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lunedì 28 settembre 2009

Un nuovo editto contro Annozero

L’attacco sferrato ad Annozero, la popolare trasmissione di Michele Santoro al suo esordio per la nuova stagione televisiva, ha un carattere chiaramente liberticida.
Appena spente le telecamere che avevano finalmente illuminato al pubblico televisivo alcune chiacchierate vicende che hanno visto quest’estate per mattatore il nostro Presidente del Consiglio, del tutto rimosse finora dal piccolo schermo, ecco arrivare l’affondo forsennato in ordine sparso dei suoi uomini.
Dalla dissennata reazione intimidatoria del ministro delle Attività produttive, Claudio Scajola, che non vuole evidentemente rendersi conto di aver travalicato dai suoi compiti istituzionali, all’intervento del viceministro delle Comunicazioni, Paolo Romani, il quale, appellandosi ad un malinteso art. 39 del contratto di servizio con la Rai, apre una fantomatica istruttoria sulla trasmissione.
Ma non dimentichiamo neppure l’improvvida reazione del ministro della Pubblica Istruzione, Maria Stella Gelmini, che dichiara: "Quando si insulta il presidente si insultano tutti gli italiani", forse scambiando il ruolo istituzionale di Berlusconi con quello di Giorgio Napolitano.
Qualcuno le spieghi la differenza!
Ma adesso abbiamo una certezza in più: la cosiddetta Casa delle Libertà si chiama così per riferirsi alle libertà costituzionali che intende abrogare.
Per prima la libertà di espressione, come enunciata dall’art. 21 della nostra Costituzione.
E’ scandaloso che in Italia non solo permanga in tutta la sua gravità il conflitto d’interessi ma che il titolare di concessioni pubbliche per le reti Mediaset si arroghi il potere di decretare la fine del servizio pubblico radiotelevisivo, come lo conosciamo da sempre.
Una Rai che viene mandata in malora attaccando trasmissioni a costo zero come Annozero, (anzi ad alto rendimento, visto quello che frutta in termini di raccolta pubblicitaria grazie alla sua audience), ma anche Presa diretta, Report, Che tempo che fa.
Tutto ciò per propinarci dei palinsesti costruiti ad uso e consumo del manovratore. Così ci condannano a vedere per l’eternità in prima serata su Raiuno l’ennesima replica del classico per le aspiranti escort: Pretty Woman.
Che i dirigenti della prima rete siano preoccupati di una possibile crisi delle vocazioni?
Così il già inammissibile duopolio Rai-Mediaset degrada pericolosamente nel monopolio di Silvio Berlusconi.
Le vicende di queste due ultime settimane, nonostante l’autentico flop della puntata di Porta a Porta sull’Abruzzo terremotato, confezionata su misura per le impellenti esigenze del premier, e la tardiva partenza autunnale di Annozero, lo dimostrano in modo inoppugnabile.
Ma non basta avere cinque televisioni ed un oceano di carta stampata per placare gli animal spirits dell’uomo di Arcore: bisogna tappare la bocca a qualunque voce dissenziente o, preferibilmente, sradicare qualsiasi frammento di notizia che possa semplicemente aggrottarne la fronte.
Lo Stato sono io, la Rai sono io, gli Italiani sono io: è questa l’essenza dell’attacco alla trasmissione di Santoro.
Quello che maggiormente preoccupa è che tale blitz sia del tutto pretestuoso, privo com’è di ogni giustificazione che non sia, spudoratamente, il voler sottrarre alla pubblica opinione temi dibattutissimi altrove, cioè sui media di mezzo mondo.
In una democrazia parlamentare, quale dovrebbe essere la nostra, è ammissibile che le notizie trasmesse dal servizio pubblico siano filtrate secondo i gusti esclusivi del capo dell’esecutivo?
Perché, si deve dare atto a Michele Santoro di aver impostato la puntata in modo sin troppo equilibrato, con una forte presenza degli uomini del presidente: Maurizio Belpietro, direttore di Libero, e il vicecapogruppo del Pdl, Italo Bocchino, in studio. Poi, le dichiarazioni di Renato Brunetta e le interviste filmate a Filippo Facci e Vittorio Feltri, neo direttore del Giornale.
Per il centrosinistra, erano presenti il segretario uscente del Pd, Dario Franceschini, e il direttore dell’Unità, Concita De Gregorio.
Ognuno ha potuto esprimere la propria opinione liberamente, la conduzione si è ispirata alla massima sobrietà, lo scontro verbale tra i partecipanti è stato a volte duro ma sempre ben gestito; e, salvo una eccessiva acrimonia sessista ai danni della De Gregorio da parte del collega Maurizio Belpietro, non si sono verificati episodi di rilievo.
Il punto, infatti, sta proprio nell’andamento lento della trasmissione e nei suoi toni smorzati che rendono impossibile scardinarne l'impianto giornalistico.
Ma il brano dell’intervista alla escort Patrizia D’Addario ha scatenato negli uomini di Berlusconi una reazione tanto scomposta da finire per nuocere proprio alla loro causa, mostrandoli arcigni e cinici, di modi crudamente beffardi.
Di fronte a tale caduta di stile, è passata quasi simpatica la grave gaffe di Italo Bocchino che, rievocando la morte, avvenuta in circostanze misteriose quarant'anni fa, della segretaria personale del senatore americano Ted Kennedy, di recente scomparso, ci ha piuttosto convinto che fa molto meglio Berlusconi a nominare ministro le sue giovani amiche.
Una galleria degli orrori e degli errori, di fronte alla quale la pur scialba serata di Franceschini, costretto ad arrampicarsi sugli specchi per negare l’esistenza di una rilevante questione morale anche dentro il Pd, è sembrata meno sofferta.
Punta di diamante del programma è stato il sempre bravissimo Marco Travaglio, in onda senza contratto, che ha ricostruito dettagliatamente la vicenda dell'imprenditore barese Tarantini; ma tutta la squadra di Santoro ha girato bene, mostrando di saper fare grande televisione.
Mettere in discussione un programma del genere, che ha raggiunto già in partenza livelli di audience notevoli, vuol dire proprio voler affossare il servizio pubblico, a solo vantaggio di Mediaset.
Ancora una volta il conflitto di interessi pesa come un macigno sulla scena politica italiana.
Può Silvio Berlusconi, padrone di Mediaset, mettere il bavaglio all’informazione del servizio pubblico?
Può, attraverso il giornale di famiglia, scatenare una campagna di stampa per il boicottaggio del canone Rai?
Purtroppo, nel deserto dei tartari della politica italiana, anche queste due semplici domande sono destinate a restare senza risposta.

