Visualizzazione post con etichetta Antonio Ingroia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Antonio Ingroia. Mostra tutti i post

sabato 16 febbraio 2013

Per il 25 febbraio è in programma la nuova Festa della Liberazione: quella dalla Partitocrazia

Nelle redazioni dei nostri due massimi quotidiani italiani, Repubblica e Corriere della Sera, si respira un'aria pesante mentre nei Palazzi romani dilaga lo sconforto.
Possibile che, dopo aver messo su un'organizzazione mastodontica che segue il leader del M5S dappertutto, in perfetto silenzio, come un'ombra, in attesa del tanto sospirato passo falso, non si riesca a lanciargli addosso una qualche accusa infamante, che gli possa far perdere di colpo qualche migliaio di voti, abbassando l'onda lunga del suo Tsunami Tour che rischia seriamente di travolgere il prossimo 25 febbraio una buona fetta di partitocrazia? 
Ormai mancano solo 8 giorni al voto e qualcosa si deve pur fare: non è possibile accontentarsi del niente raccolto finora contro di lui!
Mentre la magistratura di tutta Italia sta demolendo, pezzo a pezzo, l'intera classe dirigente del nostro Paese, politici, burocrati, manager, boiardi di Stato, mentre  Bersani, Casini, Berlusconi, persino lo stesso Monti, si fanno vedere in giro il meno possibile per non ricevere dai passanti salve di fischi e boati di disapprovazione, Grillo raccoglie consensi crescenti e trasversali, riempiendo, nonostante le temperature polari, le piazze dello stivale, da Catania a Bolzano, da Bari a Novara, di un pubblico attento, caloroso, entusiasta.
E' l'unico che dice cose di buon senso, che non usa slogan tanto per nascondere il vuoto culturale, programmatico ma soprattutto morale dei suoi avversari politici.
Mentre tra Monti e Berlusconi si è ormai ingaggiata la gara a chi scende più in basso nell'insulto all'altro ma anche nel consenso elettorale (il sobrio bocconiano, con un'evidente e ormai ripetuta caduta di stile, adesso rimprovera al Cavaliere addirittura di comprarsi i voti ma, fino ad un mese fa, non aveva proprio nel Cavaliere il suo azionista di riferimento?), Pierluigi Bersani indugia nell'aria fritta, vagheggiando di un'alleanza a doppio filo con il premier uscente e la necessità di riconoscere almeno un premio di testimonianza al fido scudiero Niki Vendola. Quest'ultimo non se la passa per niente bene, dato che i suoi potenziali elettori hanno ormai capito che votare Sel è come votare Pd, che è poi come votare Monti girandosi dall'altra parte, mentre si fischietta l'inno dell'Internazionale...
Indubbiamente, votare un partito che si dichiara di sinistra per ritrovarsi poi lo stesso esecutivo di centro destra che ci sta sgovernando, con brevi interruzioni, da 20 anni grazie all'appoggio decisivo ed ai soldi di Silvio Berlusconi, non è propriamente una prospettiva eccitante per i fan del governatore della Puglia.
Anche perché con la discesa in campo dell'ex pm di Palermo Antonio Ingroia con la sua Rivoluzione Civile che conta sull'apparato organizzativo dell'Idv e di Rifondazione, qualcuno ci dovrebbe spiegare perché mai un elettore di sinistra, che non sia masochista,  dovrebbe votare Sel...
Ecco perché quella volpe di Bersani che, da quando ha vinto le primarie su Matteo Renzi, non ha detto una cosa, che sia una, di sinistra, peggio, non ha detto una cosa (di numero!), proprio oggi se ne è uscito con l'impegno di varare a tempo di record una legge contro l'omofobia.
Infatti milioni di italiani, cassintegrati, disoccupati, pensionati che non arrivano alla seconda settimana, imprenditori a rischio fallimento, giovani precari, studenti, esodati, sessantenni a cui la ministra Fornero chiede di lavorare dieci anni di più, malati buttati giù dai letti d'ospedale per i tagli della spending review ed invalidi lasciati senza assistenza domiciliare, giovani talenti costretti a cercare fortuna all'estero, insegnanti mandati a casa o costretti a lavorare in condizioni impossibili, liberi professionisti senza più una professione, gente sbattuta fuori di casa perché indigente, nient'altro che questo chiedevano da anni cronicamente inascoltati al PD di Pierluigi Bersani: finalmente una legge contro l'omofobia!!!
