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domenica 20 gennaio 2008

La settimana dell'Antitalia

Settimana memorabile per l’Antitalia quella che si chiude.
Dal clamoroso attacco in Parlamento del Ministro della Giustizia Clemente Mastella contro la magistratura ed il successivo braccio di ferro ingaggiato dall’Udeur con il governo; al grido di gioia di Salvatore Cuffaro, presidente della Regione Sicilia, per essere stato condannato solo a cinque anni; alla dura censura subita dal pm Luigi De Magistris da parte del Csm: è stato un intrecciarsi di eventi che lasciano allibiti e presagire giornate ancora più turbolente. Ma procediamo con ordine.
La notizia, mercoledì 16, degli arresti domiciliari inflitti alla moglie Sandra fa lanciare al ministro Mastella, mentre sta alla Camera per relazionare sullo stato della giustizia in Italia, un attacco senza precedenti contro la magistratura che viene accolto da fragorosi applausi provenienti da ogni settore dell’emiciclo di Montecitorio: la casta fa quadrato attorno al collega di Ceppaloni.
Poche ore dopo, il fondatore dell’Udeur incassa la “profonda solidarietà” del Presidente del Consiglio Romano Prodi, da questi manifestata con esplicito riferimento anche al suo partito, i cui vertici sono stati praticamente decapitati dall’iniziativa giudiziaria in corso.
In serata si apprenderà che il nome del ministro dimissionario compare nel registro degli indagati per sette ipotesi di reato (concorso esterno in associazione per delinquere, due episodi di concorso in concussione e uno di tentata concussione, un concorso in abuso d'ufficio e due concorsi in falso).
Per la procura di Santa Maria Capua Vetere «Le indagini hanno preso spunto da conversazioni telefoniche relative alla gestione degli appalti e servizi pubblici nella Provincia di Caserta e hanno consentito di far luce su un tessuto di illecito radicato nell'area politica, amministrativa e giudiziaria della Campania».
Quale che sarà la rilevanza penale e l’esito degli addebiti personali, l’analisi dei magistrati fotografa un quadro della situazione impietoso ma sicuramente non sorprendente per i cittadini di quelle zone.
Ma Mastella, non pago di aver ricevuto una solidarietà così illustre, alza la posta e chiede al Professore ancora di più: votare la prossima settimana una mozione di maggioranza di piena condivisione delle dichiarazioni rese alla Camera.
Evidentemente, non si tratta semplicemente di approvare la sua relazione sullo stato della giustizia, come qualcuno a Palazzo Chigi fa finta di credere; ma di sposare in pieno la linea antimagistratura così clamorosamente annunciata in Aula.
Già questo basterebbe a rendere incandescente il clima politico.
Nelle ultime ore, tuttavia, due fatti hanno finito per agitare ancora di più le acque.
Innanzitutto, la condanna a cinque anni di reclusione per favoreggiamento con interdizione perpetua dai pubblici uffici emessa dalla Terza sezione del Tribunale di Palermo nei confronti del presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, che, inopinatamente, la accoglie esultante gridando ai quattro venti che non ha alcuna intenzione di dimettersi.
Poi, la censura della sezione disciplinare del CSM contro il pm Luigi De Magistris con il suo trasferimento ad altra sede ed il cambio di funzioni: non potrà più fare il pubblico ministero.
