possibile che dentro il PD lascino agire indisturbato il kamikaze Renzi  e osservino indifferenti le macerie ideologiche che sta causando, senza muovere un dito? Dà tanto la sensazione che il Pregiudicato d'Italia, proprio grazie a Renzi, abbia ormai ultimato la scalata a questo partito, la cui nomenklatura resta inerte, intenta solo ad occultare i troppi scheletri nell'armadio.
Insomma, non solo ancora non è ancora stata fusa la chiave per la cella del Pregiudicato ma è proprio lui a possedere la combinazione di qualche cassaforte dal contenuto scottante e, quindi, giocoforza a comandare le danze.


domenica 3 novembre 2013

Cinque domande ad Eugenio Scalfari

"[...] Si tratta di una campagna di destra, una destra xenofoba contro gli immigrati, qualunquista contro i partiti (tutti i partiti, nessuno escluso) e contro le istituzioni, dal capo dello Stato al presidente del Consiglio ai ministri (tutti i ministri) e contro la magistratura e la Corte costituzionale.
[...] Da qualche settimana l’Europa così come è fatta oggi e l’euro che la Banca europea stampa sono diventati i nemici principali e rappresentano i bersagli sui quali sparare per primi. La stessa strategia è quella usata dal Fronte nazionale francese della Le Pen, dal movimento anti-europeo di Germania (dove però non hanno neppure superato la soglia per entrare in Parlamento), in Grecia, in Danimarca, in Olanda.
Grillo ha anche in mente una sua politica economica. Non è mai andato a scuola di economia e conosce per sentito dire le scuole di Cambridge, di Vienna e del Mit degli Usa; ma sa interpretare e semplificare quello che molta gente pensa: ridurre le tasse, combattere evasione e corruzione, infischiarsene del debito pubblico, spendere per creare posti di lavoro senza preoccuparsi delle coperture, rispondere a pernacchie alle direttive europee e mandare per aria l’euro. Chi se ne frega dell’euro. Meglio una moneta nazionale stampata in Italia in quantità capaci a fare star meglio la gente, i giovani, gli anziani, tutti.
[...]Questo pensa Grillo, lo dice e lo diffonde. Ormai è un Verbo, naturalmente incarnato. Ma non è il solo poiché anche a destra c’è qualcuno che — in modi appena più sfumati nella forma ma identici nella sostanza — dice cose analoghe. Finora erano due populismi di segno contrario, adesso sono due nazionalismi entrambi di estrema destra, entrambi demagogici, entrambi irresponsabili ed entrambi visti con favore da alcuni milioni di elettori." (Eugenio Scalfari, editoriale di oggi su Repubblica)


Sono le intemperanze di un vecchio di novant'anni, un grande borghese, un conservatore  che è campato di rendita prendendo a prestito idee di sinistra  con lo sguardo rivolto a destra? 
Probabilmente sono le parole di un grande narciso, ambiziosissimo e spregiudicato, abituato ad una vita di privilegi che teme all'improvviso di restare fuori, a furor di popolo, dalla stanza dei bottoni, dai salotti che contano, dalle entrature eccellenti, dal colloquio riservato e costante con il capo dello stato, Giorgio Napolitano, di cui riesce persino, gliene diamo atto, a presagire i comportamenti. 
Il suo laicismo liberale è una sorta di specchietto per le allodole che lui agita da sempre con scaltrezza per vedersi aperte al suo passaggio tutte le porte, frequentando con intensità i salotti buoni, schivandone all'occorrenza gli schizzi di fango, ammiccando al terzo stato nell'attimo stesso in cui ne ignora, peggio, ne rinnega le istanze di cambiamento.
Contro Grillo la furia scalfariana è scomposta e viscerale, priva di lucidità. 
Lo accusa di tutto affibbiandogli in modo del tutto velleitario l'etichetta di estrema destra populista, senza prendersi la briga di motivarlo. 
L'unica accusa che riesce a formulargli con un minimo di senzo logico è la posizione critica del leader del M5S contro l'euro, ma si guarda bene dall'approfondire la questione, magari spiegando al malcapitato lettore perché difendere l'euro è ideologicamente di sinistra mentre criticarne gli attuali nefasti meccanismi sull'economia italiana e sulla vita di milioni di persone sarebbe, ipso facto, di estrema destra.
Eppure ormai il vicolo cieco in cui ci hanno ficcato vent'anni fa, beninteso da sinistra (il trio Amato, Prodi, Ciampi), costringendo l'Italia nella prigione dell'euro senza negoziarne minime condizioni di agibilità, è sotto gli occhi di tutti: con la distruzione del suo tessuto industriale, si sta affamando, letteralmente, la popolazione, provocando un declino economico che non ha precedenti nella storia moderna. In nome di un malinteso internazionalismo che punta esplicitamente alla spirale deflattiva e recessiva attraverso la cessione della sovranità monetaria e fiscale alle burocrazie europee, per costringere gli Italiani  a quelle riforme che soli, secondo Scalfari, non sarebbero in grado di compiere. 
Tutto ciò tanfeggia tanto di paternalismo populista, questo sì di destra reazionaria.
Rivendicare invece la propria dignità di popolo che si autodetermina, che decide il proprio destino senza necessità di ricevere la pagella né il tutoraggio della Troika, che ha una propria moneta, sì proprio  da coniare in quantità per far star meglio la gente, come irride il voltagabbana Scalfari, sarebbe, chissà perché, di destra, peggio di quella estrema nazionalista e xenofoba! 
Alla prossima puntata il riferimento magari a Hitler; quanto a Mussolini il fondatore di Repubblica, nella sua nota collezione di panzane, non se l'è lasciato sfuggire: e non ora, ben 5 anni fa.

Ma Scalfari, prima di bollare gli altri con i peggiori epiteti, farebbe ben a rispondere a queste semplici cinque domande:

1) E' vero che il debito pubblico nella stagione di Monti ed in quella  in corso delle larghe intese, nonostante gli enormi sacrifici fatti fare agli Italiani, non solo non è diminuito ma è sensibilmente aumentato?
2) E' vero che mai la disoccupazione in Italia, a partire dal 1977 (unico riferimento statisticamente valido), è stata così elevata? Ed in particolare quella giovanile?
3) E' vero che a partire dal marzo 2010, l'Italia ha versato ai vari fondi europei (ESM e EFSF) più di 51 miliardi di euro, addirittura aggravando sensibilmente il proprio debito pubblico?
4) E' vero che i soldi versati all'ESM (Meccanismo Europeo di Stabilità) nel solo 2013 sono stati pari a 11,4 miliardi (altri 14,3 nel 2014) e che il fondo li investe in titoli con rating almeno doppia A, dunque non in titoli italiani ma sicuramente anche in bund tedeschi, aggravando, se si può, il problema dello spread con i nostri BTP?
5)  E' vero che ormai sono moltissimi gli economisti, da Alberto Bagnai a Claudio Borghi Aquilini, a Paolo Savona, tanto per citarne alcuni tra i più autorevoli, che senza essere degli estremisti-nazionalisti-xenofobi ritengono che, al punto in cui siamo, si debba procedere ad uscire dall'euro il prima possibile?

