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sabato 12 gennaio 2013

Neppure i Professori ci risparmiano la vergogna delle liste civetta

Si stenta a credere che ancora nel 2013, la (fu) settima potenza industriale del mondo, per disciplinare le procedure di svolgimento delle consultazioni elettorali, si affidi a leggi  e regolamenti talmente farraginosi, inconcludenti e anacronistici,  da far invidia alle grida manzoniane.
Al punto che i simboli dei movimenti politici in lizza per le prossime elezioni legislative debbano essere depositati di persona, allo sportello, dopo aver bivaccato per giorni in coda davanti al portone del Viminale, per non farsi soffiare il posto o taroccare il logo.
E che dei malintenzionati possano sabotare alla luce del sole e con piena legittimità uno dei momenti più delicati della vita democratica di un Paese danneggiando indisturbati alcune liste. Questa volta oltre il Movimento 5S a farne le spese sono proprio la lista del premier uscente e quella del pm Antonio Ingroia.
Evidentemente la famosa agenda digitale di Monti deve essere stata subito spedita in soffitta, visto che in un anno e più di governo, i cosiddetti tecnici non sono riusciti neppure ad organizzare uno straccio di presentazione telematica dei simboli elettorali.
Si indicono le elezioni in fretta e furia sotto Natale ma non ci si prende la briga, se non di riformare la legge elettorale porcata (troppa grazia!), neppure di introdurre minimi accorgimenti tecnici, magari tramite un semplice regolamento, per evitare il pasticcio, o meglio la vergogna, delle liste civetta, create apposta per disorientare l'elettore e ingannarlo al momento del voto.
Così ha finito per prevalere chi, in un'estenuante e assurda guerra di posizione, ha prima guadagnato la testa della fila, difendendola fisicamente, e poi,  senza dare nell'occhio, è riuscito a registrare i simboli di liste fasulle, praticamente identici a quelli di altre più popolari, giusto per scipparne i voti.
Il tutto, dopo essere stati all'addiaccio per giorni, senza che nessuno dal palazzo abbia pensato di distribuire, se non generi di conforto, almeno un semplice numerino per regolare la coda, tutti appassionatamente al freddo per allinearsi ad una transenna fatta comparire all'improvviso lunedì scorso: il racconto che ne fa Beppe Grillo sul suo blog è surreale, peggio, kafkiano.
Eppure, in questi stessi giorni il governo ha disposto per le famiglie italiane che l'iscrizione dei loro figli a scuola debba avvenire inderogabilmente in forma telematica, facendo finta di non sapere che buona parte di loro non dispone dell'indispensabile accesso a internet.
E' così che i Professori, così bravi a rivoltare le tasche degli Italiani e ad esasperarli, quando pure si tratti soltanto di mandare i propri ragazzi a scuola, non sono stati altrettanto abili ad evitare la ressa davanti allo sportello ministeriale, garantendo uno svolgimento ispirato al buon senso di essenziali ma consueti adempimenti amministrativi. 
Non è la prima volta che il grande Monti, quello che (a detta dei media di casa nostra) l'Europa ci invidia (non Samuele Monti dell'omonima lista civetta!) non ci fa una gran bella figura.
All'estero staranno di nuovo ridendo di noi.
Pare proprio che, questa volta, il sorrisino della Merkel se lo sia conquistato lui.

mercoledì 19 dicembre 2012

La profezia Maya e lo scioglimento delle Camere: il semestre bianco di Re Giorgio

Mentre da settimane  si sta istruendo sul niente un processo mediatico a Beppe Grillo e a Casaleggio, in fondo colpevoli soltanto di rovinare i sonni della Casta con il loro movimento politico che promette di fare il pieno di voti alle prossime elezioni, l'opinione pubblica assiste indifferente all'accelerazione impressa alla crisi del governo tecnico proprio da parte dei suoi coautori, il duo Monti-Napolitano, che si sono inventati dal niente una crisi di governo extraparlamentare in ventiquattro ore, pur di mandare gli Italiani alle urne presumibilmente a metà febbraio, cioè sotto la neve: una cosa mai vista nella storia repubblicana!

All'origine dell'improvvisa decisione di Monti di dimettersi ci sarebbero state le parole pronunciate dal segretario Pdl Angelino Alfano durante il ponte dell'Immacolata: "Consideriamo conclusa l’esperienza di questo governo", subito dopo l'astensione del Pdl sulla fiducia sul decreto sviluppo al Senato e sul decreto costi della politica alla Camera.
Ma il Governo ha continuato a governare nelle ultime due settimane come niente fosse; anzi, meglio di prima, data l'inattesa investitura fatta al premier Mario Monti proprio da Silvio Berlusconi in persona.
Adesso, quali possano essere le ragioni di far chiudere la legislatura così precipitosamente, per giunta con lo spread che ha oggi toccato un minimo di 290 punti, non è dato sapere.

Eppure Napolitano insiste: "Al voto al più presto".
Nè la nota diramata in mattinata dal Quirinale fuga i dubbi sui veri obiettivi di questa scelta: «Come è noto, il Presidente Napolitano ha ripetutamente auspicato che le elezioni si svolgessero alla scadenza naturale entro la prima metà di aprile; altrettanto noti sono i fatti politici che hanno vanificato questa possibilità. Già prima di quei fatti nuovi, la Conferenza dei Capigruppo del Senato aveva calendarizzato la discussione in Aula della legge di stabilità per il 18 dicembre. Avendo il Presidente del Consiglio preannunciato la formalizzazione delle sue irrevocabili dimissioni all'indomani dell'approvazione di questa legge, è interesse del paese evitare un prolungamento di siffatta condizione di incertezza istituzionale».
In una situazione come l'attuale di imprevista bonaccia sui mercati finanziari, quale possa essere il senso di mandare a votare gli Italiani in pieno inverno, probabilmente sotto allerta meteo, non è assolutamente comprensibile.

Che con la scusa dell'incertezza istituzionale, il nostro sovrano assoluto Re Giorgio,  malgrado si trovi in pieno semestre bianco, voglia mettere la sua ipoteca pure sul prossimo esecutivo?
E' vero che l'articolo 88 della Costituzione al 2° comma gli attribuisce tale potere, ma questo è nell'odierno scenario un potere di scioglimento tecnico, cioè di fine legislatura, nulla a che vedere con le altre fattispecie individuate in dottrina:
  1. insanabile contrasto tra Governo e Parlamento;
  2. impossibilità di formare una maggioranza;
  3. autoscioglimento delle camere;
  4. insanabile contrasto tra le due camere;
  5. venir meno della corrispondenza tra eletti e elettori;
  6. inerzia nell'attuazione della Costituzione;
  7. tentativo di sovvertimento legale della Costituzione.
Tra queste, soltanto la prima e la quinta ipotesi possono essere prese ragionevolmente in considerazione, le altre essendo completamente da escludere, del tutto fuori contesto.
Ma la prima va subito accantonata, visto che la strana maggioranza in Parlamento sta tenendo meglio di quanto i media non vogliano far credere, arrivando persino ad approvare quasi tutta d'un fiato una legge fondamentale e di alto profilo politico qual è la legge di stabilità.
  
Più verosimile la quinta ipotesi ma è almeno un anno (dall'atto dell'insediamento del governo Monti, il 16 novembre 2011) che si può asserire con certezza che non ci sia più corrispondenza tra eletti e elettori, specie dopo che il bipolarismo all'italiana è naufragato miseramente, sotto i colpi della speculazione internazionale, nel partito unico targato Monti, con Lega e Idv a fare ormai opposizione di testimonianza. 
 
Ma allora perché Napolitano vuole chiudere Camera e Senato, prima di Natale, forse già venerdì prossimo, il famigerato 21 dicembre 2012?
Qualcosa a che fare con la profezia Maya?
Se la faccenda non fosse tremendamente seria, sarebbe da scherzarci su.
Che qualcuno si voglia prendere la briga di spiegarlo una buona volta agli Italiani? 


sabato 13 ottobre 2012

Per la scuola, il governo Monti decide la soluzione finale

Quand'anche ci fossero in circolazione ancora degli inguaribili ottimisti che continuassero a  nutrire piena fiducia nel premier Monti negando la natura classista, illiberale e antidemocratica del suo governo,  il varo da parte del Consiglio dei Ministri del disegno di legge di stabilità che lunedì prossimo verrà presentato alla Camera per l'avvio dell'iter di approvazione dovrebbe avere finalmente scosso le loro granitiche certezze.
Infatti, molte delle misure in esso previste sono autentica macelleria sociale, di quella a Denominazione di Origine Controllata e Garantita, benché il ministro Fabrizio Barca, giovedì sera nel salotto televisivo di Piazza Pulita, si sia affrettato a negarlo in termini perentori, ribadendo in più occasioni che si tratta di un semplice intervento di manutenzione di bilancio, non di una manovra finanziaria, dunque a saldo zero.
Purtroppo per lui, sono proprio le misure in questione che lo smentiscono; ne elenchiamo le principali:
  • l'aumento dell'IVA di un punto percentuale per le aliquote del 10 e del 21% (quest'ultima già aumentata dal settembre 2011) che passano quindi rispettivamente all'11 e al 22% dal 1° luglio 2013;
  • dal 1°/1/2013 il passaggio dell'aliquota IVA dal 4% al 10% per le prestazioni di assistenza ad anziani, disabili, tossicodipendenti, malati di Aids, handicappati e minori in condizioni di disagio e disadattamento (da luglio ulteriore ritocco all'11%);
  • l'abolizione della clausola di salvaguardia sul trattamento fiscale del TFR, con automatico sensibile incremento del prelievo fiscale sulle liquidazioni dei lavoratori dipendenti;
  • la stabilizzazione  delle accise (nel senso di renderle definitive) sui carburanti, che nel corso degli anni erano state inasprite "in via temporanea"; 
  • la riduzione delle detrazioni fiscali in forma addirittura retroattiva (cioè già per l'anno 2012, con effetti già a partire dalla prossima dichiarazione dei redditi) in palese violazione dei princìpi dello Statuto del contribuente;
  • l'inasprimento delle misure fiscali per le imprese e per i contribuenti che possiedono redditi agrari o dominicali;
  • la riduzione di un punto dell'aliquota IRPEF sui primi due scaglioni di reddito (attuali 23 e 27%) che tuttavia vanno a beneficio dell'intera platea dei contribuenti (ad esempio, anche di coloro che guadagnano oltre 1 milione di euro all'anno), ad eccezione dei cosiddetti incapienti (cioè di coloro che sono così poveri, reddito annuo non superiore agli 8.000 euro, che già adesso usufruiscono della esenzione in quanto rientranti nella cosiddetta no tax area).
Il coprifuoco decretato poi con l'operazione cieli bui (sic!) con cui si si rinvia ad un successivo decreto la fissazione di "standard tecnici delle  fonti di illuminazione e misure di moderazione del loro utilizzo..."   è un'oliva fradicia nell'ennesimo calice amaro che l'esecutivo bocconiano ha preparato agli Italiani. Inutile dire che cosa possa significare per la sicurezza e l'ordine pubblico delle periferie degradate delle nostre città il loro generalizzato oscuramento per legge.
Eppure l'impareggiabile ministro Barca è riuscito di nuovo a sorprendere sostenendo, in modo serioso, che così finalmente noi tutti potremo apprezzare la bellezza del cielo stellato.