giovedì 16 aprile 2009

"Normalizzare" Anno Zero: un boomerang per la casta

L’attacco frontale alla trasmissione di Michele Santoro Anno Zero è la conferma, sbattuta in faccia anche ai più scettici e distratti, che l’Italia non è più uno stato di diritto ma si sta avviando a rivivere esperienze politiche simili a quelle dei paesi sudamericani degli anni settanta.
Parlare di regime è ormai inutile; perché dentro il regime ci siamo già.
Abbiamo i vertici delle istituzioni che, grazie al lodo Alfano, non sono più sottoposti alla legge; abbiamo un sistema radiotelevisivo saldamente nelle mani di un solo uomo, Silvio Berlusconi, il quale non solo comanda una corazzata mediatica praticamente in monopolio ma, da quando è diventato presidente del Consiglio (nonostante l’evidente incompatibilità per essere titolare di concessioni pubbliche) ha sguinzagliato i suoi uomini alla Rai per avere il controllo totale anche della televisione e radio pubblica.
Tutto ciò in disprezzo delle normative europee, delle sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia europea.
Abbiamo un’opposizione rappresentata da un Partito Democratico, imploso su se stesso, il cui tratto distintivo è stato sin dalla nascita, chissà perché, quello di separare politica da legalità.
Cosicché per la gente di sinistra non c’è più riparo alcuno se non tentare la strada dell’Italia dei Valori, il partito dell’ex pm di Mani Pulite Antonio Di Pietro, che ha avuto perlomeno il merito di tenere fermo il timone, nonostante la tempesta in atto, sull’idea ormai clandestina che la legge deve essere uguale per tutti.
Perché, per la classe dirigente del Pd, ciò non è più vero e più dei principi contano i comitati d’affari.
La censura a Santoro e a Vauro svelano adesso il vero volto del regime berlusconiano: che a chiacchiere, snobba il ruolo determinante dei media nella formazione dell’opinione pubblica e nell’orientamento elettorale ma, nei fatti, lo considera così essenziale per la propria sopravvivenza politica da usare il pugno di ferro contro chiunque manifesti pubblicamente un minimo di senso critico, mettendo a fuoco, come ha fatto la trasmissione di Santoro, anche quello che non è andato per il verso giusto nella fase di emergenza della tragedia abruzzese.
Sono così consapevoli, gli uomini del Pdl, del loro malgoverno che si preoccupano solo di non farlo sapere in giro; gravissima ingenuità, perché tranne i due poli, tutti ne sono consapevoli.
E con l’informazione al tappeto, la casta è nuda.
Abbiamo una classe politica ormai del tutto screditata che non riesce neppure a difendere i principi costituzionali della libertà di pensiero e di opinione: così, Dario Franceschini, nuovo leader del Pd, che pronunciò nel febbraio scorso il discorso d’investitura a Ferrara proprio sulla Costituzione, nell’occasione fa una difesa così debole di quei principi che è un po' come se li rinnegasse.
Uno spettacolo indecoroso! Tutti a casa, è l’unico invito che umilmente ci sentiamo di rivolgere alla casta, di fronte a questo ennesimo, imbarazzante spettacolo.
Solidarietà al team di Anno Zero!

martedì 14 aprile 2009

Informazione pubblica o comunicazione di regime?

Ennesimo attacco strumentale alla trasmissione televisiva Anno Zero di Michele Santoro; questa volta sferrato addirittura da quello che è attualmente il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ha bollato il programma come "semplicemente indecente", seguito a ruota dal premier Berlusconi che lo ha etichettato addirittura "non da tv pubblica".
Tralasciamo l’intervento berlusconiano, che veramente non merita commento alcuno, per concentrarci sulle parole di Fini
Attacco inopportuno nelle forme, nei tempi, nel merito.
Nelle forme, perché non spetta al presidente della Camera giudicare un programma televisivo, tanto meno se egli è chiamato a rappresentare un ramo del Parlamento e non la maggioranza di governo.
Nei tempi, perché approfittare della sosta pasquale, giunta dopo una tragica settimana di morte e devastazione in Abruzzo, per attaccare uno dei più autorevoli giornalisti italiani non solo è una palese intimidazione ma, peggio, è il segnale che abbiamo una classe politica incompetente, non all’altezza delle nostre istituzioni, tanto da sconfinare continuamente in campi che non le appartengono, provocando un continuo marasma istituzionale.
Nel merito, perché chi ha avuto la possibilità di vedere integralmente la trasmissione, si è facilmente reso conto che essa è stata condotta in modo professionalmente ineccepibile, al di là di ogni possibile strumentalizzazione politica, mettendo a fuoco il senso stesso di questo dramma nella prospettiva di una possibile resurrezione.
Che Italia vogliamo lasciare ai nostri figli? E’ stato questo l’interrogativo da cui è partito il conduttore alla luce della devastazione di un terremoto che ha fatto più danni di quelli ipotizzabili a causa di una qualità costruttiva degli immobili di recente edificazione, risultata veramente scadente.
Se pure l’Onu ha trovato il modo di richiamare l’Italia ad una maggiore attenzione alle norme antisismiche, proprio sulla base degli effetti disastrosi di questo terremoto, non si capisce dove sia lo spettacolo indecente.
Le disfunzioni della Protezione civile? Queste sono evidenti: nulla c’entrano gli uomini e le donne che con grande generosità e abnegazione hanno portato i soccorsi.
E’ la macchina organizzativa che presenta ancor oggi gravi lacune: lo stesso Enzo Boschi, direttore dell’Istituto Nazionale di Geofisica, ha ammesso in una delle sue tante sortite che certamente, prima dell’evento sismico, si sarebbero dovute allestire aree di emergenza per piazzare le tende; aggiungendo, però, che questo compito non sarebbe spettato alla protezione civile nazionale, guidata da Guido Bertolaso, ma agli enti locali.
Ancor oggi, ad una settimana dal sisma, mentre la temperatura di notte scende in picchiata, scarseggiano le stufe nelle tende!!
E’ veramente inaccettabile che la terza carica dello Stato violi la tradizionale pausa pasquale non per portare un aiuto concreto a quelle popolazioni ma per mettere a tacere uno dei pochi giornalisti italiani che non ha perso l’orgoglio del proprio mestiere.
Purtroppo l’ennesimo episodio conferma che è la nostra stessa democrazia a trovarsi ormai in una situazione disastrata.
Il Pd, ancora una volta, si è girato a guardare dall’altra parte con dichiarazioni pilatesche espresse da vari esponenti che lasciano veramente stupiti.
Siamo in piena svolta autoritaria ma il partito edizione Franceschini pare non abbia nulla da obiettare in proposito: davvero un buon viatico per le prossime Europee...
Ma in fondo anche di questo ringraziamo Walter Veltroni che, con la sua smania di andare da solo alle elezioni politiche, fece un anno fa colare a picco il governo Prodi, regalandoci per i prossimi cinque anni questi uomini al vertice delle istituzioni.
Chissà, forse adesso starà da qualche parte a festeggiare l’anniversario di quella catastrofe elettorale!