Sulla condanna di Totò Cuffaro e sulla sua decisione di far finta di niente è meglio stendere un velo pietoso: in questi casi, l’atto di dimissioni, anche se personale, dovrebbe considerarsi un atto dovuto.
Ma con l’aria che tira ed il fresco precedente di un ministro della giustizia che attacca la magistratura nel pieno di una seduta parlamentare per difendere se stesso e la sua famiglia, chiunque tra gli amministratori della cosa pubblica può sentirsi autorizzato ad interpretare il suo ruolo istituzionale come crede.
Il non essere stato dichiarato dai giudici mafioso a tutto tondo, malgrado la condanna per favoreggiamento di singoli elementi mafiosi, lo induce erroneamente a tirare un sospiro di sollievo: buon per lui!
Ma il risultato più eclatante, l’Antitalia lo consegue alle otto di venerdì sera, quando la sezione disciplinare del CSM dispone il trasferimento d’ufficio e il cambio di funzioni nei confronti dell’ex titolare delle inchieste Why not, Poseidone e Toghe lucane, per non avere rispettato rigorosamente le procedure di legge in una serie di episodi contestatigli nel corso del procedimento.
Il rigore formale su cui il CSM si è attestato come una linea del Piave invalicabile e sulla cui base ha costruito il verdetto contro De Magistris, appare dettato più dall’esigenza di chiudere in fretta la questione che dal concreto emergere di un preciso profilo sanzionatorio del magistrato.
Sarebbe veramente deplorevole se la vicenda Mastella avesse finito in qualche modo per pesare, per una singolare coincidenza di tempi, sul verdetto del Csm.
Il procuratore generale Vito D’Ambrosio, pubblico ministero nel procedimento disciplinare, ha dichiarato (1) “De Magistris non dà garanzie: uno come lui non serve in una democrazia ordinata. Non è il giudice a Berlino. E’ ispirato da un’ottica missionaria. Guai se il magistrato pensa di avere una missione, il suo è un mestiere, il controllo della legalità”.
Le cosiddette prove contro De Magistris, almeno da quello che se ne sa, non appaiono decisive: al contrario, molti dei comportamenti che gli sono stati contestati (l’invio a Salerno degli atti dell’inchiesta Poseidone che gli era stata tolta, un decreto di perquisizione senza avvertire il proprio capo, una sorta di registro degli indagati chiuso in un armadio blindato per sottrarlo alla vista dei colleghi) si spiegano perfettamente con il clima di sospetti che aleggia in Procura a Catanzaro.
Perché addirittura imporgli, oltre il trasferimento di sede, anche il cambio di funzioni?
Come a dire, che fare il pubblico ministero con l’impegno e l’intelligenza di De Magistris è controindicato dovunque in Italia, non solo in un posto di frontiera come la Calabria!
E’ un messaggio fuori dal tempo quello che traspare dalle parole pronunciate al Csm dal procuratore D’Ambrosio che si preoccupa, a Catanzaro, solo del rispetto delle procedure e dei regolamenti.
Perché D’Ambrosio si contraddice clamorosamente quando nel suo atto d’accusa prima critica il ruolo assunto da De Magistris di magistrato missionario in una democrazia ordinata; poi. riconosce che egli è stato costretto a lavorare in un ambiente particolarmente difficile.
Nella settimana dell’Antitalia, per giunta con riferimento alla situazione calabrese, dissertare di democrazia ordinata appare soltanto uno sterile esercizio intellettuale.