Ma c'è un'ultima,  più potente, polpetta avvelenata fattaci servire dai tecnici: 1 miliardo di euro di ulteriori tagli nella sanità, l'ultima puntata della sfortunata serie intitolata: Chi si ammala è perduto!  
E la nuova violenta sforbiciata sul bilancio della scuola.
Non sono bastati gli otto miliardi già tagliati con la legge 133/2008, la famigerata legge Gelmini, che ha ridotto l'istruzione pubblica alla fatiscenza, con tagli operati indiscriminatamente sugli indirizzi di studio e sui quadri orario e la forte riduzione per gli studenti del tempo-scuola e delle attività di laboratorio in aggiunta al depennamento-accorpamento di molteplici discipline di studio.
Neppure sono bastati vent'anni di tagli (è dalla Finanziaria da 100 miliardi di lire del 1992 di Giuliano Amato che si sta raschiando il fondo), i continui e snervanti interventi legislativi, il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, la cancellazione della indennità di vacanza contrattuale.
Adesso si impone agli insegnanti addirittura un incremento del 33% del tempo di lavoro a parità di retribuzione, da sempre tra le più misere d'Europa.
Il tutto allo scopo di mandare a casa, senza neanche avere il coraggio di dirglielo in faccia, almeno trentamila di loro mentre si mette in piedi l'ennesima messinscena di un maxiconcorso, ennesimo coniglio tirato fuori dal cilindro dopo le recentissime figuracce del concorso per dirigenti scolastici e di quello per l'accesso al tirocinio formativo, con le famigerate prove preselettive letteralmente disseminate di errori.
Per fortuna che si tratta del governo dei professori!
Ma questo ultimo assalto al bilancio della pubblica istruzione da parte del ministro Francesco Profumo è qualcosa di più: è un'autentica provocazione, un insulto ad una categoria di lavoratori che costituisce, se non altro per livello di studi, titoli professionali e vocazione educativa, un'infrastruttura strategica per il Paese: in una parola, il suo sistema operativo
Si preannuncia così un'ecatombe programmata di giovani talenti a cui si prospetta o un futuro di precarietà o l'esilio all'estero: altro che riconoscimento del merito o il tentativo di bloccare la fuga dei cervelli!

D'altronde, la soluzione finale concepita per la scuola, con il suo progressivo e accelerato decadimento, fa parte di un più ampio disegno  strategico del governo dei banchieri teso ad annientare la classe media  in quanto espressione dell'ossatura economica, del dinamismo, dell'intelligenza del Paese.
Dunque, da mettere a tacere perché ostacola l'attuazione su larga scala delle ricette tecnocratiche e ultraliberiste del governo Monti, di matrice atlantica, e ne denuncia da tempo l'estraneità, non semplicemente l'insofferenza, alle regole della democrazia.
E' un caso che uno dei principali sponsor di un paventato governo Monti bis è proprio l'attuale ad della Fiat Sergio Marchionne? Queste le sue parole di ieri : "Spero che Monti stia in carica per sempre." 
A proposito, in tempi di Primarie, l'inutilmente indaffarato PD si riserva semplicemente il diritto di criticare il governo Monti, come ripete pavidamente Bersani, o decide finalmente di staccargli la spina?
Su questo dilemma si gioca la sua residua credibilità, in vista delle elezioni di primavera.

lunedì 23 luglio 2012

9 mesi dopo, lo spread è a 530: la cura Monti è stata letale


E' brutto doverne parlare proprio adesso che la grande malata Italia sta agonizzando.
Ma per carità di patria, qualcuno che siede a Palazzo Chigi da circa 9 mesi dovrebbe ammettere pubblicamente che ha completamente sbagliato la terapia.
E insieme a lui gli ineffabili ministri, i cosiddetti tecnici, che hanno condiviso le scelte nefaste fatte da Mario Monti, bocconiano di ferro ma economista di latta.
Se è vero come è vero che tutte le manovre lacrime e sangue di questi mesi hanno avuto il solo effetto di accelerare ancora di più la crisi ed avvicinarci a folle velocità alla bancarotta. 
Senza voler rinfacciare al grande economista del nostro Stivale l'aver spremuto come limoni i lavoratori e i pensionati italiani, la qualcosa sarebbe troppo penosa e lunga, basta prendere a simbolo di questo fallimento la lunga battaglia contro l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori portata avanti in tandem con la simpatica  professoressa Elsa Fornero.
Secondo questi cervelloni, sembrava che introdurre il licenziamento facile, magari proprio quello per rappresaglia da padrone del vapore, avrebbe reso d'improvviso l'economia italiana un paradiso.
Ci avevavo fatto capire che si sarebbe spalancata per noi tutti una nuova Età dell'Oro.
Non solo!
Se poi Monti avesse fatto approvare  la controriforma del mercato del lavoro prima del vertice di Bruxelles di fine giugno, per l'Italia sarebbe stata l'apoteosi. Vi ricordate i titoli a caratteri cubitali su SuperMario?
Oggi, da Mosca, che cosa ci fa sapere il nostro condottiero?
"La situazione è difficile, bisogna puntare sull'economia reale".
Eppure l'economia reale il nostro primo ministro l'ha proprio martoriata in questi mesi per puntare, come un qualsiasi ragioniere, ossessivamente al pareggio dei conti.
E i tre cavalieri dell'Apocalisse, Alfano - Bersani - Casini, che cosa hanno da dire a questo punto, oltre a scagliarsi contro i pm palermitani che indagano sulla trattativa Stato - mafia?
Visto che condividono con Re Giorgio la responsabilità di aver voluto il bocconiano a Palazzo Chigi!

mercoledì 27 giugno 2012

Il governo Monti e la vittoria di Pirlo

Mentre cresce, insieme allo spread,  l'attesa per l'incontro-scontro di domani tra Italia e Germania che si gioca, per uno strano scherzo del destino, contemporaneamente sia a Varsavia, dove è in programma la partita di calcio tra le due nazionali, che a Bruxelles dove si svolge il Consiglio europeo, le cronache parlamentari preannunciano l'approvazione entro stasera della riforma del mercato del lavoro griffata EF (Elsa Fornero).
Intanto è già archiviata la bocciatura dell'emendamento presentato dal deputato Pdl Guido Crosetto che intendeva fissare un tetto limite di 6'000 euro netti mensili per le pensioni calcolate con il metodo retributivo (10'000 euro in caso di cumulo).
Una cifra più che generosa a cui generali, docenti universitari, dirigenti pubblici e gli stessi tecnici del governo Monti sembra non abbiano intenzione di adeguarsi tanto facilmente; tant'è che il governo ha espresso parere contrario rinviando tutto alle calende greche, ad un fumoso e futuribile decreto sviluppo
Così Crosetto si è sentito rispondere dai banchi del governo: smuoviamo un campo troppo vasto. Rinviamo e il Governo si impegna a sostenerlo...
E' così passata la paura a gente come Fornero, lo stesso Monti, Catricalà, Cancellieri, che già adesso percepiscono vitalizi vicini e in molti casi superiori al fatidico tetto.
Come racconta Salvatore Cannavò su il Fatto Quotidiano, l'ammiraglio Gabriele Di Paola, attuale ministro della Difesa, percepisce 22'000 euro al mese, la ministra Cancellieri 7'000, Monti come docente universitario, poverino!, ne percepisce solo 5'400 anche se così vedrebbe avvicinarsi questa spada di Damocle.
Invece, tirano un vero e proprio sospiro di sollievo Giuliano Amato dall'alto dei suoi 21'000 euro netti, Lamberto Dini con 22'000 euro ed anche lo stesso Mario Draghi che si accontenta di poco più di 8'500 euro netti al mese.
Insomma 6'000 euro netti al mese fanno qualcosa come 110.000 euro di reddito lordo annuo, ma un ministro come Elsa Fornero già ora percepisce un vitalizio attorno ai 230.000 euro, il sottosegretario Catricalà, quello della proposta malandrina sulla composizione del Csm a maggioranza partitica, dichiarava nel 2010 un reddito lordo di 740'000 euro, il Ragioniere generale dello Stato emolumenti complessivi per 520.000 euro nel 2011.
Ma lor signori possono dormire sonni tranquilli: seppure in un domani assai lontano l'emendamento dovesse passare, di sicuro non avrebbe effetto retroattivo, come invece, guarda un po', è capitato sia ai pensionati che agli esodati della Fornero, quelli che da un momento all'altro si sono ritrovati in mezzo alla strada, ovvero senza stipendio e senza pensione.
E mentre nel tritacarne della spending review azionata dal tandem Pietro Giarda ed Enrico Bondi, precipitano persino i buoni pasto degli statali e forse addirittura le loro tredicesime, i diritti acquisiti degli alti dirigenti e dei tecnici non sono neppure in discussione.
Curioso paradosso: quando si tratta di tagliare sui costi della politica, sugli stipendi e le pensioni d'oro, i tecnici ti spiegano che non ne vale la pena perché sono in ballo risparmi minimi.
Ugualmente quando qualcuno si azzarda a proporre un'imposta che colpisca i grandi patrimoni: i tecnici, sempre loro, ti ammaestrano che il gettito fiscale sarebbe trascurabile.
Ma al tempo stesso, prendere di mira le mostruose pensioni della Casta per ricondurle ad una dimensione più umana, significa smuovere un campo troppo vasto.
Questi professoroni ne sanno proprio una più del diavolo! Quando le cifre li smentiscono, fingono di ignorarle.
Così gli esodati non diventeranno mai un campo troppo vasto.
L'Inps comunica che sono 390'000, Fornero ribatte che sono solo 65'000, gli altri si arrangino: che mangino brioches! Perché "il diritto al lavoro va guadagnato..."
Ma in fondo per i media queste sono sottigliezze.
Per loro, l'unica cosa che conta in queste ore è il cucchiaio di Andrea Pirlo: se poi domani sera vinciamo a pallone contro la Germania, magari proprio grazie ad un'altra sua prodezza, possiamo pure infischiarcene delle conclusioni del vertice europeo con Angela Merkel.
Niente Eurobond? Poco male: che ci licenzino tutti (l'importante è che non vengano toccati stipendi,  pensioni d'oro ma neppure le ferie della Casta, come ha rivendicato l'onorevole Cicchitto)!
Insomma, con l'alto patrocinio di Giorgio Napolitano, sembra che agli Italiani a questo punto interessi solo la vittoria di Pirlo.