Finché Scalfari non avrà risposto in modo secco (basta un Vero-Falso) al piccolo questionario che gli proponiamo, le sue valutazioni su Grillo saranno considerate, come d'altro canto lui farebbe al posto nostro senza esitazione, come intemperanze di un vegliardo livoroso che non si rassegna al proprio inesorabile declino.

domenica 27 ottobre 2013

L'europeismo alla Scalfari, polpetta avvelenata per l'Italia

"Grillo minaccia l'impeachment. Sarei lieto che lo proponesse, si vedrebbe così la sua assoluta inconsistenza e il suo intento soltanto provocatorio. E si vedrebbe  -  ma questo è già del tutto palese  -  che finora i deputati Cinque stelle studiano e sono pieni di volontà del fare ma non sanno sottrarsi agli ordini dei due proprietari di quel movimento che ora si presenteranno alle elezioni europee sulle stesse posizioni della Lega separatista francese guidata dalla figlia del fondatore, su posizioni nazionaliste, anti-euro, anti-Europa federale. Posizioni di destra estrema, con i pericoli tremendi che ne conseguono.
Gli elettori italiani lo seguiranno? Spero di no, ma non ne sono affatto convinto. L'Europa non va bene così, ma un medico curante come il grillismo la porterebbe a rapida sepoltura e con essa, naturalmente, anche noi."
(Eugenio Scalfari, editoriale odierno su la Repubblica)
C'è da chiedersi come sia possibile che un giornalista scafato come Scalfari possa affastellare insieme così tante gratuite amenità, unite insieme solo da sentimenti di irritazione e di ripulsa nei confronti di chi, come Beppe Grillo, per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana, pone al centro della riflessione politica e del dibattito pubblico la centralità del cittadino nella determinazione delle scelte collettive.
In questo modo, accusando gli altri di populismo (ma dov'è l'infamia?) cerca furbescamente di sottrarsi all'inevitabile resa dei conti che prima o poi arriverà sulle gravissime responsabilità di questi anni della nostra classe dirigente, in primis la sciagurata scelta dell'ingresso nell'euro senza negoziare condizioni minime di permanenza e di sopravvivenza all'interno della gabbia della moneta unica. 
Perché il processo di integrazione monetaria europea è stato quanto di più antidemocratico si potesse concepire, già in partenza del tutto sottratto alla volontà popolare, con effetti devastanti ormai persino sulla tenuta del tessuto sociale. 
Perchè è stata proprio la scelta suicida di consegnare la sovranità monetaria e, conseguentemente, fiscale ed economica nelle mani di una burocrazia europea fatta di nominati (da chi? ma il borghese Scalfari non se lo chiede, preso com'è ad ammirare il proprio ombelico...) a spingere giù il nostro Paese in una spirale deflazionistica e recessiva che ha distrutto in pochi anni la seconda industria manifatturiera d'Europa, condannandoci ad una decadenza economica, finanziaria, poltica e morale mai vista in cinquecent'anni di storia, dal Rinascimento in poi.
Tanto per afferrare all'istante il grande imbroglio dell'Euro, basti pensare, come giustamente ha obiettato in tv l'economista Claudio Borghi, che da mesi le cosiddette 'larghe intese' hanno inscenato l'indecoroso teatrino, ad uso e consumo dei media per preparare il pastone quotidiano da dispensare dalla mattina alla sera al popolino (è così purtroppo che ci vedono i nostri politici di Pd e Pdl), dell'Imu sì e Imu no (che vale sulla prima casa non più di 2 miliardi e 700 milioni di euro), quando poi Bankitalia ci avverte che finora sono stati versati a fondo perduto dall'Italia al MES (il cosiddetto Fondo Salva Stati europeo), qualcosa come oltre 51 miliardi di euro!!! Evidentemente all'insaputa ma sulle spalle degli Italiani, brava gente... 
Scriveva Federico Fubini qualche giorno fa spudoratamente proprio sul giornale di Scalfari (che naturalmente non se ne accorge):
"Con l'Esm di fatto inservibile per le banche, l'Italia in recessione e indebitata inizia a sussidiare una Germania sana e in ripresa. Possibile?
L'Esm ha una forza di fuoco potenziale di 700 miliardi di euro, raccolti in gran parte emettendo bond sui mercati. La sua base però è il capitale versato direttamente dai governi dell'area euro. La settimana scorsa hanno tutti trasferito la quarta tranche, per un totale di 64 miliardi, e entro la prima metà del 2014 si arriverà a ottanta. Poiché la Germania è primo azionista con una quota del 27,14%, ha già pagato al fondo europeo 17,3 miliardi e alla fine dovrà versarne 21,7. L'Italia, che è terzo azionista con il 17,91% (secondo è la Francia), ha versato 11,4 miliardi e nel 2014 saranno 14,3.
Le risorse pagate dal governo di Roma, se solo fossero rimaste in Italia, probabilmente basterebbero a gestire i problemi delle banche. Invece sono immobilizzate nell'Esm a Lussemburgo. Ciò sarebbe utile nel caso in cui il fondo europeo potesse essere usato per le banche senza prima distruggere la fiducia degli investitori. Per ora però di quei soldi dell'Esm si fa un uso diverso: vengono investiti prevalentemente in titoli di Stato tedeschi. Ciò contribuisce, con i soldi dei contribuenti italiani, a ridurre i tassi sui Bund e su tutto il sistema finanziario in Germania, quindi ad allargare lo spread e lo svantaggio competitivo delle imprese in Italia.
L'Esm non comunica in dettaglio come gestisce il capitale affidatogli, ma i criteri sono chiari: non può comprare titoli con rating sotto la "doppia A" (dunque Italia e Spagna sono fuori) e compra "attività liquide di alta qualità". Dunque certamente in buona parte Bund tedeschi.
È una scelta comprensibile, ma di fatto ciò significa che l'Europa del Sud sta sussidiando la Germania, senza poi poter attingere all'Esm per sostenere le proprie banche.
C'è poi un secondo, sostanziale trasferimento di risorse da Sud a Nord. Nel 2011 la Banca centrale europea acquistò circa 100 miliardi di euro in Btp in una fase in cui i rendimenti arrivarono anche a toccare l'8%. Fu un rischio e una scelta provvidenziale. Ma da allora il valore di quei titoli italiano è salito, in certi casi, anche di più del 20%. E il governo italiano ha onorato alla Bce cedole per oltre dieci miliardi in tutto. La Bce non aveva mai guadagnato tanto con un solo investimento e la Bundesbank, suo primo socio, ne beneficia per circa un terzo. Anche quei soldi sono andati dall'Italia al contribuente tedesco. Peccato che nessuno gliel'abbia mai spiegato."
Chi è veramente antieuropeista? Grillo o Scalfari che si atteggia a suo fustigatore ma 'dimentica' quanto sta costando l'euro alle famiglie italiane: forse perché questa scelta sciagurata affonda nella carne viva di tanti operai, impiegati, pensionati, casalinghe, esodati, disoccupati, sottoccupati ma non di gente come Scalfari che continua a navigare nell'oro nello stesso momento in cui regge il moccolo alla Merkel...
Chi favorisce il nazionalismo, le destre, la xenofobia sono proprio questi personaggi che si dichiarano di sinistra ma che la sinistra hanno svenduto da tempo sull'altare dei grossi poteri finanziari internazionali.
Quanto a Napolitano, simbolo di questa sciagurata stagione in cui il governo non solo è nato ma resta a galla grazie alle promesse fatte al Pregiudiucato (adesso amnistia-indulto?), di fatto non rappresenta più gli Italiani, tanto meno è super partes ma agisce ormai come un premier in pectore di una parte politica, in palese  dispregio delle norme costituzionali: magari si fosse limitato a fare il notaio!
Dopo lo scivolone della convocazione al Quirinale di un vertice di maggioranza sulla legge elettorale ormai ha perso la necessaria autorevolezza istituzionale: bene hanno fatto i parlamentari del M5S a non partecipare alla farsa delle convocazione tardiva delle opposizioni al Colle.
L'impeachment chiesto dal M5S è politicamente un atto dovuto per l'opposizione.
E' chiaro che non passerà (a causa di questa classe politica di impresentabili di cui Napolitano, non a caso, è il  garante) ma in questo modo il Pd dimostra urbi et orbi che, per difendere pregiudizialmente un suo uomo, agisce proprio come ha fatto il Pdl  in questi anni,  secondo la stessa logica di clan. 
Non ci si può poi meravigliare, o ipocritamente scandalizzare, dei vari Brunetta, Fitto, Santanché, Gasparri che fanno guerriglia verbale h 24 per conto di Berlusconi.
Caro Scalfari, ma ci faccia il piacere!

domenica 24 febbraio 2013

L'inesperienza al potere? Scalfari... ma ci faccia il piacere!