(1) la Repubblica del 19/01/2008

giovedì 27 dicembre 2007

Caso Contrada: grazia o sospensione della pena?

Alla vigilia di Natale, si è appresa la notizia dell’avvio da parte del presidente Napolitano della procedura di concessione della grazia a favore di Bruno Contrada, l’ex numero due del SISDE, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa con sentenza confermata dalla Corte di Cassazione nel maggio 2007, dopo un lunghissimo iter giudiziario.
Più precisamente, Napolitano ha trasmesso al ministro Clemente Mastella la lettera ricevuta dall’avvocato di Contrada in cui si dà conto delle cattive condizioni di salute del proprio assistito.
Contemporaneamente il Presidente della Repubblica ha chiesto informazioni a Mastella per conoscere lo stato del procedimento per il differimento della esecuzione della pena giacente presso il Tribunale di Sorveglianza di Napoli (Contrada è infatti detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere).
Si tratta, quindi, di due iniziative distinte: l’una, di concessione della grazia appena avviata; l’altra già in corso, per la sospensione della pena per gravi motivi di salute.
E’ chiaro, quindi, che per togliere dal carcere il detenuto Bruno Contrada non c’è la necessità di concedergli la grazia o, addirittura di accelerarne l’iter, come il ministro Mastella si è impegnato a fare: "In questo caso l'urgenza deriva dalle condizioni di salute. Normalmente per l'attivazione di questi strumenti si impiegano sei mesi. Io mi auguro che si faccia molto, molto prima". "Io valuto l'aspetto umano, come anche il presidente della Repubblica ha valutato questo".
Una solerzia inusuale quella del ministro della giustizia non fosse altro perché è proprio nella competenza del Tribunale di Sorveglianza decidere, qualora ne ricorrano gli estremi, di sospendere la pena per motivi umanitari.
La concessione della grazia ha, evidentemente, tutto un altro rilievo e va valutata con ben altra ponderazione.
In particolare, come non tenere nella debita considerazione le forti riserve espresse dalle associazioni delle vittime della mafia, da Rita Borsellino, dalla figlia del magistrato Scopelliti?
Purtroppo la politica si è già impadronita della questione trovando subito il modo di far sentire a sproposito la propria voce.
Se la sinistra si mostra come al solito incerta, il centro destra si è buttato a pesce sulla faccenda. In particolare, inquietanti sono sembrate le parole del giornalista e senatore di Forza Italia, Lino Jannuzzi, ai microfoni del GR1: “E’ stato un bel gesto, peraltro doveroso. Significa che il Capo dello Stato ha capito perfettamente la gravità della situazione che non è solo quella dello stato di salute di Contrada ma è l’approdo di una vicenda vergognosa: 15 anni di persecuzioni basate soltanto sulle invenzioni dei pentiti”.
La questione è così delicata che avrebbe meritato una maggiore cautela da parte di tutti per evitare facili e pericolose strumentalizzazioni.
Diciamo che accanto all’imprevista sollecitudine del ministro di giustizia c’è stato forse anche un difetto di comunicazione del Colle, come lascia capire l’affrettata e stizzita nota successiva: "il Presidente della Repubblica ha ben presente tutte le ragioni da prendere in considerazione e le procedure da rispettare".
In un periodo così burrascoso per i rapporti tra la politica e la giustizia, scivolare sul caso Contrada significa voler mandare di traverso agli Italiani persino il panettone.
Una figuraccia che la nostra classe politica almeno a Natale poteva risparmiarsi.

mercoledì 19 dicembre 2007

Il CSM prende tempo su De Magistris: è davvero un nulla di fatto?

Ma la richiesta urgente di trasferimento d’ufficio avanzata dal Ministro della giustizia Clemente Mastella nei confronti del pm di Catanzaro non doveva essere definita, una volta per tutte, entro il 17 dicembre?
Siamo al 19 e gran parte dei media glissano sul fatto che il CSM ha preso tempo ed a questo punto si riserva di decidere addirittura dopo la Befana, l’11 gennaio 2008.
Come molti osservatori hanno già rilevato, tutta questa urgenza dunque non era giustificata.
La linea Mastella all’interno dell’organo di autotutela dei magistrati non ha prevalso: per il momento la I commissione del CSM ha deciso di non decidere.
Dal punto di vista politico, la scelta dilatoria del CSM suona come una bocciatura dell’iniziativa del politico di Ceppaloni.
Questo perché, a questo punto, non si sarebbe dovuta iniziare un’azione disciplinare contro un pm che stava indagando sul ministro stesso e su altri uomini politici di primo piano senza avere in mano una carta vincente: la dimostrazione al di là di ogni ragionevole dubbio delle gravi violazioni deontologiche del magistrato calabrese.
Il fatto che ciò non sia avvenuto e che il CSM abbia voluto prendersi altro tempo per ulteriori approfondimenti rappresenta politicamente una sconfessione, sia pure provvisoria, di quel provvedimento.
Insomma, è ormai chiaro, la pistola fumante non è stata trovata.
Ciò che maggiormente sorprende è la cappa di silenzio scesa d’improvviso sulla vicenda: i media sembrano non essersene accorti, come se tutte le discussioni di queste settimane siano all’improvviso diventate inutili o imbarazzanti.
L’unica cosa certa è che l’inchiesta condotta fino a due mesi fa da De Magistris gli è stata tolta senza tante spiegazioni.
A gennaio se ne riparlerà ma a quel punto, quale che sia la decisione che verrà assunta, nessuno potrà più fare molto contro l'opinione che serpeggia tra i cittadini secondo cui per essere additati dai politici come cattivi magistrati basta, codice alla mano, semplicemente ficcare il naso nei loro affari.
E' ancora una volta la conferma che, in barba alla tanta invocata trasparenza, la politica resta vittima di se stessa.

