Nell’intervista a la Repubblica di oggi il senatore del Pd Nicola Latorre chiede scusa per la brutta figura in cui è incappato durante un dibattito televisivo della settimana scorsa quando si è fatto sorprendere dalle telecamere di La7 nel passare un “pizzino” all’avversario del Pdl Italo Bocchino per suggerirgli la risposta da dare al capogruppo dell’Idv, Massimo Donadi.
Una scena al tempo stesso fantozziana e surreale, che ricorda Specchio segreto la fortunata trasmissione degli anni sessanta di Nanni Loy che, con l’obiettivo nascosto, filmava in presa diretta in giro per l’Italia frammenti di vita comune, con risultati a volte esilaranti, sempre di rara efficacia narrativa.
Però lo scoop di Striscia la Notizia, nonostante le risate montate di sottofondo com'è uso di questa trasmissione, non ha nulla di esilarante e non è stato realizzato nascondendo le telecamere: si rivela, né più né meno, che uno sberleffo nei confronti dei cittadini, in gran parte ancora troppo ingenui e idealisti.
Perché non rappresenta solo un gravissimo scivolone ed un evidente autogol dei protagonisti.
Quel comportamento molto più di tanti editoriali, commenti, dibattiti mediatici fotografa lo stato della nostra politica.
Uno stato pessimo, a giudicare dalla disinvoltura con cui i due protagonisti Bocchino e Latorre si sono mossi, incuranti dell’occhio vigile delle telecamere di studio.
Non solo è scandalosa l’imbeccata di Latorre, ancora più sconcertante è la reazione compassata di Bocchino che riceve il messaggio senza fare una piega; anzi, subito dopo si dà da fare per raccogliere il suggerimento dell’avversario prendendo la parola contro il rappresentante dell’Idv, alleato di Latorre.
La verità che emerge inconfutabile è che i nostri politici rispondono soltanto a se stessi, coinvolti nei loro giochi sottotraccia, in una strategia trasversale e autoreferenziale in cui i bisogni dei cittadini sono l’ultimo dei loro pensieri.
In un paese normale, come ripete spesso il suo capofila Massimo D’Alema, Nicola Latorre avrebbe dovuto spontaneamente rassegnare le dimissioni da ogni incarico politico.
Una scena al tempo stesso fantozziana e surreale, che ricorda Specchio segreto la fortunata trasmissione degli anni sessanta di Nanni Loy che, con l’obiettivo nascosto, filmava in presa diretta in giro per l’Italia frammenti di vita comune, con risultati a volte esilaranti, sempre di rara efficacia narrativa.
Però lo scoop di Striscia la Notizia, nonostante le risate montate di sottofondo com'è uso di questa trasmissione, non ha nulla di esilarante e non è stato realizzato nascondendo le telecamere: si rivela, né più né meno, che uno sberleffo nei confronti dei cittadini, in gran parte ancora troppo ingenui e idealisti.
Perché non rappresenta solo un gravissimo scivolone ed un evidente autogol dei protagonisti.
Quel comportamento molto più di tanti editoriali, commenti, dibattiti mediatici fotografa lo stato della nostra politica.
Uno stato pessimo, a giudicare dalla disinvoltura con cui i due protagonisti Bocchino e Latorre si sono mossi, incuranti dell’occhio vigile delle telecamere di studio.
Non solo è scandalosa l’imbeccata di Latorre, ancora più sconcertante è la reazione compassata di Bocchino che riceve il messaggio senza fare una piega; anzi, subito dopo si dà da fare per raccogliere il suggerimento dell’avversario prendendo la parola contro il rappresentante dell’Idv, alleato di Latorre.
La verità che emerge inconfutabile è che i nostri politici rispondono soltanto a se stessi, coinvolti nei loro giochi sottotraccia, in una strategia trasversale e autoreferenziale in cui i bisogni dei cittadini sono l’ultimo dei loro pensieri.
In un paese normale, come ripete spesso il suo capofila Massimo D’Alema, Nicola Latorre avrebbe dovuto spontaneamente rassegnare le dimissioni da ogni incarico politico.
Da noi, al di là del prevedibile clamore sollevato nella gente dallo scoop della trasmissione di Antonio Ricci, la cosa è passata tra i politici quasi inosservata, tanto a destra quanto a sinistra.
