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domenica 6 luglio 2008

Se pò ffà e la tela di Penelope

Ed alla fine Walter Veltroni, il nostro impareggiabile Se pò ffà, tirò fuori il coniglio dal cilindro.
Stretto all’angolo da girotondini, grillini, sinistra varia ma anche da alcuni compagni democratici, ha dovuto correre ai ripari ed inventarsi qualcosa.
Lui però apprezza la vita comoda e di sfilare l’8 luglio in piazza, sotto il solleone, contro il pacchetto di leggi anticostituzionali assemblato dallo staff legale di Berlusconi non ci pensa proprio.
Troppo caldo, troppo sudore, troppe strette di mano e tutto questo, si è lasciato sfuggire, “a gratis”.
No, non se ne parla!
In autunno è più fresco, torna il campionato, c'è Domenica in, la stagione dei saldi è finita, protestare contro le leggi di Berlusconi approvate due mesi prima non servirà più a nulla ma almeno ci farà ottenere maggiore audience rispetto ad ora, con il pubblico televisivo che si riduce sensibilmente preferendo a Porta a Porta lo shopping serale tra i mille mercatini delle pulci.
Ma nel frattempo che si fa?
Sarebbe il colmo che Se po’ ffà rimanesse con le mani in mano proprio in una circostanza del genere, quando tutti gli altri scalpitano...
Attaccare a testa bassa Berlusconi? No, nessuno ci crederebbe; anche perché pacatamente, serenamente, non fa parte del nostro stile… e poi, al limite, sarebbe meglio prendersela con l’Italia dei Valori, i girotondi che pretendono di farci sfilare a gratis, la sinistra che non ha digerito l’estromissione dal Parlamento.
No, no, ci vuole qualcos’altro...
Eureka! Una bella petizione da organizzare durante le feste democratiche (!): di qui ad ottobre sono migliaia le manifestazioni organizzate dai compagni in lungo e largo per la penisola.
Sì, protesteremo contro il Governo serenamente, pacatamente, mettendo dei banchetti all’ingresso delle feste: uniremo l’utile al dilettevole, arriveremo pure a cinque milioni di firme, ma con calma, senza spingere!
Dopo i tre milioni e mezzo di voti delle primarie 2007, cinque milioni di firme: una maxi tela di Penelope, simbolo del nostro smisurato ego, che provvederemo a tessere la sera alle feste ed a dipanare il giorno successivo con nuove aperture di credito al Cavaliere, che resta pur sempre il nostro principale interlocutore.
Anzi, iniziamo subito a tendergli l’altra mano (chè la prima già ce la siamo giocata!).
Signori, ecco la Sfida (a buon intenditore poche parole!): "Se Silvio ritira l’emendamento blocca processi, si creerà un clima nuovo nel paese".
Quindi, Se po’ ffà, lasciando in pace il Cavaliere, punta dritto contro Di Pietro: “Lui pensa che dandogli del magnaccia fa un bene al paese e all’opposizione, invece è proprio questa l’opposizione che Berlusconi preferisce”.
Lui sì che se ne intende!
Ormai, Veltroni impartisce soprattutto lezioni di galateo, mostrando di credere poco alla sua linea politica.
E’ noto, però, in quale seria considerazione il Cavaliere tenga le sue parole, dal momento che Se pò ffà la sera fa la faccia dura e volteggia in aria i presunti cinque milioni di firme ed il mattino seguente, prima ancora di iniziarne la raccolta, è già disposto, da leader scaltro ma ben educato, a gettarle al macero ammiccando al Cavaliere in nome di un clima nuovo.