martedì 27 gennaio 2009

Le gravi parole pronunciate dal ministro Frattini

Il ministro degli esteri Franco Frattini ha celebrato la Giornata della Memoria da par suo, attaccando duramente la trasmissione Anno Zero ed arrivando a dire che il suo conduttore, il giornalista Michele Santoro è antisemita.
Parole gravissime che confermano in pieno tutte le riserve sul capo della Farnesina: il politico sbagliato al posto sbagliato, nel momento sbagliato.
Grandi perplessità erano emerse da subito, sin da quando l’impareggiabile Frattini si faceva sorprendere in ameni posti di vacanza a commentare l’ultima crisi internazionale: memorabile la sua tenuta da sci a corredo dell’insipida dichiarazione sulla crisi israelo-palestinese durante le vacanze di Natale.
In queste settimane, funestate dalla sanguinosa operazione Piombo fuso che ha provocato un migliaio di morti, migliaia e migliaia di feriti, un’immane distruzione nella striscia di Gaza, la politica estera italiana è rimasta al palo, diretta in modo dilettantesco ed improvvisato, in un appiattimento imbarazzante sulle posizioni del governo israeliano.
Ma l’uscita che il ministro Frattini ha fatto oggi contro Michele Santoro non solo è una forma di grave intimidazione che un rappresentante del governo fa alla libera informazione ma denota come il capo del dicastero degli esteri non sia in grado di discernere tra antisemitismo e doverosa, legittima critica all’insensato uso della forza attuato dal governo di Tel Aviv.
E' un caso se questo governo si sia attirato durissime critiche addirittura da parte del segretario generale dell’Onu?
Lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo oggi alle odierne celebrazioni in memoria delle vittime dell’Olocausto, pur esortando a non abbassare la guardia sul virus antisemita, ha ammonito di non speculare con le parole tacciando di antisemitismo coloro, e sono tanti, che criticano in tutto il mondo la violenza esercitata dal governo israeliano sulla popolazione palestinese: "l'operato del governo di Israele può risultare controverso ed essere legittimamente discusso."
Per molti, anche all’interno della società israeliana (valgono per tutti le parole pronunciate da David Grossman), la morte di centinaia di bambini per le bombe sganciate dall’aviazione israeliana è un orrore ingiustificabile: quelle povere creature non possono in alcun modo considerarsi, come invece ritiene il primo ministro israeliano Tzipi Livni, "vittime delle circostanze".
E’ proprio per non dimenticare mai il Male assoluto, per il rispetto che dobbiamo alle vittime del genocidio nazifascista, perpetrato sessant’anni fa contro milioni di ebrei, zingari, disabili, che pesa come una macchia indelebile sulla condizione dell’uomo moderno, che suona inaccettabile l’offesa rivolta da un ministro della Repubblica e la strumentalizzazione politica che ha fatto in questa giornata particolare.
Questa non è una gaffe, queste sono parole infamanti che offendono la coscienza di un popolo che sa sulla propria pelle cos’è l’antisemitismo e gli effetti devastanti della guerra e delle persecuzioni razziali.
Nessuna tardiva rettifica può colmare l'abisso di quell'insulto.
Ci piacerebbe, una volta tanto, che il leader del Partito democratico, Walter Veltroni, invece di rintuzzare banalmente Berlusconi sulle sue continue battute infelici, senta il dovere di parlare in difesa di Michele Santoro e di chiedere le dimissioni del ministro.
E' in gioco, oltre l'onorabilità di un giornalista, la libertà di espressione di tutti noi.

venerdì 16 gennaio 2009

La sceneggiata dell'Annunziata ad Anno Zero

Nessuna sorpresa.
Che Lucia Annunziata fosse ospite dell’amico Michele Santoro con l’intento di boicottarne il programma ce lo aspettavamo. Da subito, si era capito che stava lì non per partecipare ad un difficile dibattito sui bombardamenti di Gaza e sull’eterno conflitto arabo-israeliano ma per dare la spallata decisiva ad Anno Zero.
Il suo intervento a gamba tesa è stato il tentativo neppure tanto velato di distruggerne la credibilità facendo finta di impartire una lezione di giornalismo televisivo al più autorevole collega, come se fosse possibile per Lucia Annunziata, con trascorsi professionali nel Manifesto ma più recentemente presidente Rai (la sua resistibile ascesa vorrà pur dire qualcosa!), poter semplicemente dare dei suggerimenti ad un gigante del giornalismo televisivo come è indiscutibilmente Michele Santoro. Sue alcune tra le più belle trasmissioni di approfondimento informativo: chi non ricorda, ad esempio, Samarcanda?
Non a caso nel famoso editto bulgaro, Silvio Berlusconi decretò l’ostracismo per Biagi, Santoro: non si sognò minimamente di fare il nome dell’Annunziata.
E’ vero che, in anni recenti, l’Annunziata fu protagonista nella sua trasmissione di un discutibile scontro proprio con Berlusconi che, come lei ieri sera, preferì abbandonare lo studio; ma in quel frangente, l’uomo di Arcore si ribellò proprio al modo di fare dell’Annunziata che, con la sua connaturata acrimonia, è solita proporre domande capziose; non da grande giornalista ma da persona che si esalta nell’esibire un atteggiamento antipatico ed inutilmente aggressivo nei confronti del suo interlocutore.
Bene ha fatto Michele Santoro a trattarla come meritava; anche se, forse, è stato fin troppo morbido e generoso nei suoi confronti, restando praticamente impassibile di fronte alle sua pretesa assurda: ancora una volta, il conduttore di Anno Zero ci ha regalato una lezione di grande professionalità.
L’Annunziata ha voluto fare la vittima ma, nell’occasione, è stata vittima solo di stessa e del suo modo di fare insopportabile: ostentare tanta arroganza e spocchia proprio con l’amico Michele Santoro è stato, anche sul piano umano, un brutta caduta di stile che, nella migliore delle ipotesi, fa pensare ad un livore professionale covato chissà da quanto tempo.
Si rassegni: se Santoro è il grande Michele Santoro è proprio perché fa un'informazione giornalistica come solo pochi altri sono capaci di fare, sicuramente come non riesce a Lucia Annunziata.
Ecco perché prima di pensare ad imporgli i suoi suggerimenti, l’ex presidente Rai farebbe molto meglio, se la vanità non glielo impedisce, di ammettere il proprio peccato luciferino.
E la pianti di dire che le posizioni rappresentate nello studio di Santoro non erano equilibrate!
E’ forse equilibrata una guerra che fa oltre 1000 morti da una parte e 13 dall’altra?
E’ per caso imparziale un’informazione che per settimane ha fatto parlare soprattutto le immagini dei bombardamenti dei caccia israeliani con il loro carico di distruzione e morte confuse con i commenti reiterati dei soliti osservatori e politici interpellati, questi sì, al 99,9% pro Israele?
Eppure l’Annunziata non ha mai avuto niente da ridire!
Santoro ha rappresentato tutte le posizioni, non censurando neppure lo scontro verbale tra gli intervenuti, proprio per fotografare la complessità e la profondità del conflitto.
C’era la soldatessa israeliana, il ragazzo di religione ebraica, la madre del soldato ucciso, Marco Travaglio palesemente schierato a favore dell'intervento del governo di Tel Aviv: insomma, il fronte che sosteneva con varie sfumature le ragioni di Israele era largamente rappresentato.
Poi c’era l’esperto militare, che considera assolutamente normale l’uso dei proiettili al fosforo bianco in zone densamente popolate, e l’ampia comunità araba e palestinese, con esponenti spesso confusi e poco preparati nell’interloquire con gli altri ospiti.
Che poi una trasmissione televisiva d’informazione, per essere obiettiva, debba rinunciare ad una propria chiave di lettura è soltanto una leggenda metropolitana.
E’ un po’ come se, per realizzare una trasmissione d'inchiesta sulla mafia siciliana, si dovesse dare voce, con la stessa enfasi e legittimazione, tanto alle ragioni dello Stato quanto a quelle degli uomini di Cosa Nostra.
Se pure l’Onu, e prima ancora il senso di umanità degli italiani, ha condannato i bombardamenti israeliani, è concepibile che la tv pubblica giri lo sguardo da un’altra parte e non dia voce almeno alle ragioni umanitarie, così ampiamente invocate dalla chiesa cattolica?
Possibile che si debbano legittimare solo le ragioni della forza?
Brava Lucia Annunziata che è riuscita nel miracolo di incassare la solidarietà di Gianfranco Fini e nientedimeno dello stesso Berlusconi!
La prossima volta, però, ci risparmi un'altra indecorosa sceneggiata; resti a casa magari a vedersi sulle reti Mediaset il Grande Fratello: è il format che, in prospettiva, può meglio valorizzare le sue grandi doti di conduttrice.

