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lunedì 20 maggio 2013

No, Gabanelli, questa volta il tuo Report ha fatto cilecca

Ieri sera, nel corso dell'ultima puntata di Report, sorprendentemente è arrivato proprio da Milena Gabanelli, già candidata al Colle per il M5S nelle Presidenziali dello scorso aprile, un attacco spropositato allo stesso movimento con il pretesto di chiedere una rendicontazione dei proventi del blog di Beppe Grillo e di esigere la messa on line di tutte le fatture della trascorsa campagna elettorale, la prima a livello nazionale tenuta dalla nuova forza politica. 
L'intervento della Gabanelli, oltre ad essere ingeneroso (ma questo lo lasciamo alla sua coscienza) verso il movimento che, attraverso una consultazione on line, l'aveva designata un mese fa, non ad un consiglio di quartiere ma alla Presidenza della Repubblica, con buone chance iniziali di successo (se non altro per essere ipso facto espressione di un gruppo parlamentare che conta 163 tra deputati e senatori), si rivela intempestivo e giornalisticamente velleitario. 
Perché voler fare le pulci in tasca ad un movimento che ha appena rinunciato a 42 milioni di legittimi rimborsi elettorali, esigendo la pubblicazione on line di tutte le fatture pagate per la campagna elettorale, suona quantomai stravagante. Lei stessa ammette che non c'è nessun obbligo di legge a riguardo ma tant'è: ne fa una questione di trasparenza che, spinta alle estreme conseguenze, diventa inevitabilmente una gratuita caccia alle streghe contro Grillo e i suoi ragazzi.
Siamo fuori dal mondo. 
Di fronte alle fantomatiche fondazioni private orbitanti attorno alla Casta, i famigerati think tank, dove affluiscono generosissime donazioni da parte di entità fisiche e giuridiche non sempre identificabili che potrebbero pure prefigurare, come la puntata di ieri di Report adombra, una sorta di via telematica alla corruzione in politica di faccendieri e lobbisti (senza il rischio di farsi cogliere in flagrante con le mazzette nella ventiquattrore), l'accostamento tra queste inquietanti vicende e l'attività del Movimento 5 Stelle non solo è arbitrario e fuorviante, ma decisamente azzardato e imbarazzante per una giornalista del calibro della Gabanelli.
Nell'Italia delle mille cricche, dello scandalo milionario dei tesorieri della Lega e del PD (ve li ricordate Belsito e Lusi?, sono passati solo pochi mesi!), della Protezione Civile per i lavori del G8, della gestione allegra dei finanziamenti nei consigli regionali in mezza Italia, dello scandalo Penati (braccio destro di Pierluigi Bersani), del maxibuco di bilancio del Monte dei Paschi di Siena, del recente arresto per concussione del presidente PD della provincia di Taranto per una storia annosa di irregolare smaltimento dei rifiuti dell'Ilva, dove va a parare lo sguardo acuminato della Gabanelli? 
Contro l'unica forza politica che  ha fatto della trasparenza un vessillo e che rappresenta degnamente e lealmente l'indignazione dei cittadini contro il malcostume partitocratico e lo sperpero vergognoso di questi decenni del denaro pubblico.
Firmando, dulcis in fundo, una pesante caduta di stile: quando  rinfaccia al M5S l'immobilismo politico per l'esistenza dei tre milioni di disoccupati a fronte delle sofistiche dispute tra i suoi parlamentari sugli scontrini fiscali.
Senza rendersi neppure conto della contraddizione in cui proprio la Gabanelli si viene a trovare, avendo appena intimato ai vertici del M5S, in prima serata Rai, di documentare, fino all'ultima fattura, le spese sostenute nell'ultima campagna elettorale, il famoso Tsunami Tour.
Ma Grillo, dopo aver rendicontato le spese in circa 550.000 euro e i contributi volontari (pari complessivamente a 568.832 euro), non ieri ma due mesi fa, aveva già deciso di devolvere la parte restante alle popolazioni terremotate dell'Emilia-Romagna!
Di fronte alla trave nell'occhio di PD e PDL, attaccarsi all'eventuale pagliuzza in quello del M5S, non è solo una patente incoerenza logica ma l'ostentazione di un ridicolo zelo che, in un momento tragico come l'attuale con una crisi economica che sta degenerando rapidamente in crisi sociale, è veramente fuori tono, sbagliando completamente bersaglio.
In fondo, cosa ci sarebbe di disdicevole se si scoprisse che parte dei proventi pubblicitari del blog di Grillo vengono dirottati al finanziamento dell'attività politica del movimento che rinuncia volontariamente ai soldi pubblici? (Ma lo staff di Grillo seccamente smentisce questa eventualità).
Del resto, prima di lanciare appelli al M5S, la Gabanelli ne dovrebbe aver viste  di cotte e di crude dentro la partitocrazia, anche se le sue denunce sono restate spesso inascoltate se non addirittura liquidate con fastidio.
Non vorremmo che dietro questo sacro furore di trasparenza riservato al M5S, che di tutte le forze politiche presenti in Parlamento è ampiamente l'unica che si  può presentare alla cittadinanza con le carte in regola, non si nasconda la necessità di saldare un debito di riconoscenza verso i vecchi e malandati partiti, quelli della Casta, che le hanno permesso in questi anni di restare in onda, magari strumentalizzandola ricorrentemente per un loro sottaciuto regolamento di conti. 
Perché separare il grano dal loglio,  per una giornalista d'inchiesta, ci dispiace doverglielo ricordare, dovrebbe essere un preciso dovere deontologico.
Per non correre il rischio, come in questo caso, che a fare le spese di cotanto zelo, additati alla gogna pubblica, siano proprio quei cittadini che la corruzione hanno in programma di scardinare, ora con maggiori possibilità di successo, stando finalmente in Parlamento.

