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giovedì 17 novembre 2016

Ritornano o non se ne sono mai andati? Riecco Veltroni, testimonial del sì

Veltroni chi?
Ah, forse si tratta di Walter Se po' ffà, colui che sdoganò Berlusconi da nemico a "principale esponente dello schieramento a me avverso"; colui che, entusiasta, avrebbe fatto un monumento a Mario Monti nel 2011, nominato da Napolitano senatore a vita e presidente del Consiglio senza alcun passaggio elettorale, il quale dichiarò che suo compito era distruggere la domanda interna.
Walter l'Africano, colui che promise che sarebbe andato in Africa a combattere l'Aids: sì, proprio il leader politico che avrebbe voluto il suicida pareggio di bilancio in Costituzione ancor più di corsa del professore bocconiano esortandolo in una lettera aperta su Repubblica; che da poco più che cinquantenne fa il pensionato di lusso con vitalizio mensile superiore ai 9'000 euro, colui che voleva bucare il Pincio per farne un maxiparcheggio sotterraneo multipiano.
Sì, insomma quello del loft a New York... o del sacco di Roma con il nuovo piano regolatore che ha permesso ai palazzinari romani di costruire "ben 70 milioni di metri cubi di cemento, per un consumo di territorio naturale di almeno 15 000 ettari (una superficie più grande di quella del comune di Napoli)".
Ancora non è chiaro? Quello che a fine 2007 annunciò che alle successive elezioni il PD avrebbe corso da solo, facendo cadere anzitempo il secondo governo Prodi. 
Proprio Walter, capolista per anni del PCI che dichiarò di non essere mai stato comunista, che preferisce Craxi a Berlinguer...
Parliamo proprio del sindaco di Roma dal 2001 al 2008, il cui braccio destro è stato coinvolto negli ultimi anni nelle vicende di mafia capitale.
Ci avremmo scommesso qualsiasi cifra che avrebbe votato sì al referendum! 
Una ragione in più per correre a perdifiato al seggio domenica 4 dicembre ed esprimere un gigantesco NO!



venerdì 24 maggio 2013

A Servizio Pubblico, l'imperdibile figuraccia di Veltroni

Diventerà un video cult, ne siamo sicuri, come quello delle dichiarazioni di Violante alla Camera nel 2002.
Ieri sera è andato in scena, nel salotto di Michele Santoro, l'harakiri di Se po' ffà, al secolo Walter Veltroni, già segretario del Pd, che di fronte al grande Travaglio che lo incalzava implorandogli di rivelare quale atto ostile avesse fatto in vent'anni il suo partito contro Berlusconi, quale legge ad personam gli avessero magari cancellato, ha dimostrato non solo di essere un politico bollito (anche se inspiegabilmente ancora sulla cresta dell'onda mediatica), quanto soprattutto di avere una memoria così corta e confusa, di entità paragonabile soltanto alla sua faccia di bronzo. 
 Al malcapitato Veltroni è capitata pure la iella che, in quell'imbarazzatissimo frangente, gli sia andato incontro, facendo maldestramente cilecca, proprio Santoro, scambiando la manifestazione erroneamente evocata da Veltroni (quella del 1994 indetta dai sindacati contro la riforma delle pensioni), con un'altra (quella contro l'abolizione dell'articolo 18 al Circo Massimo nel 2002).
Se po' ffà si è aggrappato disperatamente a quella mano amica ma, purtroppo per lui, è scomparso poco dopo tra  i flutti della sua inettitudine.
Ma la cosa che più colpisce è che, invece di fare marcia indietro ammettendo umilmente l'abbaglio preso, ha cercato di reagire con la sua solita supponenza contestando a Travaglio, che intanto allibito rivolto ad entrambi diceva "Avete proprio una confusione anche nelle date", polemizzandogli: "le manifestazioni non sono materia tua" "Travaglio sii serio per favore ... dal punto di vista politico, quella manifestazione fu la fine del governo Berlusconi"
Con Travaglio, solo a porta vuota, che bissava: "Ma la storia dove l'hai studiata, su Topolino?!".
Uno scambio di battute che rimarrà storico, speriamo che il grande pubblico possa rivederle al più presto su Blob.

E' da notare che se un infortunio simile fosse capitato a Beppe Grillo o, più semplicemente, a qualunque dei parlamentari del M5S, giornali come Repubblica e il Corriere ci avrebbero tenuto aperto per ore le rispettive home page, raccontandoci in rallenty tutta la loro fantozziana incompetenza. 
Sarebbe stato un ossessionante e spietato tiro al piccione.
Ma dal momento che lo svarione è occorso a Walter Veltroni, beniamino di entrambe le testate, questo succoso scambio di battute non comparirà, ne siamo certi, da nessuna parte.
Fa riflettere anche il fatto che Michele Santoro si sia sentito in dovere di andare in aiuto di Veltroni, contribuendo anche lui involontariamente  allo svarione generale. 
A dimostrazione di quale ruolo, tutt'altro che super partes, egli svolga nel suo talk show: la sua proverbiale imparziale parzialità.
Lo stesso Santoro, che, non ce lo dimentichiamo, soltanto qualche puntata fa boicottò l'intervento del professor Paolo Becchi, docente di filosofia del diritto vicino al  M5S, quando questi sostenne, in punta di Costituzione, che di fronte allo stallo politico allora in atto, sarebbe stato comunque possibile avviare i lavori delle due Camere senza necessariamente anteporvi la nascita del governo, qualora semplicemente da parte dei partiti si fosse presa l'iniziativa di attivare le commissioni permanenti. 
Il tono che in quel frangente egli usò fu estremamente sgarbato e liquidatorio: né, nelle puntate successive, nei suoi sproloqui iniziali o in altri momenti, si sentì in dovere, quando la stessa argomentazione di Becchi venne ripresa da più parti sui media e anche da insigni costituzionalisti, di scusarsi con l'interessato né con il pubblico per la cantonata presa e più volte reiterata.
L'episodio fantozziano di Veltroni dimostra inoltre che il fascino (si fa per dire!) del politico è quello di non ammettere mai i propri errori né di ritrattare le proprie avventate dichiarazioni, neppure di fronte alla più lampante delle evidenze (com'è accaduto ieri sera grazie a Travaglio che, nell'occasione, è sembrato un gigante tra due pigmei).
Al contrario, politici consumati come Veltroni se ne fanno un titolo di merito: di dimostrare ancora una volta la loro, questa sì gigantesca, faccia di bronzo.
Peggio, di fronte all'incalzare di Travaglio che chiedeva conto di cosa avesse fatto in vent'anni il centrosinistra per contenere Berlusconi, Walter Se po' ffà non è riuscito di meglio che a richiamare un episodio (come abbiamo visto, sbagliato) in cui protagonista non era certo stato la sua parte politica ma il sindacato confederale.
Così celebrando il de profundis sull'antiberlusconismo di facciata targato in sequenza Pds, Ds, Pd.
Più che un'ammissione di colpevolezza, una plateale dichiarazione di resa.
Il seguito del filmato, quando si affronta il tema della trattativa Stato - mafia, è poi conclusivo: anche qui Veltroni ne esce veramente male.

sabato 2 marzo 2013

Appello al M5S per la libertà di stampa: urge abolire il contributo pubblico all'editoria

E' di questi giorni il tentativo portato avanti da Repubblica, il quotidiano di Carlo De Benedetti, tessera n. 1 del PD con residenza fiscale in Svizzera, di intorbidare la fisiologica dialettica in corso tra le forze politiche in vista dell'inizio della legislatura, dando notizia con grande enfasi di presunte petizioni di imprecisati sostenitori del M5S che chiederebbero al suo leader di appoggiare un governo a guida Bersani, dopo che Beppe Grillo lo ha sbrigativamente liquidato con una delle sue tipiche battute al vetriolo: è un "morto che parla" e, con quel barlume di dignità che gli rimane, invece di fare lo "stalker politico", prendendo atto del suo fallimento, dovrebbe rimettere il suo mandato di segretario del PD.
Perché una cosa è certa: se stiamo all'ingovernabilità, non è certamente colpa del M5S; ma di una classe politica, ormai decrepita e il cui prestigio è da tempo sotto le scarpe, responsabile di mille misfatti, non ultimo l'aver varato una legge elettorale folle, con meccanismi, chissà perché, diversi per le due camere, nonostante in Italia esista un bicameralismo perfetto, con Camera e Senato che fanno esattamente le stesse cose. 
Ne consegue che, per poter funzionare, i due rami del Parlamento devono essere giocoforza espressione della stessa maggioranza: cosa tutt'altro che scontata con la legge attualmente in vigore, il famigerato porcellum.
Eppure la vecchia partitocrazia, dopo averla ignobilmente emanata, non si è presa la briga di modificarla, pur avendo avuto a disposizione l'intera ultima legislatura.
Bersani, Berlusconi, Bossi, Casini, Fini, possono quindi a pieno titolo rivendicare il primato di essere i principali responsabili di questo sfascio!
Che adesso Bersani se ne voglia tirar fuori, caricando su Grillo quello che già da tempo sarebbe dovuto essere un suo preciso dovere, cancellare l'ennesima legge vergogna della gestione Berlusconi, la dice lunga su che politico consumato (nel senso letterale della parola!) sia il segretario PD.
A questo punto, abbia finalmente il coraggio di fare un passo indietro, garantendo al partito democratico quel rinnovamento che ora è diventato inderogabile, pena la perdita anche di quel residuo 25% che ancora insiste a votare simili mummie.
Del resto la base del PD è spaccata, anche se Repubblica fa finta di non accorgersene.
E' così che Largo Fochetti,  invece di raccontarci la diaspora in corso all'interno del PD, preferisce soffiare sul fuoco fatuo di una protesta, organizzata a tavolino, di sedicenti simpatizzanti del Movimento 5 Stelle che, guarda caso, non troverebbero di meglio che sfogarsi proprio dalle colonne di Repubblica.
Quasi che, provenendo da un pianeta sconosciuto, ritengano che il quotidiano diretto da Ezio Mauro in questi mesi abbia trattato Beppe Grillo con i guanti bianchi, non sospettando minimamente della continua aggressione mediatica nei suoi confronti, degenerata in una vera e propria caccia all'uomo che gli hanno scatenato in concomitanza con l'avvio di questa campagna elettorale, lasciando carta bianca a chiunque gli indirizzasse contro una qualunque ingiuria.
C'è mancato poco che Repubblica, notorio quotidiano liberale che ammicca al laburismo, non pubblicasse annunci di questo genere: 
A.A.A. Cercasi persona referenziatissima, disposta ad accusare noto comico genovese di qualsiasi cosa, anche la più inverosimile, purché disponibile a ripeterlo davanti alle telecamere ed ad allenarsi per superare test della macchina della verità. Si offre, accanto a lauta ricompensa, rubrica fissa sul giornale.
Ecco perché, in un futuribile governo a 5 stelle, al primo posto è necessario che ci sia, insieme al tanto invocato taglio ai costi della politica, l'eliminazione del contributo pubblico all'editoria.
Perché, se è giusto che possa essere pubblicato di tutto (ne va evidentemente della libertà di stampa), è altrettanto sacrosanto che non si sancisca un diritto materiale alla libertà di diffamazione, per giunta  a carico del contribuente!

