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giovedì 10 novembre 2011

E' partita la campagna di Repubblica per un governo Monti lacrime e sangue

Messa da parte la barzelletta del governo Berlusconi, è partito l'affondo della corazzata del finanziere De Benedetti, il gruppo Repubblica - l'Espresso, a favore di un governo tecnico guidato dal bocconiano Mario Monti ed eterodiretto dal direttorio Merkel Sarkozy.
Obiettivo: spremere a fondo gli Italiani con operazioni su larga scala di macelleria sociale, senza assumersene la responsabilità politica, trattandosi di un governo che non riceverà un mandato dal popolo ma la cui investitura avviene solo a furor di mercati, sotto l'incalzare della speculazione internazionale.
Si consuma così fino in fondo un furto di sovranità popolare per mano della tecnocrazia europea che in questi mesi ha trovato nel governo di centrodestra diretto dall'uomo di Arcore un bersaglio sin troppo facile da colpire.
In un sistema bipolare, stringere la tenaglia Pd-Pdl per costituire un governo che non risponde a nessuno se non alla coppia Bersani-Berlusconi e all'ineffabile Casini, vuol dire costituire un unipolarismo che ha come missione esclusiva quella di sporcarsi le mani per prendere decisioni irrevocabili sopra la testa della gente, senza che questa venga interpellata o possa eccepire alcunché.
Vuol dire darla vinta all'attacco speculativo arrivato da lontano.
Al gravissimo danno del governo Berlusconi seguirebbe quindi la memorabile beffa del governo Monti, con buona pace di chi ancora crede nella democrazia rappresentativa.
Paradossalmente questo sarebbe il trionfo della Casta, che si fa scudo della tempesta internazionale per infliggere il colpo mortale allo stato sociale e ai cittadini che ormai all'unanimità la disprezzano.
In nome di cosa il Pd di Pierluigi Bersani, l'Udc di Pierferdinando Casini e il Pdl di Silvio Berlusconi, con il beneplacito del presidente Giorgio Napolitano, possano gettare alle ortiche le proprie piattaforme programmatiche su cui avevano ricevuto il consenso nelle Politiche del 2008, senza doverne preventivamente rendere conto al corpo elettorale, è questione che attiene  al funzionamento costituzionale della nostra democrazia che neanche l'eccezionalità del momento può sovvertire.
L'attacco proditorio mosso ad Antonio di Pietro dalle colonne di Repubblica, facendo credere che i suoi sostenitori tifano per il governo tecnico e disapprovano in larga maggioranza  la posizione espressa dal leader dell'Italia dei Valori di netta opposizione ad un tale esecutivo, è la riprova dello stato miserevole in cui versa il centrosinistra che, quando pure riesce a liberarsi del fantasma del Cavaliere, si trova in balìa dei cosiddetti riformisti, alias poteri forti, sempre pronti a scatenargli contro una campagna mediatica di inaudita portata, da far impallidire per virulenza la berlusconiana macchina del fango.
Chi decreterà la fine dello stato sociale per colpa della finanza mondiale impazzita, riducendo sul lastrico milioni di persone e quasi per intero il ceto medio, deve avere una chiara investitura popolare che non può che passare per elezioni anticipate.
Nel frattempo, un altro governo di centrodestra a guida Gianni (non Enrico!) Letta o Angelino Alfano deve approvare rapidamente la legge di stabilità, concordare con l'opposizione una nuova legge elettorale e poi, di corsa, mandarci a votare tra il febbraio e il marzo 2012, presentandosi con  il proprio fallimentare bilancio dinanzi al popolo sovrano.
E' la democrazia, bellezza!
Scherzare con il fuoco, dispensando urbi et orbi il messaggio subliminale che la bancarotta finanziaria dell'Italia sia solo questione di giorni o addirittura di ore, denota grave spregiudicatezza politica e assoluta mancanza di senso dello Stato, un pessimo biglietto da visita per chi dovrà farci dimenticare il nefasto ventennio di Silvio Berlusconi.
Anche perché, disgraziatamente, questo riprovevole espediente serve a far digerire agli Italiani una medicina amarissima ma soprattutto letale. 

domenica 14 febbraio 2010

Un quesito per Di Pietro: meglio un ripensamento o... una ripassatina?

La scelta di Antonio di Pietro di appoggiare il candidato del PD alla regione Campania il pluriinquisito Vincenzo De Luca, ha seminato sconcerto tra i suoi elettori, anzi, li ha gettati nello sconforto. La scelta appare inspiegabile soprattutto in un momento in cui il governo di Silvio Berlusconi appare in grossa difficoltà.
Sta finalmente saltando il tappo ma l’ex magistrato di Mani pulite fa finta di non accorgersene.
Ai rimproveri amichevoli che gli hanno rivolto a più riprese Beppe Grillo e Marco Travaglio, ultimo in ordine di tempo l’editoriale di oggi su il Fatto Quotidiano, risponde in modo monocorde il leader dell’Italia dei Valori dicendo di non voler consegnare la Campania al clan dei casalesi con la possibile vittoria del candidato Pdl Stefano Caldoro.
La giustificazione è risibile e non convince alla luce del fatto che gli elettori di centrosinistra che in questi anni hanno appoggiato il partito di Di Pietro gli hanno riconosciuto il merito di aver condotto un’opposizione ferma e chiara al governo delle destre, senza i tentennamenti, se non addirittura il tacito sostegno, che il Partito Democratico gli ha invece riservato.
Quindi, la sua non è stata un’opposizione sterile e se il mosaico di stato autoritario voluto da Berlusconi non è stato completato è stato grazie proprio al popolo viola che ripetutamente è sceso in piazza per denunciarne le pessime intenzioni ed i rischi conseguenti.
Per cui il dietro front di Di Pietro appare politicamente irragionevole e inopportuno anche semplicemente nei tempi.
C’è da chiedersi perché Di Pietro, dopo aver ingaggiato una lotta impari contro Silvio Berlusconi ed essere stato premiato elettoralmente per il suo coraggio e la sua coerenza, si accodi adesso a sostenere un personaggio che, anche soltanto dal punto di vista giudiziario, potrebbe far rimpiangere lo stesso Antonio Bassolino.
Se la questione morale rappresenta la vera linea di demarcazione tra Pd e Italia dei Valori e se molta gente ha rinunciato a votare per il Pd proprio per l’opacità e la scarsa lungimiranza dimostrata dalla sua classe dirigente su questo tema, non si capisce perché dilapidare un tale patrimonio di credibilità, così duramente conquistato, per appoggiare un candidato debole come l’ex sindaco di Salerno Vincenzo De Luca.
Mentre lo scandalo della Protezione Civile investe addirittura il braccio destro di Berlusconi, Guido Bertolaso, gettando discredito su tutto il governo e sfiducia nei suoi più accesi sostenitori, la mossa di Di Pietro diventa inopinatamente il grande enigma di questo difficile passaggio politico; senza considerare, poi, che la gravissima crisi economica sta sfaldando a vista d’occhio il blocco sociale che aveva nel 2008 consentito a Silvio Berlusconi , dopo solo 2 anni di assenza, di ritornare con tanto di squilli di tromba a Palazzo Chigi.
Non ci vuole molto a capire, prima che i sondaggi ne registrino l’entità, che ormai la maggioranza degli Italiani è persuasa che Silvio Berlusconi, invischiato in mille vicende giudiziarie ancora aperte, talune delle quali di gravissimo allarme sociale, incapace semplicemente di dare efficienza all’azione del suo esecutivo impedendo, perlomeno, scandalose ruberie in seno alla Protezione Civile, non possa più considerarsi una risorsa per il Paese ma una zavorra di cui liberarsi prima che sia troppo tardi, magari con nuove elezioni politiche.
Ma per farlo occorrono politici capaci di resistere alle sirene del consociativismo, anzi in grado di recidere qualsiasi legame con una classe politica che, tanto nel Pd che nel Pdl, è ormai impresentabile.
Su, Tonino, non ci sarebbe nulla di sconveniente in un ripensamento: mica stiamo parlando di una ripassatina!