martedì 16 aprile 2013

Il Movimento 5 Stelle ha costruito al PD un'autostrada per il cambiamento


Dopo tante chiacchiere, è arrivato il momento di giocare a carte scoperte. 
Perché Pierluigi Bersani, ormai all'ultimo giro di giostra, deve finalmente dimostrare che il refrain di queste settimane, ripetuto come un tormentone estivo, varare il tanto famigerato governo del cambiamento, non è un semplice espediente dilatorio, cioè uno slogan da dare in pasto alla sua base elettorale, con il morale sotto le scarpe, per confortarla dopo l'ennesima cocente delusione di una vittoria mancata sul filo di lana: forse l'estremo bluff di una leadership ormai senza idee e senza passione.
In queste settimane, facendo a pugni persino con il comune buon senso prima ancora che con la legge dei numeri, il segretario democratico ha cercato in tutti i modi di farsi dare un incarico pieno da Giorgio Napolitano per dare vita ad un esecutivo di minoranza che, di volta in volta, avrebbe cercato i voti in Parlamento, magari facendo scouting tra gli eventuali Scilipoti del M5S ovvero continuando ad inciuciare con il Cavaliere in incontri a porte chiuse. 
Una strada sbarrata che ha costretto il Paese alla paralisi dell'attività istituzionale, perché nel frattempo, d'accordo col PDL, Pierluigi Bersani ha impedito la costituzione delle commissioni parlamentari permanenti e dunque l'avvio dei lavori delle assemblee legislative, oltre a rendere ancora più impervia la strada per un nuovo esecutivo, costringendo il Presidente della Repubblica a prendere tempo.
Solo così si può spiegare la convocazione di un'imbarazzante Congrega dei Dieci Saggi che in dieci giorni di inutile 'copia e incolla' hanno prodotto delle relazioni assolutamente irrilevanti, di cui nessuno già oggi, a distanza di soli quattro giorni, si ricorda più.
Mentre dentro il suo partito i mugugni si sono trasformati rapidamente in una vera e propria guerra di tutti contro tutti e, soprattutto contro di lui, Bersani, che già aveva giocato ambiguamente di sponda con il Cavaliere per l'elezione di Piero Grasso, uomo d'apparato, alla presidenza del Senato.
In questo quadro, il duello a distanza di ieri tra il rottamatore Matteo Renzi e la senatrice Anna Finocchiaro denuncia lo sfaldamento del PD mentre il segretario si incaponisce ad inseguire l'araba fenice di un governo a sua immagine e somiglianza,  seguendo una strategia schizofrenica: insistere con Napolitano nel volersi presentare alle Camere con un governo di minoranza mentre contemporaneamente cerca addirittura le larghe intese con Berlusconi per la scelta del prossimo inquilino del Colle. 
Una pretesa politicamente assurda: come pure i sassi sanno, la partita del prossimo governo si giocherà, come la Costituzione impone, proprio nelle stanze del Quirinale per cui non si capisce perché il maldestro smacchiatore di giaguari voglia lasciare fuori dalla porta di Palazzo Chigi il Cavaliere, quando proprio con lui intende scegliere il nome del nuovo Presidente della Repubblica, per i prossimi sette anni vero deus ex machina della vita istituzionale del nostro Paese.
Com'è possibile che Berlusconi sia impresentabile per Palazzo Chigi ma è partner affidabile, leale e autorevole per il Colle? 
Ai simpatizzanti del PD l'ardua sentenza!
Forse dietro questo suo atteggiamento apparentemente incomprensibile c'è la convinzione di poter contare comunque sui voti del M5S, come se ritenesse inconsciamente che siano voti del PD in momentanea libera uscita: ma se così fosse, la parola dovrebbe passare ad un bravo psicanalista.
Anche perché il M5S e il suo leader Beppe Grillo gli hanno sbarrato la strada da subito, in modo plateale, senza lasciargli speranza alcuna. 
E' vero, Bersani ha cercato di 'convincere' Grillo attraverso una  fatwa mediatica, accusandolo indirettamente di tutto, semplicemente perché, coerentemente alla campagna elettorale e alle battaglie politiche degli ultimi cinque anni (a partire dal primo V-day), il leader del M5S si è rifiutato di firmargli una delega in bianco su quei famigerati otto punti di programma, fra l'altro tutto fumo e niente arrosto.
Un politico con un minimo di senso della realtà avrebbe immediatamente compreso che un movimento di cittadini come quello guidato da Grillo si sarebbe condannato all'irrilevanza politica se avesse dato il nulla osta ad un'operazione del genere, ovvero un governo a guida Bersani, il quale, già durante le consultazioni, dichiarava che, una volta seduto a Palazzo Chigi, in mancanza dell'appoggio dei parlamentari pentastellati sui singoli provvedimenti, avrebbe non solo fatto scouting nelle sue fila ma cercato pure il soccorso azzurro di Berlusconi.