Prima che Repubblica ne scovi un'altra delle sue, il suo compare Corriere della Sera, non volendo essere da meno, dedica un intero paginone con illustrazione a colori, ad uno dei nostri nuovi padri della Patria, autentico guru della politica piddina, un vasto intelletto, un cuore nobilissimo: udite, udite, l'impareggiabile, inossidabile Se po' ffà, al secolo Walter Veltroni. 
Alzi la mano chi non ha provato in queste ore l'esigenza spasmodica di ascoltare il suo Verbo!
L'emerito Aldo Cazzullo ci ha accontentato, riuscendolo a scovare chissà dove (forse in Africa?, dove aveva promesso pubblicamente di risiedere...) per farci spiegare finalmente i nuovi scenari politici e magari dispensarci qualche dritta per preparare la sconfitta prossima ventura. 
Del resto è passato solo un anno da quando, intervistato da Curzio Maltese, dichiarava:
Veltroni, non è un po' eccessivo definire riformismo la stagione di Mario Monti?
"No. Sono bastati tre mesi per capire che non si tornerà indietro. Circola nel Pd, ancor più nel Pdl, l'idea che questo sia solo un governo d'emergenza, una parentesi dopo la quale si tornerà ai riti e ai giochi della seconda repubblica o peggio della prima. Qualcuno dà giudizi tali da rischiare il paradosso di consegnare al centro o al nuovo centro destra il lavoro del governo. È un errore grave. Questo governo tecnico ha fatto in tre mesi più di quanto governi politici abbiano fatto in anni. Ha dimostrato non solo di voler risanare i conti, ma di voler cambiare molto del paese e vi sta riuscendo, con il consenso dei cittadini e dell'opinione pubblica internazionale. La copertina di Time o l'ovazione al Parlamento europeo sono un tributo ad un paese che solo qualche mese fa era guidato da Berlusconi e deriso".  
È d'accordo con il governo anche sull'articolo 18?
"Sono d'accordo col non fermarsi di fronte ai santuari del no che hanno paralizzato l'Italia per decenni. Il nostro è un paese rissoso e immobile e perciò a rischio. Credo che finora il governo Monti stia realizzando una sintesi fra il rigore dei governi Ciampi e Amato e il riformismo del primo governo Prodi". 
Parole profetiche... 
Oggi Veltroni, da inaffondabile predicatore, ammonisce:  
"Un partito democratico non è semplicemente progressista, è qualcosa di molto più aperto e radicale: è un partito che assume su di sè elementi di rottura con il passato, che si batte per una politica lieve [...]".
E conclude abbandonandosi al sogno: "Il centrosinistra deve rialzare lo sguardo e seguire il suggerimento di uno scrittore che amo molto, Saint-Exupéry: « Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti, impartire ordini; ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito»".
Ha ragione Walter Se po' ffà, già promotore dello spot costruito sulle immagini della grande  Anna Magnani in "Roma città aperta": Non si può interrompere un'emozione...
Ma prima ancora, non ci possiamo più permettere giornali e tv che continuano a fare, come niente fosse, da grancassa alla Casta. 
In modo inverecondo. Per giunta a nostre spese. 





mercoledì 27 febbraio 2013

La sfilata degli zombie all'uscita dal Gran Consiglio del PD

Quest'oggi apriamo con un video di Nino Luca tratto da youtube di straordinaria efficacia; riprende i dirigenti del PD all'uscita dalla riunione notturna in cui hanno preso atto della sconfitta elettorale, l'ennesima della loro vita. 
La spocchia resta la stessa di sempre ma la delusione, forse un pizzico di vergogna, per la prima volta fa capolino nelle loro espressioni accigliate e stupefatte. Non rispondono alle domande del giornalista, cercando di sgattaiolare via il più velocemente possibile, proteggendosi infine dietro i vetri scuri di  potenti auto blu che partono sgommando.
Sembrano degli zombie.
Ma com'è possibile che per tanti anni abbiamo affidato le sorti del paese a personaggi simili, dall'ego tanto smisurato quanto la loro mediocrità, evidentemente del tutto inadatti al ruolo? 
Ne abbiamo adesso, proprio grazie a queste immagini di cronaca destinate a diventare storiche, una conferma plastica. E solo adesso ci rendiamo conto fino in fondo come sia stato facile per Silvio Berlusconi  fare per vent'anni il bello e il cattivo tempo, rialzandosi almeno una decina di volte dalla polvere in cui da solo era precipitato.
Insomma, la sfilata dei gerarchi all'uscita del Gran Consiglio del PD come nemesi storica, il 25 febbraio di questa finta sinistra italiana.


venerdì 7 settembre 2012

Prosegue il linciaggio mediatico di Repubblica contro Beppe Grillo

Sfruttando un fuori onda del consigliere regionale del Movimento 5 Stelle dell'Emilia Romagna, Giovanni Favia, il quale si rivela, parlando con un giornalista del programma televisivo di La7, Piazza Pulita, inaffidabile e sleale nei confronti del movimento grazie al quale è stato proiettato, da perfetto sconosciuto, alla ribalta politica nazionale, il quotidiano la Repubblica, nell'edizione on line, prosegue nella sua campagna di aggressione mediatica e di diffamazione contro Beppe Grillo e il movimento di cui è leader.


I toni del quotidiano romano sono come al solito durissimi anche se, nella totale confusione del messaggio, il lettore non è in grado di capire quale genere di accusa gli venga contestata questa volta.
Che dietro Grillo ci sia Roberto Casaleggio? Dov'è il problema?
Lo ammette lo stesso Piergiorgio Odifreddi a margine del box di Repubblica: "Gli speechwriter e i ghostwriter, così come gli advisor e i think tank, esistono da sempre. E i politici ne hanno sempre fatto ampio uso, rivelando di essere spesso più attori che recitano copioni, che non autori che li scrivono. Dunque, non stupisce che alla fine qualche attore diventi direttamente un politico, da Reagan a Grillo, appunto: se la politica è una farsa che qualcuno deve mettere in scena, tanto vale che sia qualcuno che in scena ci sappia stare per professione. Un “tecnico”, si direbbe oggi. "
Anche se così dicendo, Odifreddi, da opinionista embedded della corazzata Repubblica-L'Espresso, tenta subdolamente di esautorare Grillo dal ruolo di leader carismatico.
Perché quello tra Grillo e Casaleggio è un sodalizio di vecchia data, alla luce del sole, che sicuramente non costituisce una novità.
Il presunto ruolo egemone di Casaleggio rispetto a Grillo? Una vecchia illazione, già liquidata come  maldestro tentativo di spargere zizzania tra i due.
Ma allora dov'è lo shock (come titola Repubblica) della notizia? Soprattutto, dov'è la notizia?
Che un consigliere eletto sotto il simbolo di Grillo si lasci sfuggire, pensando di non essere registrato, parole non proprio generose nei confronti del suo mentore, può significare soltanto che egli è uno sprovveduto.
Al più, sollecita pensieri più profondi sulla doppiezza dell'animo umano.
Niente a che vedere né con Grillo né con la novità epocale del suo movimento.
Anche perché l'italiano medio è stato costretto dalla Casta ad incassare di molto peggio.
In pochi anni,  abbiamo assistito a un Walter Veltroni che ha confessato disinvoltamente (pacatamente direbbe lui!) di non essere mai stato comunista, pur essendo stato persino capolista nel vecchio PCI alle politiche; di più, di preferire, guardando indietro alla storia della sinistra, Bettino Craxi a Enrico Berlinguer. 
Chi non ricorda, poi, un suo pupillo, Massimo Calearo, voluto a tutti i costi in lista proprio da Veltroni, dichiarare un anno dopo la sua elezione nel Pd, di non essere mai stato di sinistra e di lasciare il partito?
Lo stesso personaggio che, soltanto alcuni mesi fa, ha dichiarato di non recarsi quasi più in Parlamento e che l'incarico di parlamentare gli serve per pagare il mutuo.
Ma l'elenco sarebbe molto più lungo: i vari La Torre, Penati (ex braccio destro di Bersani), Lusi, Enrico Letta (vi ricordate il suo pizzino a Monti?)... per finire poi in bellezza con Scilipoti!
E allora dov'è lo scandalo delle finte rivelazioni carpite a Favia?
"Casaleggio prende per il culo tutti perché da noi la democrazia non esiste. Grillo e’ un istintivo, lo conosco bene, non sarebbe mai stato in grado di pianificare una cosa del genere".
Con questa sua opinione, singolare ma del tutto legittima, del Movimento 5 Stelle e dei suoi leader, Giuseppe Favia farebbe bene a trarne le debite conseguenze: dimettendosi.
Del resto non glielo ha prescritto il medico di iscriversi tra i grillini!
Non ne condivide le regole? Benissimo, faccia un passo indietro.
E magari si faccia lui promotore di una propria lista, democraticissima, e raccolga il consenso che crede!
Dov'è lo shock?
Forse che D'Alema e Veltroni non se sono sempre dette di tutti i colori, eppure stanno sempre lì appollaiati alla direzione del Pd?
E con loro, la decrepita nomenklatura di quel partito.
Chissà perché, ma con tutta la democrazia di questo mondo, dalla sua  nascita e ancor prima (già ai tempi del Pds, Ds, ecc.), nel Partito Democratico comandano sempre le stesse persone.
Per non parlare, per carità di patria, di quello che da sempre succede nel Pdl (già Forza Italia, ecc.)!
Il vero scandalo resta piuttosto quello di un quotidiano di tiratura nazionale che prosegue da mesi in un'opera di demolizione di quello che, nelle stanze della sua direzione, è stato stabilito dover essere l'avversario politico di riferimento e che imbastisce, giorno dopo giorno, una sistematica attività di disinformazione e di diffamazione nei suoi confronti, spesso basata sul nulla.
Un quotidiano, la Repubblica, che come ci informa proprio Beppe Grillo nel post odierno (su dati elaborati da Italia Oggi), ha ricevuto per il 2006 qualcosa come oltre 16 milioni di euro a fondo perduto di contributo pubblico, cioè a carico di tutti i contribuenti italiani, che va a scapito di sanità, scuola, trasporti, ambiente...