L'ineffabile Scalfari, stamattina, domenica di Elezioni Politiche generali, si permette ancora una volta di consigliare  agli elettori la sua ricetta per i prossimi mesi: un bell'esecutivo PD - Monti che continui a fare, aggiungiamo noi, quella macelleria sociale che ha ridotto ad un deserto l'economia italiana.
Per di più, fatto tutto a tempo di record,  in soli tredici mesi di attività: onore al merito dell'illustre economista bocconiano, ha veramente realizzato qualcosa di ciclopico!
Il dato OCSE conferma: Pil -2,7% nell'intero 2012, addirittura -0,9% nell'ultimo trimestre, una bruciante accelerata alla crisi con la firma autografa di Mario Monti, strameritata maglia nera.
Ma stamattina, vogliamo replicare alle parole del fondatore di Repubblica punto per punto:
"Certo non infonde allegria sapere che un elettore su cinque o addirittura su quattro dia il suo suffragio a chi ipotizza l'uscita dell'Italia dall'euro, la cancellazione di tutti i debiti, lavoro e tutela per tutti senza indicare nessuna copertura finanziaria. Se queste ipotesi dovessero realizzarsi la speculazione internazionale giocherebbe a palla con la lira, col tasso di interesse, col sistema bancario, con gli investimenti, con l'occupazione e l'Unione europea ci imporrebbe un commissariamento che ci obblighi al rispetto del pareggio fiscale, pena l'intervento della Corte europea che commina in questi casi elevatissime sanzioni."
Scalfari dimentica (ma  lo scusiamo di buon grado, data l'età) che grazie ai servigi del suo Monti, che ha proseguito imperterrito l'opera demolitoria del governo Berlusconi (che non a caso ne ha approvato tutti i provvedimenti, a partire dall'IMU sulla prima casa), l'Italia è già virtualmente fuori dall'euro, come tutti gli indicatori economici e finanziari dimostrano.
La millantata credibilità acquisita dal nostro Paese agli occhi della Germania è vaneggiamento di certa pubblicistica di regime e del fatto, incontrovertibile, che francesi e tedeschi hanno in gran parte potuto disinvestire i loro capitali dai titoli di stato italiani, recuperando così i loro crediti, proprio imponendo agli Italiani, per opera del bocconiano, un'austerity suicida.
Al contrario, c'è la necessità impellente di ridiscutere al più presto il  fiscal compact, i famosi 40 miliardi all'anno per vent'anni di rimborso del nostro debito pubblico, i 100 miliardi spesi ogni anno per il solo pagamento degli interessi, l'impegno pazzesco al pareggio di bilancio entro il 2013: sono in ballo cifre stratosferiche, assolutamente fuori dalla nostra portata (e dalla grazia di Dio!).
E' così vero che lo spread bund-BTP è sensibilmente sceso non appena Monti ha mostrato l'intenzione di dimettersi, nel dicembre scorso: i cosiddetti mercati non badano neppure un istante alle chiacchiere alla Scalfari.
Valutano, al contrario, le nostre reali possibilità di uscita dal tunnel che con l'impegno verso l'Europa caricatoci dalla Invencible Armada  Berlusconi-Monti-Bersani-Casini sono ridotte al lumicino.
Altro che luce fuori dal tunnel, come cianciava il professorone già nel luglio scorso: quasi otto mesi dopo, grazie a lui ed ai tanti cialtroni in circolazione sulle pagine dei giornali, è ancora buio pesto!
Prosegue Scalfari:  
"Ma non credo che andrà così, per due ragioni: la prima è che Grillo non avrà la maggioranza dei seggi anzi ne sarà molto lontano (NdA: ma come? I grillini non dovevano essere quattro scalmanati? Adesso Scalfari dà quasi per scontato che questa nuova forza politica stia concorrendo addirittura per vincere le elezioni!); la seconda che un conto è quello che le sue concioni esaltate e demagogiche declamano e un conto saranno i parlamentari eletti nelle sue liste. Di politica quei deputati e senatori ne sanno poco o niente del tutto. Nel Sessantotto lo slogan era "l'immaginazione al potere", oggi si potrebbe dire l'inesperienza al potere.
È molto peggio perché l'inesperienza politica non è un pregio. Governare un paese non è certo facile ma è facilissimo sgovernarlo. Berlusconi l'ha sgovernato (non solo per inesperienza); il grillismo lo sgovernerebbe se avesse il potere. Il grillismo in Parlamento può essere una remora utile se la rabbia approderà ad una ragionevole proposta. È possibile che questo accada almeno per una parte degli eletti."
Il solito impenitente voltagabbana: i neodeputati e senatori del M5S sgovernerebbero il paese perché inesperti; al tempo stesso sprona Bersani, come lui stesso ha già spudoratamente preannunciato, di fare campagna acquisti tra di loro, una volta inaugurato il nuovo Parlamento.
Insomma il segretario piddino, anche su invito di Scalfari, si appresterebbe a fare la stessa cosa che due anni fa fece Berlusconi con i vari Scilipoti, Razzi, quando le truppe piddine gridavano, giustamente, allo scandalo.
L'equazione politica Berlusconi = Bersani, o meglio PDL = PDmenoL è quindi nuovamente dimostrata, al di là delle vicende giudiziare del Cavaliere, la cui attenzione di certa stampa di area piddina è, alla prova dei fatti, soltanto strumentale.
Il classico specchietto per le allodole dato in pasto alle truppe democratiche.
Sull'inesperienza al potere, il durissimo j'accuse di Scalfari ci fa scompisciare dalle risate.
Sì, perché la gestione esperta del Monte dei Paschi di Siena, la terza banca italiana, da parte del PD (su questo non ci piove, basta snocciolare i nomi della Fondazione che ne ha diretto in questi anni la governance) ha letteralmente distrutto una banca con oltre cinquecento anni di storia, come denunciava venerdì, in apertura, il New York Times. Questo è il link originale:
"Since the days of the Medici family in Florence, 40 miles to the north, the banking house of Monte dei Paschi has rained wealth on the people of Siena. For 541 years, it has endured war, plague and panic, and it stands today as the world’s oldest operating bank.
But beyond the arched entrance of the Salimbeni palace, inside the stately offices of Monte dei Paschi di Siena, a thoroughly modern fiasco has done what the centuries could not. Monte dei Paschi, founded in 1472, has been brought to its knees by 21st-century finance." 
I competentissimi amministratori del PD, per il quotidiano newyorkese, sono riusciti a realizzare un moderno fiasco (scrive proprio così!) quello che in 541 anni di storia non erano riusciti a fare guerre e pestilenze: non a caso Giuseppe Mussari, già presidente MPS, iscritto alla sezione di Siena del PD e suo grande benefattore (673'000 euro donati in pochi anni) , ha recentemente dichiarato di non capire nulla di derivati.
Caro Scalfari... ma ci faccia il piacere!


martedì 19 febbraio 2013

Ma che sta succedendo? Repubblica comincia ad abbassare i toni...