domenica 19 ottobre 2008

Il governo annaspa, l'opposizione affonda...

Settimana importante quella appena trascorsa sia dal punto di vista economico che politico. Il tonfo di mercoledì dei mercati finanziari ha tolto le ultime speranze a quanti speravano di uscire nel giro di qualche mese dalla grave crisi mondiale; al contrario, dal mondo della finanza questa si sposterà inesorabilmente ed in modo duraturo nell’economia reale.
Non è una buona notizia ma era ampiamente prevedibile perché da oltre un anno la finanza internazionale è in subbuglio e, quale importante sensore del mondo produttivo, essa non fa che anticiparne, magari enfatizzandoli, i mutamenti in atto; mai contraddicendoli.
Nel giro di qualche settimana abbiamo scoperto che il modello di sviluppo economico internazionale (la locomotiva Usa traina, gli altri paesi seguono), è venuto meno: da questa crisi uscirà un nuovo modello non più incentrato sugli Stati Uniti.
Già si può iniziare a parlare di multilateralismo anche in campo economico: del resto che l’economia americana non tirasse più era chiaro da tempo, benché i media lo abbiano a lungo tenuto nascosto.
Cattive notizie, dunque, per i veterocapitalisti che ricorrono allo Stato quando si trovano in difficoltà ma lo lo additano a problema quando i loro profitti e le loro rendite si gonfiano a dismisura: ingrati!
L’oligarchia materiale che si fa beffe della democrazia formale già sta pensando come continuare a far credere alle magnifiche sorti del mercato, nonostante i fatti di queste settimane ne siano una secca smentita.
Ma tant’è, fatto digerire il conto salatissimo dei propri errori, gli oligarchi vogliono impunemente continuare ad ammaestrarci: via, quindi, al nuovo totem dello Stato snello.
Questo Stato così pronto a salvare le banche va però ridimensionato, secondo gli oligarchi, quando si tratta di sottrarre all’indigenza milioni di famiglie, in difficoltà nel pagamento delle rate del mutuo e, addirittura, delle bollette di acqua, luce, ecc.
Nei supermercati si registra la contrazione dei consumi anche su generi di prima necessità mentre crollano gli affari dei negozi di quartiere, soppiantati dagli hard discount dove il ceto medio entra ormai anche per riempire i carrelli della spesa settimanale.
Tuttavia, nei provvedimenti del governo Berlusconi non c’è traccia di interventi a favore delle famiglie: per salvare le banche la linea di credito è aperta a tempo indeterminato e per importi illimitati (tanto per cominciare, 40 miliardi di euro?) attingendo a mani basse dalla finanza pubblica.
Ma per le persone in carne e ossa resta in vigore un documento di programmazione economica messo a punto all’inizio dell’estate da Tremonti che è stato costruito su ipotesi ormai del tutto irrealistiche: crescita del Pil allo 0,5 % (mentre Confindustria adesso prevede un arretramento della stessa misura, ovvero piena recessione), tasso d’inflazione programmata dell’1,7% (viaggiamo adesso a più del doppio, con prospettive pessimistiche per il 2009), con pareggio di bilancio nel 2011 (figuriamoci!).
In altre parole, se le banche, a causa di una cattiva gestione e degli eventi internazionali, vanno in crisi devono essere salvate aprendo a tempo indeterminato il rubinetto del Tesoro ma se gli italiani non arrivano alla fine del mese, magari a causa della rata del mutuo a tasso variabile (tipo di tasso suggerito, se non imposto, a suo tempo proprio dalle banche), che si arrangino pure!
Ecco cos’è un pregiudizio ideologico: salvare le famiglie forse salverebbe le banche e l'economia, evitando la recessione; ma non importa, meglio salvare direttamente le banche ricapitalizzandole, lasciando le famiglie al loro destino.
E’ in fondo proprio la domanda che Michele Santoro, l’altra sera sul parterre di Anno Zero, ha posto ripetutamente ma inutilmente ai suoi ospiti.
Possibile che non ci si renda conto che una politica deflazionista come quella che ha messo in piedi il governo, con pesanti tagli agli organici di scuola, università, pubblico impiego, non solo non servirà a centrare i parametri di Maastricht (letteralmente saltati a causa del piano di salvataggio bancario) ma rischia concretamente di far avvitare ancora di più la crisi su se stessa, facendo precipitare il nostro Paese nella più cupa depressione economica?
Come mai i media non fanno proprio tale inquietante interrogativo né tanto meno lo rilanciano? Purtroppo, si limitano a registrare i timori di una crisi senza precedenti ma non stanno disturbando più di tanto la compagine governativa che, a dispetto dei sondaggi, sembra veramente malmessa: Gelmini, Maroni, Scajola, La Russa, Tremonti, Carfagna, Alfano, Sacconi meritano tutti una netta insufficienza.
La presunta star Brunetta, per porsi come castigamatti e mantenere una sicura visibilità mediatica, solleva spesso inutili polveroni che alimentano conflittualità e che di certo non favoriscono un clima disteso e collaborativo nel pubblico impiego.
