Da ieri rimbalzano su tutti i media le parole del premier Mario Monti in volo verso la Corea: "Se il Paese, attraverso le sue forze sociali e politiche, non si sente pronto a quello che secondo noi è un buon lavoro non chiederemo certo di continuare per arrivare a una certa data".
Traduzione: sull'articolo 18 il governo non è intenzionato a fare marcia indietro e se il provvedimento non passerà così com'è, siamo pronti alle dimissioni.
Perché, a differenza di Giulio Andreotti, a cui il preside della Bocconi si richiama pur senza nominarlo, piuttosto che tirare a campare lui preferisce tirare le cuoia (politicamente, s'intende!).
Insomma, i tecnici sono in preda ad una crisi di nervi e, su quella che è diventata la roulette della confusa riforma del mercato del lavoro, puntano tutto sul nero dei licenziamenti facili.
Non c'è spiegazione tecnica per questo irrigidimento, benché il professor Monti abbia messo sul tavolo del confronto con i sindacati tutto il suo prestigio pur di portare a termine la manomissione di questo benedetto articolo.
Atteggiamento per molti versi incomprensibile tenuto conto che né lui né la Fornero, in nessuna occasione, sono stati in grado di dare uno straccio di spiegazione di tanta ostinazione, tranne ripetere fino alla noia "ce lo chiedono i mercati".
La qual cosa, a ben riflettere, dovrebbe far preoccupare chiunque abbia a cuore quella specie di simulacro a cui si è ormai ridotta la nostra democrazia.
Chi sono questi fantomatici mercati che ci impongono la norma sui licenziamenti facili?
E' possibile che un primo ministro non si renda conto che dichiarando questo con tanta nonchalance rischia di delegittimarsi proprio in base alla nostra Costituzione, che certamente non contempla i mercati nel novero degli organi dello Stato?
E' per questo che qualcuno ritiene che questo intervento in tackle scivolato del duo Monti&Fornero si prefigga il solo obiettivo tattico di dissuadere i partiti di questa inedita maggioranza, ma soprattutto il Pdl, dal portare avanti analoghe rivendicazioni quando si tratterà di parlare di riforma della Rai o della giustizia, temi su cui il potere di interdizione di Silvio Berlusconi resta molto forte.
Ma anche prendendo per buona questa interpretazione, l'atteggiamento di Monti e della Fornero sembra comunque incomprensibile.
Mettere il governo dei tecnici all'angolo semplicemente per indurre il Cavaliere a desistere da ulteriori future richieste di leggi ad personam, assumendosi il rischio certo e immediato di una rottura traumatica della pace sociale, è una mossa tanto azzardata quanto autolesionista.
Perché la riforma dell'articolo 18, così come è stata presentata all'opinione pubblica, non ha né capo né coda proprio sul piano tecnico-giuridico.
Infatti, istituire la fattispecie del licenziamento economico senza possibilità di reintegro da parte del giudice, significa de facto cassare le altre due fattispecie: di licenziamento diciplinare, dove il reintegro è lasciato al libero convincimento del giudice; e di licenziamento discriminatorio, in cui il reintegro del dipendente non può che essere obbligatorio.
Quale imprenditore sarebbe così folle da sbarazzarsi dei suoi dipendenti mettendo nero su bianco nella lettera di licenziamento motivi discriminatori o motivi disciplinari inesistenti, quando se la potrebbe cavare molto più utilmente adducendo imprecisati motivi economici?
Ecco spiegato perché questi pseudotecnici appaiono in palese difficoltà proprio sul piano che dovrebbe essere loro più congeniale.
E' forse un caso che il ministro che rappresenta il governo in Parlamento, Piero Giarda, nell'ultimo consiglio dei ministri abbia rimproverato alla Fornero, dopo settimane di dialogo tra sordi con le parti sociali, di non essere ancora riuscita a presentare un articolato normativo su cui ragionare in modo oggettivo?
Di qui la fine della luna di miele con gli Italiani: i tecnici stanno dilapidando quel patrimonio di credibilità che il presidente della Repubblica da un lato e i media addomesticati dall'altro gli avevano costituito in dote soltanto quattro mesi fa.
Non solo si sono intestarditi su una questione che appare anche agli osservatori più ben disposti puramente simbolica.
Non solo non sanno dare di tanta ostinazione una spiegazione minimamente convincente.
Non solo non sono riusciti ad evitare errori clamorosi proprio sul piano della costruzione di un testo normativo chiaro, rischiando di aumentare piuttosto che diminuire il contenzioso legale su questa materia.
Ma non hanno neppure un'accettabile capacità di comunicazione: di fronte alle telecamere appaiono smarriti ed ossessivi al punto da sembrare come certi scienziati pazzi, persone da cui tenersi a debita distanza.
Di certo a cui non affidare le sorti di un Paese!
Conclusione: il Supermario cibernetico incute sempre più paura. Altro che crescita...
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