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venerdì 2 agosto 2013

1° agosto 2013 h. 19,40: la caduta del berlusconismo

Con la sentenza pronunciata a Roma dalla Corte di Cassazione, ieri sera, che ha sancito la condanna definitiva di Silvio Berlusconi a quattro anni di reclusione per frode fiscale con l'interdizione dai pubblici uffici (da quantificare in separata sede con rinvio ad una sezione diversa della Corte d'Appello di Milano), si chiudono vent'anni di storia della Seconda Repubblica con un verdetto che non ammette repliche.
Berlusconi è stato dichiarato definitivamente colpevole di un grave reato, aver frodato il fisco.
Adesso politicamente andranno tratte le dovute conseguenze, tenuto conto che fino ad oggi la vita istituzionale del Paese è stata dominata da un dominus che, con un potere se possibile ancora più invasivo proprio negli ultimi dieci anni, è stato dichiarato un delinquente, cioè un soggetto che commette un atto anti-sociale ritenuto reato dalla legge penale. 
Al di là delle determinazioni che assumerà Berlusconi in seguito all'esecutività di una pena che già molti  sui media si sono già presi la briga di tentare invano di annacquare ("sì, è stato condannato ma l'interdizione dai pubblici uffici richiederà un nuovo giudizio per cui fino ad allora Berlusconi è ancora un cittadino libero con i normali diritti di chiunque altro...") ma che scatta sin da subito per cui egli resta già adesso a disposizione della giustizia, spetta alla politica prendere atto di quanto accaduto per adottare le determinazioni del caso.
In particolare il Partito Democratico non può più accettare, per non perdere definitivamente la faccia di fronte non solo alla sua base elettorale ma alla comunità internazionale, la tutela di un tal personaggio sul governo che esso stesso appoggia.
Ormai non è più in gioco la credibilità della sua classe dirigente, l'impresentabile nomenklatura del Pd, ma quella del Paese di fronte al suo popolo ed agli osservatori internazionali. 
Sul punto non è più possibile glissare neppure per una malintesa ragion di Stato perché il discredito internazionale che ogni tentativo sia pure di stendere un velo pietoso sulla vicenda provocherebbe ipso facto è ragion di Stato.
E' la Storia che chiede adesso ad una classe politica delegittimata di fare per una volta i conti con se stessa: fughe dalla realtà nè per il partito di Berlusconi ma soprattutto per il Pd non sono più possibili.
E' in gioco la tenuta dello Stato di diritto e della nostra democrazia.
L'ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti qualche giorno fa sosteneva che la condanna di Berlusconi avrebbe comportato inevitabilmente la fine del Pd.
Sarebbe l'auspicabile catarsi di questa vicenda, il lieto fine di vent'anni malvissuti.

giovedì 11 luglio 2013

La nuova notte della repubblica

Il governo Letta è una contraddizione in termini.
Ormai dopo tre mesi, questa sembra la scoperta dell'acqua calda. 
Ciò nonostante, grazie al tam tam dei media, poteva fino all'altro ieri vantare un grosso avvenire dietro le spalle, in forza del mandato eccezionale ricevuto dal Presidente della Repubblica, chiamato a fare gli straordinari dopo che una legge elettorale palesemente incostituzionale ci ha restituito un Parlamento senza alcuna maggioranza politica.
Tecnicamente, è stato il governo del tirare a campare per non tirare le cuoia, come avrebbe suggerito Giulio Andreotti: l'ammucchiata Pd-Pdl si è caratterizzata per la necessità di gestire il potere senza però concretamente esercitarlo, cioè senza incidere nel tessuto sociale del Paese.
La situazione economica è difficilissima, non parliamo di quella finanziaria, conseguenza della rigidità dell'euro che di fatto impedisce qualsiasi seria politica fiscale: senza leva monetaria che accompagni la politica fiscale, non ci sono gradi di libertà per qualsiasi governo varchi la stanza dei bottoni.
L'unica cosa che sarebbe possibile attuare (e non è da poco!) è la legge sul conflitto di interessi, una nuova legge elettorale, il riassetto del sistema radiotelevisivo, la riforma della pubblica amministrazione, una nuova politica industriale, il riassetto del sistema bancario italiano, la riforma della sanità, della scuola, del finanziamento della politica, degli ordini professionali, dell'assetto istituzionale che, senza la necessità di abolire le province, ridefinisca funzioni, capacità di spesa e risorse degli enti locali, in un quadro di riorganizzazione dell'intera macchina pubblica.
Alcune di queste riforme sono a costo zero, altre consentirebbero un notevole risparmio di spesa che potrebbe poi essere destinata a quegli interventi strutturali che richiedono necessariamente nuovi investimenti. 
Ma allora perché il governo Letta non le mette perlomeno in cantiere? 
Semplice. Pd e Pdl esprimono proprio quella classe dirigente che ha plasmato così male il nostro Paese in questi ultimi vent'anni e che, pertanto, non ha la minima intenzione di cambiare, non fosse altro perché entrerebbe in conflitto d'interessi con se stessa. 
D'altra parte, a livello europeo, essa è priva di qualsiasi credibilità, sia per il livello di corruzione raggiunto che per l'estrema inaffidabilità mostrata in più occasioni, a cui fa paradossalmente da contraltare una totale subordinazione ai diktat USA, come la recente vicenda degli F35 e la posizione del Ministero degli Esteri rispetto al caso Morales-Snowden dimostrano inoppugnabilmente.
Vicenda sconcertante quella dei cacciabombardieri americani, affrontata dalla nostra classe di governo con il pragmatismo levantino dei mercanti d'armi, piuttosto che, come sarebbe stato lecito attendersi, con la consapevolezza e la fermezza di uomini dello stato che hanno sinceramente a cuore gli interessi della comunità nazionale.
Impossibile quindi che l'inesperto Enrico Letta possa mai recarsi  a Bruxelles a battere i pugni al tavolo della Merkel, senza fare il bis dell'accoglienza, eufemisticamente goliardica, riservata due anni fa dal duo Merkel-Sarkozy a Silvio Berlusconi.
Ci sono quindi abbastanza motivi per cui il suo esecutivo sia diventato, senza che i media lo abbiano fatto notare al grande pubblico, un governo balneare, il dicastero delle mille proroghe: dall'Imu, all'Iva, agli F35, è tutto un rinvio... aspettando Godot.
L'unico provvedimento preso, il cosiddetto decreto del fare, è un tale guazzabuglio giuridico, un tale sconsiderato affastellamento di norme le più disparate, come il M5S aveva da subito denunciato, che bisognerà al più presto rimetterci mano. 
E' di ieri la notizia che le norme sul cosiddetto wi-fi libero, la liberalizzazione della banda larga attraverso l'estensione dei nodi di accesso pubblici, contrariamente alle intenzioni dello stesso governo, sono un tale pasticcio da frenarne lo sviluppo. A dimostrazione che anche sul piano squisitamente operativo e persino nella scelta dei suoi collaboratori, il governo del grande inciucio non smentisce la propria vocazione maggioritaria all'inettitudine.
Ma adesso ci si è messo pure Berlusconi in persona che, mandando avanti i suoi uomini alla Camera ed al Senato, ha di fatto aperto la crisi di governo, pur non avendola finora voluta formalizzare. 
Il casus belli, ancora una volta, i suoi problemi personali: ovvero la decisione della Corte di Cassazione di calendarizzare per il 30 luglio il processo Mediaset che, al secondo grado di giudizio, ha già condannato Berlusconi per frode fiscale a 4 anni di reclusione con l'interdizione per 5 anni dai pubblici uffici.
Se la corte non dovesse rilevare le eccezioni formali che l'imputato ricorrente ha avanzato (cosa che appare ai più esperti abbastanza scontata), la sentenza contro Berlusconi diverrebbe definitiva.
Platealmente, Berlusconi rovescia così sul piano istituzionale una sua privatissima questione, a suggello del profilo di un personaggio in cui l'aspetto pubblico è indissolubilmente intrecciato con quello personale, tanto da non potere distinguere il politico dall'uomo d'affari da sempre ai ferri corti con la giustizia.  
Andare a dibattere se la scesa in campo di Berlusconi nel '94 sia stata conseguenza delle sue urgenze giudiziarie o viceversa, questione che inopinatamente ancora anima dopo vent'anni gli ascari berlusconiani nei talk show televisivi, è un po' come azzuffarsi se sia nato prima l'uovo o la gallina...
Il fatto è che, con le dichiarazioni dei suoi uomini ( e delle sue donne!) di questi due giorni ma soprattutto con la sospensione dei lavori parlamentari pretesa ieri con il vergognoso voto del Pd, in una sorta di impossibile sciopero del Parlamento contro la Magistratura (scontro di potere di inaudita e pericolosissima portata eversiva), la divisione dei poteri si è andata a fare benedire.
Comunque vada, l'intimidazione che ha subito la Corte di Cassazione da parte di un Parlamento che si è prestato, con la complicità del Pd (è bene sottolinearlo!), a fungere da scudo istituzionale per proteggere gli interessi privati del condannato Silvio Berlusconi, produce inesorabilmente uno strappo tremendo al nostro assetto costituzionale e non può in nessun modo essere ignorato, condizionando pesantemente e per la prima volta in forma così pubblica e solenne, un altro potere dello Stato nell'esercizio delle sue prerogative costituzionali.
Le parole di oggi del capogruppo del Pdl Renato Schifani, già presidente del Senato (quindi seconda carica dello Stato) che minaccia l'uscita dal governo in caso di una decisione della Cassazione contraria agli interessi di Berlusconi (decisione della Suprema Corte che, si badi bene, è solo di legittimità, non potendo esprimere la stessa una pronuncia di merito che è già avvenuta e che, in quanto formatasi nei due precedenti livelli di giudizio, è da considerarsi, nel merito, definitiva) rappresentano un ulteriore attacco alle Istituzioni di portata platealmente deflagrante a cui il Capo dello Stato non può restare in alcun modo indifferente.
Ma prima ancora è il Pd che deve prendere atto di questa gravissima situazione, tirandosi fuori, innanzitutto per sensibilità e decoro istituzionale, da questo gioco al massacro che sta facendo collassare, prima che la sua rappresentanza democratica, lo stato di diritto.
Anche perché qualunque sia il pronunciamento della Cassazione, esso avrà a questo punto una portata dirompente. 
Se verrà confermata la condanna d'appello contro l'imputato Berlusconi, ne discenderà la crisi di governo; se la cancellerà, dimostrerà comunque la propria gravissima ed incostituzionale subalternità ai diktat di un pluriinquisito. 
Comunque la si pensi, l'uomo di Arcore, vero deus ex machina del governo presieduto da Enrico Letta, ha ipso facto messo in crisi la Corte di Cassazione.
La condizione drammatica in cui la Cassazione si trova ad operare è quindi conseguenza di un putsch mediatico orchestrato dai luogotenenti di Berlusconi, che intende, neppure più velatamente, piegare a proprio vantaggio l'opera della magistratura.
E tutto ciò senza la necessità di usare le maniere forti ma con lo stesso intento prevaricatore.
Solo il Pd, giocando d'anticipo ed aprendo formalmente la crisi di governo, poiché il gioco di Berlusconi è ormai scoperto e di palese violazione delle regole costituzionali (mai s'è visto prima d'ora che la vita di un governo dipenda dal destino giudiziario privato di un singolo parlamentare, peraltro non investito di alcun incarico governativo), può mettere fine a questa deriva da incubo.
Che dovrebbe indurre anche la Procura della Repubblica di Roma ad intervenire, avendo la sfida berlusconiana oltrepassato ogni limite.
Infine, una domanda a Guglielmo Epifani, segretario pro tempore del Pd.
Ma come è possibile restare ancora un attimo a reggere il moccolo al Cavaliere in questa tremenda notte delle Istituzioni?