Merita senz'altro una segnalazione in tempo reale la prima parziale apertura di credito che il quotidiano la Repubblica, nell'edizione on line, fa oggi al Movimento 5 Stelle ed al suo leader Beppe Grillo, dopo anni di una sistematica campagna di disinformazione, particolarmente dura negli ultimi mesi, durante i quali l'ex comico è stato accusato, in modo totalmente gratuito e brutale, veramente di tutto. 
Questo blog, nel suo piccolo, più volte ha testimoniato gli attacchi al tempo stesso di una faziosità e di una sconsideratezza senza precedenti, portati avanti prendendo a spunto o spezzoni di frasi di Grillo estrapolate arbitrariamente da una sua uscita pubblica ovvero rilanciando, senza un minimo di vaglio critico e di contestualizzazione, notizie false riprese dalla rete e veri e propri insulti rivoltigli da avversari politici interni o esterni, montandoci sopra polemiche pretestuose e destituite di ogni fondamento. 
Il tutto guarnito con un apparato iconografico  scelto ad hoc per renderlo agli occhi del lettore frettoloso visivamente uno squilibrato e da commenti di contorno intrisi di un'acrimonia talmente ingiustificata e viscerale da sembrare evidentemente sospetta.
Il fondatore Eugenio Scalfari si è in questo distinto mostrando un livello di intemperanza così esacerbato, quasi per fatto personale, attrezzando in fretta e furia il suo giornale da frequentato crocevia della cultura lib-lab a macchina del fango: mutuando le stesse tecniche di comunicazione dei giornali della famiglia Berlusconi.
Un vero abominio mediatico.
Ma allora cos'è successo  perché i toni si siano all'improvviso così smorzati? Guardate la notizia di oggi ripresa dal sito di Repubblica on line:
In taglio centrale, compare per la prima volta in questa campagna elettorale l'onda lunga dello Tsunami Tour

C'è un pure reportage fotografico sulle piazze gremite di folla toccate dallo Tsunami Tour di Beppe Grillo, che, da trionfatore, si appresta a concludere venerdì la maratona elettorale a Roma, proprio a Piazza San Giovanni, traguardo storico delle adunate di sinistra.
Va a finire che i sondaggi, tenuti segreti in queste ore all'opinione pubblica, registrino intenzioni di voto tra gli elettori che spingono ancora più su il M5S, verso un'affermazione elettorale sicuramente senza precedenti  nella storia d'Italia?
E che per questo, dovendo fra soltanto sei giorni, volenti o nolenti, fare i conti in Parlamento con una pattuglia nuova di zecca di 100-200 tra giovani deputati e senatori, un briciolo di saggezza e di opportunismo abbia consigliato Bersani, Scalfari e c. ad abbassare finalmente i toni?
L'Home page di Repubblica alle ore 19,30



domenica 30 dicembre 2012

PD alla deriva: se l'agenda Monti è l'agenda Bersani...

Insomma, dopo 13 mesi di cieco appiattimento sul governo dei tecnici e sulla sua politica di tasse e tagli alla spesa sociale da parte del segretario piddino Pierluigi Bersani all'irresistibile grido Ragasssi,  votiam tutto ma vogliam mantenere il diritto di critica... Ragasssi!, si scopre che il beniamino dei democratici, Mario Monti,  tale per aver, in fretta e furia e senza veramente capirci un'acca varato la riforma delle pensioni per il tramite della surreale ministra Elsa Fornero (tanto da provocare il mostruoso errore tecnico degli esodati), introdotto l'Imu sulla prima casa, nonché pianificato il licenziamento indiscriminato per tutti, scende in campo capeggiando, ancora non si sa bene come, una lista elettorale dove militeranno i vari Casini, Fini, Montezemolo, per giunta con l'investitura solenne del Vaticano, in aperta competizione proprio con il Partito Democratico.
Un colpo basso che metterebbe al tappeto chiunque.
Se poi ci mettiamo pure che scendono in lizza gli arancioni di De Magistris dentro al movimento del pm antimafia Antonio Ingroia Rivoluzione Civile, insieme a quel che resta dell'Italia dei Valori di Di Pietro, ai Verdi, ai comunisti ed al movimento civico che fa capo al sociologo Marco Revelli, per non parlare dell'incombente presenza in Parlamento del Movimento 5S di Beppe Grillo, si capisce immediatamente che gli spazi a sinistra e a destra del PD si restringono pericolosamente, tanto da preannunciare una clamorosa, assolutamente imprevista e per questo ancora più bruciante sconfitta elettorale prossima ventura.
Per l'oligarchia bersaniana un'autentica Waterloo. 
Roba da far rimpiangere la famigerata gioiosa macchina da guerra di occhettiana memoria ma anche, come chioserebbe l'impareggiabile Walter Veltroni, la vocazione maggioritaria del PD del 2008, quando il suo inimitabile acume politico portò alla più sonora sconfitta elettorale di tutti i tempi per la sinistra italiana.
Ma adesso Bersani potrebbe dimostrare che, anche contro il calcolo delle probabilità, peggio di Walter se po' ffà!
Che non si passino più notti tranquille al quartier generale di Largo del Nazzareno e che si stia cercando febbrilmente una via d'uscita dal vicolo cieco in cui il segretario ha ficcato a spron battuto l'invincible armada dei piddini, è cosa arcinota.
Ma il tradimento del premier uscente, dopo che Bersani in queste settimane si era spinto a dire che l'Agenda Monti andrebbe proseguita anche per la prossima legislatura, è veramente difficile da mandare giù.
Perché lo stesso stratega del segretario, il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, oggi deve riconoscere nel suo tradizionale sermone che l'agenda Monti e quella Bersani coincidono: "Tra l'agenda Bersani e quella Monti non vedo grandi differenze, anzi non ne vedo quasi nessuna salvo forse alcune diverse priorità e un diverso approccio alla ridistribuzione del reddito e alle regole d'ingresso e di permanenza nel lavoro dei precari. E salvo che l'agenda Bersani è stata formulata prima di quella Monti e in alcune parti avrebbe potuto utilizzarla anche l'attuale governo se avesse posto la fiducia su quei provvedimenti."
Ma a questo punto una domanda è d'obbligo.
Perché mai un potenziale simpatizzante del PD che, in questi lunghi mesi di passione, ha imparato proprio dal suo segretario Bersani ad apprezzare la guida gelida di Mario Monti, dovrebbe oggi votare la sua patacca di Bettola,  quando sulla scheda elettorale gli viene proposto l'originale old british style dell'ex preside della Bocconi?
Anche ripetendosi fino allo stremo non capisco ma mi adeguo, da ultimo dei mohicani in salsa emiliana, il malcapitato non riuscirà verosimilmente tra due mesi a inserire nell'urna elettorale la scheda griffata PD.
Ecco perché Bersani oggi affronta il Professore con un tono improvvisamente duro, del tutto imprevedibile soltanto fino alla vigilia di Natale:
"Non mi aspettavo uno scenario simile, non possiamo di nuovo affidarci a leader solitari. Monti deve dirci con chi sta, quali scelte intende fare, cosa pensa sui diritti civili. Non bastano un'agenda e un simbolo".
E criticando la discesa in campo di Monti al comando di una lista di centro, gli urla: "Questa cosa del centro nasce nel chiuso di una stanza...é una cosa che parte già vecchia, superata. Ricorda riti superati".
E, con un lapsus freudiano, sbotta: "vedo il rischio  che ci si affidi ancora a criteri che hanno già portato al fallimento".
Innanzitutto, il fallimento della strategia politica del PD.
Perché era impossibile pronosticare che il partito di centro sinistra, che da un anno a questa parte brilla di luce riflessa grazie all'incendio incontrollato nel PDL, e che la matematica prima che i sondaggi danno per favorito alla prossime Politiche del 2013, abbia senza indugio levato le ancore per dirigersi a vele spianate verso destra (rinnegando senza batter ciglio la propria più schietta anima popolare e  laburista), finendo poi per entrare in rotta di collisione proprio con la corazzata Monti di cui finora ha pattugliato il mare, assicurandone una tranquilla navigazione nonostante le acque tempestose.
Roba da autentici kamikaze!