giovedì 16 agosto 2012

Incubo di Ferragosto: Veltroni prossimo presidente della Camera!

Si vocifera all'interno del Pd che già siano state spartite le principali poltrone della prossima legislatura, dando per certo già da adesso che sarà proprio il Pd il partito di maggioranza relativa.
Insomma, i principali azionisti del partito (i soliti D'Alema, Veltroni, Bindi, Franceschini,  Letta, ecc.), piuttosto che fare un passo indietro, finalmente ritirandosi a vita privata (dopo i gravi e irreparabili danni causati al Paese assieme agli omologhi del Pdl e dell'Udc), sarebbero di nuovo in pole position per accaparrarsi i posti di maggiore visibilità e prestigio.
Addirittura circolerebbe un papello, secondo la felice espressione del Foglio, tra i corridoi democratici in cui, oltre ad assicurare il pieno appoggio a Monti fino allo scadere dell'attuale legislatura e rilanciare la grosse koalition per i successivi cinque anni (l'ammucchiata 'Tutti dentro' Pd-Pdl-Udc), sarebbero state decise persino le principali cariche del nuovo esecutivo con i big del partito determinati a sfruttare fino in fondo  la loro rendita di posizione contro gli appetiti di vecchi e possibili nuovi rottamatori.
Ecco la lista degli incarichi:
Pierluigi Bersani:  a Palazzo Chigi come premier o Ministro dell'Economia
Walter Veltroni: Presidente della Camera
Massimo D'Alema: Ministro degli Esteri o Commissario Europeo
Rosy Bindi: Vicepresidente del Consiglio
Enrico Letta: Ministro allo Sviluppo Economico
Dario Franceschini: Segretario del Pd.

Un'organigramma da mettere i brividi, dove agli ex democristiani Fioroni e Carra verrebbero affidati importanti sottosegretariati per programmare in tempo la spartizione prossima ventura.
Insomma, per la nomenklatura del Pd la parola d'ordine è quella di contare sempre di più, tutto il contrario di chi spera che si siano rassegnati ad appendere la grisaglia al chiodo, dopo lo scasso degli ultimi vent'anni...
Pensate un po', i perdenti e nemici di sempre D'Alema e Veltroni, invece di lasciare, doverosamente e in punta di piedi, di fronte all'elettorato inferocito, starebbero contro ogni logica per raddoppiare.
Così, dopo l'abominio del governo Monti, ci ritroveremmo come terza carica dello Stato, Walter Se po' ffà, il kennediano de Roma, che speravamo finalmente avviato, dopo l'intervista all'attrice Stefania Sandrelli, a fare l'intrattenitore culturale...
Un incubo!

giovedì 1 marzo 2012

Il vero nodo dello scontro tra Walter Veltroni e Niki Vendola: loden o...loft?

Udite, udite.
Walter Se po' ffà, al secolo Walter Veltroni, messo a tacere dai suoi stessi compagni di partito dopo la storica figuraccia sull'articolo 18, sta tentando di recuperare il terreno perduto, impresa disperata per un politico da tempo a bagnomaria.
E, convincendosi che la prima difesa è l'attacco, piuttosto che cospargersi il capo di cenere in una pubblica piazza e prepararsi a fare la prossima via crucis tra i flagellanti, alza il livello della sfida con Niki Vendola, leader di SEL, reo di averlo etichettato, in verità con parecchio savoir faire, come interprete di una "destra colta e con il loden".
Per la cronaca, in rete non si fa altro che sbeffeggiarlo e non solo in ragione delle sue ultime deliranti esternazioni sul governo Monti. La sua credibilità è al minimo storico ma forse non se ne rende conto, così preso dalla sua impressionante intelligenza da esserne la prima vittima.
Il responsabile economico del suo partito, Stefano Fassina, finalmente pochi giorni fa gli ha fatto fare un salutare bagno di umiltà liquidando con poche parole ultimative il suo ennesimo deragliamento a destra.
E' stato così costretto a fare una goffa retromarcia, ospite di Lucia Annunziata nella trasmissione In Mezz'ora, sostenendo che, a conti fatti, dice le stesse cose di Bersani.
Un po' come Jessica Rabbit del cartoon Disney: non sono cattivo, sono gli altri che mi disegnano così....
Insomma, scherzi del destino, anche lui ritiene di venire frainteso proprio come capitava 'al capo dello schieramento a lui avverso', Silvio Berlusconi.
Prima tentati di farlo cuocere a lungo nel proprio brodo, poi mossi da compassione nel vederlo annaspare così maldestramente, sono corsi finalmente in suo aiuto il presidente del Partito Democratico Rosy Bindi e addirittura Massimo D'Alema, suo storico rivale di merende.
"Certamente Veltroni non è di destra" ha sentenziato la volpe del PD. Ma molti ritengono che il suo sia stato fuoco amico, un'altra delle sue micidiali battute.
Fatto sta che adesso Veltroni, tra il patetico e il ridicolo, pretende le scuse ufficiali da Vendola: «Spero sia un incidente e che Vendola abbia la bontà di dire che, essendo cresciuti insieme e sapendo quel che ho fatto nella mia vita, queste parole gli siano sfuggite».
E non si sogna neppure per un momento di chiedere piuttosto lui scusa ai suoi ex elettori e simpatizzanti che, dopo averlo votato per anni, hanno assistito sgomenti ai suoi ripetuti ma anche clamorosi voltafaccia.
Che ci vogliamo fare, l'impareggiabile Walter è fatto così: proporre politiche di destra, protetto dall'etichetta di uomo di sinistra.
In fondo per un politico è la quadratura del cerchio, il modo di restare a galla qualunque cosa accada dentro il Palazzo e nel Paese.
Cosa c'è di meglio infatti che fare il pieno di voti tra lavoratori, pensionati, commercianti, artigiani, piccoli imprenditori, per poi caldeggiare, con suggestioni semantiche e immaginazione cinematografica, scenari e politiche di segno diametralmente opposto?
Mettendoci l'impegno, c'è persino la possibilità tra qualche anno di vederlo salire, armi e bagagli, al Quirinale.
D'altra parte, il curriculum da uomo delle istituzioni ce l'ha, e di prim'ordine. Lo slogan di investitura pure:
Un politico che viene da sinistra ma che guarda, pacatamente, (in fondo) a destra.
L'unico rischio è quello di essere all'occorrenza sbugiardato come ha osato fare stavolta Niki Vendola.
Che in una cosa ha senz'altro sbagliato: scambiare il loden montiano con il loft di Veltroni a New York.