lunedì 20 maggio 2013

No, Gabanelli, questa volta il tuo Report ha fatto cilecca

Ieri sera, nel corso dell'ultima puntata di Report, sorprendentemente è arrivato proprio da Milena Gabanelli, già candidata al Colle per il M5S nelle Presidenziali dello scorso aprile, un attacco spropositato allo stesso movimento con il pretesto di chiedere una rendicontazione dei proventi del blog di Beppe Grillo e di esigere la messa on line di tutte le fatture della trascorsa campagna elettorale, la prima a livello nazionale tenuta dalla nuova forza politica. 
L'intervento della Gabanelli, oltre ad essere ingeneroso (ma questo lo lasciamo alla sua coscienza) verso il movimento che, attraverso una consultazione on line, l'aveva designata un mese fa, non ad un consiglio di quartiere ma alla Presidenza della Repubblica, con buone chance iniziali di successo (se non altro per essere ipso facto espressione di un gruppo parlamentare che conta 163 tra deputati e senatori), si rivela intempestivo e giornalisticamente velleitario. 
Perché voler fare le pulci in tasca ad un movimento che ha appena rinunciato a 42 milioni di legittimi rimborsi elettorali, esigendo la pubblicazione on line di tutte le fatture pagate per la campagna elettorale, suona quantomai stravagante. Lei stessa ammette che non c'è nessun obbligo di legge a riguardo ma tant'è: ne fa una questione di trasparenza che, spinta alle estreme conseguenze, diventa inevitabilmente una gratuita caccia alle streghe contro Grillo e i suoi ragazzi.
Siamo fuori dal mondo. 
Di fronte alle fantomatiche fondazioni private orbitanti attorno alla Casta, i famigerati think tank, dove affluiscono generosissime donazioni da parte di entità fisiche e giuridiche non sempre identificabili che potrebbero pure prefigurare, come la puntata di ieri di Report adombra, una sorta di via telematica alla corruzione in politica di faccendieri e lobbisti (senza il rischio di farsi cogliere in flagrante con le mazzette nella ventiquattrore), l'accostamento tra queste inquietanti vicende e l'attività del Movimento 5 Stelle non solo è arbitrario e fuorviante, ma decisamente azzardato e imbarazzante per una giornalista del calibro della Gabanelli.
Nell'Italia delle mille cricche, dello scandalo milionario dei tesorieri della Lega e del PD (ve li ricordate Belsito e Lusi?, sono passati solo pochi mesi!), della Protezione Civile per i lavori del G8, della gestione allegra dei finanziamenti nei consigli regionali in mezza Italia, dello scandalo Penati (braccio destro di Pierluigi Bersani), del maxibuco di bilancio del Monte dei Paschi di Siena, del recente arresto per concussione del presidente PD della provincia di Taranto per una storia annosa di irregolare smaltimento dei rifiuti dell'Ilva, dove va a parare lo sguardo acuminato della Gabanelli? 
Contro l'unica forza politica che  ha fatto della trasparenza un vessillo e che rappresenta degnamente e lealmente l'indignazione dei cittadini contro il malcostume partitocratico e lo sperpero vergognoso di questi decenni del denaro pubblico.
Firmando, dulcis in fundo, una pesante caduta di stile: quando  rinfaccia al M5S l'immobilismo politico per l'esistenza dei tre milioni di disoccupati a fronte delle sofistiche dispute tra i suoi parlamentari sugli scontrini fiscali.
Senza rendersi neppure conto della contraddizione in cui proprio la Gabanelli si viene a trovare, avendo appena intimato ai vertici del M5S, in prima serata Rai, di documentare, fino all'ultima fattura, le spese sostenute nell'ultima campagna elettorale, il famoso Tsunami Tour.
Ma Grillo, dopo aver rendicontato le spese in circa 550.000 euro e i contributi volontari (pari complessivamente a 568.832 euro), non ieri ma due mesi fa, aveva già deciso di devolvere la parte restante alle popolazioni terremotate dell'Emilia-Romagna!
Di fronte alla trave nell'occhio di PD e PDL, attaccarsi all'eventuale pagliuzza in quello del M5S, non è solo una patente incoerenza logica ma l'ostentazione di un ridicolo zelo che, in un momento tragico come l'attuale con una crisi economica che sta degenerando rapidamente in crisi sociale, è veramente fuori tono, sbagliando completamente bersaglio.
In fondo, cosa ci sarebbe di disdicevole se si scoprisse che parte dei proventi pubblicitari del blog di Grillo vengono dirottati al finanziamento dell'attività politica del movimento che rinuncia volontariamente ai soldi pubblici? (Ma lo staff di Grillo seccamente smentisce questa eventualità).
Del resto, prima di lanciare appelli al M5S, la Gabanelli ne dovrebbe aver viste  di cotte e di crude dentro la partitocrazia, anche se le sue denunce sono restate spesso inascoltate se non addirittura liquidate con fastidio.
Non vorremmo che dietro questo sacro furore di trasparenza riservato al M5S, che di tutte le forze politiche presenti in Parlamento è ampiamente l'unica che si  può presentare alla cittadinanza con le carte in regola, non si nasconda la necessità di saldare un debito di riconoscenza verso i vecchi e malandati partiti, quelli della Casta, che le hanno permesso in questi anni di restare in onda, magari strumentalizzandola ricorrentemente per un loro sottaciuto regolamento di conti. 
Perché separare il grano dal loglio,  per una giornalista d'inchiesta, ci dispiace doverglielo ricordare, dovrebbe essere un preciso dovere deontologico.
Per non correre il rischio, come in questo caso, che a fare le spese di cotanto zelo, additati alla gogna pubblica, siano proprio quei cittadini che la corruzione hanno in programma di scardinare, ora con maggiori possibilità di successo, stando finalmente in Parlamento.

martedì 30 aprile 2013

La scorciatoia di Repubblica per le larghe intese

Repubblica.it pubblica un videomessaggio di Massimo Giannini, "La scorciatoia", in cui il vicedirettore  traccia un rapido bilancio del discorso di fiducia tenuto alle Camere dal neopremier Enrico Letta. 
Esordisce con un vecchio espediente retorico, ponendosi una domanda da novello piccolo principe: "Un male necessario può diventare un bene collettivo?"
Cosa vi aspettate sia stata la sua conclusione?
Certo che Sìiiii! 
Infatti si affretta subito a definire quello di Letta  "un buon discorso, che non nasconde le difficoltà ma cerca di trasformarle in opportunità".
Ecco un primo tentativo, un po' patetico, di cercare di raddrizzare all'improvviso la baracca, ovvero la linea editoriale di Repubblica, dopo che per anni (ma sarebbe meglio parlare dell'intero ventennio berlusconiano) il quotidiano di Scalfari si è contraddistinto, anima e corpo, per un antiberlusconismo di facciata irriducibile e oltranzista,  che, a conti fatti, presentava più ombre che luci.
Così, dalla cabina di regìa di  Repubblica, mai una parola chiara e definitiva di critica sull'impostazione economica della proposta politica di Berlusconi, né sul modello sociale di riferimento, solo polemiche di piccolo cabotaggio, di forma più che di sostanza, spesso personali, magari sul ministro Tremonti, al massimo sul millantato riformismo del partito di Arcore; mutuandone molto spesso idee e linguaggio per un'agenda di governo (come nel caso del federalismo, delle tasse, dei fannulloni, della privatizzazioni, delle grandi opere, dei tagli all'università, ecc.).
Mai e poi mai una severa disanima del paradigma berlusconiano, solo e soltanto un faro acceso sulle sue vicissutidini private e giudiziarie: che seppure possono mettere in discussione l'uomo politico, di certo non ne mettono in dubbio l'ideologia, cioè il berlusconismo, che trova nell'uomo di Arcore il massimo interprete, non di certo l'unico e quel che è peggio, non confinato al solo centrodestra.
E' così potuto accadere che il volume di fuoco di Largo Fochetti si sia concentrato, per un'estate intera, sui suoi festini e le tante starlette di corte: di qui  l'ossessivo e stucchevole decalogo di domande su tale Noemi da Casoria, ripetuto infinite volte, a nome di due prime firme, Giuseppe D'Avanzo ed Ezio Mauro.
Il paese già stava affondando ma Repubblica scontava tutto a Berlusconi tranne le sue imperdonabili scappatelle.
Ma adesso, finalmente, è arrivato il rompete le righe: le truppe della corazzata De Benedetti si stanno riorganizzando perché il nemico storico non esiste più, parola degli strateghi di Largo Fochetti!, e tutte le forze devono essere ricompattate contro il nuovo nemico, questo sì, l'Acerrimo, contro il quale rispolverare l'armamentario peggiore: Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle.
A cui Scalfari e c. hanno dichiarato guerra totale, non si sa quando e soprattutto perché: tanto che moltissimi lettori, in ondate ripetute, sono stati costretti a fare le valigie.
Scoppiata la pace tra i due poli (ma quando mai si sono fatti la guerra?), è in atto il riposizionamento delle forze. 
Particolarmente rischioso, perché il fuoco amico, come si sa, è il peggiore: come potrebbe spiegarci Romano Prodi...
Così alcuni deputati democrat brancolano nella più totale confusione (comunque meglio dei loro elettori, caduti in depressione) con il loro segretario Bersani, mai stato tanto operoso da quando ha rassegnato le dimissioni, che in Parlamento prima abbraccia Alfano per rieleggere Napolitano e poi fa il segno di vittoria a Enrico Letta.
Per le giovani leve, oggi è un nuovo otto settembre: i nemici di ieri sono diventati gli amici di oggi e tra amici evidentemente non ci si può sparare.
Come urlava al telefono Alberto Sordi nei panni del tenente Innocenzi nel capolavoro di Luigi Comencini "Tutti a casa" (titolo paradossalmente emblematico anche oggi): "Signor colonnello, tenente Innocenzi, accade una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani!.... No, allora tutto è finito signor colonnello! (esplode una bomba) Ma non potreste avvertire i tedeschi che stanno continuando a sparare... mi scusi, signor colonnello, ma cerchi di comprendere, io ero all'oscuro di tutto! Quali sono gli ordini?" 