giovedì 13 dicembre 2007

Com'è difficile tagliare gli stipendi d'oro!

E’ quasi uno sberleffo quello che la Camera dei Deputati rivolge agli italiani dopo l’abolizione del tetto agli stipendi dei manager pubblici.
Chissà come ma il provvedimento aveva superato le perigliose acque del Senato (ricordate l’impuntatura contraria di Clemente Mastella?) e rischiava davvero di ripristinare un minimo di decoro nei rapporti tra governanti e cittadini.
Non che in questo modo si risanassero le finanze pubbliche ma almeno si dava la sensazione che in tempi difficili come quelli odierni il Palazzo potesse recuperare un minimo di sobrietà e tentasse di stare in sintonia con le difficoltà economiche della gente comune.
La saggezza popolare recitava più o meno così: se ci chiedono continuamente di stringere la cinghia, almeno che facciano anche loro un piccolo sacrificio come gesto di solidarietà!
Niente da fare: alla Camera il tetto è crollato.
La ferale notizia ci viene comunicata da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella sulle pagine del Corriere della Sera [1], cioè da due dei più acuti osservatori dei vizi della nostra politica, autori del best seller “La casta”.
Il fatidico articolo 144 della Finanziaria che aveva imposto un tetto di 275.000 euro l’anno ai manager di Stato è venuto giù attaccato da una pattuglia di voraci termiti, ovvero dai membri della Commissione Bilancio, nonostante le proteste indignate di alcuni dei presenti.
Speriamo che il Governo ci metta una pezza, rimediando all’ennesimo strappo nel rapporto di fiducia con i cittadini.
Fatto sta che in Parlamento esiste una maggioranza trasversale di irriducibili che di fare sacrifici, sia pure simbolicamente, non vuole proprio sentir parlare.
Neanche per la ragion di Stato.

giovedì 6 dicembre 2007

Mastella, la pagliuzza e la trave

Il ministro della Giustizia e leader dell'Udeur, Clemente Mastella, secondo quanto riportato dall’agenzia Agr in una nota delle 12.25 di ieri, ha detto: “Se cade il governo sarebbe anche giusto che il presidente della Camera si dimettesse".
Colui che è stato una delle principali spine nel fianco del governo Prodi e di cui da oltre un anno larghi settori dell’opinione pubblica hanno chiesto invano le dimissioni dal dicastero della Giustizia a seguito dell’approvazione della legge sull’indulto e più di recente per aver proposto azione disciplinare contro il pm di Catanzaro De Magistris, adesso si permette perfino di imporre a qualcuno le dimissioni, nell’occasione al Presidente della Camera Fausto Bertinotti.
Guarda la pagliuzza nell'occhio altrui e non s’accorge della trave che è nel proprio.

martedì 13 novembre 2007

Ma che fine farà l'inchiesta Why not?