lunedì 11 giugno 2012

L'Istat boccia Monti: PIL - 0,8%! Si può continuare così fino al 2013?

L'araldo del Quirinale, ovvero la Repubblica, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, ieri ci informava che l'instancabile uomo del Colle stava mettendo la sua buona parola anche sulla missione degli Azzurri di Prandelli nella campagna di Polonia e Ucraina, alla vigilia della discesa in campo contro la Spagna.
Il titolo d'apertura dell'edizione on line era:
'Europei, Napolitano spinge l'Italia "La crisi? Anche una vittoria incoraggia"'.
Sembra che nel dopopartita con la Spagna il presidente sia addirittura sceso negli spogliatoi ad abbracciare Buffon...
Insomma, è finito il tempo in cui per far scendere lo spread bastava che il bocconiano di ferro Mario Monti predicasse il rigore della riforma previdenziale più severa d'Europa, il tutto condito con le lacrime di coccodrillo dell'impareggiabile ministro Elsa Fornero che annunciava che i poveri pensionati avrebbero perso pure il misero adeguamento dei loro vitalizi all'inflazione.
Pure i polli sapevano che questi provvedimenti non avrebbero neppure scalfito il differenziale del rendimento dei nostri titoli di Stato con i Bund tedeschi, trattandosi di misure volte nella migliore delle ipotesi ad avere effetti in un orizzonte previdenziale, che per definizione non può che essere di lungo termine.
Tant'è che se non fosse intervenuto Mario Draghi da Francoforte con una maxi immissione di liquidità da mille miliardi a favore delle banche europee, a quest'ora chissà lo spread quali altre barriere avrebbe sfondato.
Ai tecnici serviva in quel momento un'esibizione di muscoli per persuadere i mercati che la nostra democrazia era ormai sotto lo schiaffo dei potentati economici e finanziari e che la popolazione italiana era stata messa in sicurezza, cioè nelle condizioni di subire qualsiasi vessazione presente e futura senza protestare.
Il tutto lavorato dai media amici al punto da trasfigurare le persone di Monti e Napolitano in salvatori della patria, coloro che stoicamente impongono ai cittadini condizioni di vita durissime pur lasciando politici e grandi burocrati di Stato a gozzovigliare allegramente: se non è un'impresa eroica questa!
Delle tre parole d'ordine, rigore-equità-crescita, l'unica che hanno davvero perseguita è stata la prima; quanto all'equità non c'è stata neppure una dichiarazione d'intenti in questo senso perché, al di là del teatrino quotidiano da dare in pasto ai TG, occorreva mostrare agli osservatori internazionali l'esatto contrario.
Il governo Monti, malgrado la sua inqualificabile maggioranza, agli occhi della community finanziaria doveva avere la forza di esibire il pugno di ferro in campo economico ma essere nel contempo rassicurante, riuscendo a farlo senza mettere in discussione il primato sociale della sua pessima classe dirigente.
Ecco perché l'attacco allo Statuto dei lavoratori ha rappresentato una tappa obbligata di questo percorso e a nulla sono valse le argomentazioni avanzate da più parti sull'irrilevanza economica della modifica dell'articolo 18 con l'introduzione del principio del licenziamento facile: ennesima mossa ideologica di un governo dei poteri forti che metteva sotto scacco la sua popolazione.
Che poi i tecnici sono completamente impreparati sui temi della crescita economica è un piccolo dettaglio  che è emerso dopo alcuni mesi di grandi annunci: è possibile che in nove mesi i bocconiani  non siano riusciti ad emanare un solo provvedimento degno di questo nome?
Probabilmente se avessimo dato l'incarico ad un gruppo di studenti delle superiori, tanto una qualche misura cristallina a favore della crescita sarebbe venuta fuori.
E invece abbiamo assistito in questi mesi a tanto fumo e niente arrosto.
A cosa si siano ridotte le mitiche liberalizzazioni montiane del gennaio scorso ce lo dice il dato pubblicato oggi dall' Istat sul Pil del primo trimestre sceso addirittura dello 0,8%, il peggiore risultato degli ultimi tre anni: un vero smacco per la squadra di Mr. Monti!
Non parliamo poi dello spending review (già l'abuso del termine inglese è tutto un programma!), perché lì rasentiamo il ridicolo.
Ma come? Il ministro Giarda non aveva qualche settimana fa annunciato che sarebbe stato  facile tagliare subito 100 miliardi di spesa pubblica (per poi arrivare, con più tempo a disposizione, a due-trecento miliardi) semplicemente eliminando gli sprechi?
Ci saremmo potuti risparmiare ampiamente il salasso odierno dell'IMU, che complessivamente è stimato attorno ai 20.
Chiacchiere di fine primavera, come la querelle tra Vittorio Grilli e Corrado Passera sul finanziamento delle misure per la crescita: si arriva addirittura al giorno fatidico del Consiglio dei ministri in cui il provvedimento sarebbe dovuto essere approvato per poi inopinatamente soprassedere per mancanza di copertura finanziaria.
Splendido! Manco fossimo nella migliore commedia all'italiana!
In questo marasma, a cui si aggiunge la notizia di un nuovo buco da tre-quattro miliardi per il calo del gettito tributario dovuto proprio alla recessione, effetto ben poco collaterale della cura Monti, Pd e Pdl hanno la faccia tosta di spartirsi le poltrone degli organismi di garanzia, le cosiddette Authority, infischiandosene prima ancora che dei cittadini, del comune senso del pudore.
Uno spettacolo di giorno in giorno più indegno, con i vari Martusciello, moglie di Vespa ed altri personaggi in cerca di poltrona che tagliano il traguardo, in barba ai curriculum di coloro che con molta più indipendenza e competenza avrebbero meritato quei posti.
Se però il responsabile economico del Pd Stefano Fassina fa notare che, a questo punto, sarebbe meglio andare a votare a ottobre piuttosto che tirare a morire con questo strazio di governo, apriti cielo!
Scoppia il finimondo, con Pierluigi Bersani, segretario del PD, che dichiara ai quattro venti di  sostenere Monti senza se e senza ma fino al termine della legislatura.
Se poi Beppe Grillo e il suo movimento sbancheranno le urne, raggiungendo magari la maggioranza assoluta dei voti, nessuno della Casta dovrà lamentarsi...

venerdì 18 maggio 2012

La tassa sugli animali d'affezione: il governo Monti è al capolinea!

E' rimbalzata sulla rete la notizia proveniente dal Palazzo secondo la quale il governo darebbe il parere favorevole ad una proposta di legge allo studio della Commissione Affari sociali della Camera  per l'istituzione di una tariffa per i proprietari di cani e gatti per finanziare iniziative contro il randagismo: insomma l'ennesimo tributo. 
A questo proposito, il sottosegretario all'Economia Gianfranco Polillo si è detto in linea di principio favorevole. E ti pareva!
Le chiamano tasse di scopo ma si tratta di un modo elegante per raccattare soldi da tutte le parti facendo finta di istituire un nuovo servizio come potrebbe essere, in questo caso, l'anagrafe per gli animali d'affezione ed altre analoghe iniziative con cui i Comuni contrasterebbero il randagismo.
La concezione mercatistica dello Stato di questi signori tecnici è che ormai tutto si paga, nessun diritto viene più riconosciuto senza prima tirare fuori i soldi dal portafoglio.
Vuoi curarti? Paga! Vuoi che il tuo quartiere sia più sicuro? Paga per avere più pattuglie di polizia.
Conclusione: chi non paga, non ha diritti.
Senza entrare nel merito di questa tassa sui cani e gatti che, annunciata come misura per combattere il randagismo, finirebbe evidentemente per favorirlo, ormai questi incanutiti ministri non sanno più che pesci prendere: stanno fallendo su tutta la linea!
Il sottosegretario ha fatto appena in tempo a smentire tutto, facendo una precipitosa quanto goffa ritirata. Ma la figuraccia è sotto gli occhi di tutti.
Ormai i professoroni fanno quasi tenerezza: in pubblico tengono la testa bassa, nel generale discredito, ma quando sentono la parola tassa, come per un riflesso pavloviano, subito si ringalluzziscono.
Che fine ingloriosa!