lunedì 8 giugno 2009

E' la fine del bipartitismo: Pd e Pdl con le ossa rotte

La vera notizia di queste elezioni europee è che Pd e Pdl escono entrambi sconfitti.
Per il premier Berlusconi raccogliere un magro 35,3% quando sognava di varcare la soglia del 45% è una autentica figuraccia; tanto più se a ciò si aggiunge l’avanzata della Lega Nord al 10,2% che si conferma un alleato sempre più scomodo.
Sul fronte opposto, la contentezza di Franceschini per aver realizzato il 26,1% è surreale; certo poteva andare anche peggio, ma il disastro del Partito democratico è sotto gli occhi di tutti.
Sul piano personale, la sfida a distanza con il suo predecessore Walter Veltroni è vinta ma resta come magra consolazione.
Gli Italiani hanno bocciato questi due contenitori politici dove c’è tutto ed il contrario di tutto, tant’è vero che alla prova dei fatti Pd e Pdl si rassomigliano incredibilmente, al di là della diversa storia personale dei loro leader.
Quello che conforta è che, oltre lo scontato successo dell’Italia dei Valori e la meno prevedibile affermazione dell’Udc di Pierferdinando Casini, a sinistra del Partito democratico c’è un’area di consensi che sfiora il 7% e che, senza la miopia dei suoi gruppi dirigenti che fanno capo a Niki Vendola e Paolo Ferrero, avrebbe potuto contendere all’Italia dei Valori il ruolo di quarta forza politica italiana.
Segno che su questo terreno il lavoro da fare è ancora molto ma si può guardare al futuro con meno pessimismo.
Lo dimostrano, alle Amministrative, quelle che un tempo erano le regioni rosse, dove il Pd è costretto dal meccanismo elettorale a rinnegare il credo veltroniano di correre da solo: qui il Pd resiste meglio proprio perché propone candidature insieme alle altre forze di sinistra che a loro volta confermano i loro consensi.
Ma alle Europee, dove ognuno corre per sé, il partito di Franceschini è costretto a subire lo smacco del sorpasso da parte del Pdl sia in Umbria che nelle Marche.
E’ la dimostrazione che il Partito democratico nega se stesso quando si incaponisce col tagliare fuori i partiti di sinistra e puntare al bipartitismo: la sua politica nazionale è quindi interamente da riscrivere.
Basterà a convincere la sua nomenklatura radical chic a fare le valigie e tornarsene a casa lasciando il partito alla sua autentica anima popolare che, nelle sue differenti inclinazioni, scommette comunque in un percorso condiviso con la sinistra anche per salire a Palazzo Chigi?
PS: Grande soddisfazione per il notevole successo ottenuto da Luigi De Magistris nelle liste dell'Idv!

sabato 6 giugno 2009

Le anime belle al voto

Eugenio Scalfari nell’editoriale di oggi su Repubblica, in anticipo sull’abituale appuntamento domenicale data l’apertura dei seggi elettorali già dal pomeriggio, ripercorre per grandi linee quasi un secolo di storia elettorale italiana, e dopo aver teorizzato che "Le persone politicamente mature sanno che in un sistema democratico occorre raccogliere i consensi attorno alla forza politica che rappresenti il meno peggio nel panorama dei partiti in campo", trae questa affrettata conclusione: "La sinistra coltiva il culto della testimonianza, ma quando si trasferisce quel culto nell’azione politica il risultato è appunto la rinuncia ad una sovranità efficace per far posto al narcisismo dell’anima bella, pura e dura."
In parole povere, Scalfari rivolgendosi agli elettori di sinistra fa propria, pur dichiarando di negarla, l’idea del voto utile ultimamente richiamata affannosamente da Dario Franceschini, quest’ultimo preoccupatissimo per i sondaggi attuali che danno il Pd in seria difficoltà.
E’ nient’altro che la riedizione dell’invito a suo tempo espresso da Indro Montanelli di andare a votare turandosi il naso.
Quello che il fondatore di Repubblica non ci spiega, però, è perché gli elettori di sinistra dovrebbero ancora votare per un simbolo senza storia che al massimo rappresenta politici bolliti come D’Alema, Fassino, Rutelli, Veltroni, Bettini, ecc., gente che ci ha portato con la propria mediocrità e tanto opportunismo personale a questo disastro politico. Per giunta, dopo che proprio quel popolo di sinistra in ormai numerose tornate elettorali ha fatto loro recapitare un messaggio inequivocabile: la vostra ambigua politica non ha sbocchi, tornatevene a casa!
Franceschini in questi ultimi tre mesi ha fatto di tutto per farci dimenticare chi siede nel direttivo del suo partito a cui, in mancanza di un mandato congressuale, è tenuto comunque a rispondere.
Ma l’altro ieri, Veltroni ha ricordato a tutti con il suo appello al voto che dentro il Pd la nomenklatura ha ancora i pieni poteri e che l’attuale segretario democratico, pur con le migliori intenzioni, è soltanto una comparsa.
E poi non è stato lo stesso Franceschini a ribadire che il suo mandato terminerà improrogabilmente ad ottobre?
Quindi, c’è poco da stare allegri: l’elettore democratico, se anima bella, pura e dura (e in maggioranza pensiamo che lo sia!) ha diverse possibilità nella cabina elettorale per far cambiare direzione alla politica italiana, tranne quella che Scalfari gli suggerisce.
Noi di Pausilypon riteniamo che insieme all’Italia dei Valori, soltanto se a sinistra del Pd si creerà uno spazio politico nuovo con il contributo di Sinistra e Libertà a Rifondazione Comunista potrà finalmente scattare la sospirata controffensiva alla pericolosa deriva berlusconiana.
Non possiamo immaginare se le due aggregazioni politiche riusciranno a superare la fatidica soglia del 4% prevista per le Europee: è un fatto che se definiranno insieme un’area attorno al 5-6% il test elettorale potrà comunque considerarsi superato.
Mentre decisivo, a livello amministrativo, sarà il peso conquistato dalle liste Cinque Stelle di Beppe Grillo: è da qui che potrebbe scatenarsi un’onda sismica senza precedenti per i futuri assetti della sinistra italiana.
Staremo a vedere. Intanto anime belle, pure e dure, andiamo a votare…