venerdì 7 dicembre 2007

Repubblica dà il benservito a Bertinotti

Attacco senza precedenti di Eugenio Scalfari contro il presidente della Camera Fausto Bertinotti. Non ha atteso come suo solito la domenica per infliggerci le sue petulanti prediche.
Questa volta senza tanti giri di parole ha costruito senza se e senza ma (come ama arbitrariamente e con un pizzico di beffarda ironia attribuire al pensiero politico del leader di Rifondazione) un intero pezzo contro Bertinotti.
E’ un affondo senza precedenti: raramente si è visto sulla stampa qualcosa del genere.
Forse mai dalle colonne di uno dei massimi quotidiani italiani.
E’ un giudizio senza appello che tradisce una ruggine sicuramente non nata ieri; per uno che si autoprofessa di cultura liberale, non è proprio il massimo dei risultati lanciare una sorta di avvertimento a mezzo stampa alla terza carica dello Stato alla cui elezione, è chiaro, a distanza di un anno e mezzo Scalfari ancora non si è rassegnato: o si dimette o deve tacere.
Pare impossibile, ma al lettore lo fa intendere chiaramente! Ecco la perla scalfariana [1]:
"Quanto alla crisi istituzionale, è evidente che essa deve essere immediatamente ricomposta. Sulla carta ci sono due modi di affrontarla: le dimissioni di Bertinotti dalla presidenza della Camera oppure una sua stagione di stretto riserbo politico nei limiti d'uno scrupoloso esercizio del suo ruolo istituzionale. La prima soluzione - quella delle dimissioni - è di gran lunga la peggiore. Aggraverebbe drammaticamente la crisi anziché risolverla; forse sarebbe possibile in un Paese diverso e in una diversa situazione. La seconda dunque è in realtà la sola strada, ma deve avere rilievo pubblico, deve essere esplicita e non implicita.
Non si deve certamente chiedere a Bertinotti ciò che nessun politico è disposto a dare, non gli si può chiedere di smentire se stesso. Ma si ha ragione di chiedergli che dica che d'ora in avanti non farà più esternazioni politiche visto che esse provocano disagio e contrasti accrescendo la confusione.[…]Mai come in questa occasione l'arbitro non può giocare in campo con i giocatori, né nella forma né nella sostanza. Perciò si turi le orecchie, si bendi gli occhi e abbia di mira esclusivamente la corretta applicazione del regolamento parlamentare.”
Che un giornalista, sia pure il fondatore di un giornale diventato nei fatti un organo di partito, arrivi ad usare parole così sprezzanti e dure nei confronti di una carica istituzionale, al di là del merito delle questioni sollevate, è l’ennesima grave anomalia della democrazia italiana.
Ormai la vita istituzionale del nostro Paese non si svolge più nei luoghi deputati dalla Costituzione a tale funzione ma molto più incisivamente nelle direzioni dei media che, fino a prova contraria, non sono propriamente incarichi elettivi.
Contribuendo, tra l’altro, alla paralisi politica e a quel caos istituzionale che è sotto gli occhi di tutti.

mercoledì 5 dicembre 2007

Il governo è nudo e... fuori fa freddo!

Che il governo dell’Unione abbia fallito è un dato di fatto. Non bisognava scomodare il Presidente della Camera Fausto Bertinotti per prendere atto che la spinta propulsiva del centrosinistra si è ormai esaurita. Troppe le tessere del mosaico progettato due anni fa con il programmone di 281 pagine che non sono andate al posto giusto.
Due finanziarie incolori, nessuna riforma di ampio respiro, le difficoltà economiche che stanno minando la capacità di resistenza di milioni di famiglie italiane, una politica estera sospesa tra grandi speranze e l’amara realtà di una guerra al fianco dell’alleato americano ormai incomprensibile, una questione giustizia che dopo il passo falso dell’indulto ha fatto capire a tutti che la politica si chiude a riccio in difesa dei potenti e dei privilegi della casta.
L’attacco frontale mosso a Clementina Forleo e Luigi De Magistris ha segnato l’ultimo passaggio di una stagione politica assai deludente che oramai non ha più molto da dire.
Il battesimo del Partito Democratico di Walter Veltroni dimostra poi che l’asse politico di Prodi è stato scavalcato dal suo maggiore alleato il quale, mentre il Professore geste il quotidiano incassando una gragnuola di colpi da ogni parte, intesse relazioni con Berlusconi in vista della riforma elettorale e dello sbocco naturale di nuove elezioni.
Insomma il governo politico dell’Unione si sta trasformando, senza che nessuno lo dica apertamente, in un governo istituzionale che sopravvive soltanto grazie alla speranza di apportare quei ritocchi alla legge elettorale e, magari, a qualche organo costituzionale prima del definitivo rompete le righe.
Del resto lo stesso Veltroni, a leggere le sue dichiarazioni di queste ore, non ha contestato il merito dell'esternazione di Bertinotti sull’esito crepuscolare del governo Prodi; ne ha semplicemente criticato la scelta dei tempi che potrebbe compromettere la fragile trama delle riforme che sta faticosamente imbastendo con il Cavaliere.
Intanto Prodi, quasi solo a Palazzo Chigi, deve affrontare le sfide sociali di questo terribile autunno con benzina e tassi d’interesse alle stelle.
Insomma, non scopriamo niente di nuovo se diciamo che in questo rigido autunno il governo di centro sinistra è nudo.

