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martedì 15 maggio 2012

Il governo Monti e l'allarme terrorismo

Soffiare sul fuoco del pericolo terrorismo sulla base di pochi elementi disponibili attraverso i quali, chissà come, si attribuisce una precisa etichetta eversiva all'azione di ferimento del manager dell'Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, desta non poche perplessità.
Già a poche ore dal fatto di sangue gli investigatori infatti si erano mostrati convinti della matrice terroristica, puntando il dito contro non meglio precisati ambienti anarchico-insurrezionalisti, costruendo un teorema  basato su un'analisi parziale e raffazzonata che trova il suo presunto fondamento teorico nell'attuale situazione di forte tensione sociale prodotta in questi mesi da fallimenti a catena, licenziamenti, forte precariato, conseguenze inevitabili di una epocale crisi economica e finanziaria.
E ciò ben prima che arrivasse una qualche forma di rivendicazione.
Ne erano tutti così certi che il ritardo della rivendicazione veniva imputata, cosa incredibile!, alle Poste: sì, anche i terroristi patirebbero l'inefficienza cronica e disperante dei nostri servizi pubblici...
Ci sarebbe da ridere se la vicenda non assumesse contorni di particolare preocupazione.
E' spontaneo chiedersi come gli inquirenti possano conoscere a priori l'area politica, il brodo di coltura in cui sguazzano i presunti attentatori senza tuttavia riuscire preventivamente a fare nulla per impedire che essi agiscano.
Ancora più grave che gli autori di questi crimini, se già identificati, magari vengano tenuti sotto controllo ma lasciati liberi di agire, tanto da permettersi il lusso di preannunciare nuove azioni eclatanti. 
Apparentemente, non c'è un solo tassello nella ricostruzione ufficiale che torni al suo posto, a partire dallo scenario politico che ne fa da sfondo: la grande vittoria del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo nelle recenti amministrative e la contemporanea affermazione del socialista Francois Hollande nelle presidenziali francesi.
Sembra quasi che chi gestisce le forze di polizia, nel pieno di un clima sociale, questo sì, di forte delusione se non di contrarietà per l'azione assolutamente inadeguata del governo Monti  di questi mesi, voglia in qualche modo distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica rispolverando inquietudini di oltre trent'anni fa (indietro di due generazioni, ovvero di un altro mondo!).
In fondo niente di nuovo sotto il cielo.
Negli anni Settanta la chiamarono strategia della tensione e spalancò le porte alla cupissima stagione degli anni di piombo, culminata con la strage di via Fani e il sequestro e il successivo omicidio del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro.
Vent'anni abbondanti di storia repubblicana (fino alle stragi mafiose del '92-93) ancora avvolti dal mistero più fitto malgrado sia stata fatta luce giudiziariamente su alcuni spezzoni di questo film truculento che, nei fatti, finì comunque per stabilizzare, in più riprese, la democrazia italiana bloccandone qualsiasi spinta al cambiamento: verso quello che avrebbe potuto essere il suo sbocco naturale, cioè una moderna socialdemocrazia.
Trent'anni dopo, sullo sfondo di una sovranità popolare di fatto cancellata dalla tecnocrazia europea per il tramite del governo dei tecnici e con la complicità dei partiti, questi ultimi non a caso al minimo storico di popolarità, quello stesso disegno sembra ripetersi. 
L'agitare in modo se non altro affrettato e sconsiderato lo spettro di una stagione, fortunatamente morta e sepolta, come quella delle Brigate Rosse, da parte di importanti istituzioni che, al contrario, dovrebbero smorzare i toni drammatici dei media non alimentando irresponsabilmente un clima di caccia alle streghe, la dice lunga sull'atmosfera che si respira nel Palazzo.
Le ultime dichiarazioni del ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri, pur in qualche modo rettificate, che addirittura finisce per accostare l'attentato di Genova all'opposizione di popolo contro la Tav sono estremamente preoccupanti, quasi anticipando un clima da guerra civile, che un membro del governo si dovrebbe guardare bene sia pure soltanto di evocare. Un lapsus freudiano?
Che probabilmente anticipa l'impiego massiccio dell'esercito a protezione dei cosiddetti obiettivi sensibili e magari, con l'occasione, un giro di vite sulle libertà civili in nome di un non meglio precisato pericolo incombente.
Che il governo Monti in un passaggio particolarmente critico del  suo cammino voglia ripercorrere alcuni tratti di strada del famigerato governo Tambroni
Fra l'altro, oggi è stata un'altra giornata nerissima sul fronte economico: lo spread BTP-Bund che si stabilizza attorno ai 440 punti, l'Istat che comunica un dato pessimo del Pil italiano: -0,8% del I trimestre 2012 (su base annua addirittura -1,3%);  la Borsa di Milano che chiude l'ennesima giornata in rosso a -2,56% facendo meno peggio solo di Atene, l'ennesimo declassamento dell'agenzia di rating Moody's per ben 26 banche italiane.
Va a finire che a Palazzo Chigi ci si prepara al peggio attrezzandosi, per ogni eventualità, con il pugno di ferro?  

giovedì 9 febbraio 2012

Gli insulti dei 'tecnici' preparano il terreno alla controriforma del mercato del lavoro