martedì 15 maggio 2012

Il governo Monti e l'allarme terrorismo

Soffiare sul fuoco del pericolo terrorismo sulla base di pochi elementi disponibili attraverso i quali, chissà come, si attribuisce una precisa etichetta eversiva all'azione di ferimento del manager dell'Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, desta non poche perplessità.
Già a poche ore dal fatto di sangue gli investigatori infatti si erano mostrati convinti della matrice terroristica, puntando il dito contro non meglio precisati ambienti anarchico-insurrezionalisti, costruendo un teorema  basato su un'analisi parziale e raffazzonata che trova il suo presunto fondamento teorico nell'attuale situazione di forte tensione sociale prodotta in questi mesi da fallimenti a catena, licenziamenti, forte precariato, conseguenze inevitabili di una epocale crisi economica e finanziaria.
E ciò ben prima che arrivasse una qualche forma di rivendicazione.
Ne erano tutti così certi che il ritardo della rivendicazione veniva imputata, cosa incredibile!, alle Poste: sì, anche i terroristi patirebbero l'inefficienza cronica e disperante dei nostri servizi pubblici...
Ci sarebbe da ridere se la vicenda non assumesse contorni di particolare preocupazione.
E' spontaneo chiedersi come gli inquirenti possano conoscere a priori l'area politica, il brodo di coltura in cui sguazzano i presunti attentatori senza tuttavia riuscire preventivamente a fare nulla per impedire che essi agiscano.
Ancora più grave che gli autori di questi crimini, se già identificati, magari vengano tenuti sotto controllo ma lasciati liberi di agire, tanto da permettersi il lusso di preannunciare nuove azioni eclatanti. 
Apparentemente, non c'è un solo tassello nella ricostruzione ufficiale che torni al suo posto, a partire dallo scenario politico che ne fa da sfondo: la grande vittoria del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo nelle recenti amministrative e la contemporanea affermazione del socialista Francois Hollande nelle presidenziali francesi.
Sembra quasi che chi gestisce le forze di polizia, nel pieno di un clima sociale, questo sì, di forte delusione se non di contrarietà per l'azione assolutamente inadeguata del governo Monti  di questi mesi, voglia in qualche modo distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica rispolverando inquietudini di oltre trent'anni fa (indietro di due generazioni, ovvero di un altro mondo!).
In fondo niente di nuovo sotto il cielo.
Negli anni Settanta la chiamarono strategia della tensione e spalancò le porte alla cupissima stagione degli anni di piombo, culminata con la strage di via Fani e il sequestro e il successivo omicidio del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro.
Vent'anni abbondanti di storia repubblicana (fino alle stragi mafiose del '92-93) ancora avvolti dal mistero più fitto malgrado sia stata fatta luce giudiziariamente su alcuni spezzoni di questo film truculento che, nei fatti, finì comunque per stabilizzare, in più riprese, la democrazia italiana bloccandone qualsiasi spinta al cambiamento: verso quello che avrebbe potuto essere il suo sbocco naturale, cioè una moderna socialdemocrazia.
Trent'anni dopo, sullo sfondo di una sovranità popolare di fatto cancellata dalla tecnocrazia europea per il tramite del governo dei tecnici e con la complicità dei partiti, questi ultimi non a caso al minimo storico di popolarità, quello stesso disegno sembra ripetersi. 
L'agitare in modo se non altro affrettato e sconsiderato lo spettro di una stagione, fortunatamente morta e sepolta, come quella delle Brigate Rosse, da parte di importanti istituzioni che, al contrario, dovrebbero smorzare i toni drammatici dei media non alimentando irresponsabilmente un clima di caccia alle streghe, la dice lunga sull'atmosfera che si respira nel Palazzo.
Le ultime dichiarazioni del ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri, pur in qualche modo rettificate, che addirittura finisce per accostare l'attentato di Genova all'opposizione di popolo contro la Tav sono estremamente preoccupanti, quasi anticipando un clima da guerra civile, che un membro del governo si dovrebbe guardare bene sia pure soltanto di evocare. Un lapsus freudiano?
Che probabilmente anticipa l'impiego massiccio dell'esercito a protezione dei cosiddetti obiettivi sensibili e magari, con l'occasione, un giro di vite sulle libertà civili in nome di un non meglio precisato pericolo incombente.
Che il governo Monti in un passaggio particolarmente critico del  suo cammino voglia ripercorrere alcuni tratti di strada del famigerato governo Tambroni
Fra l'altro, oggi è stata un'altra giornata nerissima sul fronte economico: lo spread BTP-Bund che si stabilizza attorno ai 440 punti, l'Istat che comunica un dato pessimo del Pil italiano: -0,8% del I trimestre 2012 (su base annua addirittura -1,3%);  la Borsa di Milano che chiude l'ennesima giornata in rosso a -2,56% facendo meno peggio solo di Atene, l'ennesimo declassamento dell'agenzia di rating Moody's per ben 26 banche italiane.
Va a finire che a Palazzo Chigi ci si prepara al peggio attrezzandosi, per ogni eventualità, con il pugno di ferro?  

domenica 6 maggio 2012

Il governo dei tecnici è alla frutta, i politici al dessert!

Che fine ingloriosa sta facendo il governo dei bocconiani, dei professori, dei tecnici!
Dopo la manovra classista del 5 dicembre scorso con cui ha fatto capire già al suo battesimo da che parte stava, togliendo di nuovo ai poveri per non far versare un centesimo in più ai ricchi, ha iniziato un 2012 a dir poco disastroso, varando provvedimenti di fasulle liberalizzazioni e semplificazioni,  strombazzate come in grado (chissà come!) di far crescere il Pil del 10%, manco fossimo la Cina!
Ma la realtà, anche se i media complici continuano a volerla dipingere diversamente, è veramente impietosa: la politica del banchiere Mr. Mario Monti è quanto di peggio si potesse immaginare nel novembre scorso per risollevarci.
Il perché è sotto gli occhi di tutti: ha un insopportabile impatto recessivo.
Dall'emergenza finanziaria ereditata dall'esecutivo di Silvio Berlusconi, i professoroni hanno così trascinato il Paese in una gravissima situazione economica, non riuscendo comunque ad abbassare in modo decisivo le tensioni sul mercato dei titoli di stato e del credito alle imprese.
Lo spread non crolla (venerdì ha chiuso a 385) ma il tessuto delle imprese italiane sì: complimenti!
Le obsolete ricette monetariste del trio Monti-Passera-Fornero falliscono ad una velocità impressionante mentre il disagio sociale  tocca vertici mai visti prima.
Di politica industriale e di politica a sostegno della domanda, neanche a parlarne.
Anzi, ci vogliono far credere che la crisi economica in corso sia una crisi dell'offerta mentre anche uno studente al primo anno di economia è in grado di riconoscerla come crisi di domanda: per cui gli stessi interventi ipotizzati sul mercato del lavoro non servono ad un emerito nulla, meno che mai nel breve periodo.
Nel lungo periodo (quando per Keynes siamo tutti morti...) i professoroni, che fanno evidentemente a pugni con la macroeconomia, avranno finito di smantellare il tessuto di piccole e medie aziende che da sempre rappresenta la spina dorsale del Pil italiano per fare del nostro paese un far west per le multinazionali.
In altre parole la seconda economia manifatturiera d'Europa sotto la loro guida rischia di scivolare a livello di quelle dei paesi in via di sviluppo.
Una autentica e colossale bestemmia!
Anche il famoso sondaggio on line con cui la Presidenza del Consiglio chiede agli Italiani di avanzare suggerimenti per la lotta agli sprechi nella spesa pubblica, per non parlare dell'incredibile nomina di una nuova terna di maxiesperti, Enrico Bondi, Giuliano Amato (proprio un outsider...!) e Francesco Giavazzi, dimostra ogni giorno di più il vuoto di idee, di cultura amministrativa, politica e industriale, proprio dei tanto osannati tecnici.
Qualche giorno fa è passato su Rai 5, il film documentario "In me non c'è che futuro" sulla vita di un grande intellettuale e manager italiano: Adriano Olivetti.
Al cospetto delle sue intuizioni, delle sue mille realizzazioni sul piano economico, sociale, industriale, urbanistico, architettonico, editoriale, delle profonde innovazioni che egli seppe apportare nel campo delle relazioni industriali, gente come Monti, Passera, Fornero, Marchionne spariscono, più piccoli dei lillipuziani.
Quindi  nessun salto di qualità rispetto al governo di nani e ballerine capitanato da Silvio Berlusconi.
Ma intanto, di fronte alla catastrofe incombente, cosa fa la politica?
Il tripartito PD-PDL-UDC sta a guardare indifferente, tanto che gli elettori hanno perso la speranza che la soluzione ai problemi italiani passi per questa classe di politici che, quando non dediti al vizio, sono specialisti nell'ignavia.
Ormai in qualunque occasione pubblica si presentano, vengono sistematicamente accolti da bordate di fischi: epica la figuraccia di Pierluigi Bersani il 1° maggio nella commemorazione della strage di Portella della Ginestra.
Ormai sono politici indoor, animali da talk show televisivo.
Ma sorte migliore non viene riservata ai suoi compagni di ventura Angiolino Alfano e Pierferdinando Casini; quest'ultimo ci tiene a precisare pubblicamente di andare a trovare regolarmente Totò Cuffaro in carcere, costringendo un esponente del PDL in commissione antimafia, Raffaele Lauro, a rivolgergli contro una dura reprimenda: «Casini, come persona e come cristiano, ha il diritto di rivendicare il suo dovere morale di visitare Cuffaro in carcere. Come leader politico, farebbe bene ad essere più attento e riservato, affinchè un dovere morale non diventi, di fatto, al di là delle buone intenzioni, e di fronte all'opinione pubblica, una sconfessione della strategia di guerra alla mafia ed un avallo ad acquiescenze, a collusioni e a connivenze di qualsiasi genere con la criminalità organizzata».
E Bersani che ad ogni piè sospinto attacca Beppe Grillo accusandolo di qualsiasi nefandezza non ha nulla da eccepire al degno alleato Casini.
La cosa che veramente lascia senza fiato è l'assoluta insipienza e la totale mancanza di una sia pur minima deontologia professionale di questi personaggi che pure paghiamo profumatamente a botte di 15.000 euro netti al mese, fringe benefits esclusi, non si sa per fare cosa.
Sentite che cosa riesce a dire l'onorevole Pierluigi Bersani di Beppe Grillo: "Basta con questi populismi che fan finta di partire da sinistra e poi come sempre nella Storia d'Italia ti spuntano a destra!"
E l'altrettanto onorevole suo compagno di partito, già segretario del PD, Dario Franceschini: ''Quando si vota si sceglie sempre la persona a cui affidare il destino della propria comunita' del proprio Paese. Io vorrei che qualcuno, tentato dal movimento 'Cinque stelle', provasse a immaginare Grillo al posto di Monti a guidare il Paese, ad andare al G20 a discutere con Hollande, con Obama o con la Merkel''.
Ma ci rendiamo conto, di fronte alla situazione d'emergenza in cui l'Italia versa per opera di una Casta di parassiti incompetenti (quella che ad esempio ci ha fatto entrare dieci anni fa nell'Euro ad occhi chiusi senza alcuna precauzione come quella di negoziare con i paesi economicamente più forti le regole equilibrate e condivise di una politica monetaria comune), quale pochezza intellettuale essi ostentano, che razza di argomentazioni d'accatto riescono a formulare contro le circostanziate denunce di Beppe Grillo e dei suoi ragazzi?
Di una cosa siamo certi: che la sempre troppo importunata massaia di Voghera  sarebbe in grado al loro posto di dire qualcosa di più sensato e di elevarsi almeno di una spanna dai discorsi terra terra, infarciti di luoghi comuni, di Franceschini e Bersani. Il quale non vede l'ora di appropriarsi questa sera della vittoria di François Hollande alle presidenziali francesi.
Ma ci vuole proprio una bella faccia tosta!  

