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mercoledì 21 marzo 2012

La pastasciutta della Fornero è servita: arrivederci, articolo 18!

L'operazione dell'abrogazione di fatto dell'articolo 18 è l'obiettivo non dichiarato del governo di Mr. Monti sin dal suo insediamento, naturalmente insieme alla riforma delle pensioni che ha imposto ai lavoratori italiani le condizioni più severe d'Europa.
Dopo il flop di liberalizzazioni e semplificazioni  ampiamente prevedibile poiché serviva soltanto ad alzare una cortina fumogena sulla vera strategia dei tecnici di far pagare la crisi ai soliti noti, lavoratori e pensionati, ecco che il governo Monti sta tentando il colpaccio con una operazione tutta politica e di chiara intimidazione sociale.
La portata di una riforma del mercato del lavoro che sostituisce per il dipendente il reintegro nel posto di lavoro con un modesto indennizzo economico (che ammonterà soltanto dalle 15 alle 27 mensilità)  infatti avrà, come si è più volte detto, uno scarso impatto quanto a cifre in gioco (con oltre 7 milioni di occupati  in aziende private con personale sopra le15 unità, soltanto 300-500 vertenze si aprono all'anno invocando l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori).
La posta in gioco è squisitamente politica e dagli effetti socialmente pesanti: in questo modo nessun lavoratore, pur con un contratto a tempo indeterminato, è più garantito di poter restare anche un solo giorno in più sul proprio posto di lavoro.
Basterà che egli faccia uno sciopero di troppo o che, come rappresentante sindacale o responsabile della sicurezza, pretenda il rispetto delle norme previste dai contratti o dal Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, e il suo destino sarà segnato: con un semplice inesistente addebito disciplinare sarà possibile cacciarlo via senza tanti complimenti.
Perché secondo quei geni del governo tecnico, l'imprenditore che voglia licenziare qualcuno lo potrà fare senza nessuna difficoltà, basta che abbia la semplice accortezza di non esplicitare il suo retropensiero, cioè i motivi discriminatori alla base del suo provvedimento.
Ad esempio, come titolare di un'impresa di 20 dipendenti potrei puntare a candidarmi alle prossime elezioni amministrative, chiedendo paternalisticamente il voto ai miei dipendenti e alle loro famiglie.
Se qualcuno si rifiutasse di farlo o, peggio, a spoglio avvenuto, mi rendessi conto che molti di loro non mi hanno dato retta, potrei, diciamo così, vendicarmi, procedere al licenziamento individuale delle sospette teste calde, contestando inesistenti addebiti disciplinari.
E anche se il giudice dovesse dar loro ragione me la caverei con un risarcimento minimo ma la soddisfazione, in tempi duri come questi, di averli trascinati, con tutta la famiglia, in mezzo ad una strada.
Una mostruosità giuridica che in un colpo solo fa strame di buona parte del diritto del lavoro e della nostra stessa Costituzione.
E il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, anche in questa occasione interpretando in modo completamente improprio il suo ruolo di arbitro, è intervenuto a gamba tesa mentre era ancora in corso il confronto del governo con le parti sociali dichiarando che le misure finora prese "sono dure ma ineludibili" imponendo di fatto a CGIL e Partito Democratico di inghiottire il rospo dei licenziamenti facili.
Ci si chiede se sia costituzionalmente corretto, dopo aver messo già in piedi un esecutivo che risponde soltanto a lui, che il primo cittadino della repubblica possa scendere nella battaglia politica in modo tanto pervasivo: errare è umano ma perseverare...
Infine la Fornero, pardon il ministro Fornero, quello delle lacrime di coccodrillo versate appena dopo aver annunciato a milioni di pensionati indigenti il mancato adeguamento all'inflazione dei loro miseri vitalizi, ha mostrato in queste settimane tutto il suo disprezzo per i lavoratori italiani con una serie di uscite astiose  che ne denunciano i limiti culturali e l'inadeguatezza caratteriale.
Oggettivamente un ministro del lavoro, in tempi così tragici per tanti italiani, non si può permettere di dire a un gruppo di giovani precarie, in occasione dell'8 marzo, che "l'Italia è un Paese ricco di contraddizioni, che ha il sole per 9 mesi l'anno e che con un reddito base la gente si adagerebbe, si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro».
Né, a margine di uno degli incontri con i sindacati, affermare che "È chiaro che se uno comincia a dire no, perché noi dovremmo mettere lì una paccata di miliardi e poi dire voi diteci di sì. No, non si fa così".
Adesso ci aspettiamo da quello che resta del Partito Democratico una netta dissociazione dall'accelerazione impressa dalla premiata ditta Monti&Fornero&Passera all'abrogazione dell'articolo 18: il Paese (non solo la sinistra) si attende, a questo punto, un colpo di reni.
Ma già il nipotino di Gianni Letta, vicesegretario del PD, recentemente sorto agli onori della cronaca parlamentare per il pizzino fatto recapitare al banco del governo, si affretta a dire che il suo partito comunque voterà la riforma.
E' chiaro che, ostaggio di Napolitano e dei centristi, il Partito Democratico si sta giocando in queste ore la sua residua credibilità, proprio mentre sta scoprendo di essere caduto in una trappola mortale, se non  nel farlo nascere,  nel continuare ad appoggiare il governo Monti, quello che sta togliendo ai poveri per dare ancora di più ai ricchi.
Ma se crolla il Pd insieme alle sue contraddizioni, anche la strada del governo dei bocconiani paradossalmente è segnata.
E c'è qualcuno ad Arcore che già si sta sfregando le mani.

lunedì 20 febbraio 2012

Di male in peggio: per Veltroni il governo Monti fa cose di sinistra

Con la bravata di Veltroni sull'articolo 18, finalmente qualcosa si muove anche dentro il Pd. Perché quello di Walter Se po' ffà non è semplicemente un caso umano.
Grazie alla grancassa dei media che lo intervistano da anni ad ogni piè sospinto, è diventato purtroppo un caso politico.
Perché se per il fondatore del Pd "Monti fa cose di sinistra", un qualche problema di linea politica dovrà pur esistere in questo surreale partito.
Questa volta, per fortuna, il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, gli risponde a tono:  “Caro Walter se il programma del governo Monti è l’orizzonte di una forza progressista come il Pd, allora delle due l’una: o il Pdl, che insieme a noi sostiene il governo Monti, è diventato un partito progressista, oppure la tua valutazione è sbagliata”.
E per ricondurre il vaniloquio veltroniano alla giusta categoria di falso, prosegue:
“Se fosse giusta dovremmo essere conseguenti. Alle prossime elezioni il Pd dovrebbe presentarsi insieme al Pdl, oltre che al Terzo Polo: una sorta di partito unico del pensiero unico. La fine della politica, non solo della democrazia”.
Frase che suonerebbe come epitaffio della carriera politica dell'ex sindaco di Roma, se non fosse che il vicesegretario Enrico Letta, quello del famoso pizzino a Mario Monti in cui gli scriveva di essere riservatamente a sua disposizione, gli dà man forte dicendo che “non dobbiamo cedere Monti alla destra”.
Ma accanto al caso personale dell'ex sindaco di Roma,  non si capisce il motivo per cui giornali e televisioni lo continuino ad intervistare quasi fosse un oracolo, nonostante gareggi con l'amico-nemico Massimo D'Alema per il poco invidiabile titolo di uomo politico più perdente della storia repubblicana.
Come mai uno che ha preso cantonate a ripetizione, inanellando una sconfitta dietro l'altra nelle fila del Partito democratico, sia oggetto di tale attenzione e riguardo da parte dei principali media che fingono di pendere dalle sue labbra, è questione che ha molto a che vedere con la disastrosa situazione della libertà di stampa in Italia, precipitata al 61° posto nell'apposita classifica.
Con il risultato sconfortante che il Partito democratico prima che dagli altri partiti, deve prendere le distanze da se stesso, cioè da alcuni dei suoi massimi dirigenti, personaggi in libera uscita proprio come Veltroni.
E così, mentre mezzo partito intona a mezza voce "Lusi in the Sky with Diamonds", l'altra metà fa gli scongiuri affinché il presidente Obama si decida a chiamare nel suo staff elettorale uno dei suoi fans, l'impareggiabile Walter, l'americano de Roma.

domenica 19 febbraio 2012

E Walter Veltroni getta a mare pure l'articolo 18!

Che Walter Veltroni sia una spina nel fianco del PD è noto da tempo.
Che le sue posizioni ormai non abbiano più niente a che fare non solo con la sinistra ma, in generale, con il pensiero socialdemocratico è dimostrato da mille episodi, a partire dalla sua gravissima e inoppugnabile responsabilità nella caduta del governo Prodi nel 2008 e dalla vittoria sul piatto d'argento che offrì a Silvio Berlusconi con la 'vocazione maggioritaria del Pd' che fece implodere in pochi giorni la coalizione di centrosinistra.
Ma si ricordano pure il suo sogno nel cassetto  dell'incarico da conferire in una futuribile sua squadra di governo alla moglie di Berlusconi, Veronica Lario; la strenua tenacia con cui strinse un patto elettorale con i radicali; l'addirittura folgorante ammirazione per Massimo Calearo, presidente di Federmeccanica, che volle in lista a tutti  i costi con il risultato che questi nel 2009, appena un anno dopo la sua nomina a deputato nel Pd, lasciò il partito dichiarando di non essere mai stato di sinistra. E nel famoso voto di sfiducia al governo Berlusconi il 14 dicembre 2010, fece addirittura compagnia a Scilipoti nella pattuglia dei pseudo Responsabili per sostenere il Cavaliere.
E' un fatto che quando Veltroni decise di dimettersi da segretario il 17 febbraio 2009, a seguito dell'ennesimo rovescio elettorale, nessuno lo rimpianse neppure per un istante.
Anzi, non furono pochi quelli che gli rimproverarono di non aver fatto seguire alle parole i fatti, mantenendo la promessa di recarsi in Africa a dare sollievo alle popolazioni flagellate dalla povertà e dall'Aids.
Così, ormai sono anni, ce lo ritroviamo a Roma, dentro il Partito democratico a seminar zizzania con posizioni di destra, spesso ultraconservatrici.
Che quindi anche sul tentativo del governo Monti di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, abbia deciso di lasciargli carta bianca, nessuno se ne può meravigliare.
Sentite cosa risponde a Curzio Maltese nell'intervista su Repubblica di oggi che gli chiede se non sia eccessivo definire riformismo la politica del preside della Bocconi:
"No. Sono bastati tre mesi per capire che non si tornerà indietro. Circola nel Pd, ancor più nel Pdl, l'idea che questo sia solo un governo d'emergenza, una parentesi dopo la quale si tornerà ai riti e ai giochi della seconda repubblica o peggio della prima. Qualcuno dà giudizi tali da rischiare il paradosso di consegnare al centro o al nuovo centro destra il lavoro del governo. È un errore grave. Questo governo tecnico ha fatto in tre mesi più di quanto governi politici abbiano fatto in anni. Ha dimostrato non solo di voler risanare i conti, ma di voler cambiare molto del paese e vi sta riuscendo, con il consenso dei cittadini e dell'opinione pubblica internazionale. La copertina di Time o l'ovazione al Parlamento europeo sono un tributo ad un paese che solo qualche mese fa era guidato da Berlusconi e deriso".
Poi Curzio Maltese gli chiede di esplicitare il suo pensiero circa la posizione del governo sull'articolo 18 e così replica:
"Sono d'accordo col non fermarsi di fronte ai santuari del no che hanno paralizzato l'Italia per decenni. Il nostro è un paese rissoso e immobile e perciò a rischio. Credo che finora il governo Monti stia realizzando una sintesi fra il rigore dei governi Ciampi e Amato e il riformismo del primo governo Prodi".
E al giornalista che lo invita a non essere reticente, se ne esce fuori con una delle sue mitiche suggestioni:
"Totem e tabù si intitolava un libro di Freud. Ed è perfetto per definire gran parte del discorso pubblico in Italia. Bisogna cambiare un mercato del lavoro che continua a emarginare drammaticamente i giovani, i precari, le donne e il Sud. Ci vogliono più diritti per chi non ne ha nessuno. Questa è oggi una vera battaglia di sinistra".
Se l'ex segretario del Partito democratico dice cose del genere, senza una pubblica abiura o perlomeno la reprimenda dei vertici del partito, è la prova provata che il mondo del lavoro è ormai abbandonato a se stesso, con i politici del finto bipolarismo all'italiana pronti a girare le spalle e ad abbandonare la nave in piena tempesta.
E' utile tenerlo a mente per quando, prima o poi, la Casta chiederà a lavoratori e pensionati il voto in nome del Pd. 