L’inchiesta Why not, strappata al pm De Magistris e trasmessa al Tribunale dei ministri da parte del procuratore reggente Dolcino Favi, torna a Catanzaro.
Lo ha deciso la procura di Roma che esaminando le carte del procedimento non ha ravvisato ipotesi di reato riferibili al periodo in cui Mastella era già ministro: quindi l’inchiesta non è di competenza del Tribunale dei ministri.
Lo sapevano tutti ma adesso ne deve prendere atto anche il procuratore Favi, così sollecito ad avocare l’inchiesta ed a trasmettere le carte a Roma.
Purtroppo questo non serve a restituire l’incartamento a De Magistris; il quale aspetta ancora la decisione del 17 dicembre del CSM per conoscere l’esito della richiesta di trasferimento d’ufficio avanzata da Mastella.
Ma l’attività istruttoria svolta dalla procura di Roma sulle carte di De Magistris non si ferma qui: infatti il pm di Roma Colaiocco adesso deve accertare se le ipotesi di reato contestate al politico di Ceppaloni si possano riferire al periodo in cui egli era semplice parlamentare dell’UDC.
Intanto è possibile che lo stesso De Magistris possa essere trasferito alla procura di Napoli, dove sono vacanti ben nove posti di sostituto, in virtù di una domanda da lui presentata al CSM nel maggio scorso: il suo accoglimento, comunque, non ha nulla a che vedere con la pendente richiesta di trasferimento d’ufficio.
Luigi De Magistris entro fine settimana dovrà decidere se accettare la nuova sede di Napoli o ripensarci restando a Catanzaro in attesa del pronunciamento del CSM.
Ma anche se il CSM gli desse ragione e rigettasse la richiesta di Mastella, non per questo le carte dell’inchiesta Why not gli verrebbero restituite.
Un bel dilemma per il sostituto procuratore di Catanzaro.
Egli ha recentemente dichiarato di essere intenzionato a continuare a lavorare nella città calabrese; ma che senso avrebbe restare dopo che gli è stata tolta l’indagine principale?
O le lancette dell’inchiesta vengono riportate indietro, a prima dell’azione disciplinare promossa da Mastella e della inopinata avocazione di Dolcino Favi, oppure per De Magistris obiettivamente non ha più senso restare a Catanzaro.
Che fine faranno le carte della sua inchiesta?
Nel silenzio colpevole di buona parte della magistratura associata, ce lo dicano almeno quei politici di ogni schieramento che in questi mesi hanno fatto il diavolo a quattro per ostacolarne il lavoro.
Perché l’avere cancellato dal dibattito politico e dall’agenda di governo la questione morale è stato sicuramente il peggiore errore possibile per la coalizione guidata da Romano Prodi.

venerdì 26 ottobre 2007

Il richiamo della casta

Sempre interessante la puntata di Anno Zero di ieri sera, di nuovo dedicata al delicato tema della giustizia: in trasmissione quasi gli stessi protagonisti della puntata di venti giorni fa, il giudice Clementina Forleo e il sostituto procuratore Luigi De Magistris, insieme con il docente di procedura penale Vittorio Grevi.
L’argomento è sempre di stringente attualità visto che in tre settimane di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, come sappiamo.
Resta in sospeso il nodo della questione: se il pm dell’inchiesta Why not possa riprendere a lavorare sulle carte che in fretta e furia, con l’avocazione del procuratore facente funzioni Dolcino Favi, hanno preso la via di Roma, destinazione Tribunale dei ministri.
E’ inutile ritornare sul merito della vicenda che è ormai abbastanza chiara a tutti, grazie proprio a trasmissioni come quella di Santoro: il potere politico, quando si sente sotto la lente di osservazione della magistratura, reagisce d’istinto scompaginando le carte di chi indaga.
Adesso abbiamo una certezza in più: nel finto bipolarismo italiano, ciò accade sia con il governo di centrodestra che con quello di centrosinistra; ovvero, cambiando l’ordine dei partiti insediati al governo, il risultato per la giustizia italiana non muta!
E’ una specie di regola non scritta: la definiremo il richiamo della foresta, o meglio, della casta.
La stagione dei girotondi è finita da un pezzo ma qualcuno nel nuovo Partito Democratico dovrebbe spiegarci perché se era giusto sfilare di fronte al Palazzo di Giustizia di Milano nel 2002, ora è politicamente scorretto farlo a Catanzaro.
Ed infine, perché nessuno ha ancora provveduto a sostituire la scassata macchina blindata al pm De Magistris, che da mesi ha fatto presente che funziona peggio della 313 di Paperino?
Il tesoretto, guarda un po’, potrebbe in minima parte essere destinato proprio alla sicurezza dei magistrati più esposti nella lotta alla criminalità ed allo sperpero di denaro pubblico.
Se non vi provvedono immediatamente i ministri dell’Interno o quello della Giustizia, ministro Padoa Schioppa... pensaci tu!
In tempi difficili come quelli della legge finanziaria, la scelta potrebbe rivelarsi conveniente proprio per l’equilibrio dei conti pubblici.

