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mercoledì 27 febbraio 2013

La sfilata degli zombie all'uscita dal Gran Consiglio del PD

Quest'oggi apriamo con un video di Nino Luca tratto da youtube di straordinaria efficacia; riprende i dirigenti del PD all'uscita dalla riunione notturna in cui hanno preso atto della sconfitta elettorale, l'ennesima della loro vita. 
La spocchia resta la stessa di sempre ma la delusione, forse un pizzico di vergogna, per la prima volta fa capolino nelle loro espressioni accigliate e stupefatte. Non rispondono alle domande del giornalista, cercando di sgattaiolare via il più velocemente possibile, proteggendosi infine dietro i vetri scuri di  potenti auto blu che partono sgommando.
Sembrano degli zombie.
Ma com'è possibile che per tanti anni abbiamo affidato le sorti del paese a personaggi simili, dall'ego tanto smisurato quanto la loro mediocrità, evidentemente del tutto inadatti al ruolo? 
Ne abbiamo adesso, proprio grazie a queste immagini di cronaca destinate a diventare storiche, una conferma plastica. E solo adesso ci rendiamo conto fino in fondo come sia stato facile per Silvio Berlusconi  fare per vent'anni il bello e il cattivo tempo, rialzandosi almeno una decina di volte dalla polvere in cui da solo era precipitato.
Insomma, la sfilata dei gerarchi all'uscita del Gran Consiglio del PD come nemesi storica, il 25 febbraio di questa finta sinistra italiana.


lunedì 24 novembre 2008

Tra i due senatori... l'inciucio vince!