Ad esempio, su una questione cruciale come la Tav, in mancanza dei voti di Grillo, l'impareggiabile premier Pierluigi avrebbe cercato il consenso scontato del PDL, con il M5S messo così fuori gioco e lasciato in un angolo a leccarsi le ferite e a meditare con Seneca sull'ingratitudine umana
Perché togliere la fiducia ad un governo a cui la si è inizialmente accordata non è così facile come qualche ingenuo potrebbe pensare: anzi, in talune circostanze, è praticamente impossibile. 
A quel punto, addio Movimento, morto prima di essere diventato adulto, come un fiore di campo che resiste al gelo primaverile ma perde i petali al primo soffio di vento.
Adesso, grazie alla coerenza e lungimiranza del suo leader, il M5S torna al centro della scena politica avendo, con le sue Quirinarie (tanto sbeffeggiate dai media di regime quanto in fin dei conti rivelatesi preziose), indicato al PD un poker di nomi, difficilmente rispedibili al mittente.
Milena Gabanelli in pole position, Gino Strada, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, tutte persone perbenissime, esponenti di chiara fama di quella società civile con cui, in queste settimane, Bersani ha detto di voler interloquire (lo dimostra il numero sterminato di delegazioni non partitiche ricevute nel suo giro di consultazioni).
C'è solo l'imbarazzo della scelta: non sta a noi ripercorrere lo specchiato curriculum di questi Italiani a cui gli iscritti al M5S hanno riservato le loro simpatie.
La scelta di uno di loro, posto che il candidato di bandiera per le prime tre votazioni per Grillo sarà proprio Milena Gabanelli, significherebbe finalmente una svolta nella politica italiana, capace di rappresentare per la prima volta dai tempi fulgidi di Sandro Pertini un sentimento di stima diffuso e trasversale che scavalca la tradizionale e sclerotica dicotomia destra - sinistra, che ha nascosto in questi anni, dietro un'apparente contrapposizione ideologica, una smaccata convergenza di interessi, tanto torbida quanto sottaciuta: il famigerato inciucio.
Grillo e i suoi parlamentari hanno così scaraventato la palla nel campo del PD che a questo punto deve scoprire le proprie carte: perché rifiutare questi nomi sembrerebbe una missione impossibile. 
Non fosse altro che  appaiono di altissimo gradimento proprio nell'elettorato di centrosinistra e alcuni di loro pescano larghi consensi anche nel centrodestra: è il caso dei due insigni costituzionalisti Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà.
In una fase storica in cui si tratta di mettere mano a imponenti riforme istituzionali, chi meglio di un valente giurista può farsi garante della transizione indolore e in punta di Costituzione alla Terza Repubblica?
Se Bersani e il gruppo dirigente del PD non saprà cogliere l'attimo fuggente che da giovedì mattina si presenterà al Parlamento riunito in seduta comune con i rappresentanti delle Regioni, non solo decreterà un definitivo fallimento personale ma innescherà la deflagrazione del Partito Democratico, costringendo il Paese a tornare al più presto alle urne dopo un drammatico nulla di fatto.
Contro la tentazione del grande inciucio con Silvio Berlusconi per puntare su nomi a questo punto di basso o bassissimo profilo come Amato, Marini, D'Alema, Violante, Severino, Cancellieri, Bonino, Finocchiaro, Monti, Casini e chi più ne ha più ne metta, il poker esibito dal Movimento 5 Stelle metterà automaticamente a nudo i vizi e le virtù del gruppo dirigente del PD. 
Anche perché qualcuno dovrà prima o poi spiegare ai propri elettori perché mai le larghe intese si debbano fare con il PDL, terza forza politica alla Camera, e non con il Movimento di Grillo che, almeno in Italia, ha preso pure un numero di voti superiore a quelli dello stesso PD.
Insomma, il Movimento 5 Stelle, lungi dall'Aventino in cui certa stampa lo accusa di essersi relegato, ha costruito in tempi record un'autostrada al Partito Democratico per far uscire il Paese dall'intricatissimo ingorgo istituzionale e magari dargli, dopo quattro mesi, un buon governo finalmente nella pienezza dei suoi poteri.
Per Bersani e c., insistere con i vecchi riti sarebbe politicamente irresponsabile oltre ad essere esiziale per il suo partito, fra l'altro dovendo smetterla di ripetere come un disco rotto: è tutta colpa di Grillo...
Aspettiamo pazientemente il PD al casello con uno dei quattro prestigiosissimi ticket.