mercoledì 24 ottobre 2007

Per il governo Prodi è iniziato il conto alla rovescia

Inutile illudersi: i fatti delle ultime ore dimostrano che per il Governo in carica è iniziato il conto alla rovescia.
Sotto l’assalto di Clemente Mastella, Romano Prodi ha dovuto capitolare e, in apertura del Consiglio dei ministri di ieri, ha bevuto l’amaro calice della piena fiducia all’operato del ministro della Giustizia: cosa che, se mantiene in vita l’esecutivo, ne mina ancora di più credibilità e tenuta futura, soprattutto in vista dei prossimi passaggi parlamentari della legge finanziaria.
Il braccio di ferro ingaggiato da Mastella con Prodi, con le ripetute esplicite minacce di provocare la crisi di governo se non ci fosse stato un chiarimento politico definitivo, dimostra in quale guaio si sia cacciato il governo, in bilico tra l’esigenza di rinserrare le proprie fila e la necessità di dare una risposta chiara alle istanze di chiarezza e verità che giungono dalla propria base dopo l’avocazione dell’inchiesta del pm De Magistris.
Il compromesso raggiunto è quanto di peggio ci si poteva attendere: gioisce Mastella che non ci pensa proprio a rassegnare le ormai necessarie dimissioni (ma come fa a non capirlo?), patisce un colpo durissimo il governo Prodi che riesce a stento a superare una prima votazione al Senato sul collegato alla finanziaria ma, da grande infermo, ha una prognosi severa.
Tranne Di Pietro, costretto dalla ragion di governo ad un goffo dietro front, gli altri leader della maggioranza non spendono una parola per commentare la soluzione trovata: cosa che, più di tante dichiarazioni d’intenti, suona come l’inizio del rompete le righe.
Del resto se neanche sulla questione giustizia, uno dei punti teoricamente meno controversi della coalizione, si riesce mantenere una linea comune e la maggioranza si sfalda persino sul principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, com’è possibile affrontare i problemi dell’emergenza economico-sociale o della sicurezza interna, da sempre terreno naturale di scontro tra le diverse sensibilità culturali che affiorano nell’Unione?
Tuttavia, se la maggioranza mantiene un profilo basso sulla vicenda e l’opposizione addirittura solidarizza con Mastella, il macigno dell’inchiesta sottratta al pm De Magistris è sempre lì davanti al Palazzo ad occultarne la vista.
Nonostante l’impegno del Presidente Napolitano di vigilare affinchè l’inchiesta possa andare avanti rapidamente (ma ciò come è possibile se ne viene estromesso proprio colui che la sta istruendo?), la sensazione è che la casta piuttosto che dare le risposte invocate dai cittadini preferisca, ancora una volta, chiudersi a riccio aspettando tempi migliori: adda passà ‘a nuttata, pensano in molti nel centrosinistra.
Ma con tutto il risentimento che c’è in giro, questa volta non sarà facile recuperare il tempo perduto.