lunedì 20 febbraio 2012

Di male in peggio: per Veltroni il governo Monti fa cose di sinistra

Con la bravata di Veltroni sull'articolo 18, finalmente qualcosa si muove anche dentro il Pd. Perché quello di Walter Se po' ffà non è semplicemente un caso umano.
Grazie alla grancassa dei media che lo intervistano da anni ad ogni piè sospinto, è diventato purtroppo un caso politico.
Perché se per il fondatore del Pd "Monti fa cose di sinistra", un qualche problema di linea politica dovrà pur esistere in questo surreale partito.
Questa volta, per fortuna, il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, gli risponde a tono:  “Caro Walter se il programma del governo Monti è l’orizzonte di una forza progressista come il Pd, allora delle due l’una: o il Pdl, che insieme a noi sostiene il governo Monti, è diventato un partito progressista, oppure la tua valutazione è sbagliata”.
E per ricondurre il vaniloquio veltroniano alla giusta categoria di falso, prosegue:
“Se fosse giusta dovremmo essere conseguenti. Alle prossime elezioni il Pd dovrebbe presentarsi insieme al Pdl, oltre che al Terzo Polo: una sorta di partito unico del pensiero unico. La fine della politica, non solo della democrazia”.
Frase che suonerebbe come epitaffio della carriera politica dell'ex sindaco di Roma, se non fosse che il vicesegretario Enrico Letta, quello del famoso pizzino a Mario Monti in cui gli scriveva di essere riservatamente a sua disposizione, gli dà man forte dicendo che “non dobbiamo cedere Monti alla destra”.
Ma accanto al caso personale dell'ex sindaco di Roma,  non si capisce il motivo per cui giornali e televisioni lo continuino ad intervistare quasi fosse un oracolo, nonostante gareggi con l'amico-nemico Massimo D'Alema per il poco invidiabile titolo di uomo politico più perdente della storia repubblicana.
Come mai uno che ha preso cantonate a ripetizione, inanellando una sconfitta dietro l'altra nelle fila del Partito democratico, sia oggetto di tale attenzione e riguardo da parte dei principali media che fingono di pendere dalle sue labbra, è questione che ha molto a che vedere con la disastrosa situazione della libertà di stampa in Italia, precipitata al 61° posto nell'apposita classifica.
Con il risultato sconfortante che il Partito democratico prima che dagli altri partiti, deve prendere le distanze da se stesso, cioè da alcuni dei suoi massimi dirigenti, personaggi in libera uscita proprio come Veltroni.
E così, mentre mezzo partito intona a mezza voce "Lusi in the Sky with Diamonds", l'altra metà fa gli scongiuri affinché il presidente Obama si decida a chiamare nel suo staff elettorale uno dei suoi fans, l'impareggiabile Walter, l'americano de Roma.

domenica 19 febbraio 2012

E Walter Veltroni getta a mare pure l'articolo 18!

Che Walter Veltroni sia una spina nel fianco del PD è noto da tempo.
Che le sue posizioni ormai non abbiano più niente a che fare non solo con la sinistra ma, in generale, con il pensiero socialdemocratico è dimostrato da mille episodi, a partire dalla sua gravissima e inoppugnabile responsabilità nella caduta del governo Prodi nel 2008 e dalla vittoria sul piatto d'argento che offrì a Silvio Berlusconi con la 'vocazione maggioritaria del Pd' che fece implodere in pochi giorni la coalizione di centrosinistra.
Ma si ricordano pure il suo sogno nel cassetto  dell'incarico da conferire in una futuribile sua squadra di governo alla moglie di Berlusconi, Veronica Lario; la strenua tenacia con cui strinse un patto elettorale con i radicali; l'addirittura folgorante ammirazione per Massimo Calearo, presidente di Federmeccanica, che volle in lista a tutti  i costi con il risultato che questi nel 2009, appena un anno dopo la sua nomina a deputato nel Pd, lasciò il partito dichiarando di non essere mai stato di sinistra. E nel famoso voto di sfiducia al governo Berlusconi il 14 dicembre 2010, fece addirittura compagnia a Scilipoti nella pattuglia dei pseudo Responsabili per sostenere il Cavaliere.
E' un fatto che quando Veltroni decise di dimettersi da segretario il 17 febbraio 2009, a seguito dell'ennesimo rovescio elettorale, nessuno lo rimpianse neppure per un istante.
Anzi, non furono pochi quelli che gli rimproverarono di non aver fatto seguire alle parole i fatti, mantenendo la promessa di recarsi in Africa a dare sollievo alle popolazioni flagellate dalla povertà e dall'Aids.
Così, ormai sono anni, ce lo ritroviamo a Roma, dentro il Partito democratico a seminar zizzania con posizioni di destra, spesso ultraconservatrici.
Che quindi anche sul tentativo del governo Monti di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, abbia deciso di lasciargli carta bianca, nessuno se ne può meravigliare.
Sentite cosa risponde a Curzio Maltese nell'intervista su Repubblica di oggi che gli chiede se non sia eccessivo definire riformismo la politica del preside della Bocconi:
"No. Sono bastati tre mesi per capire che non si tornerà indietro. Circola nel Pd, ancor più nel Pdl, l'idea che questo sia solo un governo d'emergenza, una parentesi dopo la quale si tornerà ai riti e ai giochi della seconda repubblica o peggio della prima. Qualcuno dà giudizi tali da rischiare il paradosso di consegnare al centro o al nuovo centro destra il lavoro del governo. È un errore grave. Questo governo tecnico ha fatto in tre mesi più di quanto governi politici abbiano fatto in anni. Ha dimostrato non solo di voler risanare i conti, ma di voler cambiare molto del paese e vi sta riuscendo, con il consenso dei cittadini e dell'opinione pubblica internazionale. La copertina di Time o l'ovazione al Parlamento europeo sono un tributo ad un paese che solo qualche mese fa era guidato da Berlusconi e deriso".
Poi Curzio Maltese gli chiede di esplicitare il suo pensiero circa la posizione del governo sull'articolo 18 e così replica:
"Sono d'accordo col non fermarsi di fronte ai santuari del no che hanno paralizzato l'Italia per decenni. Il nostro è un paese rissoso e immobile e perciò a rischio. Credo che finora il governo Monti stia realizzando una sintesi fra il rigore dei governi Ciampi e Amato e il riformismo del primo governo Prodi".
E al giornalista che lo invita a non essere reticente, se ne esce fuori con una delle sue mitiche suggestioni:
"Totem e tabù si intitolava un libro di Freud. Ed è perfetto per definire gran parte del discorso pubblico in Italia. Bisogna cambiare un mercato del lavoro che continua a emarginare drammaticamente i giovani, i precari, le donne e il Sud. Ci vogliono più diritti per chi non ne ha nessuno. Questa è oggi una vera battaglia di sinistra".
Se l'ex segretario del Partito democratico dice cose del genere, senza una pubblica abiura o perlomeno la reprimenda dei vertici del partito, è la prova provata che il mondo del lavoro è ormai abbandonato a se stesso, con i politici del finto bipolarismo all'italiana pronti a girare le spalle e ad abbandonare la nave in piena tempesta.
E' utile tenerlo a mente per quando, prima o poi, la Casta chiederà a lavoratori e pensionati il voto in nome del Pd. 


giovedì 11 agosto 2011

I Quattro dell'Apocalisse e l'ipermacelleria sociale

In questi giorni di tempesta, due persone sicuramente, per il bene di tutti, non andrebbero mai intervistate.
La prima è il ministro del Tesoro e dell'Economia Giulio Tremonti.
Ormai non passa giorno senza che ci vomiti addosso tutto il suo malumore con una serie di iniziative straordinarie da prendere per tagliare il bilancio pubblico (dalla famigerata imposta di bollo sui conti titoli dei risparmiatori, ovvero la classica patrimoniale per i poveri, ai ticket sanitari, al taglio delle pensioni, al taglio degli stipendi pubblici, ad un'imposta straordinaria sui redditi medio-alti, all'accorpamento delle festività con le domeniche, ai ticket sui ricoveri ospedalieri (!!!), fino all'ennesima idiozia di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione insieme all'abominio di abrogare l'art. 41 che sancisce i limiti dell'iniziativa privata nell'ambito dell'utilità sociale).
Afflitto da grane private e figuracce pubbliche, ormai è andato completamente in bambola e spara misure lacrime e sangue senza rendersi veramente conto di quello che dice, tanto da smentirsi di volta in volta.
Insieme a Umberto Bossi e Silvio Berlusconi costituisce un trio da far venire i brividi, la cui credibilità a livello europeo ormai è molto vicina a zero.
Tant'è che Sarkozy e la Merkel li consultano, si fa per dire, solo a giochi fatti.
Per nostra sfortuna, adesso non appena dicono qualcosa di ufficiale davanti ai microfoni, i mercati se la prendono di brutto.
Insomma rappresentano un ulteriore grave fattore di instabilità per le finanze italiche.
Il motivo è che per anni hanno negato l'evidenza della crisi (fino all'altro ieri!), poi d'improvviso sono partiti sparati deliberando in fretta e furia provvedimenti che vanno a colpire soltanto la povera gente, guardandosi bene dal solo sfiorare i loro privilegi e le loro ricchezze (guai a parlare di imposta sui grandi patrimoni, o di lotta all'evasione fiscale, piuttosto preferirebbero rinunciare persino al bunga bunga...).
Un'accozzaglia di misure prese tanto per fare ammuina e colpire socialmente chi in questi anni li ha avversati, ben sapendo che con questo modo di sgovernare il Paese la crisi non verrà tamponata; al contrario, avrà esiti letali forse per il 90% degli Italiani.
Ma quello che più sorprende è la loro grande e, per certi versi, sorprendente, incompetenza tecnica.
Un ministro che teorizza il pareggio di bilancio in Costituzione rinuncia a priori a tutte le politiche keynesiane cioè alla gran parte della politica fiscale.
Se un Governo, che già non dispone più della leva monetaria, sacrifica pure la politica fiscale vuol dire che sconfessa se stesso: basterebbe allora un semplice Ragioniere dello Stato e la Corte dei Conti per mandare a quel paese tutta la politica con l'annesso carrozzone!
Ecco chi odia la politica, altro che Beppe Grillo e il suo movimento...
D'altra parte, basterebbe leggere le cronache di Oltreoceano dell'appena conclusosi esasperante braccio di ferro tra il presidente americano Obama e gli oltranzisti del Tea party, per rendersi conto che inserire una norma del genere in Costituzione è da irresponsabili.
Una stima prudenziale sulle pessime performance della Borsa di Milano di questi giorni, ci fa azzardare che uno spread di 1-1,5% rispetto alle altre Borse europee, sia attribuibile proprio alla crisi di credibilità del governo italiano.