Se il PD ha trovato intese larghissime con il PDL bisogna ormai farsene una ragione.
Intanto i deputati dei due gruppi agiscono in tandem per tentare di mettere a tacere, appellandosi impropriamente al regolamento, chi a Montecitorio ha il coraggio di dire la verità: è il caso del deputato del M5S Colletti, il cui intervento è stato preso in sandwich dalle parole rabbiose sia del piddino Rosato che della pidiellina Saltamarini, in un'assonanza di toni e di contenuti veramente inedita e rivelatrice.
Ma a questo punto le vecchie battaglie di sempre (conflitto di interessi, legge anticorruzione, riordino del sistema radiotelevisivo) vanno archiviate rapidamente come episodi del passato: da adesso in poi, col nuovo ministero Letta (zio o nipote, a voi la scelta!), diventeremo patriotticamente tutti nipoti di Mubarak!
Ormai, da Libero, al Giornale, a Repubblica, a L'Espresso, a l'Unità, al Corriere, sale un solo comune grido: Abbasso Grillo! Bandiera Azzurra trionferà! (quando Berlusconi diventerà Presidente della Repubblica... a quel punto vedremo Bersani fare la ola).
Guai naturalmente ad esibire una qualche perplessità per l'improvviso e inopinato cambio di campo di Largo Fochetti: ogni commento che non sia più che in linea con il nuovo Verbo delle larghe intese è messo al bando!
Mica come quel bontempone di Grillo che prima i commenti li pubblica e poi, semmai, li fa rimuovere.
No, quelli di Repubblica sono dei veri professionisti, intervengono chirurgicamente alla radice.
A meno che l'opinione non sia talmente sgangherata da trasmettere la sensazione che chi critica il matrimonio PD-PDL o è un esaltato o un ignorante. Oppure il commento viene pubblicato per semplici esigenze statistiche: possibile mai che nei forum di Repubblica vige il pensiero unico?
Qualcuno tra i lettori a lungo andare potrebbe sentire puzza di bruciato... molto ma molto meglio un pluralismo telecomandato.




sabato 20 aprile 2013

Bersani e Berlusconi hanno condotto l'Italia nell'abisso

Un paese nella melma fino alla punta dei capelli, con due partiti, PD e PDL, compagni di merende nella più scellerata e scandalosa gestione della cosa pubblica, che si affidano ancora una volta all'ottantottenne Giorgio Napolitano per non lasciare la stanza dei bottoni e garantirsi la reciproca e perenne impunità.
E' questa la disgraziata e impietosa fotografia del Paese che ci viene restituita dalla quinta fumata nera per le elezioni del Presidente della Repubblica.
Il governo del cambiamento, che sembrava così a cuore all'impareggiabile Pierluigi Bersani (in questa fase storica, peggio di lui nessun cittadino, persino analfabeta, avrebbe potuto procedere, a meno di essere contemporaneamente senza intelletto, senza passione e senza vergogna) si è rivelato uno squallido bluff con cui ha preso in giro per settimane il corpo elettorale accusando ingiustamente e proditoriamente il leader del M5S di essere lui a non volere formare un nuovo governo: quando invece ne pretendeva solamente una firma in bianco per continuare a fare, d'intesa con Berlusconi, i fatti propri.
E' stata dura, a causa di una vergognosa campagna orchestrata dai media dell'eterno inciucio per confondere l'opinione pubblica, ma alla fine l'amara verità si staglia limpida e inconfutabile. E' merito proprio del grandissimo Beppe Grillo, già per questo padre della patria, a cui gli Italiani onesti dovrebbero serbare una grande riconoscenza, a fronte di queste termiti che hanno letteralmente spolpato il paese, se il mostruoso bluff si è disvelato.
Del cambiamento, la banda Bersani&Berlusconi non sa veramente cosa farsene, anzi ne ha il massimo sgomento: troppi devono essere gli scandali che li uniscono, troppe le partite rimaste in sospeso, troppe le collusioni, gli accordi sottobanco, i dossier tenuti in cassaforte, le cordate parallele, i ricatti incrociati.
Al Quirinale non può andare né Stefano Rodotà né chiunque altro sia una persona perbene fuori dalla mischia, nessun Italiano con la I maiuscola che possa semplicemente far rispettare la Costituzione: perché un requisito essenziale per gli aspiranti inquilini del Colle deve essere la ricattabilità, il controllo in remoto.
Ci può andare, quindi, solo chi è parte integrante di questo avvelenato sistema di potere, dove la gestione della cosa pubblica diventa funzionale al mantenimento dei privilegi della nomenklatura, delle ruberie, dell'ingiustizia sociale, della negazione dei diritti di cittadinanza agli stessi Italiani. 
Oppure ci può restare chi è organico a questo sistema inemendabile e non ha più né la forza fisica né l'età anagrafica e politica per potervisi efficacemente opporre, o semplicemente emendarlo: così Napolitano viene preso virtualmente in ostaggio da PD e PDL,  asserragliati nel Palazzo, che se ne infischiano altamente dei mugugni della piazza, ancor meno di una situazione economica di una gravità senza precedenti.
Così potranno continuare a sopravvivere d'amore e d'accordo ancora a lungo senza lasciare soverchie speranze a coloro che in queste ore li stanno osservando attoniti dall'agorà mediatico.
Grillo è riuscito, con una condotta democraticamente irreprensibile e grazie ad un linguaggio efficace, a scoperchiare finalmente il vaso di Pandora mostrando a tutti i cittadini che, dietro il solito teatrino quotidiano ad uso e consumo degli ingenui e dei distratti, le classi dirigenti di destra e di sinistra hanno stipulato, da tempo, all'insaputa dei propri elettori, un'alleanza tanto forte quanto inconfessabile, un vero patto di ferro.
Tenuto coperto in tutti i modi. Ma il buio pesto dell'Italia dei misteri verrà prima o poi squarciato.
E forse un giorno la storia degli ultimi vent'anni, dalle bombe di Capaci e Via D'Amelio, potrà essere completamente riscritta. Riina,  Provenzano, Ciancimino, i Graviano, torneranno ad essere quello che sempre in fondo sono stati: marionette sanguinarie nelle mani di menti criminali raffinatissime e senza morale, reggenti occulti del nostro sventurato Paese.
A meno di un miracolo dell'ultima ora, per noi Italiani non ci sono ancora speranze: se di colpo di stato di può parlare, esso è in atto dal 1992 e né il clamoroso responso delle urne del 25 febbraio né l'indignazione popolare possono al momento sovvertire questa sporca partita che vede sconfitti i cittadini onesti.