lunedì 25 maggio 2009

Nulla di scandaloso nel "respingimento" di questo Pd

La politica italiana è arrivata ad un livello di degrado intellettuale (quello morale è superato da tempo!), come probabilmente non si era mai verificato nella storia repubblicana.
Non si era mai vista tanta povertà di idee e una così forte omologazione nella proposta politica da parte dei due grandi contenitori politici, PD e PDL, che, riflessi l’uno nell’altro, per attirare le simpatie di coloro che ancora resistono a guardarli, hanno imboccato decisamente la strada del reality show, sicuri di replicarne le fortune.
Repubblica, lancia in resta, si spinge a rinnovare i fasti di Cronaca Vera, con le famose dieci domande al premier su Noemi e famiglia.
Per capire quale sia la potenza di fuoco messa in campo da questa corazzata editoriale, basta rendersi conto che ormai nei media nazionali da quattro giorni a questa parte non si parla di altro ed il centrosinistra si uniforma alla politica scandalistica del gruppo De Benedetti, rilanciando per bocca dei suoi dirigenti, il questionario di D’Avanzo & c.
Tutti gli altri grandi temi, dalla crisi economica sempre più grave alla questione ammortizzatori sociali, dalla giustizia in stato catatonico al nuovo sviluppo economico verde, dai tagli indecenti a scuola e università alla ricostruzione in Abruzzo ancora da progettare, tutto, ma proprio tutto, è sparito sotto i colpi dell’ultima intervista del quotidiano di piazza Indipendenza, udite udite, al personaggio del momento: l’ex ragazzo di Noemi...
Che Repubblica ieri gli abbia dedicato oltre la prima pagina ben due pagine interne con tanto di foto a colori e riproduzione della lettera che la ragazza gli scrisse prima di Natale, ci fa rabbrividire: alla faccia del giornalismo d’inchiesta, siamo caduti nella morbosità stile Cogne!
Certamente, nessuno può accusarci di essere stati mai morbidi con Silvio Berlusconi che, lo ribadiamo, non avrebbe mai dovuto salire a Palazzo Chigi se la nostra fosse stata una vera democrazia; perché le leggi, prima ancora di un’opposizione presentabile, glielo avrebbero dovuto impedire.
Ma questo è il paese in cui l’ex segretario del Partito democratico, Walter Veltroni appena acclamato vincitore delle primarie del 2007, tese la ciambella di salvataggio al Cavaliere, in caduta libera nei sondaggi e nel credito politico, dichiarando di volere concordare le riforme istituzionali proprio con lui, scaricando a stretto giro di stampa Prodi e i partiti della sua maggioranza e portando il Paese, inopinatamente, alle elezioni anticipate dopo appena 1 anno e mezzo di governo!
Questo è il paese in cui è tuttora in corso una durissima lotta di potere all’interno della casta dei politici, ma non in nome di principi costituzionali da salvaguardare o di interessi dei cittadini da difendere; unicamente allo scopo di una più ricca spartizione delle poltrone, un redde rationem tra potentati di varia matrice.
Il povero Dario Franceschini, che in questi mesi ha dimostrato di essere enormemente più abile di Veltroni, è suo malgrado espressione di quel gruppo dirigente che oggi si nasconde alle sue spalle: anzi trama nel dimenticatoio, nella prospettiva di un rilancio in grande stile.
Diverso sarebbe potuto essere il suo destino se sul suo nome si fosse coagulato un nuovo consenso nell’ambito di un congresso vero, che la nomenklatura non ha invece voluto celebrare, negandogli un mandato diverso.
Votare per il Partito democratico alla prossima tornata elettorale è, per l’elettore di centrosinistra, un po’ come gettarsi la zappa sui piedi: sai che soddisfazione a rivedere in primo piano i Fassino, D’Alema, Veltroni, Violante, Finocchiaro, i Bettini, cioè coloro che hanno permesso dopo pochi mesi a Silvio Berlusconi di tornare a Palazzo Chigi con le chiavi del portone!
Coloro che hanno tifato per la doppia scalata Bnl-Antonveneta e hanno favorito l’ostracismo contro Clementina Forleo e, contemporaneamente, contro Luigi de Magistris, titolare dell’inchiesta Why Not, colpevoli solo di aver fatto rispettare la legge.
Per fortuna i successivi pronunciamenti della magistratura ci hanno restituito adesso l’immagine specchiata e fulgida di questi due valorosi magistrati e la vergogna di una classe politica che ha scomodato il Csm pur di bloccarli.
Al procuratore di Salerno Luigi Apicella sono giunti persino a togliergli lo stipendio: un provvedimento del genere non sembra sia stato mai preso, neppure contro magistrati collusi con la mafia!
Eugenio Scalfari, maître à penser del Partito democratico, nel suo ultimo editoriale di ieri si dimentica di tutte queste vicende e, proprio come se non fosse successo niente, si ostina a pensare che il significato delle Europee andrà valutato attraverso la misura del distacco che ci sarà tra Partito democratico e Pdl.
Ci racconta la solita favoletta: elettori delusi del centrosinistra, se non volete rafforzare Silvio Berlusconi, votate Partito democratico!
Purtroppo per lui, è vero esattamente il contrario: è stato proprio il Partito democratico di Veltroni, quello che l’anno scorso perse clamorosamente raggiungendo il 33% dei voti, in questo primo anno di legislatura a lasciare campo libero a Silvio Berlusconi ed al suo enorme conflitto di interessi.
Soltanto indebolendo la stampella del Cavaliere, questo inguardabile Partito democratico, nonostante il recente make-up a cui lo ha sottoposto il bravo Franceschini, si potrà fare piazza pulita di un gruppo di potere che domina il centrosinistra da quasi vent’anni e che ha permesso all’uomo di Arcore di regnare per oltre un decennio e farsi con tutta tranquillità tante leggi ad personam ed, in ultimo, il lodo Alfano, vero buco nero della nostro assetto Costituzionale.
Accusare Di Pietro, delle cui ambiguità ideologiche certo noi non gli facciamo sconto, di spalleggiare il Cavaliere semplicemente perché critica le perplessità, cioè le vischiosità del PD, nell’opporvisi fieramente, è un’autentica castroneria!
Purtroppo Scalfari fa finta di non comprendere che il successo berlusconiano del 2008 è dipeso in misura soverchiante proprio dal fatto che la classe dirigente del Pd, rinnegate le proprie origini e la sua presunta diversità morale, abbia indossato gli stessi abiti dei lacchè di Berlusconi, diventandone troppo spesso una pessima controfigura, cioè mal destra.
Per sentire ancora una volta Piero Fassino ragionare come fanno Maroni e La Russa, beh è decisamente meglio cercarsi i propri rappresentanti altrove: magari nel variopinto arcipelago di sinistra o nelle liste civiche di Beppe Grillo; o proprio nell’Idv di Antonio Di Pietro, della cui fiera opposizione al Cavaliere gli va oggettivamente reso merito.
Un’opposizione che trova più congeniale rinfacciare a Silvio Berlusconi le sue burrascose vicende extraconiugali, piuttosto che affondare il coltello sulla scandalosa vicenda Mills o sulla gravità della situazione economica o, ancora, sui dissennati tagli alla spesa pubblica decisi da Tremonti, è destinata all’ennesimo naufragio.
Prendendo in prestito le parole di Fassino, per gli elettori di centrosinistra, non c’è niente di scandaloso nel respingimento di questo Pd. Anzi.