La nullità politica del leader piddino è confermata pure dalla posizione che egli ha assunto in merito alla questione Euro: ormai, pure i sassi sanno che l'ingresso dell'Italia nelle moneta unica è stata un vero disastro e le statistiche confermano in modo inoppugnabile che il declino economico italiano data 15 anni fa, guarda caso l'inizio della stagione dell'Euro.
L'aver perso la sovranità monetaria, senza prevedere a livello europeo i necessari meccanismi di compensazione, ha significato condannare l'Italia ad una lunga e tormentata decadenza di cui Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi sono i principali responsabili ma, più in generale, è l'intero centrosinistra che, in ragione di ciò, dovrebbe cospargersi il capo di cenere.
E invece cosa avviene? Bersani confonde deliberatamente l'adozione della moneta europea con il sogno di un'Europa più unita e solidale, senza pronunciare l'unica parola di verità: ovvero che proprio l'adesione cieca all'Euro ha reso più lontano e sbiadito il sogno europeo, l'esatto contrario di quello che i media e la Casta ci vogliono ogni giorno far credere, anzi ci hanno sbolognato a carissimo prezzo in questi anni.
Ecco perché il Movimento 5 Stelle, che restituisce la democrazia ai cittadini, è un'inattesa e irripetibile opportunità: mandare a casa una classe politica che è vissuta, nella più elitaria depravazione morale ed incompetenza professionale, alle spalle dei cittadini e che, divorando la cosa pubblica in modo famelico, ha ridotto alla fame quella che ancora dieci anni fa era la quinta potenza economica del mondo.
E gli autori di tanto scempio, non solo non chiedono pubblicamente scusa per i danni arrecati al Paese impegnandosi solennemente a risarcirli almeno parzialmente, magari restituendo il bottino frutto di infinite ruberie, ma si ergono ancora a protagonisti della scena politica prossima ventura, con la spocchia di voler ancora distribuire ai leader della rivoluzione di velluto italiana, in primis Beppe Grillo ed Antonio Ingroia, le carte della partita che sta per cominciare.
Ecco perché, in queste giornate frenetiche, è necessaria da parte di tutti i cittadini massima attenzione e partecipazione, perchè il colpo di coda della Casta partitocratica non solo è possibile ma è anzi assai probabile.
E può manifestarsi nelle forme più diverse e, contemporaneamente, in più ambiti e direzioni: mobilitazione capillare e consapevole, quindi.
Massima vigilanza, infine, nei seggi elettorali  per tutte le operazioni di voto e di spoglio successivo per limitare al massimo il più che concreto rischio di brogli e far sì che il tanto atteso miracolo italiano trovi finalmente la sua definitiva consacrazione nell'urna elettorale.
Perchè quale che sia il risultato che riuscirà a realizzare il Movimento 5 Stelle, dopo le elezioni la vita istituzionale del nostro Paese subirà un forte e positivo cambiamento.
Con una pattuglia colorata, giovane e vivace di 100-200 cittadini incensurati, senatori e deputati nuovi di zecca, la Casta non potrà più fare il bello e il cattivo tempo come prima, quand'anche dovesse restare ancora per un po' nella stanza dei bottoni e continuare ad esprimere, a causa della legge elettorale porcata, una raffazzonata ed inaffidabile maggioranza di governo.
Il 25 febbraio sarà per tutti gli Italiani, anche per chi non ci ha mai creduto, il Giorno della nostra Seconda Liberazione. Questa volta dalla Casta partitocratica.