martedì 16 aprile 2013

Il Movimento 5 Stelle ha costruito al PD un'autostrada per il cambiamento


Dopo tante chiacchiere, è arrivato il momento di giocare a carte scoperte. 
Perché Pierluigi Bersani, ormai all'ultimo giro di giostra, deve finalmente dimostrare che il refrain di queste settimane, ripetuto come un tormentone estivo, varare il tanto famigerato governo del cambiamento, non è un semplice espediente dilatorio, cioè uno slogan da dare in pasto alla sua base elettorale, con il morale sotto le scarpe, per confortarla dopo l'ennesima cocente delusione di una vittoria mancata sul filo di lana: forse l'estremo bluff di una leadership ormai senza idee e senza passione.
In queste settimane, facendo a pugni persino con il comune buon senso prima ancora che con la legge dei numeri, il segretario democratico ha cercato in tutti i modi di farsi dare un incarico pieno da Giorgio Napolitano per dare vita ad un esecutivo di minoranza che, di volta in volta, avrebbe cercato i voti in Parlamento, magari facendo scouting tra gli eventuali Scilipoti del M5S ovvero continuando ad inciuciare con il Cavaliere in incontri a porte chiuse. 
Una strada sbarrata che ha costretto il Paese alla paralisi dell'attività istituzionale, perché nel frattempo, d'accordo col PDL, Pierluigi Bersani ha impedito la costituzione delle commissioni parlamentari permanenti e dunque l'avvio dei lavori delle assemblee legislative, oltre a rendere ancora più impervia la strada per un nuovo esecutivo, costringendo il Presidente della Repubblica a prendere tempo.
Solo così si può spiegare la convocazione di un'imbarazzante Congrega dei Dieci Saggi che in dieci giorni di inutile 'copia e incolla' hanno prodotto delle relazioni assolutamente irrilevanti, di cui nessuno già oggi, a distanza di soli quattro giorni, si ricorda più.
Mentre dentro il suo partito i mugugni si sono trasformati rapidamente in una vera e propria guerra di tutti contro tutti e, soprattutto contro di lui, Bersani, che già aveva giocato ambiguamente di sponda con il Cavaliere per l'elezione di Piero Grasso, uomo d'apparato, alla presidenza del Senato.
In questo quadro, il duello a distanza di ieri tra il rottamatore Matteo Renzi e la senatrice Anna Finocchiaro denuncia lo sfaldamento del PD mentre il segretario si incaponisce ad inseguire l'araba fenice di un governo a sua immagine e somiglianza,  seguendo una strategia schizofrenica: insistere con Napolitano nel volersi presentare alle Camere con un governo di minoranza mentre contemporaneamente cerca addirittura le larghe intese con Berlusconi per la scelta del prossimo inquilino del Colle. 
Una pretesa politicamente assurda: come pure i sassi sanno, la partita del prossimo governo si giocherà, come la Costituzione impone, proprio nelle stanze del Quirinale per cui non si capisce perché il maldestro smacchiatore di giaguari voglia lasciare fuori dalla porta di Palazzo Chigi il Cavaliere, quando proprio con lui intende scegliere il nome del nuovo Presidente della Repubblica, per i prossimi sette anni vero deus ex machina della vita istituzionale del nostro Paese.
Com'è possibile che Berlusconi sia impresentabile per Palazzo Chigi ma è partner affidabile, leale e autorevole per il Colle? 
Ai simpatizzanti del PD l'ardua sentenza!
Forse dietro questo suo atteggiamento apparentemente incomprensibile c'è la convinzione di poter contare comunque sui voti del M5S, come se ritenesse inconsciamente che siano voti del PD in momentanea libera uscita: ma se così fosse, la parola dovrebbe passare ad un bravo psicanalista.
Anche perché il M5S e il suo leader Beppe Grillo gli hanno sbarrato la strada da subito, in modo plateale, senza lasciargli speranza alcuna. 
E' vero, Bersani ha cercato di 'convincere' Grillo attraverso una  fatwa mediatica, accusandolo indirettamente di tutto, semplicemente perché, coerentemente alla campagna elettorale e alle battaglie politiche degli ultimi cinque anni (a partire dal primo V-day), il leader del M5S si è rifiutato di firmargli una delega in bianco su quei famigerati otto punti di programma, fra l'altro tutto fumo e niente arrosto.
Un politico con un minimo di senso della realtà avrebbe immediatamente compreso che un movimento di cittadini come quello guidato da Grillo si sarebbe condannato all'irrilevanza politica se avesse dato il nulla osta ad un'operazione del genere, ovvero un governo a guida Bersani, il quale, già durante le consultazioni, dichiarava che, una volta seduto a Palazzo Chigi, in mancanza dell'appoggio dei parlamentari pentastellati sui singoli provvedimenti, avrebbe non solo fatto scouting nelle sue fila ma cercato pure il soccorso azzurro di Berlusconi.
Ad esempio, su una questione cruciale come la Tav, in mancanza dei voti di Grillo, l'impareggiabile premier Pierluigi avrebbe cercato il consenso scontato del PDL, con il M5S messo così fuori gioco e lasciato in un angolo a leccarsi le ferite e a meditare con Seneca sull'ingratitudine umana
Perché togliere la fiducia ad un governo a cui la si è inizialmente accordata non è così facile come qualche ingenuo potrebbe pensare: anzi, in talune circostanze, è praticamente impossibile. 
A quel punto, addio Movimento, morto prima di essere diventato adulto, come un fiore di campo che resiste al gelo primaverile ma perde i petali al primo soffio di vento.
Adesso, grazie alla coerenza e lungimiranza del suo leader, il M5S torna al centro della scena politica avendo, con le sue Quirinarie (tanto sbeffeggiate dai media di regime quanto in fin dei conti rivelatesi preziose), indicato al PD un poker di nomi, difficilmente rispedibili al mittente.
Milena Gabanelli in pole position, Gino Strada, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, tutte persone perbenissime, esponenti di chiara fama di quella società civile con cui, in queste settimane, Bersani ha detto di voler interloquire (lo dimostra il numero sterminato di delegazioni non partitiche ricevute nel suo giro di consultazioni).
C'è solo l'imbarazzo della scelta: non sta a noi ripercorrere lo specchiato curriculum di questi Italiani a cui gli iscritti al M5S hanno riservato le loro simpatie.
La scelta di uno di loro, posto che il candidato di bandiera per le prime tre votazioni per Grillo sarà proprio Milena Gabanelli, significherebbe finalmente una svolta nella politica italiana, capace di rappresentare per la prima volta dai tempi fulgidi di Sandro Pertini un sentimento di stima diffuso e trasversale che scavalca la tradizionale e sclerotica dicotomia destra - sinistra, che ha nascosto in questi anni, dietro un'apparente contrapposizione ideologica, una smaccata convergenza di interessi, tanto torbida quanto sottaciuta: il famigerato inciucio.
Grillo e i suoi parlamentari hanno così scaraventato la palla nel campo del PD che a questo punto deve scoprire le proprie carte: perché rifiutare questi nomi sembrerebbe una missione impossibile. 
Non fosse altro che  appaiono di altissimo gradimento proprio nell'elettorato di centrosinistra e alcuni di loro pescano larghi consensi anche nel centrodestra: è il caso dei due insigni costituzionalisti Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà.
In una fase storica in cui si tratta di mettere mano a imponenti riforme istituzionali, chi meglio di un valente giurista può farsi garante della transizione indolore e in punta di Costituzione alla Terza Repubblica?
Se Bersani e il gruppo dirigente del PD non saprà cogliere l'attimo fuggente che da giovedì mattina si presenterà al Parlamento riunito in seduta comune con i rappresentanti delle Regioni, non solo decreterà un definitivo fallimento personale ma innescherà la deflagrazione del Partito Democratico, costringendo il Paese a tornare al più presto alle urne dopo un drammatico nulla di fatto.
Contro la tentazione del grande inciucio con Silvio Berlusconi per puntare su nomi a questo punto di basso o bassissimo profilo come Amato, Marini, D'Alema, Violante, Severino, Cancellieri, Bonino, Finocchiaro, Monti, Casini e chi più ne ha più ne metta, il poker esibito dal Movimento 5 Stelle metterà automaticamente a nudo i vizi e le virtù del gruppo dirigente del PD. 
Anche perché qualcuno dovrà prima o poi spiegare ai propri elettori perché mai le larghe intese si debbano fare con il PDL, terza forza politica alla Camera, e non con il Movimento di Grillo che, almeno in Italia, ha preso pure un numero di voti superiore a quelli dello stesso PD.
Insomma, il Movimento 5 Stelle, lungi dall'Aventino in cui certa stampa lo accusa di essersi relegato, ha costruito in tempi record un'autostrada al Partito Democratico per far uscire il Paese dall'intricatissimo ingorgo istituzionale e magari dargli, dopo quattro mesi, un buon governo finalmente nella pienezza dei suoi poteri.
Per Bersani e c., insistere con i vecchi riti sarebbe politicamente irresponsabile oltre ad essere esiziale per il suo partito, fra l'altro dovendo smetterla di ripetere come un disco rotto: è tutta colpa di Grillo...
Aspettiamo pazientemente il PD al casello con uno dei quattro prestigiosissimi ticket.


domenica 17 marzo 2013

Bersani per salvare se stesso sacrifica il PD

La giornata di ieri ha visto in Parlamento il proseguimento del più bieco tatticismo del partito democratico, già esibito nella giornata di inaugurazione della legislatura, nonostante a conti fatti siano stati eletti due illustri personalità, fra l'altro estranee al mondo della politica, che sicuramente, dai loro alti scranni, potranno fare nient'altro che bene.
Pierluigi Bersani, alla spasmodica ricerca di un ticket da Napolitano che gli consenta di avere l'incarico pieno in vista delle consultazioni per la formazione del nuovo governo, ha così sacrificato sull'altare delle proprie ambizioni il tandem Franceschini-Finocchiaro, per convergere a notte fonda sui nomi che poi sarebbero risultati eletti.
Una decisione talmente verticistica che ieri mattina, di fronte alla lapide che ricorda le vittime della strage di Via Fani nella ricorrenza del 35° anniversario, alcuni dirigenti del PD ancora non ne erano ben a conoscenza.
Tanto per rispondere alla leggenda metropolitana, abilmente rilanciata dai media, secondo cui mentre nel M5S tutto verrebbe deciso esclusivamente dal duo Grillo - Casaleggio, nel PD si respirerebbe ben altra aria di libertà e tutto si svolgerebbe alla luce del sole: anzi,  soltanto a seguito di una discussione assembleare e, per di più, all'unaninimità.
Ma a scomporre questo quadretto idilliaco, ci sono all'interno del PD i molti mugugni in corso e l'ira di quanti (non pochi!), sono stati presi in contropiede dall'iniziativa del segretario.
Il voto a Laura Boldrini e Piero Grasso di fatto stravolge l'identità politica del partito democratico che, nonostante i numeri esagerati ottenuti con la legge elettorale porcata (con il 25% dei voti il PD capeggia una coalizione a cui è andato un mostruoso premio di maggioranza del 55% dei seggi!), ha dovuto ripiegare su figure del tutto estranee al suo entourage per le massime cariche delle aule parlamentari.
Come se lo stesso segretario implicitamente riconoscesse che la tessera PD di fronte alla pubblica opinione vada tenuta nascosta.
In breve, Bersani ha sparigliato il gioco, con un duplice effetto: ha assestato un colpo formidabile all'immagine del PD, perorando presso il Colle la propria personalissima causa, ed ha creato scompiglio nelle fila del Movimento 5 Stelle. 
Un colpo di scena con cui sacrifica l'apparato del partito per sostenere la sua candidatura a premier: un doppio salto mortale, foriero di sviluppi tutt'altro che prevedibili. 
Nella partita delle presidenze delle camere, dire quindi che abbia vinto il PD è una bugia pietosa: ha vinto Bersani che paradossalmente al suo interno è diventato più debole e in evidente deficit di credibilità.
Quanto al M5S, è probabile che almeno una decina di senatori abbia votato contro le indicazioni di maggioranza. 
Qui si apre un caso politico: si possono disattendere le decisioni di gruppo per votare a ranghi sparsi? 
Evidentemente no, soprattutto se questo avviene alla prima occasione che conta: i senatori che hanno disobbedito agli ordini di scuderia, come dice Grillo, per quell'obbligo di trasparenza nei confronti dei propri sostenitori, lo dovrebbero dichiarare pubblicamente, assumendosene tutte le responsabilità. 
Il che non significa vederli espulsi dal gruppo ma ammonirli ufficialmente.
Uno vale uno, non significa che ognuno fa quello che gli pare, con buona pace dei media tendenziosi che puntano a far cadere il M5S nel caos. 
Del resto, la disciplina di gruppo è un valore in sé, come avviene per tutte le forze parlamentari: che cosa sarebbe successo ieri se 35-40 deputati del PD, contro le indicazioni del segretario, avessero votato per Franceschini??
Per quanto riguarda poi gli elettori del M5S che già dopo due giorni di apertura del Parlamento dichiarano pubblicamente di essersi pentiti del voto dato solo venti giorni fa, è chiaro che, nella migliore delle ipotesi, sono semplicemente voti a perdere e la velocità del loro pentimento tradisce la loro totale inaffidabilità e mutevolezza d'opinione. 
Guai a inseguire umoralmente queste persone, ne va dell'identità del movimento che rischia altrimenti di trasformarsi nella stampella sinistra del partito democratico, perdendo la sua carica di innovazione e, in pochi mesi, il suo straordinario appeal politico.
E' vero, nel ballottaggio tra Schifani e Grasso, a mente sgombera dal tatticismo partitico, sembrerebbe assurdo non optare per Grasso ma nell'ipotesi che avesse prevalso Schifani, la responsabilità sarebbe ricaduta in toto sul PD che, con la sua mossa tatticamente spregiudicata, ha intenzionalmente voluto mettere il M5S in un angolo. 
Possibile che il M5S, prima forza politica alla camera (un sondaggio del 15/3 lo dà al 30% delle intenzioni di voto, 5 punti sopra il PD!), non avesse diritto ad una presidenza e che il PD non potesse fare un gesto distensivo in questa direzione?
Lascia perplessi anche la mossa del PDL che, da forza di minoranza, ripresentando  Renato Schifani ha obiettivamente proposto una candidatura debolissima, quasi sospetta. 
Una sorta di inconfessabile mossa a tenaglia tra PD e PDL ai danni del M5S (non a caso Berlusconi ha attaccato ieri non il PD ma Grillo, trattenendo la delusione e limitandosi a far dichiarare che il PD aveva così fatto incetta di cariche istituzionali), prova tecnica di un inciucio prossimo venturo.
Ecco perché i senatori del M5S che hanno votato Grasso, al di là della persona, hanno commesso un madornale errore politico. 
Per questa volta passi: perché è compito anche di Beppe Grillo spiegare per bene a dei neofiti, al di là delle regole interne, come funziona la politica e in cosa si traduce l'esasperato tatticismo dei suoi principali esponenti.
Errare è umano... ma la prossima volta perseverare sarebbe diabolico.