Nell’intervista a la Repubblica di oggi il senatore del Pd Nicola Latorre chiede scusa per la brutta figura in cui è incappato durante un dibattito televisivo della settimana scorsa quando si è fatto sorprendere dalle telecamere di La7 nel passare un “pizzino” all’avversario del Pdl Italo Bocchino per suggerirgli la risposta da dare al capogruppo dell’Idv, Massimo Donadi.
Una scena al tempo stesso fantozziana e surreale, che ricorda Specchio segreto la fortunata trasmissione degli anni sessanta di Nanni Loy che, con l’obiettivo nascosto, filmava in presa diretta in giro per l’Italia frammenti di vita comune, con risultati a volte esilaranti, sempre di rara efficacia narrativa.
Però lo scoop di Striscia la Notizia, nonostante le risate montate di sottofondo com'è uso di questa trasmissione, non ha nulla di esilarante e non è stato realizzato nascondendo le telecamere: si rivela, né più né meno, che uno sberleffo nei confronti dei cittadini, in gran parte ancora troppo ingenui e idealisti.
Perché non rappresenta solo un gravissimo scivolone ed un evidente autogol dei protagonisti.
Quel comportamento molto più di tanti editoriali, commenti, dibattiti mediatici fotografa lo stato della nostra politica.
Uno stato pessimo, a giudicare dalla disinvoltura con cui i due protagonisti Bocchino e Latorre si sono mossi, incuranti dell’occhio vigile delle telecamere di studio.
Non solo è scandalosa l’imbeccata di Latorre, ancora più sconcertante è la reazione compassata di Bocchino che riceve il messaggio senza fare una piega; anzi, subito dopo si dà da fare per raccogliere il suggerimento dell’avversario prendendo la parola contro il rappresentante dell’Idv, alleato di Latorre.
La verità che emerge inconfutabile è che i nostri politici rispondono soltanto a se stessi, coinvolti nei loro giochi sottotraccia, in una strategia trasversale e autoreferenziale in cui i bisogni dei cittadini sono l’ultimo dei loro pensieri.
In un paese normale, come ripete spesso il suo capofila Massimo D’Alema, Nicola Latorre avrebbe dovuto spontaneamente rassegnare le dimissioni da ogni incarico politico.
Da noi, al di là del prevedibile clamore sollevato nella gente dallo scoop della trasmissione di Antonio Ricci, la cosa è passata tra i politici quasi inosservata, tanto a destra quanto a sinistra.
Lo stesso Massimo D’Alema, che sicuramente non deve averla presa bene, fa finta di niente, in ben altre faccende affaccendato nello scontro in corso dentro il Pd.
Eppure Latorre, dopo le scuse d’obbligo, ha l’ardire di rilanciare; ecco come esordisce nell’intervista curata da Goffredo De Marchis:
"Innanzitutto, sento il dovere di chiedere scusa agli elettori e ai militanti del Pd. Ho commesso una grave leggerezza, ho contribuito ad accreditare un'idea della lotta politica che non corrisponde al mio modo di essere. Non volevo mettere in difficoltà il mio partito, semmai il contrario. Ma ho sbagliato il modo. Dunque, mi scuso e l'ho fatto anche sul sito. Detto questo, considero un segnale allarmante far derivare da quella vicenda una sequela di iniziative inquisitorie. Chiedere formalmente le mie dimissioni da tutto, sentirmi dire dal gruppo dirigente che ho infangato miseramente la politica, ascoltare Di Pietro invocare misure poliziesche nei miei confronti senza che nessuno del Pd alzi un dito, beh tutto questo mi fa credere che l'episodio in sé c'entri poco. C'entra invece l'idea di un partito in cui il problema è reintrodurre il reato di lesa maestà".
Chi avrà la calma di leggere l’intera intervista, troverà ulteriori spunti di riflessione su come la casta abbia completamente smarrito il senso della realtà prima ancora che il senso della sua missione.
E qualcuno ci dovrebbe pure spiegare perché, rispetto a quello di Latorre, dovrebbe considerarsi più riprovevole il comportamento di Riccardo Villari, anch’egli senatore del Pd, che resiste pervicacemente sulla poltrona di Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, dopo essere stato regolarmente designato con una votazione parlamentare formalmente ineccepibile, malgrado gli inviti a farsi da parte rivoltigli ormai da entrambi i poli dopo l’intesa bipartizan raggiunta fuori tempo massimo sul nome di Sergio Zavoli.
Perché Ricardo Villari merita l’espulsione dal partito, mentre per Nicola Latorre può bastare al massimo una lavata di testa?
Forse perchè tra i due senatori… l’inciucio vince!

martedì 18 novembre 2008

E non se ne vogliono andare...