Così come appariva fuori registro nei salotti televisivi quando ripeteva ossessivamente alcune parole pur di coprire la voce del malcapitato interlocutore ed impedirgli così di replicare con un minimo di efficacia, il ministro della pubblica amministrazione non si smentisce neppure quando giudica folle il piano europeo contro l’inquinamento elaborato da Bruxelles.
Ancora, un improvvisato ministro della pubblica istruzione, che fa finta di non capire le ragioni della protesta che venerdì ha riempito le tante piazze d’Italia, finisce per dare in questo modo ragione proprio ai suoi detrattori.
Un ministro dell’interno che, invece di solidarizzare pubblicamente con lo scrittore Roberto Saviano per i rischi che sta correndo, non trova di meglio che invidiargli la ribalta mediatica preferendogli chi combatte la criminalità nel silenzio: una gaffe così gratuita ed odiosa che, come al solito, è stato costretto a tornare sui suoi passi, dichiarando di essere stato frainteso (!).
Il cahier de doléances potrebbe continuare a lungo ma preferiamo chiuderlo qui ricordando le incredibili esternazioni del premier Berlusconi che è in grande difficoltà come statista persino quando parla della tempesta borsistica: basti pensare a quando, a mercati finanziari aperti ed in preda al panico, ha paventato l’eventualità di una loro temporanea chiusura.
A salvare la faccia al governo ci pensano tuttavia i telegiornali del duopolio con la loro informazione al cloroformio: l’altro ieri è dovuta intervenire l’Authority delle Comunicazioni, numeri alla mano, per fotografare il disastro di un’informazione che sa parlare solo del Palazzo, ignorando completamente i suoi utenti, gli Italiani.
Ma per fortuna per Berlusconi l’opposizione parlamentare dorme sonni profondi: neanche in grado, come invece ha fatto la bravissima giornalista Milena Gabanelli, di leggere le carte del caso Alitalia. Rivelando, piuttosto, disarmante confusione di idee e mancanza di prospettiva quando ripete ossessivamente la propria disponibilità al dialogo con il Governo senza neppure curarsi di precisare su che cosa, con quali strumenti, con quali obiettivi.
Con il Partito democratico, siamo tornati all’anno zero della politica; ecco come si esprime il suo leader in merito al piano di salvataggio delle banche (la battuta è tratta dall’intervista di Massimo Giannini di domenica corsa su la Repubblica che, nel frangente, gli ha appena servito un assist sull’eventualità che il governo voglia allungare le mani sulle banche con il pretesto della crisi):
"Allarghiamo il discorso. Io credo che la cosa peggiore che si possa fare è rimbalzare dal liberismo allo statalismo. Io resto convinto che una società democratica viva se esiste un libero mercato. In una condizione in cui lo Stato si riservi il suo ruolo, quello di fare le regole e di farle rispettare. Lo Stato non è giocatore, è arbitro. Per questo può anche scendere in campo, per aiutare pro-tempore un’azienda di credito in crisi. Ma non può alterare l’intero campionato. Non mi basta l’intervento del Tesoro con le azioni privilegiate, se poi in assemblea ha diritto di veto sulla governance e sulle scelte strategiche della banca. Io non voglio che il governo gestisca le banche. Non voglio che un ministro, di destra o di centrosinistra, si trasformi in un nuovo Cuccia. La politica che gestisce la finanza l’abbiamo già vissuta: le banche pubbliche, i boiardi, ed è stato un disastro che non dobbiamo ripetere".
Ci sta dicendo che i contribuenti devono metterci i quattrini per salvare le banche ma che essi non hanno diritto a chiedere conto ai manager della loro gestione. Il paragone sportivo è poi completamente sbagliato: se lo Stato, come dice l’impareggiabile Walter, detta solo le regole e le fa rispettare, va da sé che non dovrebbe metterci i soldi, altrimenti che razza di arbitro è?
Che poi la politica oggi non stia dentro le banche, come il leader democratico fa credere, non è neppure una leggenda metropolitana, è semplicemente falso.
Qualcuno gli spiegherà, per cortesia, che cosa sono e come funzionano le fondazioni bancarie?
Possibile che non è a conoscenza del sistema di governance del Monte dei Paschi di Siena, tanto per fare un esempio in area amica?
Insomma quello che il premier britannico Gordon Brown sta facendo in Inghilterra, facendo dimissionare i manager bancari malaccorti e non precludendosi la possibilità di avere suoi rappresentanti nei consigli di amministrazione, non incontra evidentemente i favori dell’antistatalista Veltroni.
Voi capite in che mani è finita l’opposizione?

Ps: Il giornalista Michele Concina, dai microfoni di Prima Pagina, ha concluso la sua ottima settimana di conduzione, riconoscendo che oggi l’opposizione è così debole che la critica all’operato del governo la fanno piuttosto i dissidenti del centrodestra; ed ha chiosato "come se il centrodestra rappresentasse il 100% della politica italiana".