giovedì 6 dicembre 2012

E la Corte Costituzionale incoronò Re Giorgio I sovrano assoluto

A margine della sentenza della Consulta che dà piena ragione a Giorgio Napolitano nello scontro da lui ingaggiato con la Procura di Palermo,  Eugenio Scalfari se la prende di nuovo con quella fetta di società civile, costituita da uomini politici, organi d'informazione e soprattutto insigni giuristi che nei mesi scorsi si sono maggiormente spesi affinché da parte del Presidente della Repubblica finalmente derivasse un atto di ravvedimento e di ragionevolezza costituzionale rinunciando alla clamorosa iniziativa intrapresa nel luglio scorso, ovvero sollevare un inaudito conflitto di attribuzione contro i pm palermitani per la nota vicenda delle intercettazioni di sue telefonate con  l'indagato Nicola Mancino, nel pieno di una scottante indagine giudiziaria tesa a mettere in luce le contiguità esistenti tra apparati deviati dello Stato e Cosa nostra, all'origine del biennio stragista 1992-1993.
Notte fonda della nostra storia repubblicana (è sempre il caso di ricordare a chi finge di ignorarlo per intrupparsi in una anacronistica e veramente poco appassionante battaglia ideologica volta a proclamare il potere assoluto del capo dello Stato!), sfociata negli assassini a due mesi di distanza di Giovanni Falcone,  di Paolo Borsellino e delle loro scorte e dei successivi massacri di Roma, Firenze, Milano della primavera-estate del '93.
Una stagione eversiva alla cui definizione storica e giudiziaria a vent'anni di distanza, in un Paese normale, tutte le forze sane dovrebbero contribuire con sincerità, all'unisono e senza risparmio di energie, innanzitutto per dare giustizia alle vittime e costruire finalmente un futuro di trasparenza e legalità per l'intera comunità nazionale.
Men che meno, frapporre, anzi, millantare presunte prerogative costituzionali del primo cittadino la cui asserita tutela viene inevitabilmente ad intralciare il regolare svolgimento dell'attività giudiziaria in uno scenario così fosco.
Il verdetto della Corte Costituzionale dopo cinque mesi, facendo prevalere l'interesse del Presidente della Repubblica a vedere distrutte le sue intercettazioni indirette con Mancino, finisce per mettere il Quirinale al di sopra della legge, attribuendogli una supremazia giuridica che lo Stato di diritto non può evidentemente contemplare.
Bisognerà aspettare le motivazioni di questa sentenza ma già da adesso si può affermare che, per effetto di essa, la stessa Costituzione e l'equilibrio dei poteri ne risultano gravemente deformati, destrutturati, forse irrimediabilmente compromessi.
Quella  pronunciata dalla Consulta è una sentenza che contraddice se stessa, la sua natura e la sua funzione di organo costituzionale, e che ha molto a che fare con una scelta contingente di convenienza politica, come paventava l'estate scorsa il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky proprio dalle colonne di Repubblica.
Eppure il fondatore di questo giornale, rimasto sordo a tutte le numerosissime argomentazioni che da settori importanti e autorevoli dell'opinione pubblica sono state avanzate per consigliare prudenza a Napolitano e tirando dritto su una impervia e pericolosa china, così ha avuto l'ardire di commentare
"Quello compiuto da alcune forze politiche e mediatiche non è dunque un errore commesso in buona fede ma una consapevole quanto irresponsabile posizione faziosa ed eversiva che mira a disgregare lo Stato e le sue istituzioni. Sembra quasi un fascismo di sinistra."
Ecco, le sue sono esattamente le parole che un vecchio fascistone userebbe, preferibilmente dopo una mimetizzazione di lungo corso nel nebulosissimo e non identificato liberalismo di sinistra, per celebrare l'incoronazione, per volontà di Dio, del monarca assoluto Re Giorgio I da parte di una Corte Costituzionale ormai autodegradatasi a tappezzeria quirinalizia.

domenica 25 novembre 2012

La sera scrivevamo (on line) per largo Fochetti

La notizia più ghiotta della settimana, ma nessuno dei media ad eccezione del Fatto Quotidiano ci ha posto attenzione, sono le dimissioni improvvise da blogger embedded della corazzata la Repubblica di Piergiorgio Odifreddi, matematico, divulgatore scientifico, intellettuale spesso controcorrente.
Che qualche giorno fa, accendendo il computer e aprendo il suo blog sulla piattaforma mediatica di Largo Fochetti, si è accorto che il suo ultimo post "Dieci volte peggio dei nazisti" era sparito, o meglio era stato rimosso. 
L'intervento, esorcizzato in punta di mouse dalla direzione del giornale, conteneva una dura critica al comportamento del governo israeliano che, prendendo spunto da alcuni razzi lanciati sul proprio territorio dai guerriglieri di Hamas, un paio di settimane fa ha scatenato l'ennesima guerra asimmetrica contro la Striscia di Gaza, con ripetute indisturbate incursioni dei suoi caccia a suon di missili e bombe contro la popolazione palestinese che hanno provocato, accanto ad enormi devastazioni,  almeno un centinaio di morti, in prevalenza donne e bambini; quelli che le autorità militari israeliane si sono subito affrettate a definire "scudi umani".
Insomma per Tel Aviv non sono le bombe israeliane ad ucciderli, sono le donne e i bambini palestinesi in cerca di guai, sommamente colpevoli di vivere nei quartieri densamente popolati dove dall'alto i caccia e gli elicotteri con la stella di David  hanno licenza di strage per portare a termine le condanne a morte pronunciate del governo Netanyahu contro gli esponenti della resistenza palestinese.
Ed a questo pensiero unico, irradiato dai network occidentali senza risparmio di energie, si sono omologati pure i nostri media anche a costo di andare contro cultura, logica e buon senso, non prima di ignorare, anzi di rimuovere, compassione e solidarietà umane.
E' così che un intervento come quello di Odifreddi non solo non può essere neppure lontanamente condivisibile per gli ideologi del pensiero liberale di Repubblica, ma neanche semplicemente tollerato in nome di Voltaire.
Al contrario,  va prontamente disinnescato perché mina alla base il pluralismo di facciata così pilatescamente messo su in decenni di edicola, declinando ideologicamente il lib-lab a giorni alterni, secondo le convenienze oligarchiche che questo giornale intimamente esprime.
Ecco perché non si può permettere neppure all'intellettuale Odifreddi di dire sommessamente, non dalle colonne del giornale ma dalla sua stanza virtuale presa in comodato d'uso, verità scomode per il mainstream e che suonano malissimo per l'establishment nostrano.
Finché ostenta il suo laicismo, lanciando strali contro le interferenze nella vita pubblica di Oltretevere, dalla cabina di regia è ben accetto.
Anzi,  per Ezio Mauro & c.,  è cosa buona e giusta che se la sia presa in un recentissimo post con  Beppe Grillo,  vomitandogli convulsamente addosso di tutto, senza un minimo di discernimento e di cautela, affibbiandogli, in una sorta di offerta speciale "tre per uno", contemporaneamente del neofascista, del neoleghista e del neoberlusconista, dopo aver equivocato goffamente l'uso del termine dummies, quando sarebbe bastato wikipedia per evitare di aprire bocca e dargli fiato.
In un caso del genere gli si dà pure l'onore dell'apertura in prima pagina!
Ugualmente, val bene Odifreddi quando fa, del tutto a sproposito, la difesa d'ufficio della pseudoscienza a seguito del pronunciamento del Tribunale dell'Aquila che ha condannato gli esperti della Commissione Grandi Rischi a sei anni di reclusione per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, rei di aver messo in piedi un'operazione mediatica tesa esplicitamente e unicamente a tranquillizzare la popolazione proprio alla vigilia della scossa micidiale di 6.3 punti della scala Richter, senza una effettiva valutazione del rischio.
Non si trattava, evidentemente, di prevedere la scossa fatale ma di evitare la monumentale negligenza di diffondere informazioni rassicuranti ma fasulle, che hanno finito per vanificare la più elementare attività di tutela delle persone, inducendole a restare a dormire nelle loro case.
Superficialità e inganno, altro che non aver previsto il terremoto!
Eppure le parole di Odifreddi erano queste: "La ragione, o anche solo il buon senso, dovrebbero portare a ringraziare gli scienziati per ciò che sanno e riescono a fare, e non a condannarli per ciò che non sanno e non possono fare: come le previsioni dei terremoti gli esperti sono responsabili dei pareri che hanno dato. Non sono responsabili dei suggerimenti che la protezione civile ha ritenuto di dover dare alla popolazione, in seguito a questi pareri".
Se si fosse minimamente informato si sarebbe risparmiato una simile figuraccia.
Ma tanto è bastato per coprire culturalmente, si fa per dire,  la castroneria mediatica del ministro dell'Ambiente, Corrado Clini (lo stesso che contestava negli stessi giorni inopinatamente i dati sull' inquinamento ambientale causati dall'Ilva di Taranto), che ha avuto la spudoratezza di criticare la sentenza parlando di processo a Galileo. E con lui, l'intoccabile governo dei tecnici.
In un Paese serio, un ministro del genere avrebbe già dovuto fare le valigie.
Ora Odifreddi ha deciso di prendersi una pausa di riflessione, cioè di ritirarsi in buon ordine a "coltivare il proprio giardino", nel frattempo tracciando un bilancio più che positivo della sua esperienza tra i blogger del gruppo De Benedetti.
Gli è stata lasciata carta bianca, dice lui, e delle lagnanze ricevute, magari in latino, l'editore non gli avrebbe fatto trasparire se non un vago sentore condividendo in pieno la massima spesso (erroneamente) attribuita a Voltaire "detesto ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo".
Ma quando le critiche sono pervenute in ebraico, apriti cielo!
Quello che neppure a qualche alto esponente della Chiesa cattolica era riuscito, magari quando l'opinionista sfotteva Mario Monti e Corrado Passera, Santi subito!,  per via dell'IMU inspiegabilmente abbuonata dai rigorosissimi tecnici al Vaticano, è divenuto realtà non appena la critica si è diretta, senza troppi peli sulla lingua ma con ben altre ragioni da vendere, contro l'iniziativa militare israeliana sui cieli di Gaza.
A quel punto la rappresaglia direzionale ha, pure stilisticamente, ricalcato la reazione israeliana.
Odifreddi è stato messo a tacere, senza troppi complimenti, e il suo post cancellato: mediaticamente, un'esecuzione mirata.
Ora, è vero  che in rete vige una sorta di primo principio della termodinamica secondo il quale in natura "nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma", per cui il suo post rimosso dai censori, si può replicare infinite volte in altrettanti siti, com'egli sostiene nel post di commiato: "Cancellare un post non è, di per sè, un grande problema: soprattutto nell’era dell’informatica, quando tutto ciò che si mette in rete viene clonato e continua comunque a esistere e circolare"; tant'è che anche noi ne siamo venuti in tal modo a conoscenza.
Il fatto è che, proprio in ragione dell'inutilità e velleità di questa censura, un comportamento del genere, tanto più in un quotidiano che si fregia di rappresentare il pensiero liberale di sinistra e di essere un crocevia  ed una fucina di idee anche in contrasto tra di loro, dimostra che anche qui le grandi dichiarazioni di libertà lasciano il passo in concreto ad una gestione assai più prosaica ed opaca, oseremmo dire squadristica, del quotidiano.
Per cui chi tocca i fili (la questione israeliano-palestinese, la trattativa Stato mafia, le imbarazzanti conversazioni telefoniche tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino, l'appoggio senza se e senza ma al governo Monti, eccetera eccetera), virtualmente muore.
E alle ortiche il dibattito delle idee!
Questa volta ne fa le spese Piergiorgio Odifreddi ma è semplicemente l'ultimo della lista, preceduto soltanto di qualche settimana da Gustavo Zagrebelsky, l'insigne costituzionalista, svillaneggiato sulla carta stampata da un iroso Eugenio Scalfari soltanto per aver chiesto pubblicamente al Capo dello Stato una prova di buona volontà e correttezza costituzionale, rimettendo il conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo che ha di fatto da mesi impantanato l'indagine sulla trattativa Stato mafia.
Fra l'altro, si tratta di personalità con un pedigree di primo livello.
Figuriamoci cosa possa capitare a chi, pur nella legittimità e onesta intellettuale del proprio punto di vista, non possa vantare altrettanta certificata autorevolezza.
Ecco perché quando Odifreddi rivendica, per il tempo di permanenza del suo blog a Largo Fochetti "809 giorni di libertà", teniamo a fargli sapere, anche a costo di sconvolgerlo, che questa sua libertà è sempre stata vigilata e che, nei giorni buoni, lui stesso ha finito per essere senza saperlo (o magari senza volerlo) uno dei Masaniello mandati in avanscoperta dal duo Scalfari-Mauro & c.
Premiata ditta che, finito il tuo lavoro, sporco o pulito che sia, ben prima che tu possa profferire parola, ti spedisce il ben servito con un semplice click.
Possibile che lo scaltro Odifreddi non se ne fosse mai accorto?
Difficile pensarlo, a meno di non sentirsi Alice in Wonderland.
Ma a volte barattare la propria scapigliata curiosità intellettuale con una "invidiabile visibilità" mediatica finisce,  come si sa, per renderci piccini piccini...