martedì 9 dicembre 2008

Il Partito democratico va sempre più giù

Ennesima settimana di crisi della politica.
La casta sta affondando ma ha perso anche quel residuo amor proprio, servisse soltanto per risalire la crisi di consensi che la investe aggrappandosi, come un naufrago in un mare in tempesta, alle cime della crisi economica e così dimostrare agli Italiani che ancora serve a qualcosa.
Il governo del centrodestra naviga a vista, tagliando a destra ed a manca la spesa pubblica fino a quando qualcuno da Oltretevere non alza la voce e gli fa rimangiare di colpo il taglio alle scuole cattoliche con tante scuse.
La sua politica deflazionista accelera la crisi e non restituisce in termini di provvidenze sociali neppure una parte di quello che toglie dal bilancio dello Stato: la social card è uno strumento del tutto inadeguato per lenire le sofferenze delle tante famiglie in rosso già alla terza settimana.
Sono bastati pochi giorni dal suo strombazzato varo per capire che, anche sul piano economico, il governo è nudo.
D’altra parte, premere ancora sull’acceleratore dell'ordine pubblico, della sicurezza e della paura dell'immigrazione a due settimane da Natale, con lo shopping che langue, più che una buona idea apparirebbe agli occhi dei più una provocazione.
La riforma della giustizia? Da sempre l’obiettivo dichiarato del Cavaliere, dopo la legge incostituzionale sulle alte cariche, non è poi così impellente almeno fino a quando la Suprema Corte non si sarà pronunciata contro. Diciamo così, il governo sta aspettando Natale…
E l’opposizione? Quale opposizione?
L’intervista di Veltroni a Repubblica della settimana scorsa dimostra che il vertice del Partito democratico ha perso il polso della situazione, non riuscendo neppure a capire cosa stia succedendo in casa propria, figuriamoci ad immedesimarsi nei guai che affliggono gli Italiani: l'odierno sondaggio Ipr per Repubblica.it lo dà in caduta libera di oltre 5 punti percentuali.
Più precisamente, l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro svetta al 7,8% mentre il Partito democratico accusa un crollo sulle Politiche di primavera del 5,7%!
Morale: quando l’opposizione la si pratica quotidianamente, la gente se ne accorge e premia i politici volenterosi; al contrario, quando ci si tira i piatti da pranzo, come fanno Walter Veltroni e Massimo D’Alema, semplicemente per decidere quale sia il modo migliore di non fare opposizione, ecco che anche lì il verdetto popolare cade giù duro come una tegola.
L’impareggiabile coppia Veltroni - D’Alema è riuscita a superarsi facendo addirittura guadagnare al Pdl altri due punti percentuali rispetto alla primavera scorsa, nonostante l’azione di governo sia stata in questi mesi decisamente mediocre: complimenti!
L’altra sera, nel salotto di Fabio Fazio, c’era il fondatore di Tiscali, Renato Soru, che rivendicava la sua coerenza nelle scelte fatte come governatore Pd della Sardegna; scelte che lo hanno costretto alle dimissioni quando si è visto mancare l’appoggio proprio degli esponenti regionali del suo partito.
Il suo parlare schietto, senza fronzoli, che richiama valori antichi ma di grande modernità, come l’impegno personale per la sua terra, l’ottimismo della volontà e del sacrificio contro i compromessi al ribasso, una idea alta della politica, hanno finito per sfiorare corde nell’animo di molti simpatizzanti del Pd che la politica di questi anni dei vari Fassino, Veltroni, D’Alema, Bettini, Rutelli aveva fatto completamente dimenticare.
Il richiamo all’ambiente, al rispetto che dobbiamo alle future generazioni per non lasciare loro un mondo invivibile, alla cultura del lavoro e del risparmio contro gli irresponsabili inviti all’ottimismo dei consumi, ha messo in luce un uomo politico che dimostra una sincera avversione per i riti della casta e che è in sorprendente, quasi inconsapevole, sintonia con ampi settori della società civile.
Ci domandiamo: nella crisi abissale in cui versa il Pd, crisi di identità, di strategia ma soprattutto di etica (come confermano le numerose inchieste in corso sulla sinistra d'affari), cosa impedisce alla leadership democratica di lasciare subito il testimone a uomini nuovi come Renato Soru?

martedì 18 novembre 2008

E non se ne vogliono andare...