domenica 29 gennaio 2012

L'appoggio di Bersani al governo Monti: ormai il PD è il Partito dei Dinosauri

"Noi siamo a sostegno del governo Monti senza se, senza ma e senza tacere le nostre idee. E' chiaroo?"
La battuta del segretario Pierluigi Bersani all'Assemblea nazionale del PD domenica scorsa nel corso di un intervento di oltre mezz'ora la dice lunga sullo stato confusionale in cui versa il suo partito, ormai nelle mani di un'oligarchia che ha perso completamente il senso della realtà, lontano anni luce dalla propria base elettorale.
In fondo questa frase è l'epitaffio sopra un'esperienza politica ormai da declinare al trapassato remoto.
Dove possa andare un partito che non ha più una rotta ideologica da seguire e che naviga a vista sotto costa è presto detto: o riesce a riparare in un porticciolo turistico affiancandosi ai megayacht di qualche pregiudicato prestato alla politica oppure, più probabilmente, rischia di fare la fine  della Costa Concordia, adagiandosi su un basso fondale per essersi spinto troppo in là con gli inchini verso i poteri forti, dimenticando di schivare gli scogli dell'emergenza economica e sociale.
Perché il governo Monti, ormai è chiaro, rappresenta il volto migliore del vecchio ministero Berlusconi: come tale si è accreditato agli occhi della cancelliera tedesca Angela Merkel per aver promesso (e mantenuto, a differenza dell'uomo di Arcore!) una politica di grave austerity economica e di tagli dichiaratamente antipopolari.
Il tutto edulcorato con i fuochi d'artificio di una propagandata manovra su liberalizzazioni e semplificazioni che, al di là del polverone mediatico,  non sfiora neppure le rendite dei grandi monopoli (banche, assicurazioni, media, concessionari di pubblici servizi), lasciati completamente indisturbati.
La panzana che comunque queste misure porteranno ad un aumento del Pil del 10% (come e in quanto tempo?) è poi degna del miglior Berlusconi.
'Fare ammuina' sembra l'imperativo di queste settimane del premier Monti che fa digerire la pillola amara della recessione, delle tasse, dei tagli al welfare e dell'assenza di un qualsiasi improcrastinabile intervento di redistribuzione del reddito, con operazioni di facciata che non cambiano di un'acca i termini della tragedia sociale in atto.
E il Pd che, apparentemente non aveva fatto sconti al Cavaliere, d'improvviso è soddisfatto di quella stessa politica, adesso drammaticamente operativa, a guida bocconiana.
Fortunatamente, da questo PD, alias Partito dei Dinosauri, la gente comincia a prendere le distanze, delusa e umiliata dal grande imbroglio, dall'inciucio di sempre.
Perché i Bocconi amari da inghiottire non si contano più.
Ma come? Fino all'anno scorso, la riforma Gelmini sulla scuola era la pietra dello scandalo e ora che con Monti sta andando a regime, tutto tace dalle parti di Bersani e Veltroni! Per non parlare della legge 240 sull'Università.
E le leggi ad personam varate da Berlusconi per salvarsi dai processi? Possibile che Violante & c. ce l'abbiano più con le intercettazioni che con la ex-Cirielli che manderà in fumo, assieme ad altri 200.000 processi, quello Mills contro il Cavaliere?
Intanto si profila un'altra amnistia, più o meno mascherata, con il ventilato provvedimento 'Svuotacarceri' , tanto per dare la certezza matematica ai colletti bianchi di non varcare, mai e poi mai, le patrie galere: naturalmente con l'allegra brigata PD-PDL in perfetta sintonia.
E sul piano economico, possibile che non ci sia uno straccio di politica industriale che impedisca o almeno rallenti il processo di delocalizzazione in atto tra le imprese italiane che sta mandando a casa, peggio, in mezzo alla strada, decine di migliaia di lavoratori? E che il PD non se ne faccia carico?
O che il PD non imbracci la vittoria referendaria per contrastare il tradimento che della volontà popolare si sta consumando con la privatizzazione dei servizi pubblici locali?
Giovedì sera, nello studio di Michele Santoro, il vicesegretario democratico Enrico Letta, già nipote di cotanto zio,  si è guardato bene dall'addossare la responsabilità del disastro in cui ci dibattiamo al governo di Silvio Berlusconi, preferendo esaltare Ciampi e Prodi per l'ingresso dell'Italia nell'Euro.
Scelta che oggi, sia pure ampiamente col senno di poi, è sotto gli occhi di tutti essere stata sciagurata. Ma il pizzinaro Letta, buon per lui, è convinto del contrario!
Per fortuna, mentre i Dinosauri del PD corrono dritti dritti verso l'estinzione (basterà ancora qualche altra sortita di Bersani!), con i loro ex elettori che si vergognano intimamente di averli mai potuti votare, sta finalmente venendo fuori qualcosa di nuovo.
A Napoli, il cosiddetto Partito dei sindaci, con in testa il primo cittadino Luigi De Magistris, nel "Forum dei Beni Comuni per i Beni Comuni", denuncia la svendita di beni primari come scuole, asili, ospedali e di tanti altri beni pubblici in nome di un malinteso federalismo demaniale rivendicando la rilevanza costituzionale del soddisfacimento dei diritti fondamentali di cittadinanza.
A Torino, intanto, sfilano i No Tav dimostrando pacificamente che nessuno, meno che mai un'oligarchia  incompetente e la cui credibilità è prossima allo zero, può pensare di ridurre un problema squisitamente politico, cioè l'opportunità economica e sociale di un progetto così impattante per l'ambiente e per le comunità locali, a pura questione di ordine pubblico.
Insomma, mentre la Casta dei corrotti, dei bolliti e dei dinosauri si trincera dietro il governo dei tecnici, la società civile prova finalmente ad alzare la testa.

lunedì 2 gennaio 2012

La Serracchiani strumentalizza le parole di Beppe Grillo

In un recente minipost sul suo blog, Beppe Grillo così scrive:
"Continuano gli attentati contro gli uffici di Equitalia, nelle ultime ore sono avvenuti a Foggia e Modena. Si può dire tranquillamente che stiano per sostituire i tradizionali botti di San Silvestro con la differenza però che durano tutto l'anno. Se Equitalia è diventata un bersaglio bisognerebbe capirne le ragioni oltre che condannare le violenze. Un avviso di pagamento di Equitalia è diventato il terrore di ogni italiano. Se non paga l'ingiunzione "entro e non oltre" non sa più cosa può succedergli. Non c'è umanità in tutto questo e neppure buon senso. Monti riveda immediatamente il funzionamento di Equitalia, se non ci riesce la chiuda. Nessuno ne sentirà la mancanza."
Le sue parole sono chiarissime insieme al caratteristico tono tra il serio e il paradossale. Non c'è nessuna giustificazione della violenza, nessuna bassa speculazione elettorale (con una classe politica come la nostra, dalla credibilità e reputazione pubblica e privata assolutamente disastrose, non ce ne sarebbe proprio bisogno!), nessuna apologia di un bel niente.
C'è semplicemente l'invito ad una riflessione collettiva, particolarmente importante in un periodo difficile come questo.
Se non che esponenti della Casta iperpagata che, normalmente di fronte ai drammi degli Italiani fanno finta di guardare (ed effettivamente guardano) dall'altra parte, si risvegliano all'improvviso dal loro letargo dorato  per intervenire sulla vicenda a gamba tesa, prendendo fischi per fiaschi pur di regalarsi un minuto di pubblicità, tentando maldestramente di  dipingere gli altri come mostri.
Quanto a presenza di farisei, il Pd sembra proprio non temere la concorenza di nessuno.
Così  l'europarlamentare Debora Serracchiani, di cui si erano praticamente perse le tracce (ad eccezione di qualche comparsata televisiva) all'indomani della sua elezione del 2009, fiuta l'osso e vi si avventa famelica:  «È estremamente pericoloso associare gli attentati alle sedi di Equitalia a un giudizio di disumanità nei confronti del sistema esattoriale». E continua: «c'è sicuramente più di una riflessione da fare su Equitalia, ad esempio sui tassi di interesse raggiunti dalle cartelle esattoriali, sulla messa all'asta delle prime case o sull'impossibilità per le imprese di compensare debiti e crediti con lo Stato. Ma da qui ad accreditare in modo strisciante il concetto che gli attentati dinamitardi sono un fenomeno da capire corre la stessa distanza che c'è tra la protesta civile e il lancio delle molotov».
Un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Chiunque si renderà conto di quanta ipocrisia sia compendiata in queste frasi e  in quale grossolano equivoco si voglia trascinare la pubblica opinione, utilizzando espedienti  propagandistici più tipici di un regime autoritario che di una forza progressista. 
Così chi prende a cuore le battaglie civili, come quella di un fisco più equo, a cui evidentemente il Pd deve aver rinunciato, è da considerare se non alla stregua di un terrorista almeno un suo fiancheggiatore.
E chi si oppone alla Tav, componente di un movimento di popolo di migliaia di persone che abbraccia le maggiori culture politiche e diversi territori del nostro paese, non è un cittadino con le sue sacrosante ragioni ma un attentatore della sicurezza nazionale.
Quale involuzione culturale sia in atto ormai da tempo nel partito democratico è quindi sotto gli occhi di tutti.
Con tutta la solidarietà che si deve dimostrare alle vittime degli attentati ad Equitalia, la questione sollevata da Beppe Grillo è socialmente rilevante, come poche settimane fa una bella puntata di Presa Diretta  ha denunciato in modo cristallino.
Ignorarla o, peggio, criminalizzare chi se ne fa interprete è non soltanto miope e sleale, ma politicamente fallimentare.
D'altra parte prima del graffiante intervento di Beppe Grillo, nessuno nel Pd si era sentito in animo di far sentire la propria voce a difesa dei contribuenti onesti, magari semplicemente eccependo qualcosa sulle modalità disumane adottate da Equitalia per la riscossione dei tributi.
Dei tanti drammi di vita quotidiana, dalla disperazione dei lavoratori licenziati che si issano sulle torri al pensionato che ruba nel supermercato per sopravvivere, dall'imprenditore che si uccide perché non riesce più a pagare (assieme ai debiti) i suoi dipendenti, alle stesse vittime incolpevoli della guerriglia contro Equitalia,  dai contribuenti ridotti sul lastrico da procedure medievali e arcigne per mano di un fisco strabico, dagli innumerevoli caduti sul lavoro ai mille soprusi che stritolano il cittadino per la dilagante ingiustizia sociale... Sembra che di tutto ciò il Pd non si interessi più.
Prima impegnato a combattere Berlusconi sul piano personale (ma non la sua politica!), adesso preoccupato a tempo pieno a sostenere Monti per raggiungere l'agognato pareggio di bilancio.
Insomma, una forza politica conservatrice, elitaria e autoreferenziale, lontana anni luce dalla sua gente.