mercoledì 25 aprile 2012

La Contropolitica? "Alzi la mano chi non è mai stato in barca a fare una vacanza!"

Sono due le novità emerse in questo ultimo scorcio di aprile: lo spread che vola e l'attacco concentrico di tutta la vecchia politica e dei media nei confronti del successo elettorale che si profila per il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
Il famigerato spread veleggia spesso insistentemente sopra i 400 punti, sfatando inoppugnabilamente la leggenda metropolitana secondo la quale le cure del governo Monti al capezzale del Belpaese avrebbero almeno stabilizzato le condizioni del grande infermo.
Niente da fare: nonostante la maxi immissione di liquidità della BCE di questo inverno, le manovre lacrime sangue del professore, il livello di tensione sul mercato dei titoli di Stato italiani resta altissimo.
Ed uno dei motivi è proprio la politica fortemente recessiva e impopolare di Mr. Monti che, pur di garantire l'equilibrio dei conti pubblici, non ha esitato un attimo a strangolare la già asfittica economia italiana.
Ciò è avvenuto sia inguaiando il mercato nazionale con un'opera scientifica, questo sì, di demolizione della domanda interna attraverso l'aumento della pressione fiscale, che si attesta ormai sopra al 50% (a dispetto di tutte le rilevazioni ufficiali che comunque la collocano  a ridosso di questa soglia).
Sia con il taglio dei trasferimenti agli enti locali, con  la riforma previdenziale più severa d'Europa e con l'attacco allo Statuto dei lavoratori in nome di un'esasperata flessibilità in uscita stante una non meno estrema flessibilità in entrata.
Fatto sta che delle tre parole d'ordine rigore, equità, crescita ossessivamente ripetute dai tecnici in questi mesi è rimasta in piedi solo la prima, il rigore, declinato tuttavia esclusivamente sulle spalle di giovani, lavoratori e pensionati.
Effettivamente, una politica economica più ottusa e monocorde di quella approntata da Mario Monti sarebbe stata difficile da concepire anche da chiunque altro si fosse trovato al suo posto a gestire l'emergenza finanziaria.
E così la luna di miele tra gli Italiani e il governo dei banchieri (la premiata ditta Monti-Passera e Fornero) si è malinconicamente conclusa: ormai solo il 51% di loro è ancora disposto a scommettere sulle ricette del preside della Bocconi, con un calo di oltre il 10% nelle ultime settimane.
La ciliegina su questo disastro, ampiamente annunciato sin dall'insediamento dell'esecutivo, l'ha messa proprio il premier Monti che in una recente conferenza stampa ha introdotto un nuovo macabro strumento macroeconomico: lo spread tra i suicidi degli imprenditori in Grecia e in Italia.
Secondo lui, noi italiani siamo messi meglio: in Grecia ci sono stati dallo scoppio della crisi 1725 morti, in Italia la sua squadra si sta dando da fare per non raggiungere quel numero.
Quando si dice dare fiducia al paese gettando le basi per un futuro migliore...
Inoltre, con tutta probabilità e nonostante autorevoli smentite ministeriali, entro l'anno bisognerà varare una nuova manovra finanziaria: con lo spread che non è mai sceso quest'anno sotto i 270 punti (mentre l'anno scorso di questi tempi era stabile a 190) si spenderà per interessi almeno 15 miliardi in più mentre con il calo del Pil (stimato attorno al 2%) mancheranno all'appello altri 15 miliardi di entrate fiscali.
Ancora, con la firma del cosiddetto fiscal compact, il governo si è impegnato a rimborsare il 60% del debito pubblico in 20 anni, che fa altri 50 miliardi l'anno.
Totale salasso per il 2012: 15+15+50 cioè altri 80 miliardi sonanti da rastrellare entro l'autunno.
Con un inasprimento della cura Monti di tale portata, questa volta probabilmente orientata su tagli alla spesa pubblica, lo scenario che si prefigura per i prossimi mesi fa venire i brividi.
Sappiamo però già adesso con certezza che l'aver modificato qualche giorno fa a tempo di record, ancora una volta primi in Europa, la Costituzione con il vincolo del pareggio di bilancio, comporta perdere anche quello che resta della sovranità nazionale, ovvero la politica fiscale, affidata come quella monetaria dopo l'ingresso nell'Euro, totalmente alla BCE e, di conseguenza, agli umori e voleri della speculazione internazionale.
Un autentico colpo di stato messo in atto dalle istituzioni europee e dalle banche internazionali, con la complicità del governo dei tecnici, fatto passare sotto silenzio grazie alla disattenzione generale prodotta intanto dal ciclone mediatico sui diamanti e i lingotti della Lega Nord: ennesimo episodio di malapolitica che tuttavia non è assolutamente paragonabile per importanza e gravità a questo enorme strappo costituzionale.
Certamente non per attenuare le pesanti responsabilità leghiste, ieri sera a Ballarò il presidente di RCS Paolo Mieli si chiedeva retoricamente quali partiti siano oggi pronti a documentare il modo con cui hanno effettivamente speso in questi anni il finanziamento pubblico.
Quanti altri altarini potrebbero venir fuori??
Ma in questo quadro già assai fosco, si distinguono degli inguaribili ottimisti come la senatrice del PDL Ombretta Colli che non più tardi di lunedì sera, nella trasmissione L'Infedele condotta da Gad Lerner su La7, per difendere il governatore della Lombardia, il ciellino Roberto Formigoni, dai mille sospetti per le inchieste che vedono coinvolti i suoi più stretti collaboratori e per le vacanze coatte di cui è stato protagonista quest'estate sullo yacht del faccendiere Daccò, se ne è uscita leggiadramente con questa strepitosa battuta: "Alzi la mano chi non è mai stato in barca a fare una vacanza!"
Ha proprio ragione: in fondo si tratta solo di poche decine di milioni di Italiani!
Non è un autogol come si è affrettato a riprenderla Lerner, piuttosto è l'ennesimo calcio di rigore che la vecchia politica batte sistematicamente contro quelli che ritiene essere i suoi veri avversari: cioè gli elettori.
Infatti coloro che spediscono periodicamente, grazie al loro voto, i politici dentro il Palazzo soggiaciono da sempre ad una vecchia regola, ferrea ma crudele e paradossale: corteggiati allo spasimo in campagna elettorale vengono ignorati, peggio, sbeffeggiati a voti ormai accalappiati.
Solo che questa volta il gioco si è svolto sotto le luci di un talk show, in modo incautamente scoperto, non al tavolo riservato del ristorante nei pressi di Montecitorio, né al buio di un tunnel tra Palazzo Chigi e Palazzo Madama o durante le segrete colazioni di lavoro dell'ABC del sottovuoto politico, o meglio della Contropolitica alias il formidabile trio Alfano, Bersani, Casini.
I quali, insieme alle loro sgangherate truppe, si stanno occupando in queste settimane concretamente solo di una cosa: demonizzare il movimento di Beppe Grillo che tutti i sondaggi indicano come futura terza forza politica alle prossime elezioni, con un consenso in forte crescita che già si aggira attorno all'8%, nonostante l'ostracismo che l'intero panorama mediatico gli riserva da sempre.
Infatti quando giornali e televisioni ne parlano è soltanto per mettere in atto una sistematica opera di delegittimazione e farlo passare di volta in volta per un delinquente, un terrorista, un imbonitore, un pericoloso sovversivo, un fascista, un demagogo.
Il massimo complimento è quando gli danno del populista, che in fondo è una parola meno brutta di quanto l'allegra brigata voglia far credere. 
La paura di dover rispondere un domani delle proprie azioni, magari perdendo di colpo gli agi di una vita dorata e vissuta al limite della provocazione sociale, li sta rendendo paranoici fino al punto di abbandonare qualsiasi cautela.
Così lo scaltro Massimo D'Alema, che ad onor del vero non ne ha mai azzeccata una, finisce per accostare il nome di Grillo a quello di Bossi e pure di Berlusconi e la sua formazione politica al berlusconismo.
Ma è un fatto che il Minimo Massimo del PD continui a mantenere con Berlusconi un rapporto schizofrenico: dalle stelle dei tempi della Bicamerale per disegnare con lui la nuova costituzione o dell'inciucio sulle reti televisive (Violante docet),  alle stalle delle accuse di affarismo, di impresentabilità politica dell'uomo di Arcore, a seconda che quest'ultimo gli abbia dato nel frattempo più o meno spago.
Ed ancora una volta,  nell'attacco a Beppe Grillo, D'Alema e Berlusconi finiscono per ritrovarsi sulla stessa barca, o meglio sullo stesso veliero...
Tuttavia, insultare Beppe Grillo senza mai rispondergli a tono, con l'esclusivo obiettivo di nascondere le proprie gravissime inadempienze e gli altrettanto indecenti privilegi, le tante malversazioni su cui la Casta ha prosperato, tentando maldestramente di equiparare le circostanziate denunce del leader genovese a quelle, pensate un po', del Gabibbo(!), significa ancora una volta non aver capito nulla di quello che sta succedendo nel Paese.
Ormai la Casta non ha più il polso della situazione e colpevolmente si rinchiude in un mondo virtuale sperando così, con la complicità di giornali ed emittenti dell'oligopolio televisivo, di esorcizzare le proprie paure allontanando lo spettro  del redde rationem.
Ma ancora una volta ha sbagliato i conti ed il precipitare della situazione economica, a cui concorrono proprio le politiche recessive del governo che sostiene, forse accelererà i tempi di un giudizio pubblico da tanti invocato.
E farà poca differenza se a votare si andrà ad ottobre  o pochi mesi più in là, nella primavera del 2013.
Quello che conta davvero è inchiodare gli autori di tale disastro morale prima ancora che finanziario ed economico  alle proprie gravissime responsabilità, costringendoli a tornare finalmente alla vita dei comuni mortali e condannandoli a restituire almeno una parte delle ricchezze pubbliche depredate nell'ultimo ventennio, a partire da Tangentopoli.
Oggi, nella ricorrenza del 25 aprile, è questo l'auspicio migliore che andrebbe rivolto agli Italiani, un impegno comune di lotta democratica ma senza quartiere alla contropolitica.
Altro che prendersela di nuovo, come ha fatto intendere oggi nel suo discorso commemorativo  il presidente Giorgio Napolitano, con la presunta antipolitica di Grillo e dei tanti Italiani che non ne possono più di pagare il conto di decenni di ruberie e di cattiva amministrazione!