Lo stesso Massimo D’Alema, che sicuramente non deve averla presa bene, fa finta di niente, in ben altre faccende affaccendato nello scontro in corso dentro il Pd.
Eppure Latorre, dopo le scuse d’obbligo, ha l’ardire di rilanciare; ecco come esordisce nell’intervista curata da Goffredo De Marchis:
"Innanzitutto, sento il dovere di chiedere scusa agli elettori e ai militanti del Pd. Ho commesso una grave leggerezza, ho contribuito ad accreditare un'idea della lotta politica che non corrisponde al mio modo di essere. Non volevo mettere in difficoltà il mio partito, semmai il contrario. Ma ho sbagliato il modo. Dunque, mi scuso e l'ho fatto anche sul sito. Detto questo, considero un segnale allarmante far derivare da quella vicenda una sequela di iniziative inquisitorie. Chiedere formalmente le mie dimissioni da tutto, sentirmi dire dal gruppo dirigente che ho infangato miseramente la politica, ascoltare Di Pietro invocare misure poliziesche nei miei confronti senza che nessuno del Pd alzi un dito, beh tutto questo mi fa credere che l'episodio in sé c'entri poco. C'entra invece l'idea di un partito in cui il problema è reintrodurre il reato di lesa maestà".
Chi avrà la calma di leggere l’intera intervista, troverà ulteriori spunti di riflessione su come la casta abbia completamente smarrito il senso della realtà prima ancora che il senso della sua missione.
E qualcuno ci dovrebbe pure spiegare perché, rispetto a quello di Latorre, dovrebbe considerarsi più riprovevole il comportamento di Riccardo Villari, anch’egli senatore del Pd, che resiste pervicacemente sulla poltrona di Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, dopo essere stato regolarmente designato con una votazione parlamentare formalmente ineccepibile, malgrado gli inviti a farsi da parte rivoltigli ormai da entrambi i poli dopo l’intesa bipartizan raggiunta fuori tempo massimo sul nome di Sergio Zavoli.
Perché Ricardo Villari merita l’espulsione dal partito, mentre per Nicola Latorre può bastare al massimo una lavata di testa?
Forse perchè tra i due senatori… l’inciucio vince!
Lo stesso Massimo D’Alema, che sicuramente non deve averla presa bene, fa finta di niente, in ben altre faccende affaccendato nello scontro in corso dentro il Pd.
Eppure Latorre, dopo le scuse d’obbligo, ha l’ardire di rilanciare; ecco come esordisce nell’intervista curata da Goffredo De Marchis:
"Innanzitutto, sento il dovere di chiedere scusa agli elettori e ai militanti del Pd. Ho commesso una grave leggerezza, ho contribuito ad accreditare un'idea della lotta politica che non corrisponde al mio modo di essere. Non volevo mettere in difficoltà il mio partito, semmai il contrario. Ma ho sbagliato il modo. Dunque, mi scuso e l'ho fatto anche sul sito. Detto questo, considero un segnale allarmante far derivare da quella vicenda una sequela di iniziative inquisitorie. Chiedere formalmente le mie dimissioni da tutto, sentirmi dire dal gruppo dirigente che ho infangato miseramente la politica, ascoltare Di Pietro invocare misure poliziesche nei miei confronti senza che nessuno del Pd alzi un dito, beh tutto questo mi fa credere che l'episodio in sé c'entri poco. C'entra invece l'idea di un partito in cui il problema è reintrodurre il reato di lesa maestà".
Chi avrà la calma di leggere l’intera intervista, troverà ulteriori spunti di riflessione su come la casta abbia completamente smarrito il senso della realtà prima ancora che il senso della sua missione.
E qualcuno ci dovrebbe pure spiegare perché, rispetto a quello di Latorre, dovrebbe considerarsi più riprovevole il comportamento di Riccardo Villari, anch’egli senatore del Pd, che resiste pervicacemente sulla poltrona di Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, dopo essere stato regolarmente designato con una votazione parlamentare formalmente ineccepibile, malgrado gli inviti a farsi da parte rivoltigli ormai da entrambi i poli dopo l’intesa bipartizan raggiunta fuori tempo massimo sul nome di Sergio Zavoli.
Perché Ricardo Villari merita l’espulsione dal partito, mentre per Nicola Latorre può bastare al massimo una lavata di testa?
Forse perchè tra i due senatori… l’inciucio vince!
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