Sono mesi che lo ripetiamo. Ma dopo l’ennesima settimana di bufera, il destino del Partito democratico sembra segnato insieme alla sua leadership, in perenne difficoltà anche su questioni apparentemente di ordinaria amministrazione, quale può essere la nomina del presidente di una commissione parlamentare.
Stretto tra l’incudine del governo di centrodestra ed il martello dell’Italia dei Valori, Walter Veltroni sembra l’unico vero vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro.
Purtroppo i vasi di ferro stanno anche dentro il suo partito, per cui quella da lui ingaggiata è una lotta impari: l’assalto alla sua leadership è frutto di una strategia convergente della maggioranza berlusconiana, disposta persino a contendere all’avversario scampoli di potere che per prassi costituzionale andrebbero lasciati all’opposizione giusto per ribadire la propria soverchiante superiorità, e di settori influenti del suo stesso partito, che agendo dietro le quinte ed in tutta calma, stanno preparandogli da settimane il benservito.
E’ in atto una specie di tiro al piccione in cui si cimentano indistintamente un po’ tutti. E’ in questo clima torbido che si possono concepire le teppistiche parole rivolte a Walter Veltroni dal capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, e che confermano una volta di più lo scadimento della nostra vita politica.
Non si capisce a cosa ancora si debba assistere prima che la casta si renda finalmente conto di quale abisso la separi ormai dalla società civile e quanto discredito si porti dietro.
La querelle sulla nomina del presidente della commissione di vigilanza Rai, Riccardo Villari, non solo è emblematica di tale involuzione ma ne rappresenta in modo paradossale un limite quasi invalicabile.
Un senatore del Pd viene eletto con i voti della maggioranza di governo, tanto per fare un dispetto a Veltroni e per sottolineare l’assoluta indisponibilità alla candidatura dell’esponente dell’Italia dei Valori, Leoluca Orlando. Nome sul quale Veltroni, suo malgrado, non è disposto a cedere, pena l’essere travolto dal martello pneumatico Antonio di Pietro.
L’epilogo è noto: in questo braccio di ferro il leader del Pd ha finito nuovamente per soccombere, maramaldeggiato finanche dal suo senatore che, da bravo ex democristiano, non solo non è intenzionato a dimettersi, come gli è stato poco pacatamente intimato, ma adesso vuole pure ritagliarsi il ruolo di uomo-cerniera, lasciando intendere che, sospinto sulla ribalta chissà come, non rinuncerà tanto facilmente al suo momento di celebrità.
L’ennesima Caporetto per Walter Veltroni che si trova così nella scomodissima posizione di dover spiegare ai propri sostenitori, al di là di tutte le liturgie e i giochi della politica, come sia possibile che Villari abbia le carte in regola per diventare addirittura senatore del partito democratico (visto che il suo nome è passato certamente al vaglio di Veltroni prima di essere inserito nella lista bloccata per le politiche della primavera scorsa) ma non abbastanza da insediarsi alla presidenza di una commissione parlamentare.
In ogni caso, il gran rifiuto di Villari, dimostra inequivocabilmente che dentro il Pd ognuno va ormai per conto suo e che il segretario ha completamente perso il controllo della situazione.
Insomma, il centrodestra, trovando una insperata sponda proprio all’interno dei democratici, è riuscito a piazzare l’ennesima botta vincente mettendo un’altra volta fuori gioco il suo avversario che, a questo punto, non sa veramente contro chi combattere, sempre più in minoranza anche tra i suoi.
Ma se Sparta piange, Atene non ride: se qualcuno tira in ballo i dalemiani come ideatori dell'ennesimo sgambetto a Veltroni, gli va ricordato che in questo gioco al massacro nessuno ci guadagna all’interno del Pd, neppure l’odiato amico Massimo D’Alema.
Certo non è bello vedere il suo braccio destro, Nicola Latorre, fare l'occulto suggeritore, in un dibattito televisivo sull’argomento, di Italo Bocchino del Pdl mentre questo interloquisce con un esponente dell’Italia dei Valori, come ha svelato incredibilmente la trasmissione di Antonio Ricci Striscia la Notizia.
Sembrano proprio tornati i tempi della doppia scalata illecita Bnl-Unipol e Antonveneta-Bpi, quando i due poli a chiacchiere se ne davano di santa ragione ma nei fatti erano sorprendentemente concilianti.
Una insopportabile cappa di inciucio che ancor oggi non si riesce a diradare e che continua a celare la prima vera emergenza nazionale: l'irrisolta questione morale.
E’ evidente che la soluzione alla crisi dei Democratici non passa per l’avvicendamento al vertice tra Veltroni e D’Alema: entrambi appartengono ad una stagione politica ormai irrimediabilmente chiusa e rivelatasi fallimentare per la sinistra italiana.
Fanno finta di non capirlo ma è chiaro che il loro vuoto antagonismo sta diventando un problema per il Paese.
E’ l’Italia che ci rimette: con una sinistra fuori dal Parlamento, un’opposizione tenuta in piedi dal solo volenteroso Di Pietro, un pessimo governo messo nelle condizioni di fare tutto quello che vuole (tranne quello che di questi tempi sarebbe necessario per ridare fiato all’economia), gli Italiani rischiano di passarsela sempre peggio.
Finiranno per rimpiangere Prodi… se già non hanno cominciato!