martedì 5 febbraio 2013

Gli F35 e la lucida follia del trio Berlusconi, Bersani & Monti

Nella puntata di Presa Diretta, la bellissima trasmissione su RaiTre di Riccardo Iacona (a quando un nuovo riconoscimento per il suo prezioso contributo al giornalismo d'inchiesta?), domenica sera 3 febbraio, il tema trattato è stato quello delle spese militari, in particolare dell'acquisto dei chiacchieratissimi F35, i cacciabombardieri prodotti negli Stati Uniti.
Vediamo come è andata.

L'F35, il caccia di attacco prodotto dall'americana Lockheed Martin, si profila come un vero e proprio pozzo di San Patrizio per le dissestate casse dello Stato italiano.
Con clamorosi errori di progettazione, tanto che le ripetute correzioni in corso d'opera non bastano a salvare la validità di un progetto malconcepito (il pretendere insieme un cacciabombardiere d'attacco ed un intercettore da difesa), doveva costare 45 milioni di dollari ad esemplare e già ne costa oltre 200 milioni, tra l'altro nella versione più semplice: già adesso il più costoso sistema d'arma mai prodotto negli USA.
E nel complesso, tra costi di manutenzione e d'esercizio, l'F35 costerà 700 milioni di dollari a pezzo, un'emorragia inarrestabile da qui al 2050 per l'Italia: 40 miliardi di euro!
Ma analizziamo gli errori di progettazione più clamorosi.
Il gancio per permetterne l'atterraggio sulle portaerei è stato realizzato troppo vicino alle ruote tanto che l'aereo manca sistematicamente l'ancoraggio al cavo d'acciaio; difettoso è pure l'attacco per la catapulta per il decollo rapido.
Nonostante debba essere un aereo supersonico, dovendo essere il più rapido possibile come intercettore, c'è addirittura la necessità di non superare mai la velocità di 1,6 mach per non correre il rischio di mandare in fiamme la coda.
Di pessima manovrabilità (che per un velivolo militare d'attacco suona come una bestemmia) ed un'aerodinamica pessima (vibra esageratamente), è pure a rischio di esplosioni, sia perché il carburante è posizionato tutto attorno al motore, sia perché il suo sistema elettrico va a 270 volt contro i 48 volt di un caccia normale per cui, se colpito da un proiettile persino sparato da terra con un kalashnikov, si può innescare un corto circuito devastante.
Ancora: se costretto a rientrare all'improvviso ed a scaricare il carburante prima dell'atterraggio, data la sua eccessiva pesantezza, rischia l'esplosione.
Non parliamo poi del software gigantesco, oltre 9 milioni di righe di codice contro i già abbondanti 1,7 milioni dell'F22 (che pure aveva presentato gravissimi problemi di funzionamento), che si presta ad errori di programmazione praticamente certi e impossibili da risolvere.
Non solo:  la strumentazione dell'apparecchio è assai limitata in quanto ci si affida ad un apposito casco per il pilota con un visore interno complicatissimo che riporta le segnalazioni con un ritardo di 1/8 di secondo:  nel corso di un duello aereo, è un'eternità!
Senza neanche prendere in considerazione che se si rompe il casco (che da solo costa 2 milioni di euro!), l'aereo non può neppure decollare.