venerdì 15 marzo 2013

PD e PDL se ne infischiano dell'Italia e votano scheda bianca!


Che PD e PDL abbiano dato avvio alla nuova legislatura votando ripetutamente scheda bianca per i presidenti di Camera e Senato fotografa, meglio di tante parole, come i vecchi partiti della Casta non solo non si rendano conto della gravità della situazione ma, quel che è peggio, non abbiano in nessuna considerazione l'opinione dei cittadini, nonostante il segnale emerso dalle urne solo venti giorni fa sia stato inequivocabile. 
Ancora una volta il meglio della giornata politica è venuto proprio dal M5S che pure i media in queste settimane hanno avuto la 'premura' di lavorare come un'armata brancaleone, pattuglia disordinata di dilettanti allo sbaraglio che non conoscono le regole del gioco, di estrema rozzezza ed impreparazione.
Eppure, come d'incanto, anche in questo delicato frangente hanno mostrato senso di responsabilità ed attaccamento istituzionale, una compattezza ed un'unità d'intenti veramente inusuali per i ritmi paludati del teatrino parlamentare, designando e votando i propri candidati, senza accordi sottobanco con nessuno. 
Di più, con il massimo rispetto per la democrazia, i loro capigruppo hanno dichiarato che tutte le riunioni con i rappresentanti degli altri partiti avverranno sempre in diretta streaming, ovvero alla luce del sole. 
Così che tutti i citadini, non solo i loro elettori, siano messi al corrente degli accadimenti in tempo reale e possano giudicarli direttamente, senza nessuna intermediazione mediatica: predicare bene, quindi, per razzolare meglio!
Quelli che invece hanno sgovernato il Paese per vent'anni e che hanno ancora la presunzione di continuare a governarlo nei secoli dei secoli, ovvero lo smacchiatore di giaguari e aspirante premier Pierluigi Bersani e il suo omologo Silvio Berlusconi, momentaneamente al riparo dalla magistratura nella suite del San Raffaele, giocano ad un irresponsabile e vergognoso risiko votando e facendo votare scheda bianca, dimostrando che loro la politica, come se non fosse successo niente, la continuano a fare come sempre, ovvero sottobanco, dietro le quinte, tentando di stringere all'ombra del Palazzo accordi scellerati e patti inconfessabili. 
Tant'è che non hanno ancora, dopo un giorno di inutili di votazioni, neppure la più pallida idea di quale possa essere il loro candidato per le due presidenze!!!
Una personalissima partita a poker, da incalliti e spregiudicati giocatori,  fatta alle spalle di un'Italia agonizzante che li fissa con lo sguardo attonito e rabbioso.
Tuttavia per i media è sempre Beppe Grillo l'irresponsabile....
Con tutta sincerità, si può onestamente scendere a patti con personaggi del genere che, quando sono a favore di telecamera, professano sconfinata lealtà istituzionale ma dietro le quinte giocano d'azzardo sulla pelle del Paese?
E Bersani ha pure il coraggio di sbottare: «c'è crisi e perdiamo tempo!»



giovedì 7 marzo 2013

Ma perché PD e PDL non continuano a governare insieme??

Nel totale caos politico di queste ore, con i due grandi sconfitti PD e PDL che cercano di esorcizzare la débacle elettorale, sparlando a vanvera contro i cittadini eletti nelle fila del M5S e addirittura rilanciandosi loro stessi per guidare il prossimo esecutivo,  proprio come niente fosse, ancora una volta è Beppe Grillo a pronunciare parole di verità. Infatti sul suo blog un attivista del M5S si domanda:

"pdl e pdmenoelle hanno più punti programmatici in comune tra loro:
1) entrambi vogliono la TAV

2) entrambi sono per il MES
(nda: cioè il fondo salva stati europeo che l'Italia ha alimentato con 20 miliardi di euro, l'importo totale dell'IMU, per consentire alle banche greche e spagnole di restituire i prestiti ottenuti da Francia e Germania)
3) entrambi per il Fiscal Compact
4) entrambi per il pareggio di bilancio
5) entrambi per le "missioni di pace"
6) entrambi per l'acquisto degli F-35
7) entrambi per lo smantellamento dell'art.18
8) entrambi per la perdita della sovranità monetaria
9) entrambi per il finanziamento della scuola privata
10) entrambi per i rimborsi elettorali
Quanti punti programmatici comuni ho trovato così su due piedi??? DIECI. Ne hanno più loro che quello che afferma Bersani con il M5S (lui dice 8). Non per niente hanno governato per un anno e più insieme".
 
Effettivamente l'osservazione non fa una piega: perché Bersani e Berlusconi, nel tempo necessario a cambiare la loro legge elettorale porcata e magari fino alla primavera del 2014 (quando si svolgeranno le elezioni Europee), non continuano a governare insieme, magari con la guida 'esperta' dello stesso Mario Monti, visto che condividono lo stesso programma in quelli che sono dieci punti altamente qualificanti di una possibile azione di governo?
Non saranno solo le cene di Arcore o il caso Ruby a dividerli!
Anche perché se fossero sinceramente intenzionati ad imprimere una svolta nella politica italiana avrebbero entrambi già fatto un  passo indietro, dopo essersi reciprocamente e pubblicamente cosparso il capo di cenere.
Invece, come due sfingi, additano Grillo come il responsabile dell'ingovernabilità e continuano per la loro strada.
Berlusconi che tenta l'inciucio, terrorizzato di restare fuori dalla stanza dei bottoni; Bersani che riunisce una direzione nazionale di impresentabili (ci sono tutti, da D'Alema a Veltroni, anche se quest'ultimo ha almeno la dignità di non parlare) per dettare agli italiani gli otto punti di un'improbabile agenda di governo. Tra questi, ancora una volta, la legge anticorruzione, pure licenziata dall'allegra brigata PD-PDL-Centro nel dicembre scorso e balzata agli onori della cronaca sotto il nome di legge Severino.
"Che cos'è, è uno scherzo?" si domandava ieri Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, dopo aver preso atto, dal gip di Monza, proprio di quello che era il prevedibile effetto della suddetta legge: perché derubricando il reato di concussione per induzione a reato minore, con pene dimezzate e prescrizione più breve, sono saltate (perché prescritte!) le accuse alle coop rosse nel processo a Filippo Penati, già braccio destro di Bersani, cioè le tangenti che secondo l'accusa sono finite ai DS per il recupero delle aree ex Falck e Marelli. Così come accadrà tra poco per il grosso delle accuse allo stesso Penati.
Come si vede, PD e PDL vanno d'accordo pure in materia di giustizia, avendo ognuno  le proprie belle gatte da pelare. 
Pertanto, cosa c'è di meglio di riproporre l'ennesima legge anticorruzione, dietro la cui foglia di fico nascondere definitivamente altre questioni scottanti, per esempio l'affaire Monte Paschi di Siena? 
In fondo la legge anticorruzione serve proprio a questo, ad eliminare all'istante la corruzione, nel senso di far sparire  corrotti e corruttori dalle aule giudiziarie, con il più classico dei colpi di spugna.
E allora ci si accorge che il programma dal PD e quello del PDL sono due gocce d'acqua: in materia di politica economica, giustizia, scuola, beni culturali, difesa, non-tagli alla Casta, esteri. 
Alzi la mano chi vi riscontra differenze sostanziali!
L'unico vero motivo di frizione tra i due partiti, dal punto di vista strettamente mediatico, resta ancora la figura di Silvio Berlusconi che rappresenta per i piddini il simbolo della loro inadeguatezza, essendo riusciti a farlo risorgere più volte dalle sue ceneri.
E' vero, quelli del PD temono che l'abbraccio con il Cavaliere a favore di telecamere si possa rivelare mortale e tradursi alle prossime elezioni in un'ulteriore emorragia di voti, quella definitiva. Con il rischio di lasciare al Movimento 5 Stelle l'intera scena e la maggioranza assoluta dei consensi. 
Ecco perché Bersani vuole sì arrivare a tanto ma solo dopo essere riuscito ad inguaiare Beppe Grillo con un ricatto del tipo: o appoggi dall'esterno il nostro governo oppure faremo credere alla gente che la responsabilità di tornare alle urne tra tre mesi sarà esclusivamente tua. Infatti, checché tu sbraiti, il sistema dei media tradizionali è ancora a nostro completo servizio: in questi giorni ti abbiamo dimostrato che, pur vantando il M5S la pattuglia dei parlamentari più preparati perché quasi tutti laureati, grazie ai nostri giornalisti, siamo stati in grado di metterli alla gogna facendoli passare non solo come degli ignoranti ma, peggio, degli emeriti cretini.