Sono mesi che lo ripetiamo. Ma dopo l’ennesima settimana di bufera, il destino del Partito democratico sembra segnato insieme alla sua leadership, in perenne difficoltà anche su questioni apparentemente di ordinaria amministrazione, quale può essere la nomina del presidente di una commissione parlamentare.
Stretto tra l’incudine del governo di centrodestra ed il martello dell’Italia dei Valori, Walter Veltroni sembra l’unico vero vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro.
Purtroppo i vasi di ferro stanno anche dentro il suo partito, per cui quella da lui ingaggiata è una lotta impari: l’assalto alla sua leadership è frutto di una strategia convergente della maggioranza berlusconiana, disposta persino a contendere all’avversario scampoli di potere che per prassi costituzionale andrebbero lasciati all’opposizione giusto per ribadire la propria soverchiante superiorità, e di settori influenti del suo stesso partito, che agendo dietro le quinte ed in tutta calma, stanno preparandogli da settimane il benservito.
E’ in atto una specie di tiro al piccione in cui si cimentano indistintamente un po’ tutti. E’ in questo clima torbido che si possono concepire le teppistiche parole rivolte a Walter Veltroni dal capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, e che confermano una volta di più lo scadimento della nostra vita politica.
Non si capisce a cosa ancora si debba assistere prima che la casta si renda finalmente conto di quale abisso la separi ormai dalla società civile e quanto discredito si porti dietro.
La querelle sulla nomina del presidente della commissione di vigilanza Rai, Riccardo Villari, non solo è emblematica di tale involuzione ma ne rappresenta in modo paradossale un limite quasi invalicabile.
Un senatore del Pd viene eletto con i voti della maggioranza di governo, tanto per fare un dispetto a Veltroni e per sottolineare l’assoluta indisponibilità alla candidatura dell’esponente dell’Italia dei Valori, Leoluca Orlando. Nome sul quale Veltroni, suo malgrado, non è disposto a cedere, pena l’essere travolto dal martello pneumatico Antonio di Pietro.
L’epilogo è noto: in questo braccio di ferro il leader del Pd ha finito nuovamente per soccombere, maramaldeggiato finanche dal suo senatore che, da bravo ex democristiano, non solo non è intenzionato a dimettersi, come gli è stato poco pacatamente intimato, ma adesso vuole pure ritagliarsi il ruolo di uomo-cerniera, lasciando intendere che, sospinto sulla ribalta chissà come, non rinuncerà tanto facilmente al suo momento di celebrità.
L’ennesima Caporetto per Walter Veltroni che si trova così nella scomodissima posizione di dover spiegare ai propri sostenitori, al di là di tutte le liturgie e i giochi della politica, come sia possibile che Villari abbia le carte in regola per diventare addirittura senatore del partito democratico (visto che il suo nome è passato certamente al vaglio di Veltroni prima di essere inserito nella lista bloccata per le politiche della primavera scorsa) ma non abbastanza da insediarsi alla presidenza di una commissione parlamentare.
In ogni caso, il gran rifiuto di Villari, dimostra inequivocabilmente che dentro il Pd ognuno va ormai per conto suo e che il segretario ha completamente perso il controllo della situazione.
Insomma, il centrodestra, trovando una insperata sponda proprio all’interno dei democratici, è riuscito a piazzare l’ennesima botta vincente mettendo un’altra volta fuori gioco il suo avversario che, a questo punto, non sa veramente contro chi combattere, sempre più in minoranza anche tra i suoi.
Ma se Sparta piange, Atene non ride: se qualcuno tira in ballo i dalemiani come ideatori dell'ennesimo sgambetto a Veltroni, gli va ricordato che in questo gioco al massacro nessuno ci guadagna all’interno del Pd, neppure l’odiato amico Massimo D’Alema.
Certo non è bello vedere il suo braccio destro, Nicola Latorre, fare l'occulto suggeritore, in un dibattito televisivo sull’argomento, di Italo Bocchino del Pdl mentre questo interloquisce con un esponente dell’Italia dei Valori, come ha svelato incredibilmente la trasmissione di Antonio Ricci Striscia la Notizia.
Sembrano proprio tornati i tempi della doppia scalata illecita Bnl-Unipol e Antonveneta-Bpi, quando i due poli a chiacchiere se ne davano di santa ragione ma nei fatti erano sorprendentemente concilianti.
Una insopportabile cappa di inciucio che ancor oggi non si riesce a diradare e che continua a celare la prima vera emergenza nazionale: l'irrisolta questione morale.
E’ evidente che la soluzione alla crisi dei Democratici non passa per l’avvicendamento al vertice tra Veltroni e D’Alema: entrambi appartengono ad una stagione politica ormai irrimediabilmente chiusa e rivelatasi fallimentare per la sinistra italiana.
Fanno finta di non capirlo ma è chiaro che il loro vuoto antagonismo sta diventando un problema per il Paese.
E’ l’Italia che ci rimette: con una sinistra fuori dal Parlamento, un’opposizione tenuta in piedi dal solo volenteroso Di Pietro, un pessimo governo messo nelle condizioni di fare tutto quello che vuole (tranne quello che di questi tempi sarebbe necessario per ridare fiato all’economia), gli Italiani rischiano di passarsela sempre peggio.
Finiranno per rimpiangere Prodi… se già non hanno cominciato!