La seconda persona che in tempi come questi mai e poi mai si dovrebbe intervistare è Walter Veltroni, ex leader del PD; il quale non pago degli sfracelli già realizzati in quei panni, promette di dare ancora il meglio di sè. 
Prima addirittura caldeggia entro agosto una modifica costituzionale per sancire il pareggio di bilancio poi, nell'intervista su La Stampa di oggi, rilancia l'ipotesi di un governo istituzionale, smentendo clamorosamente il suo segretario.
E' la stessa intervistatrice, Antonella Rampino, che glielo fa notare: "Ma voi del Pd siete divisi. Lei chiede un governo istituzionale, «alla Ciampi», e Bersani le dimissioni di Berlusconi e le elezioni."
E l'impareggiabile Walter così risponde: "Mi pare che tutto il Pd oggi chieda un governo istituzionale, con passo indietro di Berlusconi. Precipitare nelle elezioni, e per giunta con il rischio di attacchi speculativi, sarebbe pericoloso per il Paese".
Così, mentre il governo di Scilipoti progetta ipermacelleria sociale, nel PD, salvo litigare e dividersi egregiamente alla Veltroni, nessuno si dà da fare per spezzare questa spirale ideologica pericolosissima a cui i cavalieri dell'Apocalisse ci stanno condannando.

giovedì 7 luglio 2011

Il governo affonda ma, per favore, lasciate stare Veltroni!

L'ennesimo sketch in Consiglio dei Ministri, questa volta con protagonisti Tremonti e Brunetta (ma in quest'occasione ci sentiamo di prendere le parti del ministro del Tesoro!), registra plasticamente la fine di un governo. Non ci vuole molto a diagnosticarlo anche se nessuno ha il coraggio di staccare la spina.
Però è abbastanza paradossale che i giornalisti non trovino di meglio di fiondarsi su Walter Veltroni elemosinandogli  un commento a caldo.
Tutti dovremmo ricordarci che se l'Italia politica versa in queste condizioni penose lo si deve in larga misura all'ex segretario del Pd che, prima, nel gennaio 2008 fece cadere il governo Prodi (a nemmeno due anni di età), poi contribuì alacremente alla inaspettata resurrezione di Silvio Berlusconi, dato per finito solo tre mesi prima, facendo conseguire alla sinistra italiana  il peggiore risultato elettorale della sua storia repubblicana.
Vi ricordate la sua prediletta vocazione maggioritaria del Pd, per scrollarsi di dosso tutti i partiti di sinistra e trattare direttamente con il Cavaliere? Oppure i petulanti interventi in sua difesa perché chi osava criticare Berlusconi finiva ingiustamente per demonizzarlo?
Fortunatamente il fenomeno Veltroni durò poco e di esso il Pd si liberò senza rimpianti anche se con la pesantissima eredità del terribile governo PDL-Lega dell'uomo di Arcore.
Però ogni qualvolta comincia a profilarsi qualcosa di nuovo nell'orizzonte plumbeo della politica italiana, spuntano da tutte le parti selve di microfoni che mendicano, in crisi d'astinenza, il verbo veltroniano.
Così, in un paio di giorni, l'americano de Roma Walter, prima è intervenuto per stroncare sul nascere l'iniziativa referendaria avviata nel suo partito per abrogare la legge elettorale porcata di Calderoli, esaltando l'attuale bipolarismo maggioritario dell'Italia (come 'infatti' dimostrano, dal 1993 in poi, quasi vent'anni di decadenza politica, economica e sociale del nostro paese, in perenne guerra tra bande); e adesso decreta, noblesse oblige, la fine del governo Berlusconi.
Eh sì che lui di cadute di governo se ne intende!

martedì 8 dicembre 2009

Il Partito Democratico: Così è, se vi pare!

La grande manifestazione autorganizzata del No B Day del 5 dicembre ha ormai messo in chiaro alcune cose, dalle quali non si può prescindere per sondare gli scenari futuri della politica italiana.

L’onda lunga contro il governo presieduto da Silvio Berlusconi sta salendo rapidamente: il malessere sociale aumenta a vista d’occhio e sentire in televisione i suoi avvocati parlamentari architettare l'ennesimo colpo di spugna per i suoi guai giudiziari, non solo è un’offesa all’intelligenza degli italiani; prima ancora è uno schiaffo alla loro oggettiva condizione di difficoltà economica.

Il processo breve (sarebbe meglio dire nullo) è un’idea così idiota che anche il più inetto dei politici si accorgerebbe all’istante che patrocinare una legge del genere, senza garantire ai magistrati condizioni e strumenti di lavoro adeguati a realizzare in concreto un obiettivo tanto ambizioso, significherebbe legare il proprio nome ad una demenziale mascalzonata.
Pertanto, tra i suoi fidi scudieri, è iniziato il tocco per decidere chi la deve firmare...
Un umile suggerimento. Gli avvocati del premier siano ancora più drastici: che i tre gradi di giudizio si concludano non in sei anni ma in una settimana… e d’incanto, tra sette giorni, la giustizia italiana si sarà sbarazzata di tutto l’arretrato (lasciando le vittime al loro destino e i delinquenti in libertà... ma queste sono sottigliezze!).
Il migliore dei mondi possibile per il compianto Al Capone.
Infatti, se per reggere alle eccezioni di incostituzionalità sulla uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, verranno fatti rientrare nel processo nullo anche i reati di mafia e terrorismo, Spatuzza & gli altri mammasantissima saranno finalmente tacitati: e, ne siamo sicuri, alla chetichella le porte del carcere si apriranno finalmente anche per loro.

Di fronte a questo disastro politico, giudiziario, sociale, economico ed etico, che muove centinaia di migliaia di persone ad inaugurare il ponte dell’Immacolata sulle strade di Roma, non per lo shopping natalizio, ma soltanto per gridare ai quattro venti che il re è nudo, la risposta del Partito democratico è assolutamente inesistente.
Sabato a Roma si sono visti sfilare politici di primo piano del PD, come la presidente Rosy Bindi, ma il segretario Pierluigi Bersani se ne è tenuto fuori, perché rivendica lui, non ci si imbuca nelle manifestazioni degli altri.
Certamente come amministratore di condominio il suo ragionamento non fa una piega ed avrà una luminosa carriera: se ci sono schiamazzi notturni, siano gli inquilini insonni a chiamare il 113, non di certo lui che vive da un’altra parte!

E’ surreale, l’unico grande partito di opposizione in Parlamento si dichiara attualmente non interessato ad opporsi al governo del Cavaliere ed al Cavaliere in persona.
Ma lasciare 300-400mila persone abbandonate a se stesse in piazza San Giovanni e milioni di altri a masticare amaro tra le mura domestiche di sabato sera, non è un suicidio politico?
Per l’amministratore pro-tempore Bersani, così va il mondo
Siamo all'inverosimile che pure Se po’ ffà Veltroni, di fronte all'immobilismo di Bersani, un vero letargo, si sia scoperto improvvisamente movimentista.
Neppure il grande Pirandello avrebbe potuto immaginare un esito congressuale così bislacco e disperante: perchè qui la montagna del PD non ha partorito un topolino, ha optato direttamente per l’interruzione anticipata di gravidanza!
Colui che ha fatto dell’accordo strategico con Berlusconi la cifra della sua stagione politica (e che per questo, neanche un anno fa è stato dimesso dai suoi), proprio Walter Veltroni, si trova adesso a tuonare contro il neosegretario, reo di essere ancora più mozzarella di lui.

Pare ovvio che, in questo penoso stato di cose, senza avere un’alternativa politica semplicemente dignitosa e minimamente credibile, Silvio Berlusconi continuerà a fare il bello e il cattivo tempo ancora a lungo.

domenica 15 novembre 2009

Urgono ecoincentivi per la politica italiana

Gli Italiani saranno finalmente contenti… perché da tempo (non) si sentiva la sua mancanza!
Ma la quarantena, dopo i disastri politici degli ultimi due anni, per lui è finita.
Riecco in forma smagliante, pronto a pontificare come e peggio di prima, l’Americano de Roma, per gli amici Se po’ ffà, al secolo Walter Veltroni.
Questa volta intervistato da Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera.
Sì, proprio lui: l’inventore di tante intuizioni politiche di insuccesso: dalla "vocazione maggioritaria del Pd", al fenomenale "il capo dello schieramento a noi avverso", al mitico qui lo dico e qui lo nego del suo memorabile "ma anche".
Chi temeva che di lui, dei suoi sconquassi, delle sue batoste elettorali, non sarebbe rimasta traccia nella politica italiana, si sbagliava di grosso.
Eccolo di nuovo in pole position, con la minaccia di fare nuovi sfracelli.
Con la prosopopea di sempre, forse ancora maggiore, pronto a dispensare consigli a destra e a manca, con le sue granitiche certezze.
Quelle che hanno ridotto la sinistra nello stato deplorevole in cui versa, mentre la politica italiana è di nuovo impantanata a discutere una nuova legge ad personam per Silvio Berlusconi, affinché ingiustizia sia fatta fino in fondo.
Ma adesso con Veltroni, ne siamo sicuri, non abbiamo più nulla da temere.
Possibile che nessuno pensi ad introdurre gli ecoincentivi per i politici decotti??