Beppe Grillo ha quindi ragioni da vendere quando proprio oggi sul suo blog mette in guardia deputati e senatori dal cedere alle lusinghe dei conduttori televisivi avvisandoli: Attenti ai lupi!.
"Il loro obiettivo è, con voce suadente, sbranare pubblicamente ogni simpatizzante o eletto del M5S e dimostrare al pubblico a casa che l'intervistato è, nell'ordine, ignorante, impreparato, fuori dalla realtà, sbracato, ingenuo, incapace di intendere e di volere, inaffidabile, incompetente. Oppure va dimostrato il teorema che l'intervistato è vicino al pdmenoelle, governativo, ribelle alla linea sconclusionata di Grillo, assennato, bersaniano. In entrambi i casi, il conduttore si succhia come un ghiacciolo il movimentista a cinque stelle, vero o presunto (più spesso presunto), lo mastica come una gomma americana e poi lo sputa, soddisfatto del suo lavoro di sputtanamento. E' pagato per quello dai partiti.
L'accanimento delle televisioni nei confronti del M5S ha raggiunto limiti mai visti nella storia repubblicana, è qualcosa di sconvolgente, di morboso, di malato, di mostruoso, che sta sfuggendo forse al controllo dei mandanti, come si è visto nel folle assalto all'albergo Universo a Roma dove si sono incontrati lunedì scorso i neo parlamentari del M5S. Scene da delirio. Questa non è più informazione, ma una forma di vilipendio continuato, di diffamazione, di attacco, anche fisico, a una nuova forza politica incorrotta e pacifica. Le televisioni sono in mano ai partiti, questa è un'anomalia da rimuovere al più presto. Le Sette Sorellastre televisive non fanno informazione, ma propaganda."
Emblematico il caso di Barbara d'Urso che su Canale 5 ha invitato a parlare a nome del M5S, guarda caso, un signor nessuno, che si era iscritto via internet al Movimento di Beppe Grillo appena il giorno stesso delle elezioni, invitandolo a dialogare con deputati della Lega e facendo così fare al movimento stesso una pessima figura.
Si può pensare di aprire una trattativa politica con partiti che ricorrono a qualsiasi nefandezza pur di screditare quella che dovrebbe essere la loro controparte politica??
Intanto la macchina del fango di Repubblica - L'Espresso continua a vomitare contro il leader del M5S di tutto, prendendo di mira qualunque cosa o chiunque semplicemente sia a lui vicino, persino il suo autista...
Ma questa non ha più nulla a che vedere con l'informazione  nè con il giornalismo, è semplicemente guerriglia  mediatica: vergogna!



sabato 16 febbraio 2013

Per il 25 febbraio è in programma la nuova Festa della Liberazione: quella dalla Partitocrazia

Nelle redazioni dei nostri due massimi quotidiani italiani, Repubblica e Corriere della Sera, si respira un'aria pesante mentre nei Palazzi romani dilaga lo sconforto.
Possibile che, dopo aver messo su un'organizzazione mastodontica che segue il leader del M5S dappertutto, in perfetto silenzio, come un'ombra, in attesa del tanto sospirato passo falso, non si riesca a lanciargli addosso una qualche accusa infamante, che gli possa far perdere di colpo qualche migliaio di voti, abbassando l'onda lunga del suo Tsunami Tour che rischia seriamente di travolgere il prossimo 25 febbraio una buona fetta di partitocrazia? 
Ormai mancano solo 8 giorni al voto e qualcosa si deve pur fare: non è possibile accontentarsi del niente raccolto finora contro di lui!
Mentre la magistratura di tutta Italia sta demolendo, pezzo a pezzo, l'intera classe dirigente del nostro Paese, politici, burocrati, manager, boiardi di Stato, mentre  Bersani, Casini, Berlusconi, persino lo stesso Monti, si fanno vedere in giro il meno possibile per non ricevere dai passanti salve di fischi e boati di disapprovazione, Grillo raccoglie consensi crescenti e trasversali, riempiendo, nonostante le temperature polari, le piazze dello stivale, da Catania a Bolzano, da Bari a Novara, di un pubblico attento, caloroso, entusiasta.
E' l'unico che dice cose di buon senso, che non usa slogan tanto per nascondere il vuoto culturale, programmatico ma soprattutto morale dei suoi avversari politici.
Mentre tra Monti e Berlusconi si è ormai ingaggiata la gara a chi scende più in basso nell'insulto all'altro ma anche nel consenso elettorale (il sobrio bocconiano, con un'evidente e ormai ripetuta caduta di stile, adesso rimprovera al Cavaliere addirittura di comprarsi i voti ma, fino ad un mese fa, non aveva proprio nel Cavaliere il suo azionista di riferimento?), Pierluigi Bersani indugia nell'aria fritta, vagheggiando di un'alleanza a doppio filo con il premier uscente e la necessità di riconoscere almeno un premio di testimonianza al fido scudiero Niki Vendola. Quest'ultimo non se la passa per niente bene, dato che i suoi potenziali elettori hanno ormai capito che votare Sel è come votare Pd, che è poi come votare Monti girandosi dall'altra parte, mentre si fischietta l'inno dell'Internazionale...
Indubbiamente, votare un partito che si dichiara di sinistra per ritrovarsi poi lo stesso esecutivo di centro destra che ci sta sgovernando, con brevi interruzioni, da 20 anni grazie all'appoggio decisivo ed ai soldi di Silvio Berlusconi, non è propriamente una prospettiva eccitante per i fan del governatore della Puglia.
Anche perché con la discesa in campo dell'ex pm di Palermo Antonio Ingroia con la sua Rivoluzione Civile che conta sull'apparato organizzativo dell'Idv e di Rifondazione, qualcuno ci dovrebbe spiegare perché mai un elettore di sinistra, che non sia masochista,  dovrebbe votare Sel...
Ecco perché quella volpe di Bersani che, da quando ha vinto le primarie su Matteo Renzi, non ha detto una cosa, che sia una, di sinistra, peggio, non ha detto una cosa (di numero!), proprio oggi se ne è uscito con l'impegno di varare a tempo di record una legge contro l'omofobia.
Infatti milioni di italiani, cassintegrati, disoccupati, pensionati che non arrivano alla seconda settimana, imprenditori a rischio fallimento, giovani precari, studenti, esodati, sessantenni a cui la ministra Fornero chiede di lavorare dieci anni di più, malati buttati giù dai letti d'ospedale per i tagli della spending review ed invalidi lasciati senza assistenza domiciliare, giovani talenti costretti a cercare fortuna all'estero, insegnanti mandati a casa o costretti a lavorare in condizioni impossibili, liberi professionisti senza più una professione, gente sbattuta fuori di casa perché indigente, nient'altro che questo chiedevano da anni cronicamente inascoltati al PD di Pierluigi Bersani: finalmente una legge contro l'omofobia!!!
La nullità politica del leader piddino è confermata pure dalla posizione che egli ha assunto in merito alla questione Euro: ormai, pure i sassi sanno che l'ingresso dell'Italia nelle moneta unica è stata un vero disastro e le statistiche confermano in modo inoppugnabile che il declino economico italiano data 15 anni fa, guarda caso l'inizio della stagione dell'Euro.
L'aver perso la sovranità monetaria, senza prevedere a livello europeo i necessari meccanismi di compensazione, ha significato condannare l'Italia ad una lunga e tormentata decadenza di cui Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi sono i principali responsabili ma, più in generale, è l'intero centrosinistra che, in ragione di ciò, dovrebbe cospargersi il capo di cenere.
E invece cosa avviene? Bersani confonde deliberatamente l'adozione della moneta europea con il sogno di un'Europa più unita e solidale, senza pronunciare l'unica parola di verità: ovvero che proprio l'adesione cieca all'Euro ha reso più lontano e sbiadito il sogno europeo, l'esatto contrario di quello che i media e la Casta ci vogliono ogni giorno far credere, anzi ci hanno sbolognato a carissimo prezzo in questi anni.
Ecco perché il Movimento 5 Stelle, che restituisce la democrazia ai cittadini, è un'inattesa e irripetibile opportunità: mandare a casa una classe politica che è vissuta, nella più elitaria depravazione morale ed incompetenza professionale, alle spalle dei cittadini e che, divorando la cosa pubblica in modo famelico, ha ridotto alla fame quella che ancora dieci anni fa era la quinta potenza economica del mondo.
E gli autori di tanto scempio, non solo non chiedono pubblicamente scusa per i danni arrecati al Paese impegnandosi solennemente a risarcirli almeno parzialmente, magari restituendo il bottino frutto di infinite ruberie, ma si ergono ancora a protagonisti della scena politica prossima ventura, con la spocchia di voler ancora distribuire ai leader della rivoluzione di velluto italiana, in primis Beppe Grillo ed Antonio Ingroia, le carte della partita che sta per cominciare.
Ecco perché, in queste giornate frenetiche, è necessaria da parte di tutti i cittadini massima attenzione e partecipazione, perchè il colpo di coda della Casta partitocratica non solo è possibile ma è anzi assai probabile.
E può manifestarsi nelle forme più diverse e, contemporaneamente, in più ambiti e direzioni: mobilitazione capillare e consapevole, quindi.
Massima vigilanza, infine, nei seggi elettorali  per tutte le operazioni di voto e di spoglio successivo per limitare al massimo il più che concreto rischio di brogli e far sì che il tanto atteso miracolo italiano trovi finalmente la sua definitiva consacrazione nell'urna elettorale.
Perchè quale che sia il risultato che riuscirà a realizzare il Movimento 5 Stelle, dopo le elezioni la vita istituzionale del nostro Paese subirà un forte e positivo cambiamento.
Con una pattuglia colorata, giovane e vivace di 100-200 cittadini incensurati, senatori e deputati nuovi di zecca, la Casta non potrà più fare il bello e il cattivo tempo come prima, quand'anche dovesse restare ancora per un po' nella stanza dei bottoni e continuare ad esprimere, a causa della legge elettorale porcata, una raffazzonata ed inaffidabile maggioranza di governo.
Il 25 febbraio sarà per tutti gli Italiani, anche per chi non ci ha mai creduto, il Giorno della nostra Seconda Liberazione. Questa volta dalla Casta partitocratica.