giovedì 23 ottobre 2008

Che tempo che fa: previsioni politiche per il 25 ottobre

Walter Veltroni non finirà mai di sorprenderci.
Messo alle corde da sondaggi, fronda interna, sinistra extraparlamentare, dipietristi e da tutti coloro che hanno ancora a cuore le sorti di una democrazia che versa purtroppo in stato comatoso, domenica scorsa è riuscito a mettere a segno uno di quei colpi che definire politicamente scorretto è quasi eufemistico.
Nel talk show di RaiTre, Che tempo che fa, una volta tanto mostrandosi meno contratto del solito (forse perché calcava una ribalta amica), all’improvviso col sorriso sulle labbra ha comunicato urbi et orbi che l’alleanza con l’Italia dei Valori è finita, perché, rivolgendosi a Fabio Fazio, "Prenda il tema che abbiamo appena affrontato, cioè la capacità del nostro paese di integrare. Chieda a Di Pietro opinioni su questo e troverà delle cose molto lontane dall’alfabeto della cultura democratica del centrosinistra".
Sconfessa quindi con la massima disinvoltura l’unica alleanza che aveva stretto in vista delle elezioni del 13-14 aprile, dopo aver concorso alla caduta del governo Prodi e successivamente abbandonato qualsiasi ipotesi d’intesa elettorale con la sinistra di Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio.
Una scelta sconsiderata che, allora, costò alla Sinistra italiana la sconfitta elettorale più sonora dai tempi della Resistenza e che, ripetuta adesso contro Di Pietro, boicotta la sola efficace opposizione al governo autoritario di Silvio Berlusconi.
E’ assurdo, che in un momento difficile come questo, si chiuda la porta in faccia proprio all’unico politico che in questi mesi abbia cercato di difendere la democrazia materiale opponendosi ai continui strappi costituzionali del governo di centrodestra, nonostante si conoscano da sempre le sue chiusure ideologiche (ma Follini e Casini, per caso, sono più illuminati?).
Invece di riconoscergliene merito Veltroni lo congeda bruscamente, guarda caso, a meno di una settimana dalla manifestazione del 25 ottobre in cui i partecipanti sono, a questo punto, avvisati.
Perché vengono chiamati da Veltroni a sfilare non tanto per protestare contro un pessimo governo ma per manifestare il loro appoggio incondizionato alla sua leadership traballante.
Bene fa Di Pietro a rispondergli per le rime, dandogli del collaborazionista, ed a non tirarsi indietro prendendo parte a pieno titolo alla manifestazione di sabato prossimo.
Le cronache dimostreranno quale maggior credito susciti nell’opinione pubblica di sinistra l’ex magistrato di Mani Pulite nella sua lotta coraggiosa al malaffare che continua anche adesso stando in Parlamento, rispetto all’ex rampollo del vecchio Partito Comunista Italiano che, dopo aver dichiarato candidamente, tempo addietro, di non essere mai stato comunista, adesso si appresta a stringere una pericolosa alleanza elettorale con l’Udc di Totò Cuffaro.
Simbolicamente, nello studio virtuale di Fabio Fazio, evidentemente il luogo meno indicato per consumare una rottura politica così traumatica e foriera di cattivi presagi, Walter Veltroni, ha definitivamente messo sotto le scarpe la questione morale, vecchio cavallo di battaglia di un grande Italiano come Enrico Berlinguer.
Preferire l’Udc di Totò Cuffaro all’Italia dei Valori è la conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che per l’ex sindaco di Roma, quello che conta è trovare a tutti i costi l’accordo con il Cavaliere, al cui raggiungimento è legato indissolubilmente il suo destino politico.
Ecco perchè la giornata del 25 ottobre segnerà, a dispetto delle intenzioni dell’impareggiabile Walter, un punto di svolta nella politica italiana: ci dirà se Veltroni è ancora in grado di fare il capo dell’opposizione e se Di Pietro è in grado di eroderne una cospicua fetta di consensi.
Di sicuro, chi sfilerà al Circo Massimo si troverà, suo malgrado, a dover dirimere una lite tra due separati in casa, piuttosto che testimoniare pubblicamente il suo netto dissenso al disegno reazionario di un governo che sta irresponsabilmente soffiando sul fuoco del malcontento sociale.
Un manifestazione concepita a tavolino oltre tre mesi fa da un leader politico in caduta libera e che adesso si trova, paradossalmente, proiettato dagli eventi a capeggiare la protesta studentesca, magari soltanto per ottenere il lasciapassare che gli consenta di varcare i cancelli di Palazzo Chigi e costringere l’uomo di Arcore ad accettarlo come suo interlocutore privilegiato.
D’altra parte che le ragioni di studenti, docenti e famiglie nei confronti della controriforma Gelmini non possano essere rappresentate coerentemente da chi manda i propri figli a studiare in America è tanto evidente da non valere la pena neppure di spenderci una sola parola in più.
Si capisce a questo punto come sarà difficile cogliere il reale significato di questa giornata di mobilitazione che si preannuncia carica di aspettative da parte del popolo insofferente ai diktat berlusconiani ma che rischia, proprio per questo, di trasformarsi, in una terribile delusione quanto a conseguenze.
Perché una cosa è certa: l’eventuale rilancio della leadership di Walter Veltroni grazie al bagno di folla del Circo Massimo finirebbe proprio per riproporre quel progetto di larghe intese e, paradossalmente, rafforzerebbe, proprio il suo avversario putativo: Silvio Berlusconi.
A meno che tra i due finti litiganti, Antonio Di Pietro non colga, in questa occasione, un buon successo personale; nel qual caso, le cose all’interno dell’opposizione andrebbero completamente riviste.

mercoledì 30 luglio 2008

Dallo strappo costituzionale alla prospettiva di un durissimo inverno

Ormai la stampa non ne parla quasi più, ma la legge sull’immunità delle alte cariche resta il buco nero della nostra democrazia. A questo non possiamo rassegnarci, anche se è passata già una settimana.
Perché l’errore più grave è ritenere che si debba rimanere con le mani in mano, magari aspettando il prossimo strappo costituzionale.
Al contrario, occorre percorrere tutte le strade che il nostro ordinamento giuridico prevede per ripristinare l’agibilità costituzionale. In questo riteniamo che anche la via referendaria debba essere battuta pur di sanare la ferita prodotta alla nostra democrazia. Tuttavia, la consideriamo la soluzione estrema, qualora la Consulta, speriamo presto, non azzeri tutto.
Ciò perché di fronte all’incostituzionalità di una legge, neppure la volontà popolare può fare molto: l’eventuale abrogazione con il referendum non è la via maestra; anche perché, con questo clima e questa opposizione, l’esito referendario è tutt’altro che scontato.
Abbiamo un Pd che naviga a vista, avendo perso completamente la bussola.
Soffre la concorrenza di Antonio Di Pietro ma non è in grado di abbozzare alcuna reazione strategica; l’impareggiabile Walter Veltroni ha addirittura il coraggio di giustificare la sciagurata scelta elettorale dei democratici di correre da soli, cinque mesi fa, con le attuali conclusioni del congresso di Rifondazione Comunista che ha visto prevalere Paolo Ferrero: "Auguri a Ferrero, ma oggi si capisce meglio la bontà della scelta di andare liberi, della vocazione maggioritaria del Pd"(1).
Una facile via di fuga dalle proprie responsabilità ma, soprattutto, un grossolano errore di interpretazione politica, perché è chiaro che è stata proprio la scelta isolazionista del Pd che ha spinto Rifondazione comunista verso posizioni più movimentiste, lontane da intese con i democratici.
In altri termini, la sconfitta dell’ala bertinottiana facente capo a Nichi Vendola è dipesa proprio dalla politica fratricida di Veltroni che, invece di fare il gioco di sponda con il vecchio gruppo dirigente di Rifondazione, aiutandolo a consolidarne la disponibilità a future alleanze di governo, ha costretto quel partito a rinchiudersi nel proprio recinto culturale recuperando integralmente la sua identità originaria, lontano dal Palazzo e più vicino alla società.
Fra l’altro, non è detto che questo sia un male per la Sinistra italiana e forse ha ragione il neo segretario Paolo Ferrero quando all’accusa di Veltroni di essere un’estremista risponde facilmente: "E’ una critica sbagliata. Rifiuto l’immagine di una Rifondazione settaria e che si arrocca. Il punto è un nodo drammatico da sciogliere, che del resto anche il Pd ha di fronte: la grande crescita del disagio sociale. Secondo noi, o la sinistra rilancia un conflitto di classe oppure si scatena la guerra fra i poveri. E’ estremismo questo?" (2).
Fatto sta che adesso il Pd si trova tra l’incudine della difesa della legalità costituzionale dell’Italia dei Valori e il martello delle rivendicazioni sociali caldeggiate da Rifondazione Comunista; una posizione scomodissima, di grave debolezza che, per di più, non tiene al riparo il suo gruppo dirigente neppure dagli attacchi ricorrenti di Silvio Berlusconi e del Pdl.
Un vicolo cieco, purtroppo, in cui il vertice ha ficcato il Partito democratico senza sapere più come uscirne.
Paradossalmente, la ciambella di salvataggio all’annaspante Veltroni gliela può lanciare soltanto il Cavaliere che, tuttavia, non ha alcun interesse a farlo ora, preferendo per il momento temporeggiare, giocando con lui come il gatto fa con il topolino.
Per Berlusconi, l’apertura di un dialogo con Veltroni verrà facile quando, per il prevedibile aggravamento della situazione economico-sociale del nostro Paese, i cui segni saranno difficilmente occultabili a partire dal prossimo durissimo inverno, vorrà condividerne il peso delle responsabilità.
Uno scenario che, quindi anche sul piano politico, si presenta negativo per il Paese.
Prepariamoci, sin da queste calde giornate estive, a stringere prossimamente ancor di più la cinghia mentre la Casta si girerà a guardare da un’altra parte…
(1): la Repubblica 29/07/08, "Il day after di Rifondazione...", pag. 6
(2): la Repubblica 29/07/08, "Ferrero: 'Ma quale deriva ...' ", pag. 7