Dulcis in fundo, consuma in modo esagerato e richiede una continua manutenzione. Tanto da far ritenere che, utlizzato per semplici esercitazioni, non potrebbe restare in volo più di 15 ore la settimana; ma un buon pilota ha bisogno almeno di 35-40 ore di addestramento settimanale... 
A detta di autorevoli esperti, un vero bidone che vedrà la luce pure con due anni di ritardo, non prima del 2015, su cui si sono incaponiti, inspiegabilmente, i vertici dell'aeronautica e i governi italiani degli ultimi 15 anni: a cominciare da quello di D'Alema del 1999 per finire, ci mancherebbe altro!, con il governo Monti.
Per giunta, sacrificando la contemporanea partecipazione italiana al consorzio Eurofighter per la costruzione del cacciabombardiere europeo  Typhoon che vede l'Italia protagonista, con Alenia, anche sotto il profilo tecnologico in partnership con Germania, Inghilterra, Spagna: qui l'Alenia, controllata da Finmeccanica, assume il ruolo non di oscuro subfornitore degli americani ma di progettatore, produttore, esportatore. Inoltre tutti soldi investiti nel progetto europeo dal governo italiano restano in Italia a finanziare manutenzione, produzione e sviluppo del caccia. 
A confronto, l'F35 è una scelta fallimentare a livello industriale, tecnologico e occupazionale.
Perché la ricaduta tecnologica per l'industria italiana di questo investimento di guerra è praticamente zero.
In cambio di un ordine così esagerato (90 esemplari), l'Italia ha ricevuto dagli USA il contratto per l'assemblaggio finale degli F35 destinati anche all'Olanda, in tutto 165, e per la costruzione del 70% delle ali.
Ciò avverrà nello stabilimento di Cameri, vicino Malpensa, in una fabbrica nuova costruita a tempo di record e costata allo Stato italiano 800 milioni di euro, dove già lavorano 130 operai; a regime ne dovrebbe impiegare 3'000.
Ovvero, ogni posto di lavoro viene a costare 10 milioni di euro: un'enormità se si tiene conto che nell'industria civile, anche avanzata, tale costo scende a 200.000 euro, 50 volte di meno!
Dettaglio non trascurabile: posti di lavoro a basso contenuto tecnologico, per un'attività di mero assemblaggio.
Non  a caso il Canada, l'Australia, la Turchia e l'Olanda (a Cameri l'assemblaggio riguarderebbe, a questo punto, solo i 90 pezzi italiani) hanno deciso di sospenderne l'acquisto perché i caccia costano troppo e perché, come abbiamo visto, hanno enormi problemi tecnici, praticamente irrisolvibili.
Ma qui in Italia, il ministro della Difesa, l'ammiraglio Gabriele Di Paola, e il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Giuseppe Bernardis, pur decidendo di ridurne il numero da ordinare da 131 a 90, con il consenso di tutto il Parlamento (salvo IDV e radicali), ne confermano l'acquisto.
L'11 dicembre scorso, mentre fuori del Parlamento si manifestava contro l'acquisto degli F35, i nostri deputati approvavano la legge delega di revisione dello strumento militare, stanziando per la difesa 230 miliardi di euro per i prossimi 12 anni e stabilendo libertà di spesa per i militari all'interno di questo budget. Tutti i partiti si sono espressi a favore tranne Italia dei Valori, radicali e i leghisti (che si sono astenuti), lasciando quindi al ministero della Difesa carta bianca nello spendere circa 20 miliardi all'anno in barba ai tagli inflitti agli altri ministeri (scuola, sanità, previdenza, ecc.) in cupissimi tempi di spending review.