mercoledì 15 agosto 2012

La democrazia ai tempi della Casta

L'anno che si chiude con queste ferie d'agosto segna per molti versi un passaggio epocale.
Il 2011-2012 ci consegna, in fatti, il volto di una classe dirigente che, messe da parte tutte le ipocrisie e i convenevoli di facciata, usa la democrazia a fini privati, cioè come strumento di massa per affermare la propria supremazia sociale, infischiandosene al momento giusto delle regole, della legge, della stessa Costituzione.
La Casta aspira al potere non per accarezzare la propria idea, il proprio modello di società, e magari vederlo sviluppato e realizzato in concreto.
E' bene per gli elettori non farsi più soverchie illusioni! 
Una volta coagulato sulla base di poche parole d'ordine un consenso abbastanza vasto tra i cittadini tale da potersi considerare prevalente  (e su questo si concentrano tutti gli sforzi, anche facendo carte false o cercando di finanziare la propria campagna elettorale con aiuti esterni al prezzo di inquinare la propria asserita spinta ideale),  i politici di professione lo strumentalizzano  per poter improntare finalmente la propria esistenza al di sopra di ogni limite che non sia quello della propria esclusiva discrezionalità, sistematicamente violando le norme quando queste entrano in rotta di collisione con il proprio agire.
Perché, per questi personaggi, sono le norme che confliggono con i propri comportamenti, e non il contrario, come il buon senso suggerirebbe.
Ed ecco che al momento giusto non tollerano che la magistratura possa chiedere loro conto del proprio operato.
Per loro, infatti, l'obiettivo pressoché unico resta quello di essere eletti: a quel punto, la propria missione può dirsi conclusa.
Da questo momento in poi, si tratterà soltanto di esercitare le proprie prerogative, sia pure nelle forme concordate con gli altri fortunati eletti: ci si metterà d'accordo, non è un problema, quand'anche si finisse formalmente all'opposizione.
Una qualche forma di condivisione del potere comunque ci sarà, magari in forme meno appariscenti. 
Bellezza, questa è la partitocrazia!
Il discorso vale per i parlamentari nazionali,  ma, con necessarie attenuazioni, può essere esteso anche ai livelli amministrativi inferiori. Anche perché, all'interno dei partiti, c'è la necessità di avere, oltre ai classici portatori d'acqua, leader disponibili a coprire i diversi ruoli a seconda delle occasioni.
E' così che ad un parlamentare può essere chiesto il supremo sacrificio di candidarsi a sindaco, persino costringendolo a rinunciare all'attuale seggio, con la promessa di lauta ricompensa alla prima occasione buona.
La legge elettorale, il porcellum, ha poi portato all'esasperazione l'appartenenza di Casta: tra premio di maggioranza e liste bloccate dalle segreterie di partito, il legame tra politici e elettori si fa praticamente inesistente.
E non c'è programma o piattaforma politica che dir si voglia: nessun partito si sbilancia più su ciò che intende veramente fare a vittoria elettorale archiviata, la politica è quella delle mani libere.
In pasto agli elettori al massimo una dichiarazione d'intenti, come ha fatto il PD, dove si può leggere tutto e il suo contrario.
Così si spiega perché tra PD - PDL e UDC, cioè tra centrodestra - centrosinistra e centristi, non c'è differenza alcuna nella pratica politica.
Tutta la battaglia si concentra, in una campagna elettorale forsennata, sull'accesso, più o meno negoziato, alla stanza dei bottoni: ma una volta preso possesso della tastiera, si è padroni di digitarvi sopra la propria raggiunta immunità, in barba ad ogni regola.
Con due poteri dello Stato, Parlamento e Governo, ridotti così, la magistratura diventa automaticamente il nemico da abbattere, all'occorrenza ribaltando persino il tavolo dei principi della Costituzione grazie alla complicità dei media.
Ecco perché si può stare in Afganistan o in Iraq, in palese violazione dell'art. 11, senza problemi; così come si può bombardare la Libia, solo pochi mesi dopo aver firmato con tutti gli onori e crismi un trattato di non belligeranza.
Ma si può pure delegitimare l'indagine della magistratura sul biennio stragista del 1992-93, invocando inesistenti prerogative costituzionali; e al tempo stesso promulgare le leggi vergogna dell'epoca berlusconiana, tanto prima o poi vanno firmate...
Si può poi nominare un Governo con una maggioranza parlamentare trasversale che, in un sistema maggioritario bipolare, senza un passaggio elettorale, è sostanzialmente illegittimo; esecutivo che poi prende provvedimenti impopolari senza doverne neppure rispondere agli elettori, fungendo da curatore fallimentare del Paese, che in pochi mesi è stato ridotto, anche per effetto di queste misure, alla canna del gas.
Si possono annullare le ordinanze del giudice di Taranto per far riprendere la produzione dell'Ilva, infischiandosene del disastro ambientale e delle morti causate dall'impianto siderurgico fuorilegge, facendo finta di salvare posti di lavoro ma intanto condannando a morte quelli che forse implicitamente vengono considerati Italiani di serie B o C.
Eppure, prima dell'intervento della magistratura, nessuno si preoccupava di imporre all'Ilva il pieno rispetto della normativa ambientale; naturalmente, negli anni passati, l'Ilva provvedeva, piuttosto che gli impianti, a bonificare, beninteso legittimamente, gli amici-nemici Forza Italia e Pierluigi Bersani con cospicue elargizioni, sicuramente in virtù di reciproche affinità elettive.
E' forse un caso che Pierluigi Bersani e Angelino Alfano, si sono scagliati all'unisono contro la decisione del gip, chiedendo al governo di intervenire, in palese violazione della legge?
E' chiaro che la situazione politica del Paese è diventata insostenibile: che a presidiare quello che resta della nostra democrazia sia rimasta, sola e infangata, la magistratura, è  un fatto gravissimo.
E se i cittadini non riprendono in mano la sovranità e cacciano via mercanti e banchieri dalle Istituzioni, questo Paese non ha più futuro.
Ma bisogna fare in fretta, prima che la Casta abbia finito di svendere insieme ai gioielli di famiglia la nostra stessa dignità.

sabato 21 luglio 2012

Prove tecniche di dittatura

Per capire in che degrado sia precipitata la libertà di pensiero e di parola in Italia, basta guardare a come giornali, televisioni, Tg, hanno trattato la notizia sensazionale del conflitto di attribuzione che il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha sollevato contro la Procura di Palermo, che sta indagando sulla trattativa tra Stato e mafia nel biennio stragista 1992-1993.
L'attacco diretto che il Presidente della Repubblica ha portato ai pm siciliani non ha precedenti nella storia d'Italia; eppure, con l'eccezione di qualche voce isolata e di un solo giornale, il Fatto Quotidiano, non c'è giornalista della carta stampata o della televisione che, invece di informare e di ricostruire con oggettività la vicenda, non abbia preferito prendere, secondo una regia che sembra quasi studiata a tavolino, la difesa d'ufficio di Giorgio Napolitano.
Il modo con cui la notizia viene gestita dagli organi di informazione è veramente vergognoso: in un'unanimità di consensi, tra centrodestra e centrosinistra, non c'è nessuno che abbia ricostruito la vicenda per quello che è, nessuno che abbia osato semplicemente descrivere il comportamento eccezionale di Re Giorgio, a cui vengono ancora in queste ore tributati gli onori che un tempo si concedevano ai monarchi assoluti, di cui almeno nel mondo occidentale non dovrebbe esserci restata traccia.
Sul piano politico, l'unico che abbia alzato il dito per sottolineare che il re è nudo è Antonio Di Pietro, a cui tutti gli Italiani devono riconoscere, al di là delle simpatie personali o delle proprie convinzioni ideologiche, in questa come in altre recenti occasioni, una prova di onestà intellettuale, lealtà istituzionale e senso civico che, ad esempio, i sepolcri imbiancati del Partito Democratico non si sono neppure sognati di avere.
Tralasciamo poi, per carità di patria, la posizione del Pdl e dell'Udc, partiti in cui ad esempio personaggi come Salvatore Cuffaro,  Raffaele Cosentino,  Marcello Dell'Utri, ecc.,  hanno avuto e spesso ancora hanno un ruolo apicale, che condividono con il Pd la stessa posizione di totale sudditanza alle mosse del Colle, con l'obiettivo neppure sottaciuto di precostituirsi un formidabile e gigantesco precedente. 
Successivamente, capitando con certezza matematica l'occasione buona, potranno comodamente passare all'incasso, vedendosi restituire a vantaggio dei propri uomini un analogo favore: basta sfogliare i giornali di area berlusconiana in questi giorni per farsene un'idea.
Dicevamo prima che il quarto potere ha dato di sè una prova pessima.
Nessun telegiornale ha fatto eccezione, anche la squadra di Rai News 24, di solito così pronta a decodificare i segnali della politica ed a ricostruire con attenzione i fatti di giornata, si è limitata a fare da grancassa alle iniziative del sovrano del Quirinale.
Particolarmente in difficoltà il direttore Corradino Mineo:  solitamente mostra una certa autonomia di giudizio  ma parlando di Napolitano le sue qualità professionali d'incanto vengono obnubilate.
Da sempre trapela dalle sue parole una autentica Venerazione nei confronti dell'attuale Inquilino del Colle: ne parla con ammirazione, con timorosa cautela e con la premurosa circospezione da tributare ad un Dio in terra, i cui comportamenti sono ispirati da un'Intelligenza Superiore e i cui interventi sono sempre opportuni, pertinenti, necessari, decisivi, equilibrati, mirati, una immeritata manna per l'Italia.
La consueta vivacità intellettuale delle sue riflessioni si scioglie, definitivamente e malinconicamente, in un'adesione cieca e totale alle Gesta Sovrane.
C'è da temere che quando finalmente giungerà a compimento il Celeste Mandato, il Mineo si presenterà ai suoi telespettatori in gramaglie e annuncerà la notizia come fece qualche mese fa la conduttrice della televisione nordcoreana per annunciare la dipartita del dittatore Kim Jong II.



Nella classifica della libertà di stampa siamo al 40° posto, subito dopo la Corea del Sud: ancora uno sforzo e quella del Nord sarà alla nostra portata...