domenica 20 luglio 2008

Berlusconismo e Veltronismo, facce di una stessa medaglia

Al traguardo delle ferie estive, la politica italiana non ne vuole sapere di riprendere un minimo di efficienza e di credibilità dopo mesi di colpevole inerzia a discutere delle urgenze giudiziarie del Cavaliere.
Né i mass media tentano di scuoterla in qualche modo: ascoltare i notiziari della Casta ormai supera l’umana resistenza.
Il solito pastone insipido a cui non ci si riesce ad abituare nonostante sia scodellato più volte al giorno da tutte le reti del duopolio.
Dal Palazzo non arriva mai uno sprazzo di luce, mai una dichiarazione di intenti che apra alla speranza di un autunno un po’ meno fosco, fosse anche un piano dei cento giorni che valga la pena di essere raccontato.
Niente di niente: siamo imballati sul lodo Alfano che potrebbe diventare, se approvato, il buco nero del nostro assetto costituzionale e risucchiare via ogni residua parvenza di democrazia e legalità.
E poi, i soliti attacchi sconsiderati alla magistratura ed al suo organo di autogoverno, colpevoli di voler fare rispettare per dovere d’ufficio la legge.
Infine, il nuovo scandalo della sanità in Abruzzo con gli arresti del governatore Ottaviano Del Turco.

Tutti adesso a strapparsi le vesti in suo favore, in primis Silvio Berlusconi che si fa garante della sicurezza della Casta attaccando per l’ennesima volta le toghe. Abbiamo un capogruppo al Senato del partito di governo che definisce cloaca il Csm, salvo poi precisare che non intendeva riferirsi né agli uomini né all’istituzione.

Ma i mass media, dopo aver dovuto riportare l’episodio, vi hanno fatto scendere subito dopo la sordina. Al contrario di come, soltanto qualche giorno fa, si sono comportati con la manifestazione dell’8 luglio, in cui si sono cimentati in dotte e sprezzanti discussioni sul turpiloquio usato in piazza Navona, con la Guzzanti, Travaglio e Grillo.
Spazzatura l’ha definita Berlusconi e pure il regista Nanni Moretti, ormai in piena crisi d’identità (i suoi ultimi film lo documentano!), si è accodato dietro il Cavaliere.

Secondo il regista di Palombella Rossa questa bellissima manifestazione avrebbe sporcato la storia dei girotondi del 2002 di cui egli fu uno dei protagonisti: affermazione che suona talmente insulsa da non meritare il minimo commento.
Purtroppo sulla scena pubblica resta ancora di incredibile attualità la questione morale, già inutilmente denunciata 25 anni fa da Enrico Berlinguer.

Gli ultimi eventi di malapolitica confermano ancora una volta che se l’Italia non riesce in fretta a estirpare questo bubbone purulento, rischia il totale dissesto non solo economico ma sociale.