lunedì 16 aprile 2012

Si profila un diluvio elettorale per spazzare via l'ABC della vecchia politica

Ormai la Casta ha perso completamente la testa.
Immobile da mesi a sostenere il governo dei banchieri guidato da Mr. Monti, in preda a scandali che ne hanno azzerato qualsiasi credibilità (ormai una maggioranza che defineremmo iperbulgara, oltre il 90 % degli Italiani, non si fida più degli attuali partiti!), incapace di una qualsiasi iniziativa di autoriforma (i famosi tagli della politica restano ancora nel libro dei sogni), sa che il suo destino è segnato, è solo questione di mesi, forse di settimane.
L'inguardabile ammucchiata Alfano-Bersani-Casini, ovvero l'ABC della mediocrità, dell'arroganza e dell'incompetenza all'ennesima potenza, è pure alla spasmodica ricerca di soldi pubblici, essendo oberata di debiti malgrado abbia ricevuto  dai contribuenti italiani, per giunta contro l'esito referendario del 1993, una montagna di soldi: 503 milioni di euro solo per le politiche del 2008. Tradotto in vecchie lire: 1.000 miliardi!
Il Partito Democratico che ha incassato 200 milioni di euro dal 2008 presenta un buco di 43 milioni, come ha rivelato a Il Fatto Quotidiano il suo tesoriere, Antonio Misiani e aspetta con la bava alla bocca la rata di luglio per poter respirare. Stesso dramma per il Pdl, a dimostrazione che la partitocrazia è soltanto una spaventosa macchina mangiasoldi.
E di qualsiasi questione si accinga ad occuparsi, c'è più di un sospetto che lo faccia eslusivamente per bassissimi interessi di bottega.
A questo punto, quale fiducia si possa avere nei confronti di questi figuri quando intasano le serate televisive per difendere a spada tratta le scelte più imbarazzanti del famigerato governo dei tecnici, dalla costruzione della inutile TAV al sistematico smantellamento dello stato sociale, è presto detto: zero spaccato.
Se la politica è quella portata avanti da personaggi come Alfano (alias Berlusconi), Bersani e Casini, che hanno chiuso gli occhi di fronte alle mille ruberie perpretate negli ultimi vent'anni dalle loro consorterie e che ci consegnano un paese alla bancarotta, senza farsi neppure un esame di coscienza e chiedere scusa pubblicamente prima di ritirarsi definitivamente a vita privata,  allora ben venga mille volte, un milione di volte, la tanto esorcizzata antipolitica.
Poiché il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo è dato in queste settimane in forte ascesa da tutti i sondaggi, con un dato nazionale ben sopra il 7%, il panico si è impossessato della nomenklatura, fino al punto da renderla protagonista di esternazioni come queste:
"Abbiamo in giro molti apprendisti stregoni che sollevano un vento cattivo" oppure "Beppe Grillo è un fenomeno di populismo che non ha le caratteristiche per offrire una prospettiva al nostro paese. Considero il populismo un nemico. Quando sono crollati la democrazia e i partiti negli anni '30, il populismo ha fatto nascere un'avventura drammatica. I regimi reazionari sono stati alimentati dalle culture populistiche. Il nostro problema è ricostruire la democrazia, la credibilità delle forme organizzate per fare politica".
Chi delira così? Facile, è Pierluigi Bersani, segretario Pd,che non si sogna neppure un momento di pensare che forse la democrazia in Italia è già crollata, altrimenti l'ammucchiata ABC non potrebbe stare lì da 5 mesi a girarsi a guardare da un'altra parte mentre il suo governo tecnico fa macelleria sociale su larga scala e sparge sale sull'economia italiana, condannandola a diventare nel breve volgere di qualche anno il far west  delle multinazionali.
Ma ha bene in mente che il ciclone Grillo spazzerà via le termiti che hanno divorato, insieme alle Istituzioni, il futuro di milioni di Italiani:  "Se c'è qualcuno che pensa di stare al riparo dall'antipolitica si sbaglia alla grande. Se non la contrastiamo, spazza via tutti".
Una volta tanto anche lui ha ragione: sono in tanti a sperare in un diluvio elettorale che spazzi via la vecchia politica e i suoi ormai non più tollerabili privilegi, fatti pagare pure dal governo dei professori sempre alle solite categorie sociali.

martedì 10 aprile 2012

Il fallimento del governo Monti: lo spread torna sopra 400!

C'eravamo illusi che il governo di Mr. Mario Monti potesse rimettere finanziariamente in piedi l'Italia, anche a costo di metterne in ginocchio l'economia, con una manovra lacrime e sangue espressamente volta a colpire lavoratori e pensionati.
Il motto era Berlino val bene una messa, cioè pur di evitare il default gli Italiani sono disposti a sobbarcarsi l'onere di una crisi nata all'estero e propagatasi nel nostro Paese a causa della speculazione internazionale ma soprattutto di una classe politica e dirigente parassitaria e incompetente.
Il governo guidato da Silvio Berlusconi è stato il simbolo di questa discesa agli inferi.
Ma oggi ci accorgiamo che, finito l'effetto dei mille miliardi con cui la Bce di Mario Draghi in un paio di mesi ha inondato di liquidità il vecchio continente e il suo sistema finanziario, la situazione resta particolarmente fragile con prospettive drammatiche, nonostante la riforma delle pensioni più severa d'Europa, le finte e per certi versi ridicole liberalizzazioni, un aggravio fiscale per i contribuenti italiani a livello di record, la stucchevole quanto vergognosa battaglia ingaggiata dalla ditta Monti & Fornero per abolire di fatto l'articolo 18 e lasciare mano libera ai licenziamenti senza giusta causa né giustificato motivo.
Alla fine della fiera, siamo al punto di partenza: bravo Monti, hai fatto proprio un buon lavoro!