domenica 23 agosto 2009

Prima ammissione di Veltroni: «Non tutto il male è colpa di Berlusconi»

Un Walter Veltroni in grande spolvero è quello che si affaccia di nuovo alla ribalta della politica italiana.
Pensavamo che fosse caduto in letargo, invece no: era più sveglio che mai, pronto finalmente a dirgliene quattro al capo dello schieramento a lui avverso.
Un Se po’ ffà rinfrancato che, nel giro di poche ore, presenta la sua ultima fatica letteraria, il romanzo Noi; lancia l’ultimatum al governo per lo scioglimento della giunta comunale di Fondi, in provincia di Latina, ergendosi a paladino contro la criminalità.
Dulcis in fundo, dichiara: "La colpa più grave di Berlusconi è quella di non avere migliorato in nulla il paese pur dominandone la politica da 15 anni, ma non credo che con lui scompariranno anche l'egoismo e l'individualismo".
Ormai, tiratosi fuori dall’agone politico, si atteggia a saggio, o meglio a grande vecchio della politica italiana.
Con il piccolo particolare che, a parte il fatto che non ne ha l'età, non mostra nè statura morale né strumenti culturali per cimentarsi nel ruolo di maître à penser, per il quale ci aspetterebbe da lui qualche titolo di merito in più.
In una cosa però ha ragione: è vero, non è tutta colpa di Berlusconi.
Infatti, senza la sua preziosissima opera di fiancheggiamento, l’uomo di Arcore non sarebbe diventato per la terza volta Presidente del Consiglio e non potrebbe governare il nostro paese per almeno altri quattro anni a dispetto di una pessima compagine governativa dove gareggiano solo gli istinti peggiori e una cultura politica da uomini delle caverne.
Illuminanti sono le parole dell'impareggiabile Walter riprese dal Corriere della Sera.it : "Siamo un paese che tende a prendere forti sbandate ideologiche. Si sono trasformati in ideologie persino il berlusconismo e l'antiberlusconismo , e il mio grande dolore - dice - è stato non essere riuscito ad avviare una stagione di collaborazione nell'interesse dell' Italia dopo le elezioni".
Incapace di fare i conti con il proprio fallimento storico, tende ancora la mano a Berlusconi, questa volta implorandogli aiuto …
Nel frattempo si ripropone come romanziere.
Una cosa è certa: Noi, ne resteremo alla larga.

domenica 2 agosto 2009

Aspettando in autunno l'Anticasta...

Finalmente ci potremo dedicare, da adesso e fino a Ferragosto, ad altre attività più gratificanti che osservare i palazzi della politica.
Perché lo spettacolo che ci hanno mostrato in questi mesi si è fatto via via più deprimente: la casta non risente della crisi ed è in tutto affaccendata tranne che nel cercare di dare una mano ai suoi elettori, molti alle prese con difficoltà economiche senza precedenti, in un generale contesto di appesantimento del tenore di vita delle famiglie.
Centrodestra e centrosinistra fanno a gara nel far rimpiangere ai cittadini di averli messi su contro i propri interessi.
Perché gli unici interessi che deputati e senatori riescono a rappresentare davvero sono i propri.
Tutto il resto è trita messinscena.
Facciamoci caso: l’unica categoria che non risente minimamente della crisi economica sono proprio loro, i nostri politici; che, a tutto pensano, tranne che a darsi una salutare ridimensionata.
La vita dorata che facevano un anno fa continuano a farla anche quest’anno, alla faccia degli italiani che, licenziati, precarizzati, tartassati, sono sempre più poveri: sono ormai 8 milioni quelli definiti tali anche dall’Istat.
Nel Palazzo, suona tutta un’altra musica di quella che si dovrebbe ascoltare.
Chi fa il difensore del premier continua a farlo, pur essendo, come direbbe Beppe Grillo, un nostro dipendente.
L’avvocato Gaetano Pecorella oltraggia la memoria di don Peppino Diana, un sacerdote anticamorra caduto sotto i colpi della criminalità organizzata, e, piuttosto che rettificare, rilancia e se ne compiace.
Nell’impazzito Partito Democratico, Se po’ ffà Veltroni, cerca di rinverdire le proprie naufragate aspirazioni proponendo, udite udite, una legge sul conflitto di interessi.
Forse perché solo adesso si è reso conto della sua necessità; peccato che non ci abbia pensato prima, magari quando è stato a lungo vicepresidente del Consiglio.
Adesso, con la sua spiccata vocazione maggioritaria, ha soltanto il 25 % di consensi ed è molto improbabile che vi riesca a meno che non trovi un accordo proprio con il capo dello schieramento a lui avverso che, guarda un po’, grazie alla sua lungimiranza, siede comodamente a Palazzo Chigi.
A breve ci aspettiamo un suo autorevole ripensamento sulla politica attuale, quando arriverà ad affermare che Silvio Berlusconi è stato più innovatore di lui, perché ha inventato la discesa in campo e il partito-azienda.
E' solo questione di tempo...
A proposito, il canotto del Partito democratico, rappezzato in più parti e adesso investito pure dal ciclone pugliese delle inchieste giudiziarie, sta colando a picco, ma la cosa è tanto scontata da non fare più notizia.
Al Colle, dopo la promulgazione immediata della legge sulla sicurezza, abbiamo la certezza che non vi abita più neppure un notaio.
Come scrive tristemente Enrico Deaglio nella lettera a Repubblica del 23 luglio scorso, "Che Marcello Dell’Utri, geniale fondatore del partito Forza Italia, sia stato condannato in primo grado a nove anni di carcere per mafia e sia indicato in sentenza come ambasciatore di Cosa nostra , non scandalizza nessuno."
Ma se l’Italia si sta sfasciando, nell’indifferenza generale, la colpa è di una politica del tutto indifferente alle sorti del Paese; la quale, pur consapevole del precipizio in cui ci stiamo inabissando, continua a non essere disponibile a cedere neppure uno dei suoi mille privilegi per salvarlo.
Ecco perché solo l’antipolitica, rappresentata dalla società civile, da Beppe Grillo e dal partito di Di Pietro, in una parola, l’Anticasta, può cercare di arrestare questa altrimenti inevitabile deriva .
Speriamo che, dopo le vacanze, il movimento di Beppe Grillo rompa gli indugi delle liste territoriali e si proponga finalmente come forza politica nazionale per dare la spallata decisiva ad una corporazione politica che ci ha ridotti impunemente al lastrico.
Sarà forse un caso che, riprendendo le parole di Deaglio, "L’Italia che ha avuto migliaia di pentiti nel mondo criminale, non ne ha avuto uno solo nella politica".
Buone vacanze!

giovedì 16 luglio 2009

Rinnegare Enrico Berlinguer? Se po' ffà!

Era ampiamente previsto e si è puntualmente verificato; ma ha ugualmente sorpreso per rapidità.
Quello che resta del Partito democratico ha sbattuto la porta in faccia a Beppe Grillo.
Un pronunciamento tanto repentino da essere imbarazzante per chi lo ha emesso.
Pensate un po’, i Democratici del comitato di garanzia si sono riuniti in fretta e furia in una caldissimo pomeriggio di luglio per bloccare la strada a Beppe Grillo, reo di essere ostile al PD. Pare incredibile, ma la nota dell’Ansa delle ore 20 e 37 di martedì 14 recita testualmente:
"La commissione nazionale di garanzia del Pd conferma unanime, dopo una riunione appena conclusa, che Beppe Grillo non puo' iscriversi al Pd.'Non e' possibile la registrazione di Beppe Grillo nell'anagrafe del Pd - si legge in uno stringato comunicato - poiche' egli ispira e si riconosce in un movimento politico ostile al Pd'. Le ragioni della delibera verra' resa nota nei prossimi giorni."
I membri del sinedrio democratico sanciscono così la definitiva rottura della nomenklatura dalla società civile. Oramai, peggio dei farisei, ammettono di essere totalmente incapaci di confrontarsi con le idee, con la Politica con la p maisucola, preoccupati solo di non perdere il trespolo parlamentare che garantisce loro sine die una vita dorata.
Un partito del genere, ormai dovrebbe essere chiaro anche al più ostinato dei fan, non è altro che l’altra faccia della medaglia rappresentata dal governo di Silvio Berlusconi.
Dispiace per i tanti che si dannano l’anima per organizzare le feste dell’Unità, ora Democratiche, e che ancora confidano in un riscatto ma con questi dirigenti, così attaccati alla poltrona da rinnegare persino la loro stessa storia, non ci sono speranze.
E’ forse un caso che l’ipersconfitto Walter Veltroni, già dirigente per trent’anni di Pci, Pds, Ds e da poco ex segretario Pd, sia riuscito, imperturbabile, in occasione della presentazione di un libro sul Psi di Bettino Craxi alla presenza della figlia Stefania, a rinnegare la figura di Enrico Berlinguer, al cui fulgido esempio tutta la politica italiana a 360 gradi, persino gli ex fascisti, in questi 25 anni dalla sua scomparsa, ha testimoniato riconoscenza ed esaltato il ruolo di padre della patria.
Per operare quest’ultimo gravissimo strappo Walter Se po’ ffà ha dimenticato persino Tangentopoli che vide proprio in Bettino Craxi il principale ideologo, come le sentenze della magistratura hanno permesso di mettere inoppugnabilmente nero su bianco.
Come riporta il Corriere.it "Craxi nel ritratto tutte luci e niente ombre che ne fa Veltro­ni, disegna un partito diver­so, rispetto ai modelli del No­vecento, Pci e Forza Italia, «un partito fluido, moderno, capace di raccogliere anche ciò che non è omogeneo a sé, ma che si unisce attorno a de­terminate idee». E sembra che rievochi il suo Pd."
Giustamente, per Walter Veltroni il sistema delle tangenti è più innovativo della questione morale, così cara a Enrico Berlinguer.
Se il Pd, nelle intenzioni del suo primo segretario, doveva essere la prosecuzione del Psi di Bettino Craxi, Gianni De Michelis, Giulio Di Donato, Paolo Pillitteri, ecc., ecco di colpo spiegato il suo tracollo elettorale.
Ma se il Pd fosse effettivamente un partito politico e non l’armata Brancaleone al servizio esclusivo della sua nomenklatura, uno come Se po’ ffà andrebbe espulso a stretto giro di posta.
Invece non solo ciò non succede ma la sua abiura non fa più neppure scandalo e viene giudicata dai suoi una cosa normale…
Nell’abisso in cui sono precipitati non c’è più spazio neppure per la vergogna.

giovedì 4 giugno 2009

Veltroni in soccorso di Franceschini? Povero PD!