PS: un breve sguardo ai commenti in rete lascia pochi dubbi su quale sia l'opinione prevalente, tra coloro che condividono nella sostanza l'intervento di Grillo e chi invece ne prende le distanze, travisando le sue parole in senso, diciamo così, "criminogeno". Come fanno, del resto, i principali giornali, tutti schierati (sin dalla titolazione che danno alla querelle) a pensar male.
Ma, ben oltre il bagno di realtà che invita a fare Beppe, in giro c'è parecchia gente che ha posizioni veramente estreme e per certi versi inquietanti.
Ignorare tutto ciò, rinchiudendosi nel Palazzo d'Inverno come anche questa volta fa la Casta con la complicità dei  media di corte, è veramente da irresponsabili.

martedì 20 settembre 2011

La tenaglia Pd-Pdl contro il meteorologo Luca Mercalli di 'Che tempo che fa'

Per capire lo stato tragico in cui versa il nostro Paese, stretto in una morsa mortale dagli oligarchi del Pd e del  Pdl, basta rivedere l'inizio della trasmissione inaugurale della nuova stagione televisiva del programma 'Che tempo che fa' di Fabio Fazio, andata in onda domenica sera.
Sono bastate le semplici parole pronunciate dal meteorologo Luca Mercalli, indignato per l'arresto, protrattosi da più di dieci giorni, di due attiviste del movimento No Tav semplicemente perché trovate in possesso di mascherine (di quelle che si trovano normalmente in commercio per evitare di respirare i vapori della vernice), per far scattare inesorabile l'offensiva dei berlusconiani di destra e di sinistra, ancora una volta tutti insieme appassionatamente.
Inaspettatamente, si fa per dire, i più infuriati sono proprio quelli del Pd con argomentazioni alla Gasparri, a riprova ancora una volta che, come non si stanca mai di ripetere Beppe Grillo, Pd e Pdl sono le facce di una stessa medaglia: quella della partitocrazia, che sta divorando il nostro Paese, politicamente, moralmente ma anche economicamente, intaccandone persino la sua stessa identità, culturale e ambientale. 
Sentite che cosa dichiara, Giorgio Merlo, deputato del Pd e vicepresidente della Commissione di Vigilanza Rai:
"Anche per Fazio dovrebbe valere il principio che la propaganda aperta deve essere più contenuta, almeno quando si toccano temi delicati. Siamo contenti della permanenza in Rai di Fazio, ma ci chiediamo se la propaganda contro la Tav sia un modello di giornalismo da servizio pubblico" .
Mentre il suo collega di partito Stefano Esposito urla: "Ora Fazio dovrebbe invitare gli agenti feriti o gli operai del cantiere minacciati. Non è possibile che Mercalli faccia l'avvocato dei No-Tav con i soldi dei contribuenti."
Ci domandiamo che idea hanno di servizio pubblico costoro, improvvisati portavoce di un partito, il Pd, che di democratico nei loro intendimenti, chissà deve mantenere a malapena il nome.
Forse quello rappresentato dalla Rai attuale, dove mentre Augusto Minzolini e Giuliano Ferrara fanno il bello e cattivo tempo sulla Rete Uno, avendo licenza di dire tutto quello che gli passa per la mente da autentici pasdaran di Silvio Berlusconi, vengono soppresse le poche voci ancora fuori del coro, si cancella in silenzio la bellissima e popolarissima trasmissione della brava Emanuela Falcetti su RadioUno 'Italia Istruzioni per l'uso', si rende a Milena Gabanelli ed alla sua troupe di 'Report' la vita sempre più difficile, si condannano all'ostracismo Marco Travaglio e Michele Santoro (per non parlare del cordone sanitario alzato da vent'anni nei confronti di Beppe Grillo!), si liquida senza tante spiegazioni la satira di Serena Dandini.
Ma facciamo ripetere a Mercalli ciò che di scandaloso avrebbe detto nel salotto di Fazio:
"Ho detto che da cittadino sono indignato dal fatto che due donne, incensurate, siano in carcere per porto abusivo di maschere antigas. Ma poi quali maschere: sono filtri da verniciatore che si vendono nelle ferramenta. Una cosa non tollerabile in un paese civile. Sarebbe forse il caso di uscire da questo squallido teatrino delle ragioni di ordine pubblico, delle botte e dei lacrimogeni per tornare a parlare del merito."
Parole che solo il pregiudizio può interpretare come una difesa anti Tav ma si rivelano di assoluto buon senso e che chiunque sottoscriverebbe, a meno che nella Rai, come è purtroppo ormai da ritenere, il comune buon senso sia stato messo al bando e trasformato in un che di eversivo.
Il piddino Stefano Esposito, uno dei tanti carneadi  mandati in Parlamento grazie alla legge elettorale di Calderoli, non dovrebbe ignorare che la trasmissione di Fabio Fazio è uno dei fiori all'occhiello della Rai, grazie alla cui raccolta pubblicitaria l'azienda di viale Mazzini riesce a rimpinguare le proprie esauste casse: molto meglio, cioè, che se fosse a costo zero!
Dire che Mercalli fa l'avvocato dei No Tav a spese del contribuente non solo è una menzogna, peggio, è un'idiozia!
Cercare poi, anche semplicemente sul piano del paradosso retorico, di mettere i poliziotti contro gli abitanti della Val di Susa, quasi che la polizia debba coprire le responsabilità amministrative di una classe politica e di governo  al tracollo e che rifugge le occasioni di confronto pubblico a sostegno della bontà di quel progetto, è un'operazione scellerata. 
Ma finché si ritroverà inopinatamente al proprio fianco questa nutrita pattuglia di berluschini nel Pd, Berlusconi, a dispetto dell'esecrazione e del discredito globale, avrà facile gioco a restare a Palazzo Chigi, incurante dello spread BTP- Bund, da giorni sull'orlo dell'abisso.

giovedì 15 settembre 2011

Finalmente l'opposizione ha trovato il suo leader: è Manuela Arcuri!

Finalmente l'opposizione ha trovato il leader che alle prossime politiche del 2013 potrà sfidare vittoriosamente Silvio Berlusconi per la carica di Presidente del Consiglio: è Manuela Arcuri, la show girl che, raccontano le ultime notizie, avrebbe rifiutato le avances di Silvio Berlusconi rinunciando persino alla conduzione del Festival di Sanremo.
Da quanto trapela dall'inchiesta della procura di Bari, l'attrice e modella trentaquattrenne di Latina, addirittura non avrebbe ceduto alle pressioni di Gianpi Tarantini che, secondo i pm,  «la indusse a prostituirsi in favore di Silvio Berlusconi con la promessa che lo stesso l’avrebbe favorita per la conduzione del festival di Sanremo, non riuscendo a portare a termine il suo proposito a causa del rifiuto opposto della stessa».
Di fronte ai tentennamenti dei sepolcri imbiancati del Partito democratico, Veltroni, D'Alema, Fassino, Violante, che in passato hanno flirtato a lungo con Silvio Berlusconi finendo per progettare con lui pure la riforma costituzionale (la famigerata Bicamerale del compagno Max), Manuela Arcuri ha una faccia nuova,  per di più sexy e dolce, e non ha nulla che fare con la generazione degli incanutiti ex quarantenni comunisti che tanti guai hanno procurato alla sinistra italiana. 
Ancora, è l'unica persona che, a memoria d'uomo e con la sola eccezione della Bindi, abbia opposto un secco no alle pretese del Cavaliere e che lo può distruggere proprio sul terreno in cui quelli del Pdl sembrano dannatamente ferrati: quello delle belle donne.
E tutto questo ci sarebbe stato servito involontariamente su un piatto d'argento proprio dall'entourage di  Berlusconi, poco dopo aver detto della Cancelliera tedesca Angela Merkel che è una 'culona': che cosa si può volere di più??
Con conseguenze politicamente letali per l'uomo di Arcore: se il Cavaliere dicesse che l'Arcuri non gli piace come sfidante, nessuno gli crederebbe neanche per un  istante e tutti penserebbero che fa come la volpe con l'uva.
Inoltre, la Arcuri ci farebbe risparmiare la rottamazione di Matteo Renzi, un anno e mezzo di baraonda elettorale nel Pd e il tradizionale scambio di pugni tra D'Alema e Veltroni e... soprattutto la farsa delle Primarie tra i soliti noti.
Compagna Manuela, salvaci tu:  facci 'o miracolo


domenica 20 giugno 2010

Vertenza Pomigliano: il PD ha detto sì!

Non è un mistero che il Partito Democratico perseveri nel miracolo di perdere ulteriormente consensi, malgrado Silvio Berlusconi stia in caduta libera nei sondaggi da settimane.
E’ vero: in un sistema bipolare che maggioranza e opposizione calino entrambi sembra un paradosso prima ancora della matematica che della politica.
Ma farsene una ragione non è difficile. Il tutto si spiega, accanto alla disastrosa condotta del governo del Pdl, con un’opposizione del Pd assolutamente inaffidabile, povera com’è di cultura, di idee e di coraggio.
La riprova di ciò è rappresentata dall’ultima uscita del suo segretario, Pierluigi Bersani, ai microfoni di Radio anch’io, venerdì scorso.
Il notista politico Stefano Folli gli chiede un chiarimento sulla vertenza Pomigliano: "Ha detto sì sostanzialmente all’accordo con riserva. Questo sì con riserva non si presta un po’ a qualche ambiguità? Che cosa esattamente intende con questo sì con riserva?"
Gli risponde Bersani:
"Intendo questo: che tutti quanti, politici, sindacalisti, commentatori, eccetera, abbiamo detto e ripetiamo: Pomigliano è un caso particolare, per 2 motivi.
1° perché siamo di fronte per la prima volta in Europa ad un’impresa che rilocalizza, venendo dalla Polonia in Italia, caso veramente singolare e anche auspicabile e auspicato;
2° perché Pomigliano è uno stabilimento che ha una vicenda, ecco, con un eufemismo dirò… 'complessa'. No? Abbiamo dei dati, storici, di quello stabilimento che ne fanno una particolarità del caso italiano.
Quindi, la soluzione che è stata trovata e che avrà il voto dei lavoratori, che si pronunceranno e che va rispettato e che io mi auguro sia in condizioni di preservare l’operazione d’investimento, quindi questo è chiaro!...
Io chiedo solo che non venga questa soluzione venduta come soluzione di modello, perché l’accordo presenta alcune delicatezze quanto a diritti fondamentali, delicatezze che secondo me possono essere tranquillamente riassorbite, insomma, nel tempo se non ne facciamo un fatto ideologico, emblematico, modellistico e andiamo alla sostanza: i 18 turni, la riduzione dell’assentesimo… perché ci vuole!…il rispetto di decisioni quando si devono fare i sabati… e così via.
Però si sono toccati dei tasti che è opportuno sdrammatizzare e non impancare ad un modello. Ho sentito qualche voce dal lato del governo che mi ha preoccupato un po’… Tutto qua!
Quindi, molto pragmaticamente, credo che la cosa possa essere affrontata in via positiva."