giovedì 5 giugno 2008

Le infondate, strumentali, gravi accuse a De Magistris

Quante volte abbiamo raccontato lo stillicidio di azioni disciplinari, un vero e proprio calvario giudiziario, fatto patire al pm di Catanzaro Luigi De Magistris, colpevole soltanto di aver cercato di portare con il suo attento lavoro di magistrato un po’ di luce in alcune torbide storie ambientate nelle difficili terre di Calabria e Lucania!
Zone di frontiera per lo Stato, che spesso fatica non poco a sostenere la quotidiana battaglia per la legalità e la trasparenza dell’iniziativa pubblica.
A distanza di mesi, i pm di Salerno hanno accertato che egli “a causa delle sue inchieste ha subìto costantemente pressioni, interferenze e iniziative volte a determinarne il definitivo allontanamento dalla sede di Catanzaro e l’esautorazione dei poteri inquirenti”.
E’ una notizia che dovrebbe scuotere il mondo della politica dalle fondamenta, se non altro perché, per troppi mesi, sia a destra che a sinistra nessuno ha mosso un dito in difesa ed a tutela dell’onorabilità del magistrato, preso di mira non solo da ampi settori della magistratura ma anche da diversi organi di informazione.
Per recuperare la memoria di quelle difficili giornate basta ricordare l’espressione “Cattivi magistrati” rivolta insieme a Luigi De Magistris e Clementina Forleo da Letizia Vacca (PDCI) vicepresidente della I Commissione del CSM che aveva istruito il procedimento disciplinare nei confronti del gip milanese.
Oppure le dure parole pronunciate da Vito D’Ambrosio, pubblico ministero nel procedimento disciplinare contro il magistrato di Catanzaro: “De Magistris non dà garanzie: uno come lui non serve in una democrazia ordinata. Non è il giudice a Berlino. E’ ispirato da un’ottica missionaria. Guai se il magistrato pensa di avere una missione, il suo è un mestiere, il controllo della legalità”.
Ricordate l’alzo zero con cui venne calibrato l’attacco alla trasmissione di Michele Santoro che aveva acceso il faro dell’informazione pubblica sul deferimento disciplinare promosso dall’allora Ministro della Giustizia Clemente Mastella proprio nei confronti del sostituto procuratore?
Qualcuno sulla carta stampata arrivò pure a definire quel programma televisivo come “un passo verso il suicidio collettivo”: pare incredibile!
In circa mille pagine la procura di Salerno smonta il castello di accuse e dimostra che De Magistris “ha operato in un contesto giudiziario connotato da un’allarmante commistione di ruoli e fortemente condizionato dal perseguimento di interessi extragiurisdizionali, anche di illecita natura”.
Ce n’è abbastanza per gettare alle ortiche la richiesta avanzata nei suoi confronti non solo di trasferimento d’ufficio ma addirittura di cambio di funzioni!!
Purtroppo però, proprio grazie a queste “denunce infondate, strumentali e gravi” le inchieste Poseidone e Why not gli sono state tolte e irrimediabilmente compromesse.
Ecco in cosa è consistito concretamente il passo verso il suicidio collettivo: l’ennesimo naufragio della giustizia italiana che lascia soli i suoi uomini migliori, nelle zone e nei momenti più difficili, con la partecipazione non straordinaria della casta di politici di vario colore e di primari organi di informazione.

sabato 3 maggio 2008

Il Palazzo d'Inverno contro Anno Zero

All’indomani della trasmissione Anno Zero in cui sono stati riproposti alcuni stralci del comizio tenuto a Torino per il 25 aprile da Beppe Grillo, si è scatenato il solito vespaio di feroci polemiche.
Sotto accusa, guarda caso, di nuovo Michele Santoro, colpevole di aver dato rilievo mediatico alle salaci invettive del comico genovese.
Il presidente della Rai Claudio Petruccioli si straccia le vesti accusando duramente il giornalista e minacciando di prendere seri provvedimenti perché, a suo dire, “a nessuno, neppure a Santoro, è consentito appaltare la tv pubblica a terzi che ne fanno un uso arbitrario e indecente.”
E’ incredibile: Petruccioli invece di prendersela con Sgarbi per la sequela di pesanti insulti che ha rivolto agli ospiti della trasmissione , attacca inopinatamente Santoro per aver dato spazio alle parole sicuramente sferzanti di Beppe Grillo dal palco di Piazza San Carlo.
La scure della censura da parte della nomenklatura rischia di abbattersi così su uno dei pochi giornalisti che ancora dimostra autonomia intellettuale e amore per la propria professione.
Ed ancora una volta un importante esponente del Partito Democratico va in rotta di collisione con il comune buon senso ed il proprio elettorato.
Perché sono tanti tra gli elettori del PD in queste ore a domandarsi come mai le trasmissioni Rai possano dilungarsi folcloristicamente sui fucili padani ma debbano mettere la sordina sulle battaglie civili condotte in prima persona da Beppe Grillo, oggi senza dubbio il migliore politico in circolazione.
Purtroppo la nomenklatura, rinchiusa nel Palazzo d’Inverno, ha un’idea della libera informazione che fa a pugni non solo con la nostra bella Costituzione ma addirittura con i principi basilari di una democrazia, arrogandosi il diritto di censurare le poche voci scomode.
Mentre nei confronti di chi in prima serata in uno studio televisivo (non in una piazza gremita di gente di ogni età!), rivolge ossessivamente ed in modo chiaramente intimidatorio pesantissimi insulti ai propri interlocutori il presidente Petruccioli non ha proprio nulla da eccepire.
Questo sì è un insulto all’intelligenza dei cittadini: se qualcuno ce lo avesse preannunciato, non gli avremmo creduto!
Anche il Corriere.it, riconoscendo la svista di ieri, ha cambiato titolo al video Rai su Anno Zero, addivenendo ad un più realistico “Sgarbi attacca Travaglio”.
Per fortuna nel PD non sono tutti come Petruccioli ma c’è ancora chi, come Giuseppe Giulietti, pur prendendo le distanze da Grillo, resta con i piedi per terra e l’indice puntato a segnalare la rotta di un partito in stato confusionale.
Ecco come egli giudica l’uscita del presidente Rai:
"Il gruppo dirigente della Rai ha parlato di uso arbitrario e indecente della tv pubblica a proposito della trasmissione Anno Zero in cui sono stati trasmessi brani dell'intervento del comico Beppe Grillo al secondo V-day.
Per quanto ci riguarda i toni e i modi di Grillo non sono i nostri e sono assai distanti dalla sensibilità di Articolo21. Tuttavia condividiamo ancora meno che si faccia finta di non sapere che quelle parole e quelle espressioni sono condivise da non pochi italiani, che giornali e tv di tutto il mondo hanno riportato le opinioni di Grillo e che nessuno può pensare di oscurare. Anzi ci saremmo aspettati dal gruppo dirigente di Viale Mazzini che rivendicasse il fatto che, in quanto servizio pubblico la Rai è il luogo dove le espressioni anche più critiche si possono esprimere.
Per quali ragioni la Rai può ospitare a reti unificate aggressioni contro i giudici o appelli per i fucili padani e manifestare indignazione in altri casi?
Ci saremmo infine aspettati che il gruppo dirigente Rai, oltre a indignarsi per alcune delle espressioni di Grillo avesse manifestato pari indignazione nei confronti dell'aggressione condotta da Sgarbi nei confronti della memoria di Enzo Biagi, una persona che non può neanche più difendersi e replicare, e che è stato tanta parte della memoria della Rai e del nostro Paese”.

venerdì 2 maggio 2008

L'ospite che non ti aspetti ad Anno Zero

Come era già successo qualche tempo fa, il Corriere della Sera.it scivola nuovamente su un video Rai: questa volta è tratto dalla trasmissione Anno Zero condotta magistralmente da Michele Santoro nel cui studio ieri sera interveniva (si fa per dire!) tra gli ospiti Vittorio Sgarbi.

Il Corrierone titola "Tele-rissa Travaglio-Sgarbi" ma le cose non stanno affatto così.