Particolare curioso ma significativo: coloro che tra i partiti di maggioranza hanno votato contro, Savino Pezzotta (Udc), Andrea Sarubbi (Pd), non sono stati ricandidati per le prossime elezioni.
Conclusione: la lobby dei militari è sicuramente più forte della politica.
Interpellati sulla questione, i politici e aspiranti premier della strana maggioranza uscente non si sono smentiti nella loro doppiezza e mediocrità.
Silvio Berlusconi rinnega il progetto, pur portato avanti dai suoi governi, ma è d'accordo sul continuarlo perché, udite udite, gli impegni presi vanno rispettati.
Finalmente un po' di coerenza!
Mario Monti, che ha premuto sull'acceleratore della riforma militare, accusa i detrattori del progetto di  populismo  (e ti pareva!...) e ritiene che, sia pure ridimensionato a 90 unità, l'acquisto vada comunque fatto.
Onestamente, da loro due non ci si poteva attendere altro!
Beppe Grillo e Antonio Ingroia sono, invece, nettamente contrari.
E Pierluigi Bersani? Cosa ne pensa?
Ecco il resoconto dattiloscritto dell'intervista concessa a Presa Diretta:
Bersani: Le priorità adesso sono altre e quindi vedremo come assieme naturalmente alle nostre forze armate, come questo programma possa essere rivisto a riduzione. E credo anche una riduzione significativa. Certamente bisogna, pur in un programma ridotto, alcune nostre presenze industriali bisogna garantirle.
Giornalista: Voi al governo non fareste come il Canada?
Bersani: No, credo adesso io diciamo non conosco nei dettagli la situazione dei canadesi… Sì, c’è stato… grossi problemi su copertura, investimenti, ecc
No, se la domanda significa noi proponiamo di cancellare la cosa. Non si può dirlo perché ci esporremo alla domanda: da qui a 5 anni che cosa fate?
Ecco..il vero risparmio nella prospettiva è creare un modello europeo di difesa…
Quello è il vero grande risparmio che potremo fare, via via… e bisogna lavorare su questo.
Io credo che già un gesto di questo genere possa indurre ad una riflessione anche dal punto di vista di impostazione del modello di difesa.
Giornalista: Cifre di riduzione non ne possiamo dare, cioè siamo a 90. E’ sensato dire…
Bersani: E’ sensato dire che li ridurremo… naturalmente quando avremo la possibilità, anche perché adesso si ragiona fuori dalla stanza dei bottoni, come si dice.
Giornalista: E chi continua a darvi dei guerrafondai per una scelta troppo filo…
Bersani: E ho capito sui guerrafondai, e purtroppo il mondo… O ci arrendiamo al fatto che poi chi avrà in mano un fucile potrà fare quel che vuole, possiamo anche arrenderci a questa logica, possiamo anche dire che noi, per l’amor di Dio, faccia la Francia se vuole, il Mali non ci interessa… Dopodiché siamo lì noi, no?
E quindi un meccanismo di difesa che svolga, naturalmente ripeto sempre sotto l’egida dell’organizzazione internazionale, sempre ai fini di pacificazione e quindi anche come deterrenza, io credo che nel mondo di oggi sia ancora necessario. Purtroppo. Ma è ancora necessario.