Infatti, il pizzo che viene fatto pagare, nelle più disparate forme, ad ogni nuova iniziativa economica che spunti miracolosamente all’orizzonte azzera qualsiasi prospettiva di crescita per il nostro Paese.
La fotografia più fedele di questo deprecabile stato di cose ci viene offerta proprio dai nostri alleati americani che, nello sconfessato kit di documenti distribuito per il G8 tenuto in Giappone ai giornalisti americani al seguito del Presidente Bush, riportano testualmente: “Il premier italiano è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio”.
Ma in Italia, salvo Di Pietro ed il popolo di piazza Navona, di questione morale nessuno vuole sentir parlare, né a destra né tra i democratici.
Al contrario, il Pd sta accelerando il passo per completare il processo di sua completa omologazione ai gusti del Cavaliere: al punto in cui siamo, non c’è da meravigliarsi se in un futuro non lontano i veltroniani possano confluire nel Pdl.
Infatti, se Berlusconi resta ancora un interlocutore autorevole per ridisegnare lo Stato va da sé che criticarne il suo governo nella gestione degli affari correnti risulta molto, molto difficile.
L’assimilazione tra Pdl e Pd, grazie alla segreteria di Veltroni, è tale che persino la rodata redazione del TG1 ha difficoltà a confezionare i famosi panini: su qualsiasi argomento, maggioranza, governo e opposizione dicono essenzialmente le stesse cose e, nonostante tanta buona volontà, la pagina politica del TG1 riesce proprio indigesta perché, più che un collage di punti di vista diversi, si presenta come una insensata liturgia.
Se però un merito va attribuito a Walter Veltroni è quello di tentare di animarla: sue le più originali uscite dell’ultim’ora. Ne segnaliamo due:
"Berlusconi c'e' ma il berlusconismo e' finito, non e' piu' in grado di dare risposte alla crisi dell'Italia" (1);
"Lo dico alla Lega, se si vuole proseguire con il federalismo bisogna evitare commistioni indebite con una riforma della giustizia che favorisce pochi cittadini"
: ovvero, l’ennesimo ultimatum, questa volta rivolto alla Lega Nord.
Non sapendo più a che santo votarsi per uscire dal vicolo cieco in cui si è ficcato, l’ex sindaco di Roma adesso punta sulla Lega: ma, soltanto una settimana fa, aveva rotto definitivamente con l’Italia dei Valori di Di Pietro.
Di una cosa, però, siamo convinti: se un giorno il berlusconismo finirà (che sia già finito non ne siamo tanto convinti!), si porterà via anche la sua immagine speculare, cioè il veltronismo.
Sì perché il veltronismo può esistere solo in presenza del berlusconismo.
Cosa sia il berlusconismo lo lasciamo spiegare all’impareggiabile Walter che dà, però, spesso la sensazione di parlarne più per sentito dire che con cognizione di causa: come se quello che ha combinato Berlusconi in questi mesi, a partire dalla giustizia, non lo abbia coinvolto più di tanto.
Quello che è invece il veltronismo lo diciamo noi: è l’ideologia del potere deideologizzato, cioè di un ceto politico che pretende di sovrintendere i processi di cambiamento sociale senza governarli ma semplicemente assecondandoli, lasciando campo aperto agli animal spirits dell’economia.
In nome di un malinteso senso dell’innovazione tecnologica e del progresso, essi vengono lasciati operare senza frapporre loro ostacoli, salvo quello di lasciare alla Casta la prerogativa di ratificarne le decisioni nelle sedi istituzionalmente deputate.
Il ceto politico, cioè, serve a certificare come democratiche, decisioni prese fuori dalle aule parlamentari. E’ il catering politico così lucidamente descritto dallo scrittore Antonio Tabucchi.
Il ruolo dei partiti, la loro organizzazione, il dibattito interno vengono sviliti, sacrificati sull’altare degli equilibri concordati dagli apparati dirigenti, che trovano la loro legittimazione non nel consenso delle masse ma in accordi formulati dalle consorterie di partito e nella visibilità mediatica che da ciò ne deriva.
Il politico può perdere tutte le elezioni possibili e immaginabili ma non per questo perde autorità e, dunque, autorevolezza nel partito.
Lo si capisce benissimo nel caso di Walter Veltroni: in meno di nove mesi ha perso tutte le scommesse politiche formulate ma non per questo si mette in discussione, consapevole che per mettere in crisi la sua leadership c’è bisogno di ben altro che di un dissenso interno, sia pure organizzato. Occorre un vero e proprio ribaltone nel gruppo dirigente del Pd che, per come questo è stato allestito, non può tecnicamente avvenire.
Né deve temere l’improvviso apparire di un outsider perché il partito è abbastanza destrutturato da vivere solo sotto la spinta di cordate, le cosiddette correnti, e non per l’impulso spontaneo di nuovi fermenti culturali o di istanze provenienti dalla sua base elettorale.
Stesso discorso, naturalmente, vale per il suo tradizionale rivale, Massimo D’Alema, sempre e comunque col vento in poppa, malgrado anch’egli vanti una serie di sconfitte niente affatto secondarie.
Ecco che il veltronismo, coltivando l’antiideologismo fino al punto da farne una vera e propria filosofia, è per sua natura votato alla trattativa ad oltranza con il governo delle destre alla cui politica si lega indissolubilmente: la tentazione del compromesso, l’inciucio, è sempre dietro l’angolo.
Ma Berlusconi non ha alcun interesse di intavolare subito una trattativa con l’opposizione, tanto più che è consapevole di poterselo sempre permettere dato che il veltronismo non ha altre vie d’uscita. Di qui la sua tattica del bastone e carota: un giorno sembra accomodante ma il giorno successivo, maramaldeggiando il povero Walter, dichiara che tirerà dritto.
Questo tira e molla sta logorando il segretario del Pd che appare ormai un leader bollito da un estenuante stop and go: fa l’ennesima apertura di credito al Cavaliere ma, alla conseguente bordata berlusconiana contro tutto e tutti, è costretto addirittura ad innescare la retromarcia.
Dal 13 aprile non si contano più le volte in cui ciò si è verificato: siamo al paradosso che le ultime dichiarazioni di Veltroni sono un continuo replay di cose già dette e suscitano negli osservatori politici ormai solo sbadigli.
Come il Pd, in queste condizioni, possa evitare l’implosione è davvero difficile spiegarlo.

domenica 6 luglio 2008

Se pò ffà e la tela di Penelope

Ed alla fine Walter Veltroni, il nostro impareggiabile Se pò ffà, tirò fuori il coniglio dal cilindro.
Stretto all’angolo da girotondini, grillini, sinistra varia ma anche da alcuni compagni democratici, ha dovuto correre ai ripari ed inventarsi qualcosa.
Lui però apprezza la vita comoda e di sfilare l’8 luglio in piazza, sotto il solleone, contro il pacchetto di leggi anticostituzionali assemblato dallo staff legale di Berlusconi non ci pensa proprio.
Troppo caldo, troppo sudore, troppe strette di mano e tutto questo, si è lasciato sfuggire, “a gratis”.
No, non se ne parla!
In autunno è più fresco, torna il campionato, c'è Domenica in, la stagione dei saldi è finita, protestare contro le leggi di Berlusconi approvate due mesi prima non servirà più a nulla ma almeno ci farà ottenere maggiore audience rispetto ad ora, con il pubblico televisivo che si riduce sensibilmente preferendo a Porta a Porta lo shopping serale tra i mille mercatini delle pulci.
Ma nel frattempo che si fa?
Sarebbe il colmo che Se po’ ffà rimanesse con le mani in mano proprio in una circostanza del genere, quando tutti gli altri scalpitano...
Attaccare a testa bassa Berlusconi? No, nessuno ci crederebbe; anche perché pacatamente, serenamente, non fa parte del nostro stile… e poi, al limite, sarebbe meglio prendersela con l’Italia dei Valori, i girotondi che pretendono di farci sfilare a gratis, la sinistra che non ha digerito l’estromissione dal Parlamento.
No, no, ci vuole qualcos’altro...
Eureka! Una bella petizione da organizzare durante le feste democratiche (!): di qui ad ottobre sono migliaia le manifestazioni organizzate dai compagni in lungo e largo per la penisola.
Sì, protesteremo contro il Governo serenamente, pacatamente, mettendo dei banchetti all’ingresso delle feste: uniremo l’utile al dilettevole, arriveremo pure a cinque milioni di firme, ma con calma, senza spingere!
Dopo i tre milioni e mezzo di voti delle primarie 2007, cinque milioni di firme: una maxi tela di Penelope, simbolo del nostro smisurato ego, che provvederemo a tessere la sera alle feste ed a dipanare il giorno successivo con nuove aperture di credito al Cavaliere, che resta pur sempre il nostro principale interlocutore.
Anzi, iniziamo subito a tendergli l’altra mano (chè la prima già ce la siamo giocata!).
Signori, ecco la Sfida (a buon intenditore poche parole!): "Se Silvio ritira l’emendamento blocca processi, si creerà un clima nuovo nel paese".
Quindi, Se po’ ffà, lasciando in pace il Cavaliere, punta dritto contro Di Pietro: “Lui pensa che dandogli del magnaccia fa un bene al paese e all’opposizione, invece è proprio questa l’opposizione che Berlusconi preferisce”.
Lui sì che se ne intende!
Ormai, Veltroni impartisce soprattutto lezioni di galateo, mostrando di credere poco alla sua linea politica.
E’ noto, però, in quale seria considerazione il Cavaliere tenga le sue parole, dal momento che Se pò ffà la sera fa la faccia dura e volteggia in aria i presunti cinque milioni di firme ed il mattino seguente, prima ancora di iniziarne la raccolta, è già disposto, da leader scaltro ma ben educato, a gettarle al macero ammiccando al Cavaliere in nome di un clima nuovo.