venerdì 16 novembre 2007

La politica del pendolo

Che la politica non abbia minimamente compreso il grande risentimento che cova nella società civile è ogni giorno di più un desolante dato di fatto.
Il dibattito sulla Finanziaria è la goccia che, forse, non farà traboccare il vaso ma allontana ancora di più il Palazzo dalla vita dei cittadini.
Impossibile capirci qualcosa.
Nemmeno gli addetti ai lavori riescono più a decifrare cosa stia veramente accadendo tra Montecitorio, Palazzo Madama e Palazzo Chigi; soprattutto quale sia, tra veti incrociati, minacce, tatticismi vari, l’effettiva posta in gioco.
Una cosa però è certa: l’elettroencefalogramma della politica italiana è da mesi piatto.
Non fa differenza tra governo e opposizione.
Per il governo, si attende soltanto che qualcuno stacchi la spina. Dopo lo scivolone sulla giustizia, nessuno ha più il coraggio di alzare il livello della discussione e chi punta i piedi lo fa solo per guadagnarsi un po’ di visibilità da spendere in vista di futuri riassetti.
Il dibattito assume in molte circostanze toni surreali: c’è chi come Dini e Mastella sono contrari a fissare un tetto agli stipendi dei manager pubblici scomodando addirittura la Costituzione per avversare un’eventuale norma a riguardo.
Fare le barricate per difendere i manager pubblici lasciando decollare il loro stipendio annuo sopra i 500.000 euro non è propriamente la battaglia politica che si attendono gli elettori di centrosinistra: ma è quello che oggi passa il convento!
Nell’altro schieramento, tutti contro tutti: se Berlusconi sogna la spallata, Fini e Casini ingranano la retromarcia sperando con la riforma elettorale di sbarazzarsi del Cavaliere.
Fino a ieri sera Dini ancora non sapeva se questa Finanziaria gli fosse piaciuta o no: fortuna che nel 1995 fu a capo di un governo tecnico!
Dopo tanti anni di vita parlamentare, l’ex direttore generale di Bankitalia, ha acquisito il virtuosismo di un politico consumato; ma non sa ancora se varcare il Rubicone alleandosi con Berlusconi o restare dissidente con l’elmetto nell’Unione.
In questo paesaggio da Deserto dei tartari, una sola cosa è chiara: la vera politica si fa al centro.
Si è sempre pensato che il bipolarismo italiano non funzionasse bene a causa delle ali estreme dei due schieramenti politici che costringevano la componente maggioritaria (Forza Italia da un lato, il neo Partito Democratico dall’altro) ad avventurarsi su questioni politiche del tutto minoritarie, rimanendo per mesi in una condizione di stallo, senza decidere alla fine né le piccole né le grandi cose.
Ma è più che altro un luogo comune, alimentato dai media che inducono i cittadini a commettere un grossolano errore di prospettiva.
Sì, perché gli accadimenti politici di questi anni dimostrano, al contrario, che il bipolarismo italiano presenta le crepe più grosse e perde pezzi proprio al centro, su quella incerta linea di confine tra i due poli che i tanti eredi della balena bianca provano continuamente ad oltrepassare saltando, a seconda delle convenienze del momento, da uno schieramento all’altro.
E’ la politica del pendolo, certamente la più gettonata in questo cupo autunno.
Non bastavano l’Udeur e i Mastelliani, adesso ci si mettono anche i Diniani, i seguaci di Follini, magari lo stesso Di Pietro, la nuova DC di Rotondi, l’Unione democratica di Bordon e Manzione, qualche Udc deluso…
La frantumazione dei partiti viene eletta a strumento cardine della lotta politica: troppe volte non per affermare il proprio modello di società; molto più prosaicamente, soltanto per guadagnarsi un posto in qualche prima fila che conta.
Sarebbe interessante conoscere da vicino, ad esempio, i diniani: cosa pensano, quali sono i loro ideali, quali i loro elettori, perché sempre così indecisi sulla propria collocazione politica, quale grande causa potrebbe finalmente smuoverli dal torpore..
Nel frattempo, Lamberto Dini, distinguendo tra l'etica dei princìpi e quella della responsabilità, si decide a votare sì alla Finanziaria ma preannuncia il no al Governo.
Niente di cui meravigliarsi: la legge del pendolo ha colpito ancora!