Nel caso in questione si è trattato di un attacco di una violenza verbale inaudita sferrato contro l'imperturbabile Marco Travaglio da un tal personaggio che non si capisce per quali meriti calchi ancora le scene televisive, nonostante lasci al suo passaggio soltanto una sequela di insulti rivolti a bella posta a chiunque entri in contraddittorio con lui.

Travaglio e Santoro hanno mantenuto il sangue freddo: il primo, restando impassibile benché le prevaricazioni reiterate avrebbero fatto perdere la pazienza anche ad un santo; il secondo, invitandolo ripetutamente ad abbassare i toni, mostrandosi assolutamente convinto che la medicina migliore da somministrare ad una persona che ha perduto il lume della ragione resti, comunque, la persuasione intellettuale.

Parlare di tele-rissa risulta quindi palesemente errato.

Vale forse la pena ricordare alla redazione del Corriere della Sera.it che, come recita il vocabolario della lingua italiana Gabrielli, la rissa è una "Zuffa violenta tra due o più persone, con scambio di offese e di botte".

Che un personaggio del genere possa fare il bello ed il cattivo tempo, avventandosi verbalmente contro gli ospiti in studio, senza che nessuno decida di accompagnarlo garbatamente ma inflessibilmente dietro le quinte, non è proprio un bel vedere.
Ancora più grave è che il pubblico che guarda da casa Anno Zero si veda costretto ad assistere impotente a queste intemperanze per non girare canale e rinunciare definitivamente a quest'ultima riserva televisiva di libero pensiero.

lunedì 4 febbraio 2008

La Casta si prepara alle elezioni

Dopo aver detto tutto il male possibile dell’attuale legge elettorale, la Casta si prepara a chiedere di nuovo il consenso dei cittadini con le ormai prossime elezioni.
Che questo fosse l’epilogo naturale della crisi di governo era scontato. Che, però, si torni alle urne con la tanto contestata legge porcellum dopo due soli anni di legislatura, senza che nessun politico si assuma la responsabilità di questo ennesimo strappo alle regole istituzionali, è veramente scandaloso.
Facciamoci caso: nessuno ha ancora parlato e, probabilmente, nessuno parlerà dei costi esorbitanti di questo ennesimo appuntamento elettorale: 500 milioni di euro, per tenerci prudenti, da spendere nel momento meno opportuno, con un Paese in piena emergenza economica.
Non ne parla il centrodestra che le elezioni le ha chieste da sempre, sin dal momento in cui due anni fa Romano Prodi varcò il portone di Palazzo Chigi.
Non ne parla il centrosinistra che dalla nascita del Partito Democratico non ha più trovato pace: con Walter Veltroni che, pur di sbarazzarsi degli alleati dell’Unione, si è reso disponibile a dare una mano a Berlusconi, riportandolo sul ponte di comando del Polo.
Ma il Cavaliere, da bravo uomo d’affari, sa giocare contemporaneamente su più tavoli: prima, ha finto un interessamento alle riforme istituzionali proposte da Veltroni; poi, quando si è visto riabilitato da quello che, sulla carta, dovrebbe essere il suo principale sfidante nella prossima contesa elettorale, gli ha rovesciato il tavolo addosso, lasciandolo annaspare in mezzo al guado.
Così il sindaco di Roma, a cui i cittadini della capitale dovrebbero chiedere di fare a tempo pieno il mestiere per cui viene pagato piuttosto che perdere tempo con il Cavaliere, si è ritrovato all’improvviso senza un governo, senza le riforme e, al limite, senza un partito, perché parte dei suoi dirigenti, con tutti i suoi ultimi passi falsi, si interrogano seriamente sulla sue qualità di leader.
Di fronte ad una casta così insipida ed impermeabile al malcontento che sale dalla società, va a finire che per i media la colpa di questo sfascio, come il classico cerino, resti in mano al procuratore di Santa Maria Capua Vetere che ha mandato agli arresti domiciliari per qualche giorno la moglie di Mastella.
Incredibilmente la Casta, dopo averci portato sull’orlo del baratro istituzionale, cerca di sottrarsi alle proprie responsabilità addossando la croce sulla magistratura, come fa da oltre 15 anni, cioè dai tempi di Mani Pulite.
Ma no, forse la colpa è di Michele Santoro che con il suo Anno Zero, ha l’imperdonabile vizio di portare sotto i riflettori Rai le gravissime colpe della nostra classe dirigente.
Sì, perché per il Consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni «Michele Santoro ha violato il pluralismo».
Prendendo di mira la puntata sul caso Mastella-De Magistris, quella sulla riforma Tv, l'altra sulla vicenda Forleo-D’Alema e l’intercettazione Berlusconi-Saccà, il presidente dell’organismo di garanzia Corrado Calabrò così ne stigmatizza l’operato: «In televisione il processo, lo pseudo processo o la mimesi del processo non si possono fare. L'informazione deve essere equilibrata, obiettiva e deve garantire il contraddittorio senza anticipare giudizi su questioni ancora subiudice».
E fingendo di non voler censurare nessuno, amplifica la sua reprimenda affermando che ciò «non vuol dire porre limiti alla libertà di informazione. Ma l'informazione non può diventare gogna mediatica nè spettacolarizzazione ispirata più all'amore per l'audience che all'amore per la verità ».
Siamo al paradosso: espressione di amore per la verità sarebbero, a questo punto, i panini confezionati dal Tg1, la cronaca nera urlata dai Tg Mediaset, il notiziario di Emilio Fede oppure il salotto di Porta a Porta di Bruno Vespa: basta visitare il sito di Beppe Grillo per rivedere sequenze di quell’informazione televisiva che per il Garante delle Comunicazioni sarebbe equilibrata, obiettiva, veritiera, non essendo mai intervenuto per criticarla, men che meno per sanzionarla.
Magari per Calabrò il massimo della conduzione giornalistica è quella dimostrata da Giovanni Floris che, nella puntata del 22 gennaio del suo programma, ha lasciato che Pierferdinando Casini desse ripetutamente del cialtrone ad Alfonso Pecoraro Scanio senza battere ciglio, quando un minimo di deontologia gli avrebbe dovuto suggerire di riprendere severamente il leader UDC.
Ma ormai siamo da tempo assistendo ad un pessimo spettacolo che si replica sempre più frequentemente negli studi televisivi, nelle redazioni dei giornali, nelle aule parlamentari, nelle commissioni disciplinari del Csm, nelle invettive pronunciate dal ministro della giustizia contro la magistratura, nelle corsie ospedaliere attraversate da primari rigorosamente con la tessera di partito, in un escalation di comportamenti gravissimi che, a causa della lottizzazione sistematica di ogni spazio decisionale, sta provocando nei cittadini oltre una grandissima rabbia, una più preoccupante nausea, con il rischio una fortissima astensione quando si arriverà alle urne.
Chi disprezza compra, recita l'adagio e questa legge elettorale "porcata" in fondo fa comodo a molti, in primis proprio alle segreterie di partito che potranno stilare in tutta comodità le liste lasciando agli elettori un'alternativa secca: prendere o lasciare.
La Casta, al minimo storico di popolarità, si gioca così il tutto per tutto, sfidando in modo temerario l'elettorato: alle prossime consultazioni, ancora una volta, dovremo votare i loro nomi.
Il rischio dell'astensionismo è forte ma proprio per questo non sorprendente: ogni forza politica avrà facile gioco ad imprecare pubblicamente contro il porcellum, salvo stropicciarsi le mani dietro le quinte per aver imposto ai cittadini le proprie scelte.
A meno che l'esercito degli astensionisti imbufaliti non raggiunga dimensioni tali da sconvolgere i piani di questa classe politica che, con incredibile leggerezza, continua a giocare d'azzardo con le nostre Istituzioni.