Cominciamo ad essere stanchi.
Stanchi di un governo di tecnici così tanto politici da comprendere e pronunciare solo il linguaggio del liberismo anni '80, con trent'anni di ritardo e un giudizio di condanna già espresso dalla storia.
Stanchi di pseudoprofessoroni che, nella migliore delle ipotesi, parlano come un libro stampato, senza riuscire a guardare al di là del proprio naso; e che più spesso riescono, malgrado una insopportabile puzza sotto al naso, a tenere un livello discussione più vicino alla chiacchiera da bar che alla saggezza del buon padre di famiglia.
In queste settimane abbiamo assistito ad un florilegio di esternazioni al limite dell'insulto contro il mondo del lavoro e di quello giovanile in particolare, a fronte di un vuoto pneumatico nella proposta politica che non fosse rivolta a colpire ripetutamente, nella borsa e nella vita, proprio lavoratori e pensionati.
Perché, come abbiamo più volte fatto notare, il vero volto del governo Monti è rappresentato dalla manovra lacrime e sangue del 5 dicembre scorso, con il taglio delle pensioni e dei trasferimenti agli enti locali, la reintroduzione dell'ICI sulla prima casa, l'aumento di contributi, le accise, le addizionali di ogni tipo, la benzina spinta alle stelle.
La successiva manovra 'CresciItalia' è stato il classico pannicello caldo, tanto per dare un po' di colore ad un governo di teste grigie e poco smalto: è per questo che i media di regime si sono affannati a scambiare la loro piattezza in sobrietà e a gonfiarne a dismisura i meriti.
E le famose liberalizzazioni su cui la propaganda governativa ha battuto molto in queste settimane si stanno rivelando tanto fumo e pochissimo arrosto.
C'è per caso qualcuno che si ricordi, così all'impronta, uno solo di quel complesso di provvedimenti che, a detta di Monti, avrebbe dovuto innescare una rivoluzione copernicana dando fuoco alle polveri di un boom da far impallidire il miracolo economico degli anni Sessanta?
Perché su ordini professionali, notai e farmacie la montagna ha partorito un topolino; naturalmente molto più facile prendersela con i tassisti.
Ma ciò la dice lunga sul metodo di lavoro del governo tecnico, forte con i deboli ma debole con i forti.
Tanto che i grandi monopoli e i trust finanziari non solo possono esultare per lo scampato pericolo ma sono diventati i principali sponsor di una prolungata permanenza di Mr. Monti a Palazzo Chigi.
Come conseguenza, di fronte ad attese inizialmente molto forti ma che vengono puntualmente frustrate, i suoi ministri non trovano di meglio che cimentarsi verbalmente con il tiro al bersaglio, scegliendoselo tra le innumerevoli categorie deboli.
Ha iniziato il sottosegretario Michel Martone, figlio di papà doc, così sventato e narciso da dare dello sfigato a chi di certo non può vantare le sue conoscenze (nel senso di entrature).
Ha proseguito, dopo un delizioso antipasto di tocchetti di pensioni in pinzimonio di lacrime di coccodrillo, la Fornero, pardon Fornero, che nel voler "spalmare le tutele sociali a tutti" (i lavoratori), di fatto  intende semplicemente toglierle a chi già ce l'ha (non sia mai cercare di estenderle agli altri!): di qui il tormentone sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come causa di tutti i mali italiani.
Lo ha confermato ancora una volta lo stesso Mario Monti, invitato a correggere la sua precedente incredibile uscita sulla monotonia del posto fisso.
Raffazzonando una goffa retromarcia ha finito col premere sull'acceleratore proprio del 'licenziamento faidate', arrivando a considerare che l'articolo 18 (quello che impone il reintegro ad opera della magistratura del lavoratore ingiustamente licenziato, senza che il datore di lavoro se la possa cavare con un semplice modesto indennizzo) addirittura possa scoraggiare gli investimenti dall'estero.
Non bisogna aver preso il fatidico pezzo di carta, a cui Monti vorrebbe pure togliere valore legale, per rendersi conto che quest'idea non sta né in cielo né in terra: è la classica leggenda metropolitana, farcita di termini economici prêt-à-porter, giusto per  schiacciare preventivamente le formiche laboriose che un giorno potrebbero pure arrabbiarsi.
Pensare che un investitore straniero non venga in Italia non per il livello scadente delle sue infrastrutture, non per l'eccesso di burocrazia, non per una politica asfissiante e asfittica che invade tutti gli spazi della vita pubblica, non per la criminalità (versione organizzata e micro) che controlla militarmente più di metà del nostro territorio, non per la giustizia civile e penale al collasso, non per l'inefficienza della pubblica amministrazione, non per la corruzione dilagante, non per la giungla fiscale, ma esclusivamente perché non gli viene data carta bianca per il licenziamento discriminatorio, è stu-pe-fa-cen-te, soprattutto se ad asserirlo non è uno dei tanti padroni delle ferriere ma un economista, già preside della Bocconi e ora capo di governo.
A meno che non si voglia fare dell'Italia l'esercito di riserva delle imprese cinesi, legalizzando la schiavitù.
Ciliegina sulla torta in ordine di sproloquio,  il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri che, nel tentare di dare l'interpretazione autentica alle parole di Monti, è incappata nell'ennesimo errore di comunicazione del Collegio dei docenti, rincarando la dose: "Noi Italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà" .
Di nuovo parole apparentemente in libertà che tradiscono, oltre ad una totale insensibilità per la drammatica situazione di disagio sociale in cui versa il paese, un'allarmante aridità intellettuale: quanto di meno indicato per chi è stato chiamato a mettere rapidamente a frutto millantate doti taumaturgiche.
Il fatto è che questi stanno preparando ideologicamente il terreno per una controriforma del mercato del lavoro che, col pretesto di stabilizzare fasce di lavoro precario additando gli attuali lavoratori a tempo indeterminato come una élite di privilegiati, finirà per togliere diritti e tutele sociali a tutti.
Che cosa c'entri infatti la creazione di nuovi posti di lavoro e quindi le cosiddette nuove opportunità in ingresso con una selvaggia flessibilità in uscita è un mistero che questi cervelloni si guardano bene dal rivelare.