martedì 2 ottobre 2012

L'audace colpo degli soliti noti

In quale stato pietoso versino le nostre istituzioni lo ha testimoniato in modo esemplare la trasmissione di Milena Gabanelli Report, domenica sera ai nastri di partenza per la stagione televisiva 2012-2013.
Un esercito di pregiudicati, di condannati in primo o secondo grado, di indagati, di rinviati a giudizio, pullula tra Palazzo Madama e Montecitorio potendo contare su un pedigree di primo ordine:
finanziamento illecito ai partiti, associazione a delinquere, truffa, falso, abusivismo, frode fiscale, favoreggiamento, abuso d'ufficio, appropriazione indebita, ricettazione, resistenza a pubblico ufficiale, false dichiarazioni ai pm, associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, false comunicazioni sociali, bancarotta fraudolenta pluriaggravata, corruzione aggravata, associazione camorristica, concorso esterno in associazione mafiosa, banda armata e associazione eversiva, false fatture, tentata estorsione mafiosa, tentata corruzione in atti giudiziari, turbativa d'asta, peculato, falso in atto pubblico, associazione segreta, concorso in favoreggiamento mafioso, diffamazione, calunnia, minaccia a corpo dello Stato, oltraggio, rivelazione segreta, lesioni personali, concussione, concorso in scambio elettorale, riciclaggio, rivelazione di segreto d'ufficio, millantato credito, appartenenenza a loggia massonica segreta, danno erariale, tentata estorsione, violazione della legge elettorale, peculato d'uso, mendacio bancario... c'è da sfogliare in lungo e largo il codice penale e il codice di procedura penale per tenere conto di così tante prodezze dei nostri parlamentari.
D'altra parte che il Parlamento sia un luogo frequentato da cattive compagnie non è una novità. Ma resta un mistero che cosa ci facciano ancora là dentro delle persone oneste, anche perché queste si trovano gomito a gomito con diversi personaggi dichiarati socialmente pericolosi dalla magistratura.
Fatto sta che questa varia umanità dovrebbe per alcuni mesi ancora reggere, Iddio solo lo sa come, ma noi possiamo immaginarlo, le sorti dell'Italia, in crisi economica, finanziaria, morale, di fiducia, persino in crisi di nervi o come, ha denunciato il fondatore dell'associazione Libera Don Luigi Ciotti, in coma etico.
Avremmo preferito in coma etilico, almeno in preda ai fumi dell'alcol questi soggetti farebbero meno danni al Paese e noi ci risparmieremmo l'oscenità di un Ministro della Giustizia, Paola Severino, che intervistata dal bravissimo Bernardo Iovene, alla domanda se nel disegno di legge anticorruzione sarà ripristinato il reato di falso bilancio, ha così risposto: "non siamo attrezzati a fare miracoli!" 
Quando poi qualcuno della Casta di politici e giornalisti ha il coraggio di prendersela ancora con Beppe Grillo, accusandolo di populismo e antipolitica, vengono a mente le 350 mila firme raccolte ormai cinque anni fa (!) con l'iniziativa "Parlamento Pulito" e che giacciono abbandonate in qualche scantinato del Senato.
Possibile che quegli scatoloni portati materialmente su un risciò da Grillo in persona con una trentina dei suoi ragazzi restino ad impolverarsi, senza che nessuno, neppure il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, muova un dito per dare il giusto seguito a quell'invocazione d'aiuto, a quel soprassalto di legalità che è salito dal Paese ormai tutti quegli anni fa?
Dopo lo scandalo del capogruppo PDL alla Regione Lazio Franco Fiorito, oggi arrestato, Napolitano è intervenuto a sollecitare governo e parlamento a varare in fretta una legge anticorruzione: «È l'Europa a chiederci un grosso impegno di lotta contro la corruzione».
No, Presidente, sono gli Italiani che non ne possono più!