martedì 27 marzo 2012

Il governo tecnico in preda ad una crisi di nervi

Da ieri rimbalzano su tutti i media le parole del premier Mario Monti in volo verso la Corea: "Se il Paese, attraverso le sue forze sociali e politiche, non si sente pronto a quello che secondo noi è un buon lavoro  non chiederemo certo di continuare per arrivare a una certa data".
Traduzione: sull'articolo 18 il governo non è intenzionato a fare marcia indietro e se il provvedimento non passerà così com'è, siamo pronti alle dimissioni.
Perché, a differenza di Giulio Andreotti, a cui il preside della Bocconi si richiama pur senza nominarlo, piuttosto che tirare a campare lui preferisce tirare le cuoia (politicamente, s'intende!).
Insomma, i tecnici sono in preda ad una crisi di nervi e, su quella che è diventata la roulette della confusa riforma del mercato del lavoro, puntano tutto sul nero dei licenziamenti facili.
Non c'è  spiegazione tecnica per questo irrigidimento, benché il professor Monti abbia messo sul tavolo del confronto con i sindacati tutto il suo prestigio pur di portare a termine la manomissione di questo benedetto articolo.
Atteggiamento per molti versi incomprensibile tenuto conto che né lui né la Fornero, in nessuna occasione,  sono stati in grado di dare uno straccio di spiegazione di tanta ostinazione, tranne ripetere fino alla noia "ce lo chiedono i mercati".
La qual cosa, a ben riflettere, dovrebbe far preoccupare chiunque abbia a cuore quella specie di simulacro a cui si è ormai ridotta la nostra democrazia.
Chi sono questi fantomatici mercati che ci impongono la norma sui licenziamenti facili?
E' possibile che un primo ministro non si renda conto che dichiarando questo con tanta nonchalance rischia di delegittimarsi proprio in base alla nostra Costituzione, che certamente non contempla i mercati nel novero degli organi dello Stato?
E' per questo che qualcuno ritiene che questo intervento in tackle scivolato del duo Monti&Fornero si prefigga il solo obiettivo tattico di dissuadere i partiti di questa inedita maggioranza, ma soprattutto il Pdl, dal portare avanti analoghe rivendicazioni quando si tratterà di parlare di riforma della Rai o della giustizia, temi su cui il potere di interdizione di Silvio Berlusconi resta molto forte.
Ma anche prendendo per buona questa interpretazione, l'atteggiamento di Monti e della Fornero sembra comunque incomprensibile.
Mettere il governo dei tecnici all'angolo semplicemente per indurre il Cavaliere a desistere da ulteriori future richieste di leggi ad personam, assumendosi il rischio certo e immediato di una rottura traumatica della pace sociale, è una mossa tanto azzardata quanto autolesionista.
Perché la riforma dell'articolo 18, così come è stata presentata all'opinione pubblica,  non ha né capo né coda proprio sul piano tecnico-giuridico.
Infatti, istituire la fattispecie del licenziamento economico senza possibilità di reintegro da parte del giudice, significa de facto cassare le altre due fattispecie: di licenziamento diciplinare, dove il reintegro è lasciato al libero convincimento del giudice; e di licenziamento discriminatorio, in cui il reintegro del dipendente non può che essere obbligatorio.
Quale imprenditore sarebbe così folle da sbarazzarsi dei suoi dipendenti mettendo nero su bianco nella lettera di licenziamento motivi discriminatori o motivi disciplinari inesistenti, quando se la potrebbe cavare molto più utilmente adducendo imprecisati motivi economici?
Ecco spiegato perché questi pseudotecnici appaiono in palese difficoltà proprio sul piano che dovrebbe essere loro più congeniale.
E' forse un caso che il ministro che rappresenta il governo in Parlamento, Piero Giarda, nell'ultimo consiglio dei ministri abbia rimproverato alla Fornero, dopo settimane di dialogo tra sordi con le parti sociali, di non essere ancora riuscita a presentare un articolato normativo su cui ragionare in modo oggettivo?
Di qui la fine della luna di miele con gli Italiani: i tecnici stanno dilapidando  quel patrimonio di credibilità che il presidente della Repubblica da un lato e i media addomesticati dall'altro gli avevano costituito in dote soltanto quattro mesi fa.
Non solo si sono intestarditi su una questione che appare anche agli osservatori più ben disposti puramente simbolica.
Non solo non sanno dare di tanta ostinazione una spiegazione minimamente convincente. 
Non solo non sono riusciti ad evitare errori clamorosi proprio sul piano della costruzione di un testo normativo chiaro, rischiando di aumentare piuttosto che diminuire il contenzioso legale su questa materia.
Ma non hanno neppure un'accettabile capacità di comunicazione: di fronte alle telecamere appaiono smarriti ed ossessivi al punto da sembrare come certi scienziati pazzi, persone da cui tenersi a debita distanza.
Di certo a cui non affidare le sorti di un Paese!
Conclusione: il Supermario cibernetico incute sempre più paura. Altro che crescita...

giovedì 22 marzo 2012

Articolo 18: I sondaggi farlocchi per scatenare la guerra fra poveri

Repubblica, il quotidiano di Eugenio Scalfari diretto da Ezio Mauro, ha da sempre tifato per la soluzione 'tecnica' al default del governo Berlusconi, prima ancora che questo subisse i contraccolpi internazionali della crisi di credibilità personale del suo leader e di quella finanziaria venuta da oltreoceano.
Così ben prima che si insediasse un nuovo governo le sue firme più note avevano caldeggiato la soluzione Monti, mostrando una sintonia sorprendente con le scelte che successivamente avrebbe fatto il Colle, in qualche modo anticipandole.
Così, al varo del governo del preside della Bocconi ne ha entusiasticamente decantato la competenza e la sobrietà, finendo non di rado per scadere in toni propagandistici al limite del farsesco: Monti che va alle Scuderie del Quirinale per una mostra con la moglie e, udite udite, paga il biglietto.
Che pronuncia uscendo dall'albergo battute esilaranti tipo 'Visto che bella giornata?'; che indossa un loden blu,  compassato come il suo proprietario e altre simili amenità.
Per non parlare di come la manovra lacrime e sangue di dicembre si sia trasfigurata a piazza Indipendenza come passo decisivo per restare in Europa, prova di maturità che gli Italiani hanno affrontato con dedizione e superato a pieni voti.
Non parliamo poi delle liberalizzazioni strombazzate come fossero la rivoluzione copernicana mentre già nelle prime intenzioni del governo sono state derubricate a necessaria imbellettatura di una manovra economica altrimenti classista, di stampo chiaramente neoconservatore.
E adesso che l'obiettivo principale del governo dei bocconiani è stato finalmente svelato, ovvero togliere qualunque tutela sociale ai lavoratori dipendenti per fare del mercato del lavoro un gigantesco far west da dare in pasto alle multinazionali, il tentativo è quello di spalleggiare il governo dei tecnici cercando di spostare l'attenzione da un'altra parte, meglio se nel frattempo si riesce pure a scatenare nella gente gli istinti peggiori.
E internet si presta alla grande a questo scopo: cosa c'è di meglio, infatti, che proporre sondaggi senza alcun valore statistico, funzionali però a inculcare il verbo montiano?
Così il quesito per gli internauti non è se si sia d'accordo o meno con le modifiche all'articolo 18 decise dal governo, come a qualsiasi persona di buon senso, non ai giornalisti di Repubblica, verrebbe in mente di chiedere.
No,  la domanda del sondaggio farlocco che campeggia sull'apertura dell'edizione on line è la seguente:

"La riforma dell'articolo 18 non si applicherà ai dipendenti pubblici, un bacino di tre milioni e 400mila lavoratori. L'ufficialità è arrivata ieri, dopo una giornata di polemiche. Voi che ne pensate?"
E queste sono le possibili risposte:
" - Sono d'accordo: se il datore di lavoro è lo Stato, al lavoratore deve essere garantita un'altra via d'uscita
 - Penso che sia giusto testare le nuove norme, per poi estenderle ai dipendenti pubblici
 - Sono contrario: non si possono fare differenze tra lavoratori, le norme andrebbero estese a tutti"

Il quesito è così stonato e off line che, al più, può suscitare ilarità se non mirasse scopertamente a scatenare una gigantesca guerra fra poveri con i dipendenti pubblici usati, ancora un volta dai tempi del ministro Brunetta,  da parafulmine. 
Il classico diversivo per alzare intanto un polverone mediatico a salvaguardia dei tecnici (ormai si fa per dire), sviando da tutt'altra parte l'inevitabile risentimento popolare.
W Monti! Dalli al dipendente! Abbasso gli statali!
Sono queste le parole d'ordine su cui sembra  attestarsi, con poche voci dissonanti, la linea editoriale del quotidiano mentre la riforma dei tecnici disegna un mercato di lavoro da stato di polizia.
Come sia possibile che ci si sia ridotti a questo, finendo per sposare le peggiori abitudini dei quotidiani di casa Berlusconi, è materia su cui nel centrosinistra qualcuno prima o poi dovrà pure interrogarsi.

domenica 19 febbraio 2012

E Walter Veltroni getta a mare pure l'articolo 18!