Che le prossime elezioni europee, ma soprattutto amministrative, segnino per il Partito democratico un punto di non ritorno è noto da tempo.
Che Dario Franceschini sia salito stoicamente sul ponte di comando in un momento drammatico, mentre la nave democratica si dibatteva in acque pericolosissime, condotta allo sfracello dall’impareggiabile capitano Walter Veltroni, è anche ciò cosa arcinota.
Che il bravo Dario si sia dato da fare in tutti i modi, brillando finalmente di luce propria, è anche questo un dato di fatto: queste settimane di campagna elettorale ci consegnano un nuovo leader di cui, fino a qualche mese fa, assolutamente non sospettavamo l’esistenza.
Essere per tanti mesi l’ombra dello spento Veltroni certamente non poteva giovare a Franceschini, costretto ad affondare suo malgrado nelle sabbie mobili di una politica senza né capo né coda come quella pervicacemente portata avanti dall’ex sindaco di Roma.
Infatti, alzi la mano chi, tra i Democratici, abbia sentito in tutto questo tempo un po’ di nostalgia per Veltroni o che ne rimpianga anche una sola iniziativa politica.
Sconsolatamente, potremmo constatare che non c’è nessuno, ma proprio nessuno!
La qualcosa non ci meraviglia dal momento che sarebbe paradossale il contrario: si può sentire la mancanza del vuoto?
Veltroni ce lo ricordiamo per il sottovuoto delle sue intuizioni politiche: dal correre da solo sancendo urbi et orbi la fine immediata del governo Prodi, al proposito strombazzato di voler fare le riforme istituzionali soltanto con Silvio Berlusconi, all’epoca ormai al tappeto; all’idea geniale di fare una petizione contro il governo di centrodestra disertando la giornata di protesta dell’8 luglio, per convocare tardivamente la piazza per il 25 ottobre!
L’elenco delle perle veltroniane è veramente infinito e non siamo così sadici da volervelo riproporre, a partire dalla batosta delle Politiche del 13 aprile 2008.
Basti, come ciliegina sulla torta, la legittimazione costituzionale che egli diede del lodo Alfano, la legge sull’immunità delle alte cariche.
Sentire in queste settimane parlare Franceschini, nel silenzio di Veltroni, non ci è parso vero: ed avevamo iniziato a sperare che l’incubo veltroniano della sconfitta permanente potesse essere finalmente scacciato via.
Dario Franceschini, anche nella Tribuna televisiva di lunedì scorso, ha confermato ancora una volta, una sorprendente capacità comunicativa e la dignità di un uomo politico che crede veramente in quello che dice, senza peraltro ostentare quella stucchevole ed ingiustificata supponenza del suo predecessore: un bravo capo boy scout, oseremmo concludere senza alcuna ironia.
Quando si poteva iniziare a sperare che dentro il Pd la gestione Franceschini potesse sortire i suoi primi graditi effetti ecco che stamattina, come un fulmine a ciel sereno, è intervenuto l’impareggiabile Walter con il suo ferale appello al voto:
"Votiamo PD, la principale speranza del nostro Paese. Non è solo il mondo a guardarci con preoccupazione e disagio. E' la sensazione che vive ciascun italiano, chiunque ami davvero. La destra sta edificando un paese violento."
"Non so quanto tempo ci vorrà, ogni giorno che passa così è un giorno perduto, ma il paese girerà pagina. E quando lo farà dovrà trovare il riformismo. Per questo il voto al Partito Democratico è essenziale. Nessuna demagogia porterà il paese fuori da questo tunnel. Solo il riformismo la salverà".
Un aiuto al cosiddetto voto utile rilanciato da Franceschini?
No, esattamente il contrario: un intervento a gamba tesa che demolisce completamente la faticosa opera di quest’ultimo.
Vi rendete conto? Dopo averci portato a questo stato di cose, bulldozer Veltroni ha ancora il coraggio di riproporci l’inciucio con Berlusconi, blaterando di riformismo, termine dietro il quale si è trincerato durante tutta la sua segreteria per giustificare un'inesistente opposizione.
Con questo suo ultimo surreale intervento, quanti altri voti farà perdere al Pd?
Quale calcio negli stinchi ha inflitto all’incolpevole Dario Franceschini?
L’attuale leader democratico farebbe bene subito a prenderne le distanze perché, più che un aiuto, l’uscita veltroniana sembra proprio la classica polpetta avvelenata.
Ma forse è ormai troppo tardi per rimediare a questo sgambetto.

lunedì 16 marzo 2009

La congiura di Walter e... il nuovo che avanza!

E’ storia nota e arcinota. Pausilypon da sempre sostiene che la caduta del governo Prodi del 2008 fu dovuta ad una congiura di Palazzo che aveva in Walter Veltroni l'ispiratore ed in Clemente Mastella soltanto l’esecutore materiale.
Bastava leggere le cronache di quei giorni.
Ieri sera Romano Prodi, ospite di Fabio Fabio nel suo programma Che tempo che fa, ha ribadito il concetto in modo definitivo ed inoppugnabile. Leggiamo dal Corriere.it:

«Il mio esecutivo — ha detto l'ex premier — poteva andare avanti, perché dopo una Finanziaria durissima il Paese avrebbe finalmente potuto raccogliere i frutti di quei sacrifici. E invece, come successe anche con il mio primo esecutivo, dopo l'ingresso nell'euro, il governo è stato fatto cadere». Prodi ha quindi rievocato l'esatto momento in cui le sorti dell'Unione sono precipitate nell'abisso. La scintilla fu l'annuncio di Veltroni, da poco eletto al vertice del Pd, di andare soli alle elezioni, senza Rifondazione, senza ali. Domanda di Fazio: «Cosa ha pensato in quel momento, Professore?». Risposta: «Non ebbi bisogno di pensare. Ricordo che si affacciò Mastella alla porta del mio ufficio a Palazzo Chigi. Teneva la testa piegata da un lato e urlò: se voi volete fare fuori me, sono io che faccio fuori prima voi. Per la verità la frase di Clemente era un po' più colorita, ma la sostanza non cambia...».

Se non fosse stata l’incredibile uscita di Veltroni sulla millantata vocazione maggioritaria del PD e sul desiderio di correre da soli (mentre il governo Prodi era pienamente in carica, proprio con l'appoggio del partito leader della coalizione, il PD), oggi Romano Prodi siederebbe ancora a Palazzo Chigi con una guida sicuramente più sicura e competente di quella mostrata da Silvio Berlusconi in questi mesi, che riceve ormai l’aperta disapprovazione pure della stessa Confindustria, uno degli sciagurati protagonisti l’anno scorso assieme a Veltroni della resistibile rinascita del Cavaliere.
Il fatto che Veltroni abbia ripetutamente dichiarato di aver affrontato le elezioni politiche del 2008 in condizioni impossibili, quasi che a lui non si potesse addebitare la responsabilità della sconfitta, è sempre stato un suo curioso modo per allontanare da sé i sospetti sulla prematura caduta del governo di centrosinistra.
Ma le parole di Romano Prodi sono come pietre: nessun politico con un minimo di buon senso, poteva pensare che le parole esplosive di Veltroni sarebbero state lasciate cadere senza prima provocare un vero terremoto nell'Unione. Come è infatti stato.
Rispetto a quel cataclisma, le successive, infinite sconfitte di Walter Veltroni, hanno, tutto sommato, un rilievo minore: la sua gravissima, incancellabile, responsabilità è stata quella di aver fatto cadere il governo Prodi proprio nel momento in cui stava finalmente per raccogliere, insieme agli Italiani, i frutti di un duro lavoro di risparmi e sacrifici compiuti per risistemare le finanze pubbliche.
Proprio quando si trattava di ripartire il tesoretto, ve lo ricordate?, dispensando agli Italiani qualche beneficio, l’impareggiabile Walter se ne uscì in quel modo incredibile, roba da far venire la pelle d’oca.
E’ chiaro che finché il PD non avrà fatto chiarezza su questo punto, celebrando un vero congresso che mandi a casa non solo l’ex sindaco di Roma ma l’intera sua classe dirigente, rea di aver abbandonato l'Italia su un piatto d'argento a Berlusconi (altro che l'insulsa petizione Salva l'Italia!), le speranze per il Paese sono ridotte al lumicino.
Peggio, c’è il rischio che dentro il Partito democratico emergano leader improbabili, che hanno il solo dichiarato merito di candidarsi contro l’incapace nomenklatura di quel partito: come tal Matteo Renzi da Firenze che, ammiccando ai telespettatori con il golfino color Fiorentina, si è presentato giovedì scorso nello studio televisivo di Michele Santoro ciacolando di Costituzione, in modo veramente imbarazzante.
Se questo è il nuovo…

domenica 22 febbraio 2009

Il Pd e.. il congresso che non c'è!