domenica 29 marzo 2009

Il Partito che non c'è, l'ennesima trovata berlusconiana

Malgrado i fuochi fatui del congresso di fondazione del PDL, tutti debitamente sponsorizzati dal padre padrone Silvio Berlusconi, il panorama politico italiano resta plumbeo.
Alleanza Nazionale si è sciolta nel partito di plastica Forza Italia, dimostrando che è priva di un vero collante ideologico che non sia la mera aspirazione piccolo borghese a stare sempre e comunque dalla parte del potere, soprattutto se esercitato in forme sbrigative e minacciose.
E’ nato il Partito che non c’è, che continua a non esistere, di cui si parla però ossessivamente a causa del persistere, come ha detto ai microfoni di Report il prof. EdoardoFleischner, di un monopolio privato di un’istituzione: il sistema dei media.
In campo avverso, il Partito democratico continua ad annaspare, difettando anch’esso dalla nascita di una qualche prospettiva ideale: senza un congresso ricostituente, il reggente Dario Franceschini si affida ad alcune mosse tattiche per mettere in difficoltà il premier ma, evidentemente, non può fare più di tanto.
Sempre meglio di Veltroni, tant’è che è risalito leggermente nei sondaggi, a dimostrazione che di fronte allo zero assoluto, anche un vecchio boyscout si dimostra un gigante.
A proposito, Walter Veltroni è completamente uscito di scena, dimenticato da tutti nel giro di poche settimane. Adesso ci aspettavamo di trovarlo in Africa a combattere l’AIDS, la malaria o la fame, il suo sogno nel cassetto, di cui in più di un’occasione si è vantato. Errore! Il cassetto resta chiuso: è stato visto di recente tra i vip di uno dei tanti eventi mondani della Capitale… forse ha perso la chiave!
La stampa quotidiana dorme sonni profondissimi: in calo verticale nelle vendite e nella raccolta pubblicitaria, fa di tutto per non disturbare il manovratore; il quale magari, preso per le buone, potrebbe finire pure per sganciare qualche soldo pubblico per non farla affondare.
Ecco perché si è trasformata all’unisono nell’Eco di Arcore. Complimenti!
In televisione, lotta titanica per Riccardo Iacona con Presa Diretta e Milena Gabanelli con Report di fronte alla resa generale dei media alla pax berlusconiana: sono gli unici giornalisti in grado di farci vedere e capire il mondo che ci circonda.
Così, dai tagli alla ricerca al problema degli immigrati, dalla manna pubblica sul comune di Catania alla genesi del monopolio mediatico di Silvio Berlusconi, abbiamo tratto la convinzione che l’informazione quotidiana che ci viene propinata dalle reti del duopolio faccia veramente schifo.
Milena Gabanelli, nella puntata di domenica scorsa, ha dimostrato scientificamente come il potere berlusconiano in campo televisivo sia da tempo al di sopra della legge, indifferente alle sentenze della Corte Costituzionale o della Corte di giustizia europea; e che quelli che oggi indossano la casacca del Partito democratico sono tra i maggiori responsabili di questo stato di cose.