Traduzione dal bersaniano: siamo favorevoli all’accordo, ma poiché lede diritti fondamentali dei lavoratori, abbiamo la necessità di avere le spalle coperte sul piano mediatico. Se qualcuno del governo ne vuole fare una bandiera ideologica, siamo preoccupati. Ma se non ci pestano i piedi di fronte all’opinione pubblica, non ci sono problemi.

Il cerchiobottismo all’ennesima potenza, per arretrare sui diritti di chi, i lavoratori, il Pd dovrebbe in qualche modo rappresentare, come ricorderà dopo il suo leader.
Successivamente, un ascoltatore interviene nella trasmissione e pungola Bersani ad essere più esplicito:"Come mai il silenzio-assenso del PD su Pomigliano?"
Ecco l’impareggiabile risposta del segretario:
"Ma non è proprio un silenzio… è un assenso sul fatto che in una situazione come quella, non si può comunque perdere un investimento e non si può dire no ad un atto che, se verrà rispettato, se verrà rispettato, per la prima volta porterà, ripeto, una fabbrica dalla Polonia in Italia.
Poi c’è stata una forzatura: io dico assorbiamo questa forzatura, con il tempo. Assorbiamola! Vediamo i lavoratori cosa dicono, cerchiamo nei mesi prossimi di ricomporre un po’ le situazioni che si sono slabbrate, si sono rotte.
Quindi, attenzione: non è che non abbiamo orecchio a ‘sto problema. Il Partito Democratico è il partito del lavoro, è il partito delle grandi questioni sociali… non è che non abbiamo orecchio! Abbiamo cultura, abbiamo sensibilità. Dobbiamo darci più presenza, dobbiamo essere più convinti di questo, darci più organizzazione, più presenza ma… non dubiti l’ascoltatore, noi siamo quelli lì."

Quali? Quelli che non riescono neppure a difendere i diritti dei lavoratori sanciti dalla Costituzione?
E’ in questa risposta, plasticamente, la crisi d’identità del Partito democratico: un partito che dimentica le proprie radici, se non per sacrificarle sull’altare di una competitività di cui ignora culturalmente il significato attuale. L’importante è che ciò avvenga nel silenzio complice dei media.
Un partito di impreparati, che hanno un’idea ottocentesca delle relazioni industriali, convinti come il segretario Bersani, che l’assenteismo in fabbrica si combatta sic et simpliciter... non pagando ai lavoratori l’indennità di malattia!
Probabilmente Bersani non ha la minima idea di cosa siano i circoli di qualità e di un modello di organizzazione del lavoro che ha fatto la fortuna di tante multinazionali dell’innovazione di prodotto.
Anche lui è convinto che l’industria italiana debba inseguire i cinesi, piuttosto che i tedeschi o i giapponesi, nel produrre a costi sempre più bassi prodotti di scarso contenuto tecnologico.
Anche a costo di tornare alle relazioni industriali di 100 anni fa. E di caricare la crisi economica e i danni della globalizzazione sui soli lavoratori.
Se i cavernicoli dirigono l’opposizione, è evidente che la crisi in Italia si stia drammaticamente avvitando su se stessa e che gli italiani non sappiano più a che santo votarsi.

martedì 30 marzo 2010

Mentre il PD rantola, vola il Movimento 5 Stelle!

Tutti adesso stanno a celebrare la vittoria del centrodestra in questa tornata elettorale: 7 a 6 il risultato delle Regionali a favore del centrosinistra. Ma si partiva da un precedente 11 a 2!
Il centrosinistra regge, a fatica, solo nelle regioni un tempo chiamate rosse.
A destra, la vittoria è certamente targata Lega ed ha soprattutto un nome e cognome, Luca Zaia, ministro dell’agricoltura del governo Berlusconi che, con il suo 60% dei voti, proietta il suo partito al vertice della regione Veneto.
Il nuovo doge di Venezia si è meritato sul campo questo successo conducendo una battaglia per la valorizzazione dei prodotti tipici dell’agricoltura italiana contro gli appetiti dei colossi dell’agroindustria e rappresentando un argine alla diffusione degli ogm: insomma, un politico anomalo per il centrodestra.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali, certamente la vittoria della Lega in tutto il nord diventa una spina nel fianco per Berlusconi: ne vedremo delle belle!
Il vero flop è rappresentato ancora una volta dal Partito Democratico, destinato ad implodere lentamente, diretto così com’è da una banda di incapaci.
Non sono bastati in sequenza i Fassino, i Veltroni, i D’Alema; anche il nuovo corso di Pierluigi Bersani va in rotta di collisione con il buon senso.
E per fortuna Niki Vendola, sfidando in Puglia in condizioni impossibili il satrapo D’Alema, è riuscito a metterci una pezza: altrimenti il risultato generale per i democratici sarebbe stato addirittura tragico.
La fotografia di questa ennesima débacle, che finisce per rafforzare, guarda un po’, ancora una volta proprio Silvio Berlusconi, è rappresentata dall’esito elettorale del Piemonte; dove la candidata del centrosinistra Mercedes Bresso, conducendo una politica élitaria, del tutto sorda alle invocazioni della base (disgustoso l’atteggiamento tenuto da lei contro le proteste della TAV in val di Susa), ha perduto clamorosamente, a dispetto del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo che, con la candidatura di Davide Bono, supera i 90.000 voti.
Quella del movimento dei grillini è una grandissima e, lasciatecelo dire, bellissima novità nel grigiore della politica italiana. Un movimento, nato sulla rete e grazie alla rete, a cui i media nazionali non hanno dedicato il minimo spazio: figuriamoci!
Basti pensare che, nelle istruzioni al voto dei principali quotidiani nazionali (per non parlare delle televisioni!) i candidati del Movimento 5 Stelle, neppure comparivano!
Gravissima e totale disinformazione, nonostante i tanti soldi pubblici regalati all’editoria.
Adesso i giornali del centrosinistra piangono lacrime di coccodrillo, accusando Beppe Grillo di avere scippato la vittoria alla Bresso: posizione assolutamente settaria e demenziale che dimostra, una volta di più, come questo Partito Democratico e i suoi sponsor (gruppo L’Espresso – Repubblica) vivono ormai nel paranormale, totalmente estranei alla realtà, semplicemente inadatti come sono ad interpretare i bisogni della base che pure pretendono di rappresentare.
Base che si è stufata, una volta per tutte, di essere diretta da una nomenklatura senza ideali e senza passione, protesa solo a perpetuare i propri privilegi.
Lo avevamo detto, appena qualche settimana dopo il suo insediamento alla segreteria del PD: Pierluigi Bersani rischia di essere il commissario liquidatore di un partito nato senz’anima e con l’unico evidente obiettivo, non di contrastare il governo di Silvio Berlusconi (macché!), di tutelare gli interessi di un’oligarchia, vissuta da sempre alle spalle dei lavoratori.
Grazie, ragazzi del Movimento 5 Stelle che da soli siete riusciti, lottando a mani nude contro il duopolio PD–PDL, a far entrare nei palazzi della politica, da troppo tempo chiusi e polverosi, finalmente una ventata di aria fresca!
Da adesso in poi, la politica italiana non sarà più quella di prima.

domenica 7 febbraio 2010

La Casta demolisce lo stato sociale a pancia piena

La situazione economica italiana si fa di giorno in giorno più difficile ma la televisione dipinge un quadro tutto sommato rassicurante.
La disoccupazione sfiora ormai il 10%, in giro ci sono solo fabbriche che chiudono, pure il terziario scricchiola sotto i colpi di una recessione che ha inaridito le fonti di reddito per decine di milioni di persone.
Il deficit pubblico è di nuovo fuori controllo, il debito pubblico ha raggiunto il livello più alto di sempre, il 120% del PIL, ovvero 1.800 miliardi di euro: una cifra stratosferica.
Qualcuno si consola pensando che se Atene piange, Sparta non ride: perché la Grecia è a rischio default finanziario, la Spagna si dibatte in grave difficoltà, il Portogallo è alle corde.
Ma subito dopo c'è proprio l’Italia di Berlusconi, che fa finta di niente anche se non naviga in acque tranquille. A peggiorare il quadro, la politica deflazionista del ministro Tremonti che finisce per amplificare il ciclo economico recessivo, ampliando la portata della crisi.

Emblematico è il taglio alla scuola che, spacciato sui media per riforma epocale, mette le mani in tasca agli insegnanti già maltrattati e vilipesi, riducendone migliaia alla canna del gas.
Tutto ciò, senza che sulla stampa se ne faccia il minimo cenno.
Operai, insegnanti e buon parte della classe media vengono inesorabilmente trascinati nell’abisso della disperazione e della miseria, mentre la Casta si occupa a tempo pieno di ben altre faccende.
La fotografia simbolo di questo difficile passaggio è stata scattata di fronte a Montecitorio pochi giorni fa, quando i dipendenti sardi dell’ALCOA, multinazionale dell’alluminio, approdati in continente, protestavano contro la chiusura del loro stabilimento supplicando l’intervento del governo, mentre nel Palazzo la Casta discuteva, imperturbabile, di LEGITTIMO IMPEDIMENTO!
Ma che razza di paese è quello in cui un’oligarchia parassitaria vive alla grande, facendo finta di niente, mentre buona parte della popolazione affronta in solitudine i morsi di una crisi di sistema, di cui non è dato vedere la fine?
Se dal PDL, il partito-azienda del Cavaliere, non ci si può aspettare nulla di buono, fa cadere le braccia l’assoluta insipienza di un Partito Democratico che assiste impassibile alla destrutturazione dello stato sociale, senza muovere un dito.
Dopo aver girato la testa dall’altra parte sui tragici fatti di Rosarno, dove si è passati in poche ore da un vergognoso regime di schiavitù a scellerate azioni di pulizia etnica contro gli immigrati, il PD ciurla nel manico di fronte alla vertenza Fiat, alla vendita di Telecom agli spagnoli, alla decapitazione di scuola e università, all’assoluta mancanza di una politica industriale da parte del governo di centrodestra.
Ma alza la voce per sostenere l’Alta velocità in Val di Susa: ovvero accetta di tagliare i soldi a scuola e università pur di non far mancare risorse per la TAV.

Chissà se tra vent’anni ed un sicuro scempio ambientale, le mozzarelle (come direbbe Beppe Grillo) potranno viaggiare veramente a 300 chilometri all’ora!
Bersani farfuglia senza convinzione anacoluti di cui non è più in grado di spiegare il senso: eppure dovrebbe aver capito la lezione della Puglia, dove la gente ha sbattuto la porta in faccia al satrapo D’Alema, pervicace assertore che la politica sia in fondo un’eterna partita a scacchi.
La vittoria di Niki Vendola alle primarie democratiche dimostra una volta di più che, nonostante la sua intelligenza, Max D'Alema è il politico più perdente che la sinistra italiana possa annoverare da cinquant’anni a questa parte, meritevole di un posto nel consiglio di amministrazione di Mediaset, piuttosto che di un seggio in Parlamento.
Non a caso è stato nominato, subito dopo lo schiaffo pugliese e con i voti determinanti del centrodestra, presidente del comitato di controllo sui servizi segreti: il massimo traguardo per il Rasputin di Gallipoli.
Per chiudere in bellezza, ecco cosa proponeva lo chef quella mattina in Parlamento per il pranzo della nostra Casta, come sappiamo impegnatissima a legiferare sul legittimo impedimento del premier, mentre lì davanti al freddo i manifestanti mettevano sì e no sotto i denti un panino:

Antipasti
Pesce spada in carpaccio sul letto di songino al pepe rosa € 3,32
Seppie stufate al prosecco con polentino al timo € 3,32

Primi del giorno
Tagliolini all’astice con julienne di zucchine € 3,32
Gnoccchetti di patate con gorgonzola e lamelle alle pere € 1,59

Secondi del giorno
Filetti di rombo al forno in crosta di mandorle € 5,20
Straccetti di manzo ai fughi porcini con riduzione all’aceto balsamico € 5,20
Spigolette di Orbetello alla griglia € 5,20
Lombatina di vitello ai ferri € 3,53

*: foto tratta da tg24.sky.it

domenica 3 gennaio 2010

Il nuovo triangolo di Tartaglia

Dall’episodio di Piazza Duomo del 13 dicembre al discorso di Capodanno del Capo dello Stato ne è veramente passata tanta di acqua sotto i ponti.