domenica 11 novembre 2012

Fuori dal tunnel, lucciole per lanterne

Altra brillantissima performance di Eugenio Scalfari nel suo solito sermone domenicale.
Questa volta cerca disperatamente di dare concretezza alla sensazione di Monti che vede una luce fuori dal tunnel per l'economia italiana.
Ciò in evidente contraddizione con le previsioni del PIL italico, che l'Istat vede al -2,3% per quest'anno ed ancora ad un -0,5% per il 2013. Leggermente migliore è la previsione fatta dalla Commissione Europea che, confermando lo stesso dato per l'anno in corso, vede un -0,3% per l'anno prossimo.
Almeno altri 15 mesi ancora di recessione, con il PIL che resta in calo e il fronte lavoro che va ulteriormente peggiorando con il tasso di disocupazione che scende dal previsto 10,6% di fine anno all'11,4% dell'anno prossimo.
Ma lo scenario è ammantato da una fitta coltre di nebbia visto che i suddetti dati dipendono molto dalla prevista ripresa della domanda estera, in linea con l'incremento del commercio mondiale e del ciclo economico internazionale. Se questo però tardasse a ripartire, il vaticinio crollerebbe come un castello di carte e la situazione italiana sprofonderebbe inaspettatamente nel dramma.
Con buona pace della cancelliera tedesca Angela Merkel che, non più tardi di lunedì scorso, ha affermato al congresso regionale della Cdu che ci vorranno almeno 5 anni per superare l'attuale crisi economica.

Ammette l'Istat: "Le difficoltà finanziarie delle famiglie e la crescita della disoccupazione associate alla lunghezza della fase recessiva potrebbero amplificare i rischi al ribasso della previsione".
Ma l'impareggiabile Scalfari concorda con quello stravagante di Mario Monti nel vedere rosa: "Monti continua a segnalare una luce in fondo al tunnel e lo prendono per matto. La sua mattana sarebbe infatti contraddetta sia dalle previsioni dell'Istat sul Pil sia da quelle analoghe della Commissione di Bruxelles. Eppure - oltreché da Monti - quella luce in fondo al tunnel la vedono anche Draghi e il Fondo monetario internazionale. Come si spiega questo così netto contrasto di opinioni?
A parte una legittima differenza di punti di vista sull'andamento delle cose, c'è una cifra condivisa da tutti gli interlocutori di questo dibattito: l'andamento del Pil in Italia. Sarà del meno 2,4 o meno 2,3 quest'anno e meno 0,2 o addirittura in pareggio nel 2013. Il segno meno permane in tutti e due gli anni considerati ma tra l'uno e l'altro si registra un miglioramento di tre punti il che significa un aumento di circa 50 miliardi in cifre assolute. Non è molto ma neppure poco. Tre punti di Pil non sono una luce? "
Ma come? meno 2,3% a cui si aggiunge un ulteriore meno 0,2% per il 2013 al paese nostro fa complessivamente meno 2,5%: più recessione di così! 
Per Scalfari è invece la conferma di un miglioramento del Pil, udite udite, addirittura di 3 punti percentuali!
Cioè il minore decremento del Pil previsto per il 2013 rispetto al 2012 si trasfigura addirittura in un suo incremento del 3%!
Dove se li sarà andati a procurare questi tre punti da 50 miliardi di dollari, pardon di euro?
Se la matematica diventa un'opinione, è chiaro che da dentro al tunnel possiamo pure restare accecati dal solleone!
Basta preventivamente impasticcarsi per bene: Lucy in the Sky with Diamonds...