Prima di commentare la resa dei conti in corso nel Partito Democratico, il cui destino nonostante l’avvicendamento tra Walter Veltroni e Dario Franceschini appare segnato, aspettavamo il giudizio che ne avrebbe dato dalle colonne di Repubblica quello che, per certi versi, è stato il suo ideologo oltre ad esserne uno dei più potenti ed accaniti supporter, Eugenio Scalfari.
Dietro questi sedici mesi di navigazione tempestosa di Walter Veltroni, c’è sempre stato lui a suggerirgli strategie, tattiche, e perché no, a rivolgergli anche qualche amorevole rimbrotto.
Ci aspettavamo quindi che, un tempo nella buona sorte adesso nella cattiva, il grande vecchio di piazza Indipendenza volesse anche lui, al pari di Veltroni, chiedere scusa per i tanti errori compiuti in tutto questo tempo diventando la cassa di risonanza del pensiero debole veltroniano, facendo assumere al suo giornale una fisionomia tutta diversa da quella delle origini, tanto da allontanarlo sempre più da molti affezionati lettori.
Ma non è stato così.
Nel suo odierno domenicale, precisa che l’impressione che Veltroni non ce l’abbia fatta a portare a termine la sua impresa, sia in qualche modo fuorviata dalle titolazioni che i giornali hanno dato al suo discorso d’addio. Che, sì, riflettono i contenuti del suo commiato ma non le sue effettive colpe che, secondo il famoso giornalista, si ridurrebbero ad un unico errore; l’aver cercato ad oltranza di mediare tra le diverse anime del partito senza far pesare fino in fondo il valore della sua leadership, costruita su tre milioni e mezzo di consensi: "Veltroni ha impiegato gran parte del suo tempo a cercare punti di sintesi che erano piuttosto cuciture fatte col filo grosso, con la conseguenza che quei vari pezzi e quelle varie ispirazioni e provenienze sono rimaste in piedi senza dar vita ad una cultura nuova e unitaria."
Ci aspettavamo da Eugenio Scalfari un’analisi più acuta e attenta delle immani pecche che la guida democratica ha mostrato da subito. Attribuire a Veltroni quale unico errore quello di aver indugiato troppo nella mediazione tra "laici e cattolici, socialisti e moderati, tolleranti e intransigenti, puri e duri e pragmatici" è davvero poca cosa e dimostra come anche dalle parti di piazza Indipendenza la confusione regni sovrana.
D’altra parte, in tutti questi mesi non una volta Scalfari ha rimproverato Veltroni per i suoi tentennamenti, né per il suo incessante mediare tra i vari capibastone; al contrario, ha sposato in pieno questa linea politica ondivaga e priva di respiro.
Perché il vero nodo della questione è che, sin dal giorno del suo insediamento, Walter Veltroni ha rinunciato a sostenere il governo Prodi e, dopo la clamorosa disfatta elettorale dell’anno scorso, a fare opposizione al governo autoritario dell’uomo di Arcore.
Se l’è presa da subito con i verdi, con la sinistra, con Di Pietro (pur avendo stretto un’alleanza di ferro con lui), ma mai contro Berlusconi, salvo punzecchiarlo sterilmente ma di continuo per le sue riprovevoli gaffe.
Inopinatamente, quando il Cavaliere era ormai alle corde, nel novembre 2007, incapace com’era di recuperare credito tra i suoi (siamo al tempo del teatrino evocato da Gianfranco Fini), Veltroni ebbe la folle idea di rimetterlo in piedi annunciando, urbi et orbi, di voler costruire con lui le nuove regole del gioco, sbarazzandosi di punto in bianco dei propri alleati mentre Romano Prodi stava ancora saldo in sella a Palazzo Chigi.
Fu quella una vera e propria congiura di Palazzo, che sotto le mentite spoglie del ministro Clemente Mastella, silurò improvvisamente l’esperienza dell’Unione per proclamare unilateralmente la presunta vocazione maggioritaria del Pd.
Fu l’inizio della fine. Seguirono mesi difficilissimi che consegnarono incredibilmente il Paese ad un governo delle destre reazionario, incapace di dare sia pure elementari risposte alla grave crisi economica che si stava affacciando da oltre Atlantico.
Se ci fosse stata una chiara opposizione, molto presto l’armata berlusconiana avrebbe dovuto prenderne atto, forse capitolando o scendendo a più miti consigli su tante questioni scottanti.
Ma guardiamo all’oggi.
E’ chiaro che, con la caduta di Veltroni, viene bocciata tutta la nomenklatura del suo partito (i Fassino, la Finocchiaro, ecc. ieri all’assemblea nazionale sembravano di colpo invecchiati, ridotti a pezzi di modernariato) "delegittimata e spazzata via tutta insieme".
Così come è di tutta evidenza che il compito di Dario Franceschini sia divenuto quasi impossibile, senza un congresso che possa decretare a caratteri cubitali la fine del veltronismo, o meglio del veltrusconismo.
Conforta che il nuovo giovane leader, sin dal suo primo discorso, abbia voluto mostrare una qualche discontinuità con il suo predecessore; certamente, non avendo nulla da perdere, egli può permettersi una libertà intellettuale e di azione decisamente superiori.
D’altra parte, fare peggio di Veltroni è praticamente impossibile.
Già sarebbe molto se riuscisse a traghettare il Pd da una vergognosa non opposizione di questi mesi ad una più modesta quasi opposizione.
Ma non illudiamoci: finché non sarà spazzata via la vecchia nomenklatura, le speranze di avere un partito diverso si avvicinano a zero, nonostante tutta la buona volontà del nuovo segretario.

martedì 17 febbraio 2009

Si inabissa in Sardegna il relitto del Pd

Il crollo del Pd in Sardegna? L’ennesima sconfitta annunciata!
Alzi la mano chi aveva soltanto un dubbio sull’esito disastroso per il centrosinistra delle Regionali sarde!
Onore a Renato Soru, a cui va dato comunque il merito di aver espresso una politica di passione, valori etici, coerenza con la propria identità culturale, fatta di parole essenziali di chi crede veramente in quello che dice, senza tanti giochi verbali, senza gli eterni intrighi di palazzo.
Ne esce sconfitto come governatore della Sardegna, paradossalmente ne esce rafforzata la sua leadership a livello nazionale: che poi diventi la punta di diamante di un nuovo partito di massa o dell’esausto Partito democratico, questo è un altro discorso.
Ne esce a pezzi, ancora più minuti, la figura del segretario del Partito democratico, Walter Veltroni: non riusciamo ad immaginare un uomo politico che, al pari dell’ex sindaco di Roma, sia riuscito a disseminare di tante rovine il proprio percorso al vertice del partito. Letteralmente, in questo anno e mezzo dalla sua acclamazione a leader non ne ha azzeccata una; e non è contro la cattiva sorte che se la deve prendere.
Nel pieno di una tempesta in cui egli ha condotto il Partito democratico dalle acque, increspate ma certamente non torbide, dell’Ulivo di Romano Prodi, ha mostrato una grave confusione di idee, una assoluta incoerenza nell’azione politica, una personale impassibilità al naufragio in corso, il tutto infarcito di tanta vanagloria nel giudicare addirittura buoni i miserevoli risultati raggiunti.
Una contraddizione sistematica che lo ha condotto a legittimare Silvio Berlusconi come suo interlocutore privilegiato, anche per farci insieme le riforme costituzionali, per poi rampognarlo di continuo ma in modo petulante per le sue battute da avanspettacolo.
E’ riuscito, con una sequela di scelte avventate, non solo a dare per scontata la costituzionalità della legge sull’immunità penale delle alte cariche (il famigerato lodo Alfano) ma a rilanciare sui media lo spot elettorale del presidente del Consiglio quale difensore della vita nella recente tragica vicenda della ragazza in coma.
Non ne facciamo una questione esclusivamente personale: con lui dovrebbe ricevere il benservito l’intero suo staff.
Come dimenticare, ad esempio, la senatrice Angela Finocchiaro che, non appena approvato il buco nero del federalismo fiscale, si rivolge al Cavaliere dichiarando la buona disponibilità dell'opposizione a dialogare con lui? Vede Cavaliere, come siamo stati bravi?
In Sardegna il Partito democratico ha perso di botto l’11%, nonostante potesse contare sul valore aggiunto offertogli da Renato Soru (la cui lista ha infatti preso 5 punti in più dei partiti della sua coalizione); temiamo che a livello nazionale il risultato sarebbe stato ancora peggiore: il Pd veltroniano è ormai un relitto.
Così mentre il Paese affonda, grazie ad un governo di inetti che fa finta di non rendersi conto della gravità della situazione sociale, Silvio Berlusconi può dormire sonni tranquilli: il maldestro Walter è il suo garante, almeno fino alle Europee di giugno, quando finalmente sarà costretto a passare la mano.
Sono gli Italiani adesso ad avere gli incubi.