Innanzitutto, abbiamo visto la nascita del Partito dell’Amore, ultimo riuscito brand del Pdl. Così i Gasparri, i Cicchitto, i La Russa, sono d’improvviso seguaci di un’organizzazione politica che nata come partito-azienda, è diventata grazie al gesto insano dello psicolabile di Milano, una setta religiosa che predica la pace, la povertà (altrui), la tolleranza, l’amore verso il prossimo…
Che poi additi in Parlamento come propri nemici i Santoro, i Di Pietro, quel "terrorista mediatico" di Marco Travaglio è semplicemente un dettaglio, anzi una malevola allusione alle parole amorevoli, addirittura appassionate, pronunciate dall’ex piduista Fabrizio Cicchitto che intendeva, con quel felice discorso, semplicemente denunciare il clima d’odio messo su dall’opposizione a cui voleva, nonostante tutto, tendere una mano e invitare alla riflessione quanti ancora si ostinano a non riconoscere la statura (istituzionale) del premier.
Così ci tocca assistere da oltre venti giorni ad una rassegna della politica italiana intrisa di buoni sentimenti, di parole d’ordine come apertura al dialogo, toni smorzati, clima più sereno, avvio di un percorso condiviso di riforme.
La ciliegina sulla torta è stata la lettera di auguri natalizi inviata al Papa per il tramite del cardinale Tarcisio Bertone dal fervente cattolico Silvio Berlusconi che, in un passo, così lo rassicura:
"Posso confermare che i valori cristiani testimoniati dal Pontefice sono sempre presenti nell’azione del Governo da me presieduto, che adotterà tutte le misure necessarie per garantire la serenità e la pace sociale."

Che cosa pretendere di più?
Siamo governati non solo da un grande imprenditore, vittima incolpevole dell’odio comunista, ma anche da un uomo timorato di Dio, che osserva con scrupolo missionario i dieci comandamenti, per giunta benefattore degli Italiani.
Il resto, come direbbero all'unisono Marcello Dell'Utri e l'Augusto Minzolini del TG1, sono tutte minchiate.
A questo punto, come non sfruttare questa fortunata congiunzione astrale, per fare le riforme istituzionali?
Quando mai ritroveremo nella Storia un tal Uomo che possa accompagnare per mano l’umbratile Italia?
Intanto, cogliendo l’occasione di un Parlamento ancora in vacanza, si riabilita un Padre della Patria: l’esule Bettino Craxi da Hammamet.
Sì, proprio lui, stiamo parlando del filosofo della nuova Città del Sole: Tangentopoli.
Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, in procinto di intitolargli una via o un parco, ne vuole celebrare in pompa magna la memoria: nel frattempo, lo equipara giustamente a Giordano Bruno e a Giuseppe Garibaldi.
Più pacatamente, come è ormai uso lessicale dei Democratici dopo il contributo decisivo della segreteria di Walter Veltroni, Piero Fassino ne esalta la figura di piccolo Davide che osò sfidare i due Golia politici, Democrazia cristiana e Partito comunista:
"Non ci sono dubbi. Craxi è stato un politico della sinistra, nel solco della storia del socialismo riformista. Ha rivitalizzato il Psi, ha intuito prima di altri quanto l’Italia avesse bisogno di una modernizzazione economica ed istituzionale, su questo sfidò due grandi forze come la Dc e il Pci ed avvertendo il rischio di non farcela, non sfuggì alla tentazione di un alleanza con i poteri forti, come la P2 di Gelli, terreno sul quale è maturata la degenerazione e la corruzione".
Un ragionamento, il suo, frutto di una analisi politica acutissima: nessuna sorpresa se, alle celebrazioni per il decennale della scomparsa del Nuovo Eroe, lo dovessimo vedere sfilare a fianco del Venerabile mentre si autoflagella ai piedi del mausoleo di Hammamet.
Ma il segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani, non commenta.
Sono ormai oltre due mesi che, preso troppo sul serio l’invito del presidente Napolitano ad abbassare i toni, ha persino azzerato il volume: tace.
Qualcuno vede nel suo immobilismo l’aplomb tipico di un amministratore di condominio; e continuando così ancora per qualche giorno, mentre in Puglia e Lazio il partito si dilania nel non scegliere i candidati alle prossime Regionali, ne diventerà a pieno titolo il commissario liquidatore.
Infine, Massimo D’Alema, grazie al suo proverbiale fiuto che ne fa da sempre il politico italiano più intelligente e perdente, spinge i suoi a cercare ad ogni costo l’accordo per le riforme con il grande costituzionalista Silvio Berlusconi, ricevendo l’assenso a reti unificate del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Che, tuttavia, nel messaggio di fine anno si è dimenticato di fare ammenda dell'errore compiuto nel luglio 2008 per aver promulgato su due piedi il palesemente incostituzionale lodo Alfano, poi cassato senza mezzi termini dalla Suprema Corte nello scorso ottobre.
Ma a questo punto siamo tutti sollevati di morale.
Perché agli albori del 2010, forse proprio a causa dell'esecrabile gesto di Massimo Tartaglia, il folle teppista del Duomo, si respira un clima diverso tra il presidente Giorgio Napolitano, il premier Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani (alias Massimo D'Alema).
Che si stia disegnando un nuovo triangolo nel firmamento finora plumbeo della politica italiana?

martedì 8 dicembre 2009

Il Partito Democratico: Così è, se vi pare!

La grande manifestazione autorganizzata del No B Day del 5 dicembre ha ormai messo in chiaro alcune cose, dalle quali non si può prescindere per sondare gli scenari futuri della politica italiana.

L’onda lunga contro il governo presieduto da Silvio Berlusconi sta salendo rapidamente: il malessere sociale aumenta a vista d’occhio e sentire in televisione i suoi avvocati parlamentari architettare l'ennesimo colpo di spugna per i suoi guai giudiziari, non solo è un’offesa all’intelligenza degli italiani; prima ancora è uno schiaffo alla loro oggettiva condizione di difficoltà economica.

Il processo breve (sarebbe meglio dire nullo) è un’idea così idiota che anche il più inetto dei politici si accorgerebbe all’istante che patrocinare una legge del genere, senza garantire ai magistrati condizioni e strumenti di lavoro adeguati a realizzare in concreto un obiettivo tanto ambizioso, significherebbe legare il proprio nome ad una demenziale mascalzonata.
Pertanto, tra i suoi fidi scudieri, è iniziato il tocco per decidere chi la deve firmare...
Un umile suggerimento. Gli avvocati del premier siano ancora più drastici: che i tre gradi di giudizio si concludano non in sei anni ma in una settimana… e d’incanto, tra sette giorni, la giustizia italiana si sarà sbarazzata di tutto l’arretrato (lasciando le vittime al loro destino e i delinquenti in libertà... ma queste sono sottigliezze!).
Il migliore dei mondi possibile per il compianto Al Capone.
Infatti, se per reggere alle eccezioni di incostituzionalità sulla uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, verranno fatti rientrare nel processo nullo anche i reati di mafia e terrorismo, Spatuzza & gli altri mammasantissima saranno finalmente tacitati: e, ne siamo sicuri, alla chetichella le porte del carcere si apriranno finalmente anche per loro.

Di fronte a questo disastro politico, giudiziario, sociale, economico ed etico, che muove centinaia di migliaia di persone ad inaugurare il ponte dell’Immacolata sulle strade di Roma, non per lo shopping natalizio, ma soltanto per gridare ai quattro venti che il re è nudo, la risposta del Partito democratico è assolutamente inesistente.
Sabato a Roma si sono visti sfilare politici di primo piano del PD, come la presidente Rosy Bindi, ma il segretario Pierluigi Bersani se ne è tenuto fuori, perché rivendica lui, non ci si imbuca nelle manifestazioni degli altri.
Certamente come amministratore di condominio il suo ragionamento non fa una piega ed avrà una luminosa carriera: se ci sono schiamazzi notturni, siano gli inquilini insonni a chiamare il 113, non di certo lui che vive da un’altra parte!

E’ surreale, l’unico grande partito di opposizione in Parlamento si dichiara attualmente non interessato ad opporsi al governo del Cavaliere ed al Cavaliere in persona.
Ma lasciare 300-400mila persone abbandonate a se stesse in piazza San Giovanni e milioni di altri a masticare amaro tra le mura domestiche di sabato sera, non è un suicidio politico?
Per l’amministratore pro-tempore Bersani, così va il mondo
Siamo all'inverosimile che pure Se po’ ffà Veltroni, di fronte all'immobilismo di Bersani, un vero letargo, si sia scoperto improvvisamente movimentista.
Neppure il grande Pirandello avrebbe potuto immaginare un esito congressuale così bislacco e disperante: perchè qui la montagna del PD non ha partorito un topolino, ha optato direttamente per l’interruzione anticipata di gravidanza!
Colui che ha fatto dell’accordo strategico con Berlusconi la cifra della sua stagione politica (e che per questo, neanche un anno fa è stato dimesso dai suoi), proprio Walter Veltroni, si trova adesso a tuonare contro il neosegretario, reo di essere ancora più mozzarella di lui.