domenica 4 novembre 2012

Il pasdaran della partitocrazia

Il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari imbratta oggi la prima pagina del quotidiano, guarnendo il suo consueto sfogo settimanale, con un delirante attacco a Beppe Grillo ed al Movimento 5 Stelle.
Di ciò che fuoriesce dalla sua penna non sarebbe più il caso neppure di fare cenno, evidenza conclamata di un disagio personale che attiene alla sua privacy, che certo non vogliamo violare e per cui lo affidiamo fiduciosi alle cure delle persone che gli sono più vicine.
Ciò non ci permette, comunque, di archiviare sbrigativamente i suoi editoriali liquidandoli con sufficienza, almeno finquando la direzione di Largo Fochetti gli lascia carta bianca consentendogli di militarizzarne la linea editoriale che sempre più combacia con quella del Giornale berlusconiano, quello diretto ancora da Alessandro Sallusti, ormai in procinto di osservare il cielo a scacchi.
Il suo delirio meriterebbe da parte dello staff di Beppe Grillo la dignità di una querela per diffamazione in quanto l'anziano giornalista  risulta recidivo nell'usare impunemente l'epiteto "eversivo" contro gli avversari politici. Più giù nel pezzo, a proposito di Flores D'Arcais, Travaglio e Santoro, accomunati non si sa come, avrà l'ardire di dichiarare:  "A me sembrano alquanto disturbati o bizzarri che dir si voglia, altro non dico."
Ma torniamo indietro.
Scrive Scalfari: "Quale sia il programma del M5S resta un mistero salvo che vuole mandare tutti i politici di qualunque partito a casa o meglio ancora in galera perché "cazzo, hanno rubato tutti, sono tutti ladri". Monti "è un rompicoglioni che affama il popolo". E "Napolitano gli tiene bordone". Sul suo "blog" uno dei suoi seguaci ha già costruito la futura architettura politica: al Quirinale Di Pietro, capo del governo e ministro dell'Economia Beppe in persona, De Magistris all'Interno, Ingroia alla Giustizia, Saviano all'Istruzione. Quest'ultimo nome sarebbe una buona idea ma penso che il nostro amico non accetterebbe quella compagnia. Per gli altri c'è da rabbrividire e chi può farebbe bene ad espatriare. Resta da capire perché mai alcune emittenti televisive si siano trasformate in amplificatori di questo populismo eversivo. Resta la domanda: perché lo fanno?"
A parte il fatto che quello citato da Scalfari è uno tra un'infinità di commenti che affollano il suo blog e, in quanto tale, può essere stato lasciato lì da chiunque, senza in alcun modo impegnare né Grillo né averne evidentemente ottenuto il placet, come sa chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la rete e  con le dinamiche interattive della blogosfera, quello che egli bolla come "populismo eversivo" ed esecutivo da paura,  per molti Italiani potrebbe essere addirittura un "dream team", dopo aver dovuto inghiottire in questi anni di tutto: dalla Gelmini all'Istruzione ad Angelino Alfano alla Giustizia,  a Brancher al Federalismo, a Belsito alla Semplificazione, al Calderoli firmatario della legge elettorale porcata, alla Fornero al Welfare, a Clini all'Ambiente... l'elenco è praticamente sterminato!
Ma torniamo all'aggetivo eversivo ed al sostantivo da cui trae origine.
'Eversione' per il vocabolario Sabatini Coletti è "Ogni azione e movimento che impiega mezzi violenti anche terroristici per rovesciare il potere costituito".
Accusa quindi non solo immensamente infamante ma destituita di ogni fondamento.
Perché quello che da sempre è stato il tratto distintivo dell'azione politica dell'ex comico genovese è stato il pieno rispetto della legge e la totale adesione alla Costituzione ed agli istituti di democrazia diretta, in essa non solo previsti ma incoraggiati.
Senza enfasi alcuna, un riconoscimento di alto valore civile che chiunque, anche il più feroce avversario, dovrebbe obiettivamente tributargli perché grazie alla sua pluriennale azione d'informazione e di critica all'establishment è stato possibile in pochi mesi costruire un blocco democratico, pacifico e legalitario, per dare finalmente voce alla sormontante rabbia di un intero popolo, sprofondato d'improvviso in una crisi globale disperante ma ancora alle prese con una classe politica inguardabile ed indifendibile.
Ecco perché quello di Scalfari non è dissenso, critica, disapprovazione (sia pure la più aspra!), faziosità: è qualcosa di molto più grave, una sistematica e senza precedenti opera di delegittimazione.
Per giunta, nel contesto di una campagna elettorale incombente (se non già in atto), le sue non sono le intemperanze verbali di un ottuagenario sfuggito alle badanti, ma la lucida follia di un guastatore che concepisce la democrazia secondo le proprie convenienze.
Magari in attesa di ricevere da Napolitano un seggio d'antan, quello di senatore a vita, dopo essersi speso in questi mesi in sua difesa ben oltre il buon senso e la decenza.
Scriveva di lui Mario Pannunzio, intellettuale liberale e fondatore del Mondo, in un epistolario a Leo Valiani, padre costituente, dato in questi giorni alle stampe dall'editore Nino Aragno:
"Instabile, femmineo, esuberante. Non ha veri legami o affinità ideali e morali con nessuno.Tutto è strumentale e utilitario; tutto deve servire alla sua splendida carriera. Ma ha sempre avuto la sensazione di perdere tempo stando con noi".
Può darsi che il sacro fuoco dell'ambizione, nonostante la sua veneranda età, ancora non si sia spento in lui e lo induca, piuttosto  che passeggiare per Villa Borghese, a ficcarsi l'elmetto in testa per ergersi a pasdaran dell'Ancien régime partitocratico...
Ma è una fine veramente ingloriosa.

venerdì 24 agosto 2012

Ezio Mauro sulla scia di Scalfari: W il Colle e la partitocrazia!

Sollecitata da più parti, quasi sospirata dal berlusconiano Giuliano Ferrara, è arrivata la risposta di Ezio Mauro, il direttore di Repubblica, chiamato a dipanare un grave problema di linea editoriale tenuto conto che sul suo giornale dove il corazziere Eugenio Scalfari fa il bello e cattivo tempo lanciando strali contro chiunque osi mettere in discussione il comportamento di Giorgio Napolitano, scrivono pure grandi giuristi come Gustavo Zagrebelsky e Franco Cordero, assai critici con la recente decisione del Presidente della Repubblica di sollevare conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo, per via delle sue improvvide telefonate con Nicola Mancino, delle quali il Capo dello Stato avrebbe preteso la distruzione immediata  sulla base di sue millantate prerogative di intangibilità, esortando i pm siciliani a conformarsene, pure oltrepassando la legge (che lascia questa decisione al Gip durante la cosiddetta udienza-filtro in cui sono presenti tutte le parti processuali).
Rivendica con orgoglio il fatto che sul suo giornale possano confrontarsi liberamente pareri contrapposti anche se, ad avviso di molti, gli interventi pur autorevoli in dissenso con il Quirinale rappresentano voci fuori dal coro, anche visivamente sopraffatte dai caratteri cubitali e le lenzuolate di segno opposto; oggetto pure di dileggio da parte del fondatore di Repubblica che domenica all'insigne costituzionalista Zagrebelsky ha riservato un trattamento speciale, non esitando a dargli dello sprovveduto, dello scorretto, persino dell'ignorante.
Così  meritandosi, per la prima volta in assoluto, il plauso peloso dei lacché berlusconiani, da Sandro Bondi a scendere, che da sempre hanno i nervi scoperti sulle questioni giudiziarie, per evidenti necessità di bottega.