Un inutile giro di parole, ammiccando a coloro che criticano l'acquisto dei caccia, per ammettere di essere comunque d'accordo con l'operazione.
Ecco l'identità del Pd: rispetto alla politica di Berlusconi e della destra italiana, posizionarsi solo un millimetro prima...
Il massimo dell'inadeguatezza e della doppiezza: non una sola idea, un solo valore non negoziabile, su cui i piddini sentano il dovere morale di spendersi con tutte le proprie energie!
E' forse un caso che Bersani, da Berlino, ha lanciato oggi  la proposta di collaborazione a Mario Monti?


 

sabato 12 gennaio 2013

Neppure i Professori ci risparmiano la vergogna delle liste civetta

Si stenta a credere che ancora nel 2013, la (fu) settima potenza industriale del mondo, per disciplinare le procedure di svolgimento delle consultazioni elettorali, si affidi a leggi  e regolamenti talmente farraginosi, inconcludenti e anacronistici,  da far invidia alle grida manzoniane.
Al punto che i simboli dei movimenti politici in lizza per le prossime elezioni legislative debbano essere depositati di persona, allo sportello, dopo aver bivaccato per giorni in coda davanti al portone del Viminale, per non farsi soffiare il posto o taroccare il logo.
E che dei malintenzionati possano sabotare alla luce del sole e con piena legittimità uno dei momenti più delicati della vita democratica di un Paese danneggiando indisturbati alcune liste. Questa volta oltre il Movimento 5S a farne le spese sono proprio la lista del premier uscente e quella del pm Antonio Ingroia.
Evidentemente la famosa agenda digitale di Monti deve essere stata subito spedita in soffitta, visto che in un anno e più di governo, i cosiddetti tecnici non sono riusciti neppure ad organizzare uno straccio di presentazione telematica dei simboli elettorali.
Si indicono le elezioni in fretta e furia sotto Natale ma non ci si prende la briga, se non di riformare la legge elettorale porcata (troppa grazia!), neppure di introdurre minimi accorgimenti tecnici, magari tramite un semplice regolamento, per evitare il pasticcio, o meglio la vergogna, delle liste civetta, create apposta per disorientare l'elettore e ingannarlo al momento del voto.
Così ha finito per prevalere chi, in un'estenuante e assurda guerra di posizione, ha prima guadagnato la testa della fila, difendendola fisicamente, e poi,  senza dare nell'occhio, è riuscito a registrare i simboli di liste fasulle, praticamente identici a quelli di altre più popolari, giusto per scipparne i voti.
Il tutto, dopo essere stati all'addiaccio per giorni, senza che nessuno dal palazzo abbia pensato di distribuire, se non generi di conforto, almeno un semplice numerino per regolare la coda, tutti appassionatamente al freddo per allinearsi ad una transenna fatta comparire all'improvviso lunedì scorso: il racconto che ne fa Beppe Grillo sul suo blog è surreale, peggio, kafkiano.
Eppure, in questi stessi giorni il governo ha disposto per le famiglie italiane che l'iscrizione dei loro figli a scuola debba avvenire inderogabilmente in forma telematica, facendo finta di non sapere che buona parte di loro non dispone dell'indispensabile accesso a internet.
E' così che i Professori, così bravi a rivoltare le tasche degli Italiani e ad esasperarli, quando pure si tratti soltanto di mandare i propri ragazzi a scuola, non sono stati altrettanto abili ad evitare la ressa davanti allo sportello ministeriale, garantendo uno svolgimento ispirato al buon senso di essenziali ma consueti adempimenti amministrativi. 
Non è la prima volta che il grande Monti, quello che (a detta dei media di casa nostra) l'Europa ci invidia (non Samuele Monti dell'omonima lista civetta!) non ci fa una gran bella figura.
All'estero staranno di nuovo ridendo di noi.
Pare proprio che, questa volta, il sorrisino della Merkel se lo sia conquistato lui.

domenica 30 dicembre 2012

PD alla deriva: se l'agenda Monti è l'agenda Bersani...