Pare ovvio che, in questo penoso stato di cose, senza avere un’alternativa politica semplicemente dignitosa e minimamente credibile, Silvio Berlusconi continuerà a fare il bello e il cattivo tempo ancora a lungo.

giovedì 26 novembre 2009

Il letargo del neosegretario del PD

E’ trascorso un mese dall’affermazione alle primarie democratiche di Pierluigi Bersani a segretario ma possiamo dire onestamente di non essercene accorti.
Tutto tace, come se nella segreteria del PD si dormisse della grossa, per recuperare forse le energie spese in precedenza nel wrestling ingaggiato con Dario Franceschini.
Insomma, non disturbate il manovratore, perché sta riposando.
L’unica cosa che ci ha fatto sapere in queste settimane è che il PD non parteciperà il 5 dicembre al No B day, la giornata di mobilitazione indetta dalla società civile contro il premier.
Ci saranno tutti, tranne lui: perché "non accettiamo lezioni da nessuno!".
Bravo, bravissimo, grande prova di temperamento!
Va a finire che tra un po’ ci toccherà rimpiangere pure Se po’ ffà Veltroni...
Nel frattempo Roma brucia, con la questione morale che sta degenerando in problema di criminalità organizzata.
Mentre i collaboratori di giustizia fanno tremare il Palazzo ridisegnando la stagione delle stragi di mafia del '92-'93, la Casta impedisce l’arresto del sottosegretario Nicola Cosentino, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Con i voti decisivi della Lega.
Vi ricordate quando la Lega Nord attaccava Roma Ladrona? Bei tempi quelli... Ormai il partito di Bossi ha cambiato pelle e ne è diventato uno dei più strenui difensori.
Intanto Luciano Violante del PD, in diretta nello studio di Ballarò, fa strani discorsi, prospettando al ministro Angelino Alfano la soluzione di tutti i problemi del suo capo, mentre i militanti democratici restano impietriti davanti alla televisione.
E Bersani? Cosa starà pensando?
Quel brav’uomo, rinfoderato il suo orgoglio, è caduto in letargo… Ecco perché il 5 dicembre non può scendere in piazza!

lunedì 12 ottobre 2009

Sempre più giù verso l'abisso

La settimana della sonora bocciatura del lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale si è conclusa nel peggiore dei modi.
Dopo gli attacchi contro tutto e tutti di Silvio Berlusconi, che ancora non riesce a smaltire la rabbia per aver perso l’immunità processuale, si profila una stagione politica gravida di pericoli.
Ormai il premier, abbassata la maschera che finora ne celava agli ingenui le reali intenzioni, è pronto a regolare una serie di conti che teneva evidentemente in sospeso.
Quirinale, Corte Costituzionale, Magistratura, Parlamento, stampa nazionale ed estera: nessuno dei poteri di una moderna democrazia viene risparmiato dalle sue ire.
Al Presidente Napolitano, a dispetto della sua eccessiva arrendevolezza al momento della promulgazione lampo della legge sull’immunità delle Alte cariche, Berlusconi, per il tramite del fido Vittorio Feltri dalle colonne de Il Giornale, gli rinfaccia di non aver saputo interagire con i giudici della Consulta, benché, è questa una indiscrezione dirompente, il testo di legge fosse stato scritto a quattro mani con i consulenti giuridici del Colle.
Se ciò venisse confermato, si dimostrerebbe come, nel tentativo di assecondare il soverchiante attivismo istituzionale del premier, Napolitano avrebbe travalicato il suo ruolo, finendo per uscire dal solco tracciato dalla nostra Costituzione.
E’ per questo che il Quirinale si è affrettato oggi a smentire seccamente tale ricostruzione che getta una luce inquietante sull’operato del Capo dello Stato, mettendone a rischio il suo ruolo super partes: una vera bomba mediatica, quella fatta deflagrare dal giornale della famiglia Berlusconi!
Inoltre, contro il potere giudiziario, sono già sulla rampa di lancio due siluri: la separazione delle carriere dei magistrati e il ripristino dell’immunità parlamentare.
A dimostrazione che il Cavaliere, nonostante i sondaggi sfavorevoli, messo alle strette se ne infischia ampiamente della pubblica opinione, già stressata per le sue intemperanze pubbliche e private.
Ormai il profluvio di invettive contro il singolo funzionario pubblico che incroci la sua strada, fosse solo per puro e semplice dovere d’ufficio, è tale che nessuna istituzione è in grado di sopportarne il peso.
Perché sono le istituzioni stesse ad essere sotto tiro.
E’ così che il Presidente della Repubblica, nonostante abbia mostrato sin troppo zelo nell’evitare ogni attrito con Berlusconi, viene comunque da questi accusato di slealtà.
Ma perché prendersela tanto per la bocciatura del lodo?
Allora avevano ragione quanti sostenevano che era l’ennesima legge ad personam per il Cavaliere!
Con la sua incontenibile ira, Berlusconi ha finito di nuovo per smentire se stesso.

Nessuna sorpresa nel constatare, però, che malgrado la bocciatura delle Corte, egli non ha la minima intenzione di dimettersi.
Irrita, piuttosto, che in queste ore la scalcinata opposizione del PD non abbia saputo dire altro, oltre esprimere una solidarietà rituale a Napolitano, che esortare Berlusconi ad andare avanti.
Dopo il poderoso aiuto sullo scudo fiscale, ecco nuovamente il PD pronto a tendergli la mano.
E la nomenklatura democratica ha pure la faccia tosta di chiedere alla sua base di andare a votare per le primarie!
Ma come, voi del PD non vi presentate in Parlamento a sfiduciare Berlusconi, adesso asserite pure che non deve dimettersi, e chiedete a noi cittadini di votarvi?
Possibile che non vi rendiate conto della distanza siderale che ormai vi separa dai vostri stessi elettori?

domenica 4 ottobre 2009

Scudo fiscale: la Casta tutta sorregge Silvio Berlusconi

Il modo con cui gli ambienti del Quirinale si sono affrettati a giustificare l’immediata promulgazione del decreto legge che contiene le norme sullo scudo fiscale tradisce il grave imbarazzo di spiegare all’opinione pubblica il perché di un passaggio istituzionale così impopolare.
A fronte dei mille gravi rilievi di un provvedimento che, nonostante le migliori intenzioni, oggettivamente favorisce gli interessi della criminalità organizzata mentre fa a pugni con la nostra Costituzione, la risposta che discende dal Colle appare perlomeno insufficiente.
Basterebbe ascoltare l’intervista rilasciata dal magistrato Roberto Scarpinato, della DIA di Palermo, ai microfoni di RaiNews24, per farsene un’idea.
Sconcertano sia i cosiddetti motivi tecnici che avrebbero indotto il Capo dello Stato a non avere esitazioni nell’apporre la propria firma, sia l’argomentazione da questi espressa informalmente ad alcuni cittadini nel corso della visita di Stato in Basilicata, secondo cui, anche astenendosene in questa occasione, egli sarebbe stato comunque costretto a farlo successivamente, qualora le Camere avessero di nuovo licenziato lo stesso testo.
Ragionamento perlomeno bizzarro: è vero che il capo dello Stato non ha un diritto di veto sulle decisioni del Parlamento ma, per l’art. 74 della nostra Costituzione, "può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata".
Ritenere invece che, nel processo di formazione delle leggi, il Presidente della Repubblica sia solo un passacarte, questo sì è lesivo della sua dignità e delle sue prerogative.
Perciò, ha ancora una volta ragioni da vendere Antonio Di Pietro nel sostenere che, di fronte ad un provvedimento che sana comportamenti gravemente illeciti garantendo a coloro che se ne sono macchiati l’immunità e l’anonimato, Giorgio Napolitano avrebbe dovuto rinviare il testo di legge alle Camere, separando quindi la propria responsabilità formale da quella, politica, del Governo.
Così non è stato ma, in fondo, da questo presidente non ci si poteva attendere nulla di diverso. L’amara esperienza maturata dall’anno scorso con l’immediata promulgazione del lodo Alfano e, quest’anno, con il varo del pacchetto sicurezza, non lasciava adito a dubbi.
E’ convinzione da tempo maturata da alcuni osservatori che l’ex comunista Napolitano, nonostante il partito di Repubblica ne incensi quotidianamente l’opera, si collochi sul gradino più basso di un’ipotetica classifica degli inquilini del Quirinale. Il pur contestato Giovanni Leone, su cui si concentrarono a suo tempo sospetti e critiche anche ingenerose, fu almeno un fine giurista.

Ma, adesso, è tutta la Casta dei politici di Pdl, Lega, Udc e Pd ad essere messa sotto accusa.
La legge sullo scudo fiscale ha mostrato, inoppugnabilmente, l’assoluta inconsistenza dell’opposizione espressa dal Partito democratico: il decreto è passato con 270 sì contro 250 no.
Solo venti voti hanno, cioè, separato una maggioranza che sulla carta disponeva di ben altri numeri da una minoranza in cui si sono registrati addirittura 29 defezioni!
E non era una delle tante votazioni di commissione: il governo di centrodestra aveva posto la fiducia e, con l’eventuale bocciatura dello scudo fiscale, si sarebbe potuta sancire la fine dell’era berlusconiana e l’inizio di una stagione nuova per l’Italia.
Così non è stato, per colpa dei deputati di opposizione, 22 dei quali assenti tra le fila del Partito democratico.
Di fronte ad un passaggio istituzionale tanto delicato, che poteva rivelarsi storico, a nessuno doveva essere consentito di sottrarsi al solenne rito del voto; neppure per ordinari motivi di salute.
Infatti, l’unico motivo plausibile per cui chi rappresenta gli elettori può godere di una sin troppo sterminata serie di privilegi è forse proprio perché le sue sono specialissime funzioni, da esercitarsi anche in frangenti particolari.
E’ paradossale che mentre l’ineffabile ministro Brunetta escogita per i lavoratori italiani in malattia un istituto molto simile agli arresti domiciliari, i parlamentari si prendano il lusso di astenersi da una votazione importantissima, per la quale il Governo ha imposto persino il voto di fiducia, per motivi risibili: a causa di una banale febbriciattola o, peggio, per sottoporsi ad accertamenti clinici di routine o, peggio di peggio, per recarsi ad una conferenza.
Poche illusioni, è la Casta tutta a sorreggere il governo di Silvio Berlusconi.

lunedì 21 settembre 2009

Una domanda alla Casta: ancora quanti morti per l'Afghanistan?

Si fa sempre più fatica a parlare di politica.
Perché quello che ci propinano da settimane i media, è tutt’altro.
E' un teatrino da basso impero dove il concetto stesso di democrazia viene stravolto sotto una cappa di segreti inconfessabili, avvertimenti, ricatti incrociati, e tutto imputridisce.
All’indomani del vertice con l’esterrefatto premier spagnolo Zapatero e di quell’incredibile conferenza stampa conclusiva, si è detto che Silvio Berlusconi appare più debole anche sulla scena internazionale proprio perché ricattabile.
Ma si tende a sottovalutare quale formidabile potere di ricatto lui stesso possieda e che lo rende di fatto inamovibile, anche qualora la Corte Costituzionale dovesse bocciare il lodo Alfano.
La nomina di Vittorio Feltri alla direzione del giornale di famiglia, Il Giornale, nel luglio scorso ha segnato per il Cavaliere l’inizio della campagna di autunno, con i risultati che tutti possono vedere: dopo il fango gettato addosso a Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, giornale della Conferenza episcopale, è stata la volta di Gianfranco Fini, destinatario di un chiaro avvertimento rivoltogli direttamente dalla prima firma del quotidiano a cui l’ex leader di AN non ha potuto che reagire con la querela.
Ma se il Pdl brucia, il Pd agonizza.
La campagna congressuale volge alla stretta finale con la già scontata affermazione di Pierluigi Bersani, candidato di Massimo D’Alema.
Dario Franceschini, segretario uscente, non ha i numeri per mettere in discussione questo risultato, con buona pace dell’ipersconfitto Walter Veltroni. E Ignazio Marino, l’unico dei tre che vanta una vera piattaforma politica, è troppo in ritardo per poter impensierire i duellanti.
La cosa paradossale è, comunque, che la lotta tra i due vada avanti senza nessuna reale divergenza politica: non li contrappongono differenze di programma; il loro antagonismo è alimentato solo dall’appartenenza a cordate diverse.
Ci si prepara dunque a celebrare un congresso senza affrontare nessuno dei nodi politici che hanno provocato il declino elettorale in questi anni dei Ds prima e del Pd poi.
Abbandonata in partenza l’ipotesi di proporre un modello di sviluppo per la società italiana alternativo a quello del centrodestra, ci si scontra solo su uomini e organigrammi.
Uno scempio del genere non era mai accaduto a sinistra: è il segno più evidente che tra il Partito democratico e il partito-azienda del Cavaliere, anche in questo caso, ci sono affinità sorprendenti.
Purtroppo, la vita istituzionale del nostro paese ormai va avanti non per la spinta delle grandi tradizioni culturali e politiche sorte con la Resistenza ma sulla base di un gioco al massacro costruito su personalismi e torbide trame.
Il comune cittadino viene abbandonato a se stesso, stritolato nelle sue aspettative e nei suoi problemi quotidiani da una lotta di potere che di democratico mantiene solo le forme.