mercoledì 24 ottobre 2007

Per il governo Prodi è iniziato il conto alla rovescia

Inutile illudersi: i fatti delle ultime ore dimostrano che per il Governo in carica è iniziato il conto alla rovescia.
Sotto l’assalto di Clemente Mastella, Romano Prodi ha dovuto capitolare e, in apertura del Consiglio dei ministri di ieri, ha bevuto l’amaro calice della piena fiducia all’operato del ministro della Giustizia: cosa che, se mantiene in vita l’esecutivo, ne mina ancora di più credibilità e tenuta futura, soprattutto in vista dei prossimi passaggi parlamentari della legge finanziaria.
Il braccio di ferro ingaggiato da Mastella con Prodi, con le ripetute esplicite minacce di provocare la crisi di governo se non ci fosse stato un chiarimento politico definitivo, dimostra in quale guaio si sia cacciato il governo, in bilico tra l’esigenza di rinserrare le proprie fila e la necessità di dare una risposta chiara alle istanze di chiarezza e verità che giungono dalla propria base dopo l’avocazione dell’inchiesta del pm De Magistris.
Il compromesso raggiunto è quanto di peggio ci si poteva attendere: gioisce Mastella che non ci pensa proprio a rassegnare le ormai necessarie dimissioni (ma come fa a non capirlo?), patisce un colpo durissimo il governo Prodi che riesce a stento a superare una prima votazione al Senato sul collegato alla finanziaria ma, da grande infermo, ha una prognosi severa.
Tranne Di Pietro, costretto dalla ragion di governo ad un goffo dietro front, gli altri leader della maggioranza non spendono una parola per commentare la soluzione trovata: cosa che, più di tante dichiarazioni d’intenti, suona come l’inizio del rompete le righe.
Del resto se neanche sulla questione giustizia, uno dei punti teoricamente meno controversi della coalizione, si riesce mantenere una linea comune e la maggioranza si sfalda persino sul principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, com’è possibile affrontare i problemi dell’emergenza economico-sociale o della sicurezza interna, da sempre terreno naturale di scontro tra le diverse sensibilità culturali che affiorano nell’Unione?
Tuttavia, se la maggioranza mantiene un profilo basso sulla vicenda e l’opposizione addirittura solidarizza con Mastella, il macigno dell’inchiesta sottratta al pm De Magistris è sempre lì davanti al Palazzo ad occultarne la vista.
Nonostante l’impegno del Presidente Napolitano di vigilare affinchè l’inchiesta possa andare avanti rapidamente (ma ciò come è possibile se ne viene estromesso proprio colui che la sta istruendo?), la sensazione è che la casta piuttosto che dare le risposte invocate dai cittadini preferisca, ancora una volta, chiudersi a riccio aspettando tempi migliori: adda passà ‘a nuttata, pensano in molti nel centrosinistra.
Ma con tutto il risentimento che c’è in giro, questa volta non sarà facile recuperare il tempo perduto.