Insomma, dopo 13 mesi di cieco appiattimento sul governo dei tecnici e sulla sua politica di tasse e tagli alla spesa sociale da parte del segretario piddino Pierluigi Bersani all'irresistibile grido Ragasssi,  votiam tutto ma vogliam mantenere il diritto di critica... Ragasssi!, si scopre che il beniamino dei democratici, Mario Monti,  tale per aver, in fretta e furia e senza veramente capirci un'acca varato la riforma delle pensioni per il tramite della surreale ministra Elsa Fornero (tanto da provocare il mostruoso errore tecnico degli esodati), introdotto l'Imu sulla prima casa, nonché pianificato il licenziamento indiscriminato per tutti, scende in campo capeggiando, ancora non si sa bene come, una lista elettorale dove militeranno i vari Casini, Fini, Montezemolo, per giunta con l'investitura solenne del Vaticano, in aperta competizione proprio con il Partito Democratico.
Un colpo basso che metterebbe al tappeto chiunque.
Se poi ci mettiamo pure che scendono in lizza gli arancioni di De Magistris dentro al movimento del pm antimafia Antonio Ingroia Rivoluzione Civile, insieme a quel che resta dell'Italia dei Valori di Di Pietro, ai Verdi, ai comunisti ed al movimento civico che fa capo al sociologo Marco Revelli, per non parlare dell'incombente presenza in Parlamento del Movimento 5S di Beppe Grillo, si capisce immediatamente che gli spazi a sinistra e a destra del PD si restringono pericolosamente, tanto da preannunciare una clamorosa, assolutamente imprevista e per questo ancora più bruciante sconfitta elettorale prossima ventura.
Per l'oligarchia bersaniana un'autentica Waterloo. 
Roba da far rimpiangere la famigerata gioiosa macchina da guerra di occhettiana memoria ma anche, come chioserebbe l'impareggiabile Walter Veltroni, la vocazione maggioritaria del PD del 2008, quando il suo inimitabile acume politico portò alla più sonora sconfitta elettorale di tutti i tempi per la sinistra italiana.
Ma adesso Bersani potrebbe dimostrare che, anche contro il calcolo delle probabilità, peggio di Walter se po' ffà!
Che non si passino più notti tranquille al quartier generale di Largo del Nazzareno e che si stia cercando febbrilmente una via d'uscita dal vicolo cieco in cui il segretario ha ficcato a spron battuto l'invincible armada dei piddini, è cosa arcinota.
Ma il tradimento del premier uscente, dopo che Bersani in queste settimane si era spinto a dire che l'Agenda Monti andrebbe proseguita anche per la prossima legislatura, è veramente difficile da mandare giù.
Perché lo stesso stratega del segretario, il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, oggi deve riconoscere nel suo tradizionale sermone che l'agenda Monti e quella Bersani coincidono: "Tra l'agenda Bersani e quella Monti non vedo grandi differenze, anzi non ne vedo quasi nessuna salvo forse alcune diverse priorità e un diverso approccio alla ridistribuzione del reddito e alle regole d'ingresso e di permanenza nel lavoro dei precari. E salvo che l'agenda Bersani è stata formulata prima di quella Monti e in alcune parti avrebbe potuto utilizzarla anche l'attuale governo se avesse posto la fiducia su quei provvedimenti."
Ma a questo punto una domanda è d'obbligo.
Perché mai un potenziale simpatizzante del PD che, in questi lunghi mesi di passione, ha imparato proprio dal suo segretario Bersani ad apprezzare la guida gelida di Mario Monti, dovrebbe oggi votare la sua patacca di Bettola,  quando sulla scheda elettorale gli viene proposto l'originale old british style dell'ex preside della Bocconi?
Anche ripetendosi fino allo stremo non capisco ma mi adeguo, da ultimo dei mohicani in salsa emiliana, il malcapitato non riuscirà verosimilmente tra due mesi a inserire nell'urna elettorale la scheda griffata PD.
Ecco perché Bersani oggi affronta il Professore con un tono improvvisamente duro, del tutto imprevedibile soltanto fino alla vigilia di Natale:
"Non mi aspettavo uno scenario simile, non possiamo di nuovo affidarci a leader solitari. Monti deve dirci con chi sta, quali scelte intende fare, cosa pensa sui diritti civili. Non bastano un'agenda e un simbolo".
E criticando la discesa in campo di Monti al comando di una lista di centro, gli urla: "Questa cosa del centro nasce nel chiuso di una stanza...é una cosa che parte già vecchia, superata. Ricorda riti superati".
E, con un lapsus freudiano, sbotta: "vedo il rischio  che ci si affidi ancora a criteri che hanno già portato al fallimento".
Innanzitutto, il fallimento della strategia politica del PD.
Perché era impossibile pronosticare che il partito di centro sinistra, che da un anno a questa parte brilla di luce riflessa grazie all'incendio incontrollato nel PDL, e che la matematica prima che i sondaggi danno per favorito alla prossime Politiche del 2013, abbia senza indugio levato le ancore per dirigersi a vele spianate verso destra (rinnegando senza batter ciglio la propria più schietta anima popolare e  laburista), finendo poi per entrare in rotta di collisione proprio con la corazzata Monti di cui finora ha pattugliato il mare, assicurandone una tranquilla navigazione nonostante le acque tempestose.
Roba da autentici kamikaze!