Che una democrazia sospesa come la nostra possa poi essere di modello per altri paesi è una pietosa bugia.
Dispiace molto che altri sei soldati italiani abbiano dovuto sacrificare la propria vita soltanto per consentire all’Italia di accomodarsi su uno strapuntino al tavolo dei Grandi.
Alle loro famiglie va tutto il nostro cordoglio e la solidarietà.
E’ giunto, però, il momento che la Casta, al gran completo, si assuma tutta la responsabilità della spedizione militare in Afghanistan e, quindi, delle conseguenze nefaste di quella decisione.

Il partito di Repubblica, quello che detta di giorno in giorno la linea politica del Pd, si schiera apertamente per il proseguimento militare della missione italiana; il suo ideologo, Eugenio Scalfari, nel suo ultimo editoriale, la giustifica con una serie di argomentazioni che definire bislacche è eufemistico. Ripetute, però, ossessivamente dai media grazie al sostegno politico che ne danno all'unisono centrodestra e centrosinistra, appaiono ad un’opinione pubblica rassegnata come inscalfibili certezze.
Ne passiamo in rassegna qualcuna.
Per Scalfari discutere se quella afgana sia per l’Italia ancora una missione di pace o di guerra è solo un "rebus lessicale" (sic!), perché "le truppe Usa e Nato hanno lo stesso compito di combattere i terroristi e aiutare i civili a rientrare nella normalità della vita quotidiana. Una duplice missione di guerra e di pace. Che cosa c’è da chiarire?".
C’è solo da chiarire che quando le truppe Usa e quelle Nato agiscono sullo stesso terreno, non è facile distinguere chi opera in missione di pace e chi fa la guerra guerreggiata.
I bombardamenti dall’alto che colpiscono la popolazione civile sono un intervento di guerra o di pace?
Enduring Freedom degli Usa e Peace Keeping della Nato sono, si o no, due facce della stessa medaglia?
Già basterebbe questo a demolire l’utilità di un intervento che, nella confusione di sigle tra Nato e Usa, ci mette contro proprio la popolazione civile, che in linea di principio dovremmo soccorrere: una missione di pace che si appoggia sulle truppe Usa diventa giocoforza una missione di guerra.
Ma per la nostra Costituzione, questo non è possibile: o la costituzione materiale di Scalfari è un’altra?

Seconda leggenda metropolitana: discutere del ritiro delle truppe espone i nostri soldati ad un rischio maggiore perché i terroristi concentrerebbero gli attacchi su di loro.
Forse che i nostri 21 ragazzi caduti negli ultimi 5 anni su quelle montagne sono stati protetti dal fatto che l’Italia sarebbe rimasta a tempo indeterminato in quell’inferno?
Ci ammaestra poi Scalfari: "Il ritiro d’una forza militare da un teatro di operazioni non si annuncia mai; se si deve fare si fa e lo si dice dopo che il ritiro è avvenuto".
A parte il fatto che ciò non è vero (basti pensare il ritiro preannunciato da mesi dal presidente Barack Obama dei marines dall’Iraq), non bisognerebbe discuterne in qualche forma e sede ufficiale (non alla buvette di Montecitorio!)?
Ma Scalfari si avventura sconsideratamente in un terreno minato quando accosta la strage di Kabul con l’attentato di Via Rasella del 1944 ed il successivo eccidio delle Fosse Ardeatine.
E’ chiaro che non deve essersi reso conto che per difendere i bombardamenti Usa "mirati a colpire covi di terroristi" ma che causano molte vittime nella popolazione civile, negando che siano una forma di rappresaglia come lo fu, orrenda, quella nazifascista, egli avvicina incautamente i talebani ai nostri partigiani.
Se il decano dei nostri giornalisti prende un simile abbaglio, assiso comodamente alla scrivania del suo studio, è comprensibile che la martoriata popolazione civile afgana, sotto i martellanti bombardamenti Usa e Nato e le continue incursioni dei Talebani, possa essere un po' più confusa e vedere negli occupanti occidentali i principali nemici da cui difendersi.
E così i nostri ragazzi si ritrovano ad essere vittime inconsapevoli di un gioco pericolosissimo e molto più grande di loro.
Sarebbe il caso di andar via al più presto da quell’inferno difendendo, nei fatti e non con ipocrita retorica, i nostri militari e le loro famiglie.
A meno che non si convenga con Benito Mussolini quando, entrando in guerra nel giugno del 1940 a fianco di Hitler, dichiarò: "Mi servono alcune migliaia di morti per sedermi con pari dignità al tavolo della pace".

domenica 2 agosto 2009

Aspettando in autunno l'Anticasta...

Finalmente ci potremo dedicare, da adesso e fino a Ferragosto, ad altre attività più gratificanti che osservare i palazzi della politica.
Perché lo spettacolo che ci hanno mostrato in questi mesi si è fatto via via più deprimente: la casta non risente della crisi ed è in tutto affaccendata tranne che nel cercare di dare una mano ai suoi elettori, molti alle prese con difficoltà economiche senza precedenti, in un generale contesto di appesantimento del tenore di vita delle famiglie.
Centrodestra e centrosinistra fanno a gara nel far rimpiangere ai cittadini di averli messi su contro i propri interessi.
Perché gli unici interessi che deputati e senatori riescono a rappresentare davvero sono i propri.
Tutto il resto è trita messinscena.
Facciamoci caso: l’unica categoria che non risente minimamente della crisi economica sono proprio loro, i nostri politici; che, a tutto pensano, tranne che a darsi una salutare ridimensionata.
La vita dorata che facevano un anno fa continuano a farla anche quest’anno, alla faccia degli italiani che, licenziati, precarizzati, tartassati, sono sempre più poveri: sono ormai 8 milioni quelli definiti tali anche dall’Istat.
Nel Palazzo, suona tutta un’altra musica di quella che si dovrebbe ascoltare.
Chi fa il difensore del premier continua a farlo, pur essendo, come direbbe Beppe Grillo, un nostro dipendente.
L’avvocato Gaetano Pecorella oltraggia la memoria di don Peppino Diana, un sacerdote anticamorra caduto sotto i colpi della criminalità organizzata, e, piuttosto che rettificare, rilancia e se ne compiace.
Nell’impazzito Partito Democratico, Se po’ ffà Veltroni, cerca di rinverdire le proprie naufragate aspirazioni proponendo, udite udite, una legge sul conflitto di interessi.
Forse perché solo adesso si è reso conto della sua necessità; peccato che non ci abbia pensato prima, magari quando è stato a lungo vicepresidente del Consiglio.
Adesso, con la sua spiccata vocazione maggioritaria, ha soltanto il 25 % di consensi ed è molto improbabile che vi riesca a meno che non trovi un accordo proprio con il capo dello schieramento a lui avverso che, guarda un po’, grazie alla sua lungimiranza, siede comodamente a Palazzo Chigi.
A breve ci aspettiamo un suo autorevole ripensamento sulla politica attuale, quando arriverà ad affermare che Silvio Berlusconi è stato più innovatore di lui, perché ha inventato la discesa in campo e il partito-azienda.
E' solo questione di tempo...
A proposito, il canotto del Partito democratico, rappezzato in più parti e adesso investito pure dal ciclone pugliese delle inchieste giudiziarie, sta colando a picco, ma la cosa è tanto scontata da non fare più notizia.
Al Colle, dopo la promulgazione immediata della legge sulla sicurezza, abbiamo la certezza che non vi abita più neppure un notaio.
Come scrive tristemente Enrico Deaglio nella lettera a Repubblica del 23 luglio scorso, "Che Marcello Dell’Utri, geniale fondatore del partito Forza Italia, sia stato condannato in primo grado a nove anni di carcere per mafia e sia indicato in sentenza come ambasciatore di Cosa nostra , non scandalizza nessuno."
Ma se l’Italia si sta sfasciando, nell’indifferenza generale, la colpa è di una politica del tutto indifferente alle sorti del Paese; la quale, pur consapevole del precipizio in cui ci stiamo inabissando, continua a non essere disponibile a cedere neppure uno dei suoi mille privilegi per salvarlo.
Ecco perché solo l’antipolitica, rappresentata dalla società civile, da Beppe Grillo e dal partito di Di Pietro, in una parola, l’Anticasta, può cercare di arrestare questa altrimenti inevitabile deriva .
Speriamo che, dopo le vacanze, il movimento di Beppe Grillo rompa gli indugi delle liste territoriali e si proponga finalmente come forza politica nazionale per dare la spallata decisiva ad una corporazione politica che ci ha ridotti impunemente al lastrico.
Sarà forse un caso che, riprendendo le parole di Deaglio, "L’Italia che ha avuto migliaia di pentiti nel mondo criminale, non ne ha avuto uno solo nella politica".
Buone vacanze!

giovedì 16 luglio 2009

Rinnegare Enrico Berlinguer? Se po' ffà!

Era ampiamente previsto e si è puntualmente verificato; ma ha ugualmente sorpreso per rapidità.
Quello che resta del Partito democratico ha sbattuto la porta in faccia a Beppe Grillo.
Un pronunciamento tanto repentino da essere imbarazzante per chi lo ha emesso.
Pensate un po’, i Democratici del comitato di garanzia si sono riuniti in fretta e furia in una caldissimo pomeriggio di luglio per bloccare la strada a Beppe Grillo, reo di essere ostile al PD. Pare incredibile, ma la nota dell’Ansa delle ore 20 e 37 di martedì 14 recita testualmente:
"La commissione nazionale di garanzia del Pd conferma unanime, dopo una riunione appena conclusa, che Beppe Grillo non puo' iscriversi al Pd.'Non e' possibile la registrazione di Beppe Grillo nell'anagrafe del Pd - si legge in uno stringato comunicato - poiche' egli ispira e si riconosce in un movimento politico ostile al Pd'. Le ragioni della delibera verra' resa nota nei prossimi giorni."
I membri del sinedrio democratico sanciscono così la definitiva rottura della nomenklatura dalla società civile. Oramai, peggio dei farisei, ammettono di essere totalmente incapaci di confrontarsi con le idee, con la Politica con la p maisucola, preoccupati solo di non perdere il trespolo parlamentare che garantisce loro sine die una vita dorata.
Un partito del genere, ormai dovrebbe essere chiaro anche al più ostinato dei fan, non è altro che l’altra faccia della medaglia rappresentata dal governo di Silvio Berlusconi.
Dispiace per i tanti che si dannano l’anima per organizzare le feste dell’Unità, ora Democratiche, e che ancora confidano in un riscatto ma con questi dirigenti, così attaccati alla poltrona da rinnegare persino la loro stessa storia, non ci sono speranze.
E’ forse un caso che l’ipersconfitto Walter Veltroni, già dirigente per trent’anni di Pci, Pds, Ds e da poco ex segretario Pd, sia riuscito, imperturbabile, in occasione della presentazione di un libro sul Psi di Bettino Craxi alla presenza della figlia Stefania, a rinnegare la figura di Enrico Berlinguer, al cui fulgido esempio tutta la politica italiana a 360 gradi, persino gli ex fascisti, in questi 25 anni dalla sua scomparsa, ha testimoniato riconoscenza ed esaltato il ruolo di padre della patria.
Per operare quest’ultimo gravissimo strappo Walter Se po’ ffà ha dimenticato persino Tangentopoli che vide proprio in Bettino Craxi il principale ideologo, come le sentenze della magistratura hanno permesso di mettere inoppugnabilmente nero su bianco.
Come riporta il Corriere.it "Craxi nel ritratto tutte luci e niente ombre che ne fa Veltro­ni, disegna un partito diver­so, rispetto ai modelli del No­vecento, Pci e Forza Italia, «un partito fluido, moderno, capace di raccogliere anche ciò che non è omogeneo a sé, ma che si unisce attorno a de­terminate idee». E sembra che rievochi il suo Pd."
Giustamente, per Walter Veltroni il sistema delle tangenti è più innovativo della questione morale, così cara a Enrico Berlinguer.
Se il Pd, nelle intenzioni del suo primo segretario, doveva essere la prosecuzione del Psi di Bettino Craxi, Gianni De Michelis, Giulio Di Donato, Paolo Pillitteri, ecc., ecco di colpo spiegato il suo tracollo elettorale.
Ma se il Pd fosse effettivamente un partito politico e non l’armata Brancaleone al servizio esclusivo della sua nomenklatura, uno come Se po’ ffà andrebbe espulso a stretto giro di posta.
Invece non solo ciò non succede ma la sua abiura non fa più neppure scandalo e viene giudicata dai suoi una cosa normale…
Nell’abisso in cui sono precipitati non c’è più spazio neppure per la vergogna.