Mauro cerca di attraversare il difficile crinale che lo obbliga, su un versante, a non sconfessare il suo anziano mentore, pena la fine, brevi manu, della sua avventura professionale a Largo Fochetti, dall'altro a non poter eccepire veramente nulla alle due illustri firme di Repubblica, in  particolare a Zagrebelsky, a cui lo unisce pure una grande amicizia personale.
Così, preso tra  due fuochi (o meglio tra il lanciafiamme di Scalfari e la lucida penna dei prestigiosi collaboratori) si trova, con un artificio retorico, prima a sostenere posizioni più aperte (l'indagine della Procura "è meritoria" e "gli italiani hanno il diritto di conoscere la verità sulla trattativa Stato-mafia, dopo vent'anni di nascondimenti, di menzogne e depistaggi") così segnando un distinguo rispetto al pensiero scalfariano, ma poi a battere precipitosamente in ritirata: il conflitto sollevato da Napolitano "è perfettamente legittimo. Può non essere opportuno, ed è una valutazione politica: io non lo avrei aperto".

Ma Mauro non è la Corte Costituzionale (che il 19 settembre sarà chiamata ad esprimersi sull'ammissibilità giuridica del ricorso) e riconoscendone l'inopportunità, finisce per fare una critica nient'affatto marginale all'operato di Napolitano.
Anche perché stiamo parlando di un'iniziativa presidenziale presa in un momento particolarmente grave per l'Italia, in cui tutto ci si poteva attendere tranne che colui che, per dirla enfaticamente alla Mauro, "gli altri Paesi considerano come uno dei pochi punti fermi della nostra democrazia" desse vita ad uno scontro istituzionale tanto dirompente e dalle conseguenze ancora imprevedibili.
Infatti, si immagini  per un istante che cosa potrebbe accadere tra qualche settimana se la Consulta giudicasse inammissibile il conflitto di Napolitano: costui, dopo aver squassato l'equilibrio dei poteri, come potrebbe restare un minuto in più al proprio posto?
E' ovvio che in questo modo si mettono i giudici costituzionali con le spalle al muro, costringendoli a prendere una decisione  a favore del Colle, che più politica non potrebbe essere! Come saggiamente, dall'alto della sua scienza e di una particolare sensibilità istituzionale, ma pure con tutta la cautela di questo mondo, osservava sgomento Zagrebelsky.
Che il punto cruciale sia questo è dimostrato dal fatto che quegli stessi corazzieri di complemento che plaudono alla sconsiderata iniziativa di Napolitano si rendono conto che urge farla passare il più possibile sotto tono.
Macché, non è un atto presidenziale senza precedenti, è una tazzulella 'e caffé! Che volete che sia?
Ammesso e non concesso che sia dell'importanza di una tazzina di caffé, non si capisce come mai Napolitano l'abbia sollevata proprio adesso e contro la Procura di Palermo.
Perché, in precedenza, quella di Firenze, nell'ambito delle indagini sulla cosiddetta cricca degli appalti, aveva messo agli atti proprio le telefonate intercorse tra il Presidente e Bertolaso, in cui il primo si preoccupa, con una grande partecipazione emotiva, della situazione dei terremotati dell'Aquila.
Quindi l'affermazione ripetuta adesso pure da Ezio Mauro che "il Presidente non ritiene che i testi delle sue conversazioni private debbano essere divulgati, a tutela delle sue prerogative più che del caso specifico" suona finta e appare di giorno in giorno come la classica foglia di fico, che però è più imbarazzante di Alte nudità verbali che probabilmente serve ad occultare.

Poi Mauro inizia a menare il can per l'aia, mettendo sullo stesso piano le telefonate di Napolitano con Nicola Mancino, testimone poi divenuto indagato, con quelle intercorse  per finalità istituzionali con i più disparati interlocutori, nell'ambito di quella tipica attività istituzionale di moral suasion che il Capo dello Stato quotidianamente deve esercitare sia come potere discrezionale che come dovere d'ufficio. Come, ad esempio, quella che ha caratterizzato le settimane precedenti le dimissioni di Berlusconi e l'avvento di Mario Monti a Palazzo Chigi.
Per poi domandarsi retoricamente "è interesse di Napolitano (posto che non si parla in alcun modo di reati) o è interesse della Repubblica che queste conversazioni non vengano divulgate? Secondo me è interesse di tutti, con buona pace di chi allude senza alcuna sostanza a misteriosi segreti da proteggere, già esclusi da tutti gli inquirenti."
Ecco che il direttore di Repubblica finisce per attestarsi rapidamente sulla linea di Scalfari circa l'esistenza di un complotto contro il Quirinale, che egli ammette di aver focalizzato sul nascere già due mesi fa.
Non arriva a definirne i contorni, con nomi e cognomi, ma siamo lì, è lo stesso populismo giuridico evocato da Luciano Violante qualche giorno fa.
Solo che ci arriva, con uno sforzo retorico degno di migliore causa, con un discorso tutto strampalato dove, ficcandoci dentro tutto e il suo contrario e agitando prima dell'uso (shakerando da bravo barman persino le categorie culturali della destra e della sinistra), alla fine va a parare sempre lì, sull'antipolitica, che sarebbe l'origine di tutti i mali italiani.
Due i passaggi decisivi:
"Io ho una mia risposta, che non piacerà ai miei critici sui due spalti contrapposti. Il fatto è che l'onda anomala del berlusconismo ha spinto nella nostra metà del campo (che noi chiamiamo sinistra) forze, linguaggi, comportamenti e pulsioni che sono oggettivamente di destra. Una destra diversa dal berlusconismo, evidentemente, ma sempre destra: zero spirito repubblicano, senso istituzionale sottozero (come se lo Stato fosse nemico), totale insensibilità sociale ai temi del lavoro, della disuguaglianza e dell'emancipazione, delega alle Procure non per la giustizia ma per la redenzione della politica, considerata tutta da buttare, come una cosa sporca."

Ma con chi ce l'ha? E' l'identikit dell'attuale Partito Democratico...
Sembra impossibile, forse abbiamo capito male, così andiamo avanti:
"Ma per chi ha queste posizioni, cultura è già una brutta parola. Meglio alzare ogni giorno di più i toni chiamando i politici "larve", "moribondi", "morti". Meglio alimentare la confusione, fingere che la destra sia uguale alla sinistra, che è il vero nemico, come il riformismo è stato sempre il nemico del massimalismo.
Ecco perché per coloro che sostengono queste posizioni Berlusconi non è mai stato il vero avversario, ma semplicemente lo strumento con cui suonare la loro musica. Per questa nuova destra, Napolitano e Berlusconi devono essere uguali, ingannando i cittadini."
Ah, adesso è chiaro: ce l'ha pure lui con Beppe Grillo, Antonio Di Pietro, e perché no?, Marco Travaglio e i ragazzi del Fatto Quotidiano!
Siamo all'apoteosi del ridicolo: insomma, la colpa della decadenza italiana, del fallimento politico-istituzionale ed economico-finanziario, sarebbe, udite udite, di chi fuori dal Palazzo (è bene precisare, con la propria dedizione quotidiana e senza prendere una sola lira di denaro pubblico!) negli ultimi vent'anni ha denunciato la corruzione, le ruberie, il parassistismo, il nepotismo e l'incompetenza della partitocrazia, le deviazioni dal solco costituzionale della nostra democrazia.
Gli unici responsabili dello scempio attuale sarebbero cioè coloro che da sempre invocano verità e giustizia e sostengono il lavoro dei magistrati affinché accertino la responsabilità di quanti, dentro e fuori le Istituzioni, quale che sia il colore politico e il ruolo ricoperto, sono stati gli ispiratori, i mandanti, i lucratori della stagione del Terrore politico-mafioso.
Per Mauro addirittura rappresentano "la nuova destra", non meno pericolosa di quella berlusconiana, da  "'il Borghese' degli anni più torvi" (dice proprio così!).
Adesso si capisce come mai dalle parti del Pdl, Bondi, Cicchitto, Gasparri, Ferrara & c., increduli, stiano festeggiando.