Memorabile fu l’intervento di Luciano Violante alla Camera nel 2003 che dichiarò espressamente l’assoluta connivenza sin dal 1994 degli ex comunisti alle pretese del Cavaliere, alludendo ad una sorta di accordo, tanto segreto quanto inconfessabile, che garantì l’intangibilità delle televisioni berlusconiane.
Di fronte al naufragio morale prima che politico del centrosinistra, che dura ormai da almeno quindici anni, è chiaro che chiunque si fosse trovato al posto di Berlusconi avrebbe finito per diventare suo malgrado il mattatore della politica italiana.
Un’ultima osservazione: la politica economica del governo del PDL si sta rivelando di giorno in giorno sempre più disastrosa.
La crisi economica affonda nelle tasche degli Italiani e questi dilettanti al governo se ne vengono fuori tagliando la spesa in settori strategici come scuola, ricerca e università, dopo aver lasciato a secco le pantere della polizia: tagli impressionanti, per decine di migliaia di posti di lavoro in un contesto occupazionale già gravissimo.
Non solo, propongono il cosiddetto Piano casa, quanto di più improbabile e devastante si possa concepire in campo edilizio, un provvedimento che rappresenta un condono a 360 gradi a cui pure le regioni guidate dal centrodestra sembra si siano ribellate. Una sorta di laissez faire del mattone, i cui preoccupanti contorni restano fortunatamente per ora circoscritti alla fervida mente del Cavaliere.
Sta di fatto che tale misura viene sbandierata da Tremonti & c. come il principale stimolo per far ripartire l’economia: nulla di più lontano della realtà.
Non bisogna essere dei Nobel per capire che il rilancio italiano passa per i mercati internazionali, attraverso l’innovazione di prodotto e di processo che rivitalizzi la domanda estera; non dal mercato interno, per giunta attraverso lavoretti di edilizia privata affidati spesso a manovalanza irregolare, giusto per tacitare i palazzinari e qualcun altro che vuole chiudere il balcone o farsi il box auto con poca spesa.
Solo un’informazione deviata potrebbe accreditare come efficace un’idea così stravagante e velleitaria: ma leggendo i quotidiani, quasi tutti si sbilanciano in elogi sperticati alla grande trovata berlusconiana, l'ennesimo coniglio dal cilindro.
Purtroppo di trovata in trovata, di battuta in battuta, l'economia italiana si trascina sull’orlo di un baratro.
Non contenti, i due vuoti politici a perdere, PDL e PD, continuano a scherzare pure sul federalismo!
Durante la votazione alla Camera, il Partito democratico si è astenuto ancora una volta: in un sistema bipolare, per l’opposizione lasciar passare senza fare una piega un provvedimento del genere, che si preannuncia come l’ennesimo buco nero in campo costituzionale, è mostruosamente kafkiano
Ma quando ci libereremo finalmente di questo incubo?