lunedì 13 luglio 2009

La mossa di Grillo manda in tilt la nomenklatura democratica

Fine settimana interessante quello appena concluso per la politica di casa nostra.
Dopo la chiusura del G8 a L’Aquila, aspettavamo impazienti il commento di Eugenio Scalfari a conclusione di una settimana in cui i media hanno fatto a gara a vendere la falsa impressione che quello di Berlusconi è stato un inatteso successo personale.
La famosa tregua invocata dal presidente Napolitano per il G8 è stata non soltanto rispettata fino in fondo ma ha dato il via ad una vera e propria pubblicistica agiografica nei confronti di Silvio Berlusconi che ne esce fuori politicamente rinforzato.
Nessuno si è spinto a parlare di successo politico del G8, dati i risultati assai deludenti, ma ciò non è certo stata colpa del governo italiano.
Anche se non si può neppure dire che l’esito del summit sia stato migliore delle aspettative per merito del Cavaliere; per vari opinionisti, il suo successo riguarderebbe l’aspetto organizzativo dell’evento.
Su questa scia, Eugenio Scalfari ha preparato una sviolinata a Berlusconi a dir poco imbarazzante nel suo editoriale di ieri, intitolato non a caso "Il meritato successo di un abile anfitrione":
"Berlusconi ha avuto successo, ha ricevuto complimenti da tutti, ha evitato con abilità i guai che incombevano sul suo capo e di questo gli va dato atto. Per che cosa è stato complimentato? Per il suo ruolo, magistralmente ricoperto, di padrone di casa. Se lo è meritato. E’ un compito che sa gestire molto bene come dimostrò nell’analogo meeting di Pratica di Mare: alloggiamento perfetto, cibo eccellente, sicurezza garantita, intrattenimento rilassante".
Forse Scalfari si dimentica che i complimenti al padrone di casa da parte degli ospiti sono di prassi e quanto al presunto successo organizzativo, magari sottovaluta la possibilità che un paese moderno come l’Italia possieda uomini e know how necessari per organizzare decentemente una riunione internazionale, sia pure al massimo livello.
Per bocciare Berlusconi, il padre di Repubblica forse si aspettava che il presidente Obama fosse rimasto senza alloggio o che il pesce, alla tavola dei Grandi, non fosse fresco… Ridicolo!
Da un giornalista di lungo corso come lui, pronto a rinfacciare ossessivamente, per settimane, al Cavaliere le bugie pietose del caso Noemi, ci si aspetterebbe maggiore acutezza: non un improvvisato e maleodorante mix di provincialismo e dabbenaggine piccolo borghese.

L’altra grande novità del momento è la discesa in campo di Beppe Grillo per le primarie del PD: vero coup de théâtre, ha sorpreso tutti persino gran parte dei suoi sostenitori.
Noi di Pausilypon non vogliamo giudicare a priori questa scelta che sparigliando i vecchi giochi politici ha sicuramente il pregio di creare qualche grattacapo ai farisei.
Sta di fatto che doversela vedere con gente come Fassino, Veltroni, D’Alema, Bersani è da stomaci forti; ma sappiamo che Beppe Grillo ama le sfide difficili.
Per capire quanto la nomenklatura non sia disposta ad arretrare neppure di un millimetro dalla lucrosa rendita di posizione in cui vive da anni, in assoluta inerzia, e di quanto poco sia interessata ad un reale dibattito democratico all’interno del PD, può bastare la prima nervosa reazione dei vertici all’annuncio di Beppe Grillo.
Citiamo per tutti l’intervento, tra lo stralunato e l’arrogante, del povero Piero Fassino:
"Penso che quella di Grillo sia una boutade, la interpreto come una delle tante provocazioni a cui ci ha abituato un uomo di spettacolo" e ancora: "Un partito non è un taxi sul quale si sale e si scende, è una cosa seria. Il partito con un congresso deve prendere scelte impegnative. Le cose devono essere chiare, ci si iscrive a un partito e ci si candida a guidarlo quando se ne condividono gli obiettivi. Grillo invece ha manifestato ostilità nei confronti del Pd e dei suoi dirigenti. Nessuno è preoccupato della candidatura di Grillo. Ma ci sono delle regole, c'è una fase congressuale alla quale partecipano gli iscritti, poi la seconda fase prevede le primarie".
Se un dirigente del partito democratico parla come l’Azzeccagarbugli di manzoniana memoria tradendo la grave preoccupazione per una candidatura che, in un partito battezzato democratico, dovrebbe essere un atto dovuto vista l’importanza assunta nella società civile dai grillini e per la certezza di arricchire il dibattito congressuale con idee nuove e autenticamente popolari, vuol dire proprio che siamo arrivati al punto di dover scacciare i mercanti dal tempio.
E’ chiaro che persone che vivono nei privilegi, con appannaggi mensili di decine di migliaia di euro passando il tempo tra dichiarazioni ai giornali, occasioni mondane, votazioni in parlamento su indicazione dei capigruppo, talk show vari, oppure scrivendo libri o articoli di dubbio valore per scaricare sugli altri la propria invincibile noia, con il plusvalore di non dovere rendere conto a nessuno del proprio operato, men che meno al proprio elettorato (che li ha dovuti eleggere per forza, stante la legge elettorale porcata), il fenomeno Beppe Grillo è come fumo negli occhi.
In questo senso, pur restando perplessi per una scelta che non ci convince fino in fondo, speriamo che il suo sacrificio politico possa almeno servire a mandare a casa una classe dirigente che non ha più nulla da proporre alla propria base, se non reiterare la propria sfrenata ambizione.
Ma già come provocazione, a giudicare dalle prime reazioni dentro il PD, la mossa di Grillo ha colpito nel segno, mostrando a tutti, il volto arcigno della nomenklatura.

lunedì 6 luglio 2009

Quando l'opinione pubblica viene spedita in vacanza...

Alla vigilia del G8 dell’Aquila, la politica italiana segna forse il minimo storico di credibilità e di decenza. E’ la dimostrazione che non sono le alchimie costituzionali che possono rimettere in piedi una rappresentanza politica che è ormai priva di qualsiasi prestigio e di ascendente sugli elettori: la Seconda Repubblica, quella nata sulle ceneri di Tangentopoli con la riforma elettorale maggioritaria, sprofonda negli inferi del discredito ormai a tutti i livelli.
La leadership berlusconiana è allo sbando: uno stillicidio di scandali e scandaletti ne mina ormai quotidianamente la capacità politica. Non è più il processo Mills, né le mille inchieste della magistratura che hanno visto coinvolti a più riprese Berlusconi e la sua corte: in una condizione di continua difficoltà, asserragliato in difesa contro tutto e tutti, un presidente del consiglio non può durare a lungo, non fosse altro perché non è più in grado di svolgere quel ruolo di iniziativa politica che ne rappresenta la principale prerogativa.
Se il gioco politico è condotto da altri, l’azione di governo è condannata alla paralisi.
Ma se la stella berlusconiana non si è ancora inabissata molto lo si deve proprio alla mancanza di una vera opposizione, con la sola eccezione in parlamento di Di Pietro.
Non basta l’animosità di Franceschini a vivacizzare un Partito democratico del tutto spento. Sfogliando i giornali dopo le amministrative e le europee, noteremo che all’interno di questo partito si litiga furiosamente tra la nomenklatura senza, però, che si sia avviata un benché minima riflessione politica sul disastroso risultato elettorale.
Né le critiche a Berlusconi hanno superato mai il piano personale per investire il suo governo.
Eppure i Fassino, Veltroni, Rutelli, D’Alema ne avrebbero di tempo libero per meditare sui propri errori e giungere alla conclusione che un generale ripensamento di linea politica andrebbe fatto.
No, sono tutti convinti di stare nel giusto, di essere dei cavalli vincenti, di essere a posto con la propria coscienza, anzi di essere il nuovo che avanza.
Neppure sfiorati dal dubbio di aver rinnegato reiteratamente quegli ideali di giustizia sociale, di lotta ai monopoli, di sviluppo economico sostenibile, di redistribuzione del reddito, di difesa del lavoro, di rafforzamento della res publica.
Al contrario, proprio loro sono stati i fautori delle privatizzazioni ad ogni costo; hanno permesso che un’azienda di rilevanza strategica come la Telecom fosse spolpata impunemente da capitani coraggiosi e bucanieri.
Hanno garantito sin dal 1994 che le tre televisioni berlusconiane non sarebbero state toccate, come dichiarò solennemente in parlamento Luciano Violante. Hanno tifato insieme ai loro avversari politici per le scalate bancarie illecite di due estati fa. Hanno favorito l’esasperata flessibilità del mondo del lavoro… hanno ignorato il conflitto d’interesse, salvo sollevarlo in modo propagandistico nei talk show televisivi… il cahier de doléances sarebbe lunghissimo!
Eppure si ripropongono, imperturbabili, come avversari di Silvio Berlusconi.
Di certo non della sua politica, di cui hanno rappresentato in più occasioni una preziosa stampella.
Tant’è vero che il dibattito precongressuale nel partito democratico si svolge litigando sulle persone, non confrontandosi minimamente sui programmi.
Quali? Vattelapesca!
Persino l’ipersconfitto Veltroni (non si conosce politico italiano che abbia saputo collezionare più insuccessi in così poco tempo) si sente autorizzato a rilanciare il proprio sottovuoto ideologico caldeggiando la candidatura di Franceschini (nolente o volente, inguaiandolo!).
Siamo tutti stanchi di fingere di appassionarci a questo miserevole spettacolo.
Ma la casta può restare tranquilla: infatti, con il mese di giugno, l’informazione politica nei palinsesti televisivi è sparita: l’opinione pubblica è stata dai vertici RAI mandata forzatamente in vacanza.
Può succedere di tutto, ma non ne verremmo informati, a parte le poche criptiche segnalazioni del TG3.
Cascasse il governo, per il TG1 di Augusto Minzolini, si tratterebbe solo di gossip.