PS: chi ci vuole capire qualcosa sul conflitto tra Napolitano e Procura di Palermo è pregato di spegnere la televisione, buttare nella pattumiera i giornali (ad eccezione del Fatto Quotidiano, che guarda caso è l'unico che non riceve un euro di finanziamento pubblico) e di cliccare sul link del FattoQuotidianoTV della registrazione della diretta-streaming da Via D'Amelio del 19 luglio: è  un video di oltre 8 ore dove compaiono interventi autorevoli, anche dei magistrati del pool di Palermo. Da non perdere, dopo 6h e 7' circa, la lezione civile di Marco Travaglio: 60 minuti da antologia.

giovedì 19 luglio 2012

Via D'Amelio: vent'anni dopo

L'attacco frontale che il Presidente della Repubblica ha voluto portare alla Procura di Palermo per la vicenda delle telefonate intercorse tra lui e Nicola Mancino è la dimostrazione più  eclatante, se ancora ce ne fosse bisogno, di come la Casta, anche in uno dei momenti più difficili della storia d'Italia, non abbia alcuna intenzione di farsi giudicare, prima ancora che dalla magistratura, dai cittadini, assumendosi una buona volta il peso delle enormi responsabilità dell'attuale disastro morale-politico-sociale ed economico in cui versa il nostro Paese.
E' uno spettacolo avvilente che angustia ogni cittadino, anche quelli che meno attenzione pongono alle vicende politiche e che, quando pure vi gettano un occhio di traverso, subito se ne ritraggono disgustati.
E' sorprendente che il primo cittadino d'Italia, su una vicenda gravissima come la stagione delle stragi di mafia del 1992-93, a vent'anni di distanza da quei fatti sanguinosi che hanno gettato a livello internazionale un'ombra infamante di sospetto su tutti noi ed una seria ipoteca alla credibilità dellle nostre istituzioni, ponga in essere uno scontro durissimo proprio contro quei magistrati che, mettendo a repentaglio la propria stessa incolumità, si stanno dannando l'anima, nell'isolamento generale in cui sono stati confinati dai media di regime e dalla partitocrazia tutta, per recuperare la verità di una stagione maledetta e finalmente portare alla sbarra i mandanti e gli esecutori materiali di quella mattanza.
Il tutto, per distruggere il contenuto di recenti conversazioni telefoniche che Sua Eccellenza ha intrattenuto nei mesi scorsi con un privato cittadino indagato per falsa testimonianza ed intercettato da quegli stessi pm, Nicola Mancino (nel luglio del '92 ministro dell'Interno), che gli si era rivolto sia direttamente che per il tramite del suo consigliere giuridico, affinché intervenisse nell'inchiesta, in barba a elementari principi di correttezza  giuridica.
Volendo pure riconoscere le migliori intenzioni al Capo dello Stato nel delimitare le proprie prerogative costituzionali, è un dato di fatto che la sua condotta finisce per impattare pesantemente con una delicatissima inchiesta dagli esiti decisivi per l'essenza stessa della nostra democrazia: accertare finalmente le responsabilità e i fatti di quel drammatico biennio stragista.
Per tutti gli Italiani questa dovrebbe essere un'assoluta priorità, l'unico lavacro possibile per bonificare le nostre istituzioni e segnare un discrimine con un passato sconvolgente.
Ma non è così per il primo cittadino che subordina l'accertamento di quella tragica verità alla distruzione dei contenuti di quelle sue incaute telefonate con Mancino.
Ma cosa mai ci sarà in esse di tanto sconveniente da fargli preferire la loro immediata distruzione, con un inevitabile strascico di polemiche?
Fra l'altro rinforzando nei cittadini la generale sensazione che la politica è qualcosa di veramente abietto.
Le parole pronunciate da Antonio Di Pietro per esortare Giorgio Napolitano a desistere da questo scontro, tornando sui propri passi e divulgando spontaneamente quelle telefonate, non hanno nulla di indecente come il segretario del Pd Pierluigi Bersani sostiene, cronicamente a corto di argomenti, e volendo quasi assumere improvvidamente le vesti di garante di Napolitano: "Di Pietro sa benissimo, come sanno tutti, che a giudizio di tutti, compresi i magistrati il presidente Napolitano non ha nessuna ragione di difendere la sua persona". 
Ma come fa a dire questo, se non conosce il contenuto delle telefonate?
Indecente è che il segretario di quello che potrebbe diventare la prima forza politica italiana si acconci a una goffa difesa d'ufficio del presidente Napolitano, senza neanche rendersi conto (questo sì è molto grave!) che ponendo questa sgangherata tutela sul Presidente della Repubblica, contribuisce pure lui a metterlo in straordinaria difficoltà.
Bersani si mette a fare il Niccolò Ghedini della situazione, senza però averne né i titoli né le capacità, scimmiottando l'avvocato di Berlusconi con esiti disastrosi.
Insomma anche in questo campo, Pd e Pdl si comportano esattamente allo stesso modo: quando si tratta di difendere i compagni di cordata, usano gli stessi slogan, la stessa arroganza, lo stesso disprezzo per i cittadini.
Insomma, il richiamo della foresta, o meglio il richiamo di Casta, è più forte di tutto. Persino del buon senso.  Per loro il potere viene prima di tutto, è sopra la legge, e non si fa giudicare. Mai.
Neppure quando la loro credibilità è scesa sotto zero, neppure quando i loro comportamenti scavano un fosso incolmabile con gli elettori: basta fare un giro per la rete in queste ore per rendersene conto.
Neppure quando ricorre il ventesimo anniversario della strage di Via D'Amelio e si apprestano a commemorare, come niente fosse, il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta: con la faccia contrita, continueranno a recitare il copione di sempre.
Incuranti di una liturgia ormai logora e vuota, invocheranno per l'ennesima volta giustizia, ma, dietro le quinte, fanno di tutto perché a ciò non si arrivi mai.

mercoledì 9 maggio 2012

Beppe Grillo fa boom ma Napolitano non se ne accorge...

Lo strabiliante risultato del Movimento 5 Stelle guidato da Beppe Grillo è tale che dal 7 maggio scorso si può senz'altro affermare che l'Italia è entrata nella III repubblica, con il terremoto elettorale che ha squassato la vecchia politica di Lega, Pdl, Pd e Udc.
Sì proprio loro, i quattro partiti dell'apocalisse, quelli che hanno fatto precipitare l'Italia, fino a pochi anni fa la quinta potenza economica mondiale, a terra di conquista per la finanza internazionale e le multinazionali in cerca di manodopera a basso costo: insomma quelli che ci hanno portato dalle stelle alle stalle.
Certo il Pd ha resistito in queste amministrative oltre le più rosee aspettative ma, ormai, è solo questione di settimane, impiccato com'è alle sue contraddizioni, ai suoi scandali e ad una politica scriteriata di sostegno al governo Monti, esecutivo formato da sbiaditi tecnocrati di centrodestra.
Bastava vedere in tv la faccia da cane bastonato del suo segretario, Pierluigi Bersani, che lunedì sera si sforzava di mostrare la propria soddisfazione per il risultato ottenuto, per rendersi conto che anche per il Partito Democratico il conto alla rovescia è iniziato.
Il risultato del Movimento 5 Stelle è veramente stratosferico perché oltre alla dimensione del successo diffuso in tutt'Italia, con punte eccezionali nel centro-nord (basti pensare che in una città come Parma, da anni feudo del centrodestra, il suo candidato ha sfiorato il 20%, andando per giunta al ballottaggio!), quello che più pesa è che esso sia stato conseguito in condizioni assolutamente impari rispetto alla corazzata elettorale messa in campo dalla Casta.
Infatti il movimento di Grillo:
  1. non ha avuto alcuna copertura mediatica: gran parte dei giornali e tutta la televisione dell'oligopolio Rai-Mediaset-Telecom lo hanno, nella migliore delle ipotesi, ignorato;
  2. è un movimento nato nella Rete e diffusosi solamente grazie alla Rete ed alla partecipazione attiva e disinteressata di comuni cittadini, stanchi di dover sottostare ad una partitocrazia, avida, corrotta e incompetente. Ma solo metà degli Italiani ha libero accesso ad Internet e solo una famiglia su tre ha la banda larga: il digital divide è impietoso, ma non è un caso che lo sia;
  3. è stato oggetto di una campagna mediatica di aggressione, di delegittimazione e di intimidazione orchestrata dalla Casta di inaudita portata;
  4. ha potuto raggiungere con il suo messaggio soltanto una piccola parte della popolazione italiana, perché il Palazzo ha fatto in modo che le fasce sociali più deboli ne venissero rigorosamente tenute lontano;
  5. ha una base di consenso costituita prevalentemente da giovani, con una notevole rappresentanza di venticinque-quarantenni, di livello d'istruzione molto elevato: si sprecano ingegneri, informatici, matematici, ricercatori, economisti, docenti, ecc; ma anche artigiani, impiegati, piccoli imprenditori, commercianti si riconoscono trasversalmente in tante delle sue iniziative;
  6. non ha ricevuto un solo euro di finanziamento pubblico, al contrario della Casta che resta in famelica attesa di una tranche di altri 100 milioni di euro per il luglio prossimo, sui quali ha già ricevuto cospicui anticipi da parte delle banche;
  7. il voto che riceve è assolutamente un voto d'opinione, libero e senza condizionamenti di sorta;
  8. garantisce per i propri sconosciuti candidati impegno civico, competenza, determinazione, difesa dei beni comuni, restando agli antipodi di cordate, convergenze parallele, conflitti di interesse, lobby e simili;
  9. si pone in contrapposizione frontale con la vecchia politica, i poteri occulti, i grandi potentati economici;
  10.  il suo fondatore Beppe Grillo non è il padre padrone del movimento che scende in campo per difendere le sue aziende (come qualcun altro di nostra vecchia conoscenza...): al contrario, fa il portatore d'acqua per dare visibilità  a quei cittadini che ne condividono le iniziative e che vogliano diventare protagonisti di questa rivoluzione popolare, democratica e soprattutto legalitaria, nel pieno rispetto della costituzione ma senza la mediazione dei partiti. 
In condizioni diverse, di democrazia materiale e non di repubblica delle banane, il risultato raggiunto sarebbe potuto essere assolutamente superiore, forse addirittura sfiorare il 30-35%.
E' per questo che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di fronte allo sfascio partitocratico, commette una grave scorrettezza costituzionale quando ripetutamente si scaglia contro questo pacifico movimento di cittadini con tanta voglia di partecipazione civile e di autodeterminazione, prima accusandone arbitrariamente il leader di demagogia, poi ignorandone platealmente l'affermazione elettorale.
Ma il Capo dello Stato non dovrebbe rappresentare ai sensi dell'articolo 87 della Costituzione l'unità nazionale e simboleggiare con la sua figura tutti gli Italiani??