Che Walter Veltroni sia una spina nel fianco del PD è noto da tempo.
Che le sue posizioni ormai non abbiano più niente a che fare non solo con la sinistra ma, in generale, con il pensiero socialdemocratico è dimostrato da mille episodi, a partire dalla sua gravissima e inoppugnabile responsabilità nella caduta del governo Prodi nel 2008 e dalla vittoria sul piatto d'argento che offrì a Silvio Berlusconi con la 'vocazione maggioritaria del Pd' che fece implodere in pochi giorni la coalizione di centrosinistra.
Ma si ricordano pure il suo sogno nel cassetto  dell'incarico da conferire in una futuribile sua squadra di governo alla moglie di Berlusconi, Veronica Lario; la strenua tenacia con cui strinse un patto elettorale con i radicali; l'addirittura folgorante ammirazione per Massimo Calearo, presidente di Federmeccanica, che volle in lista a tutti  i costi con il risultato che questi nel 2009, appena un anno dopo la sua nomina a deputato nel Pd, lasciò il partito dichiarando di non essere mai stato di sinistra. E nel famoso voto di sfiducia al governo Berlusconi il 14 dicembre 2010, fece addirittura compagnia a Scilipoti nella pattuglia dei pseudo Responsabili per sostenere il Cavaliere.
E' un fatto che quando Veltroni decise di dimettersi da segretario il 17 febbraio 2009, a seguito dell'ennesimo rovescio elettorale, nessuno lo rimpianse neppure per un istante.
Anzi, non furono pochi quelli che gli rimproverarono di non aver fatto seguire alle parole i fatti, mantenendo la promessa di recarsi in Africa a dare sollievo alle popolazioni flagellate dalla povertà e dall'Aids.
Così, ormai sono anni, ce lo ritroviamo a Roma, dentro il Partito democratico a seminar zizzania con posizioni di destra, spesso ultraconservatrici.
Che quindi anche sul tentativo del governo Monti di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, abbia deciso di lasciargli carta bianca, nessuno se ne può meravigliare.
Sentite cosa risponde a Curzio Maltese nell'intervista su Repubblica di oggi che gli chiede se non sia eccessivo definire riformismo la politica del preside della Bocconi:
"No. Sono bastati tre mesi per capire che non si tornerà indietro. Circola nel Pd, ancor più nel Pdl, l'idea che questo sia solo un governo d'emergenza, una parentesi dopo la quale si tornerà ai riti e ai giochi della seconda repubblica o peggio della prima. Qualcuno dà giudizi tali da rischiare il paradosso di consegnare al centro o al nuovo centro destra il lavoro del governo. È un errore grave. Questo governo tecnico ha fatto in tre mesi più di quanto governi politici abbiano fatto in anni. Ha dimostrato non solo di voler risanare i conti, ma di voler cambiare molto del paese e vi sta riuscendo, con il consenso dei cittadini e dell'opinione pubblica internazionale. La copertina di Time o l'ovazione al Parlamento europeo sono un tributo ad un paese che solo qualche mese fa era guidato da Berlusconi e deriso".
Poi Curzio Maltese gli chiede di esplicitare il suo pensiero circa la posizione del governo sull'articolo 18 e così replica:
"Sono d'accordo col non fermarsi di fronte ai santuari del no che hanno paralizzato l'Italia per decenni. Il nostro è un paese rissoso e immobile e perciò a rischio. Credo che finora il governo Monti stia realizzando una sintesi fra il rigore dei governi Ciampi e Amato e il riformismo del primo governo Prodi".
E al giornalista che lo invita a non essere reticente, se ne esce fuori con una delle sue mitiche suggestioni:
"Totem e tabù si intitolava un libro di Freud. Ed è perfetto per definire gran parte del discorso pubblico in Italia. Bisogna cambiare un mercato del lavoro che continua a emarginare drammaticamente i giovani, i precari, le donne e il Sud. Ci vogliono più diritti per chi non ne ha nessuno. Questa è oggi una vera battaglia di sinistra".
Se l'ex segretario del Partito democratico dice cose del genere, senza una pubblica abiura o perlomeno la reprimenda dei vertici del partito, è la prova provata che il mondo del lavoro è ormai abbandonato a se stesso, con i politici del finto bipolarismo all'italiana pronti a girare le spalle e ad abbandonare la nave in piena tempesta.
E' utile tenerlo a mente per quando, prima o poi, la Casta chiederà a lavoratori e pensionati il voto in nome del Pd. 


sabato 24 dicembre 2011

Lo spread che non scende: il bluff del governo Monti

La manovra del governo Monti, un confuso accrocchio di tasse destinate a colpire esclusivamente pensioni, lavoro e redditi bassi, ha avuto nella settimana di Natale il via libero definitivo dal Senato. 
La Casta l'ha votata compatta, anche se con qualche ulteriore defezione, facendo finta di guardare da un'altra parte; anzi, senza ritegno, di lamentarsene con i propri elettori.
E' dovuto intervenire lo stesso Mario Monti a svelare il doppio gioco: «Vorrei dire ai cittadini che l`appoggio che questo Governo sta ricevendo è molto più grande di quello che i partiti lasciano credere o dichiarano».
Insomma il capo del governo non ci sta a fare il capro espiatorio di una situazione che si sta avvitando su se stessa e che, anche grazie ai suoi uffici, sta diventando di giorno in giorno più difficile.
Lo scenario in queste due ultime settimane si è fatto infatti ancora più scuro e inquietante.
La manovra del preside Monti e di quei professoroni è appositamente studiata per far versare lacrime e sangue ai soliti noti: lavoratori, pensionati, famiglie a basso reddito.
Non c'è un solo provvedimento che riesca semplicemente a fare il solletico ai ricchi: viene il sospetto che tutte le misure siano state studiate proprio per non disturbare più di tanto il manovratore, cioé la nostra avida classe dirigente.
Un esempio? La tassa sulle attività finanziarie.
E' stata congegnata dai tecnici ministeriali come un'imposta di bollo con aliquota pari all'1 per mille nel 2012 e all'1,5 per mille nel 2013. Ma attenzione: nel 2012, oltre al limite minimo di 34,2 euro, è previsto un tetto massimo di 1.200 euro.
Traduzione: se, da morto di fame, hai titoli per 1'000 euro paghi di bollo il 3,42%; ma se hai in banca 10 milioni ne paghi solo 1'200 euro, cioè lo 0,01%. Alla faccia dell'equità.
E del conflitto d'interessi: raccontano le cronache che il superministro Corrado Passera possiede, titolo più titolo meno, solo in stock options per essere stato amministratore delegato di Intesa San Paolo, 7 milioni di azioni; al prezzo di ieri, antivigilia di Natale, fanno  la bella cifra di 9.170.000 euro.
E di bollo paga solo il massimo stabilito: i famosi 1'200 euro ovvero lo 0,013% del gruzzolo accumulato. Decisamente conveniente: un risparmio di circa 8'000 euro!
Quanto all'asta sulle frequenze televisive, tutti hanno potuto vedere con quanto imbarazzo e quale circospezione ha promesso di intervenire, incalzato da Fabio Fazio domenica scorsa nella puntata di Che tempo che fa.

E sull'impegno assunto che dopo la fase 1, questa del rigore, si passerà alla fase 2 della crescita, si tratta della classica leggenda metropolitana, di cui è lastricata la storia d'Italia, almeno  da vent'anni a questa parte.
Anche perché una manovra che sia severa e oculatamente iniqua, come quella varata da Mario Monti, non solo è moralmente e politicamente inaccettabile ma, a dispetto della nutrita pattuglia dei benpensanti che ne colgono le magnifiche sorti e progressive, economicamente insostenibile in quanto gravemente recessiva.
Non è un caso che l'Istat, dopo aver esitato a lungo, abbia comunicato che il terzo trimestre del 2011 si è chiuso con un Pil a -0,2%: ovvero, grazie alle due-tre manovrine di Tremonti, già dall'estate scorsa siamo entrati in recessione.
Immaginate adesso come si possa chiudere il 2011, dopo che il collegio dei docenti ha deliberato di accanirsi sul fu ceto medio.
Ecco perché il famigerato spread non scende: se all'insediamento di Monti stava a 518 punti, ieri a manovra approvata, è rimasto a lungo a quota 515 per poi ritracciare comunque sopra i 500.
Ma non ci avevano detto che andando in pensione a 70 anni e con quattro centesimi di vitalizio, o non andandoci per niente immolati sul posto di lavoro, lo spread sarebbe velocemente sceso e gli Italiani (non la Casta!) avrebbero vissuto finalmente felici e contenti?
Panzane o meglio la solita bugia pietosa per far inghiottire la pillola amara a milioni di Italiani.
Che poi questa non sia una medicina ma si riveli un veleno letale e rischi addirittura di far stramazzare il nostro paese è un dettaglio che i media si guardano bene dal far trapelare.
Stamattina Massimo Giannini parla di circolo vizioso tra il debito pubblico che non si scalfisce e un Pil che tracolla; purtroppo tutto ciò era ampiamente prevedibile, non bisognava essere un pozzo di scienza per pronosticarlo da mesi.
Così fa bene Scalfari, freschissimo di figuraccia con le sue fasulle previsioni da 'tecnico', a tentare di farcele dimenticare girando per un po' alla larga dall'attualità economico finanziaria per interrogarsi, molto più innocuamente e soavemente, sul senso della vita con il cardinale Martini.
Fa male, invece, il suo vicedirettore Massimo Giannini  quando attribuisce la disfatta di Monti alle incertezze di Eurolandia (ripetendo il leitmotiv di Berlusconi di tutta l'estate) ma soprattutto al quadro politico instabile e alla fragilità di un governo sostenuto, come dice lui, da "azionisti riluttanti".
Si tratta di un grossolano abbaglio.
Mai nella storia repubblicana un governo ha potuto contare su numeri in Parlamento così larghi, nonostante diffusi mal di pancia.
Il fatto è che, grazie ad un Pd del tutto irrilevante, le misure adottate da Monti sono le stesse che avrebbe adottato Berlusconi se fosse restato in sella: antipopolari e recessive.
Perciò i mercati non si fidano: come scommettere su un Paese, acquistandogli i titoli del debito pubblico, quando il suo Pil è in caduta libera proprio grazie al governo Monti?
Se Bersani nel frattempo non si fosse ritagliato il ruolo di comparsa, restando assente dal dibattito politico e intervenendo a giochi fatti, sospinto sulla scena solo dai mugugni del partito persino su una questione cruciale come  l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, probabilmente si sarebbe potuto fare una manovra che, a parità di saldi, avrebbe potuto essere non solo equa ma di stimolo per l'economia.
Costringendo finalmente a pagare evasori fiscali e quanti vivono ben al di sopra dei propri meriti.
Pure l'intervento correttivo sulle pensioni d'oro (quelle dai 200'000 euro annui in su)  promesso dal ministro del Welfare Elsa Fornero è stato alla fine ridimensionato: dal 25% di contributo annunciato al 15% deliberato.
Insomma, mentre i problemi finanziari restano intatti e quelli economici, abbandonati a se stessi, si complicano con conseguenze forse irrimediabili, si insiste a parlare di flessibilità del mercato del lavoro.
Un paese allo stremo, senza una politica industriale, con un equilibrio sociale sempre più precario, con servizi pubblici allo sfascio, collegamenti ferroviari che spaccano in due il paese, si permette però il lusso di acquistare dagli USA tra i 15-20 miliardi di cacciabombardieri d'attacco, rifinanziare le missioni militari all'estero, firmare il contratto con la Francia per l'avvio dei lavori per la TAV impegnandosi come prima tranche per 2,7 miliardi.
Roba da matti, come non dice in questo caso l'ineffabile Pierluigi Bersani.
Buon Natale.