mercoledì 31 ottobre 2007

Politica, giornalismo e magistratura

Ennesimo editoriale di D’Avanzo sulla questione De Magistris - Mastella - Forleo.
Ancora una volta la accosta indebitamente alla stagione della Palermo di Falcone e Borsellino: nessuno glielo ha chiesto, nessuno dei protagonisti ha osato fare questo confronto quasi sacrilego ma lui, improvvisamente inviato speciale a bordo della sua macchina del tempo, è cocciutamente intenzionato a proporlo; a parte il pessimo gusto dell’operazione, è proprio l’obiettivo della stessa ad essere sciagurato.
Già risulta impegnativo per chi scrive ricordare senza retorica ma con eterna riconoscenza questi due eroi dell’Italia repubblicana (eroi per quello che hanno fatto nella loro vita di magistrati e di uomini dello Stato, non per l’ipocrita incensatura postuma che molti aspri detrattori delle loro iniziative giudiziarie si sono poi affrettati a fare; spesso anche in disprezzo della verità, costruendo leggende metropolitane come quella secondo la quale Paolo Borsellino non parlava mai ai media); si pensi poi quanto sia impervio, pericoloso, moralmente deplorevole, violarne la memoria per ridicolizzare le vicende giudiziarie attuali e gettare discredito sui protagonisti di oggi.
Ma partiamo dall’inizio.
Sul caso dell’inchiesta Why not tolta al pm di Catanzaro, il giornalista Giuseppe D’Avanzo si mantiene sulle generali ritenendo che “se si conserva la testa fredda […] ci siano tutte le condizioni per convincere De Magistris a evitare allarmi e proclami a vantaggio di una responsabile riservatezza.”
Poi passa ad affrontare il caso di Clementina Forleo con la quale, come tutti hanno avuto modo di rendersi conto leggendo il suo editoriale del 6 ottobre, forse deve avere qualche conto in sospeso.
Ricordate? La accusò inopinatamente di riferirsi a Massimo D’Alema quando aveva parlato nella trasmissione di Michele Santoro, Anno Zero, dei tanti don Rodrigo del Sud: fu una goffa difesa d’ufficio, non solo non richiesta dal presidente dei DS ma anche ingenuamente infamante nei suoi confronti.
Il fatto che il gip milanese abbia rivelato di essere stata soggetta a pressioni dai livelli istituzionali durante l’inchiesta Antonveneta-Bnl del 2005 e che oggi non si senta protetta dallo Stato è considerato da D’Avanzo un affare “molto bizzarro” anche se, ne conviene, esso “chiede di essere illuminato in fretta”.
Cita l’art. 331 del codice di procedura penale sull’obbligo della Forleo di farne denuncia per le vie di rito, auspicando comunque che qualcuna delle autorità giudiziarie preposte le imponga a riguardo di stendere una relazione di servizio.
Riconosce, comunque, che pur “ossequiente alla legge” il giudice Forleo potrebbe essere stata esitante nell’osservarla in tale occasione vista l’ostilità dell’ambiente istituzionale; ma egli aggiunge che è arrivato il tempo in cui “ciascuno faccia la sua parte a difesa dell’incolumità del giudice e dell’integrità dell’inchiesta milanese”.
Fin qui niente da eccepire anche se il tono usato dal giornalista non convince pienamente.
Poi dà le pagelle: “bene” il Csm che, dopo le dichiarazioni di Clementina Forleo, ha aperto un fascicolo; “male, malissimo” l’Arma dei carabinieri che non dà seguito alle denunce della Forleo. Ma allora, viene spontaneo chiedersi, il gip milanese le denunce le ha fatte o no?
Risparmiandoci la lettura dell’art. 331 del codice, non si dovrebbe partire proprio da quelle denunce per ricostruire il clima di intimidazione in cui il magistrato milanese è costretto a vivere dopo i suoi pronunciamenti sulle scalate Antonveneta – Bnl?
Che non si stesse occupando propriamente di una lite condominiale, d’altronde, è dimostrato dal succedersi a seguito di quell’inchiesta di settimane difficili nel mondo politico e finanziario italiano, sfociate nelle dimissioni del governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Come nell’infortunio occorsogli nell’editoriale in cui ha tirato in ballo del tutto a sproposito D’Alema, D’Avanzo pecca ancora una volta di presunzione e, vestendo i panni dell’uomo di legge che guarda dall’alto in basso la Forleo, stabilisce su due piedi che le lamentate presunte pressioni istituzionali configurino sicuramente una fattispecie di reato da perseguire d’ufficio.
Ma, un passo più in là, il giornalista di Repubblica mostra di non credere più di tanto a questa ipotesi perché a parte “il goffo agitarsi di Clemente Mastella” non esiste, a suo dire, un conflitto magistratura-politica:“si può prendere atto che negli uffici giudiziari, nelle forme associate della consorteria togata, nel suo organo di autogoverno, in Parlamento, nel governo, la temperatura dei rapporti tra i due poteri è nei parametri”.
Come a lasciare intendere: di cosa vogliamo discutere, dell’aria fritta?
E, a questo punto, parte l’ultimo affondo: “E se nulla di davvero rilevante ci sfugge, per quanto tempo dobbiamo essere imprigionati in una recita a soggetto, per di più con l’indecorosa evocazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?”
Che brutto finale! Facendosi scudo della memoria di due eroi, ha preconfezionato la sua invettiva, stile stagione dei veleni, concedendosi l’attenuante di un “se” per possibili future virate.
Ed ancora una volta a farne le spese su uno dei principali organi della carta stampata è il magistrato Clementina Forleo; a cui non è data purtroppo possibilità di replica senza sollevare ulteriori pretestuose polemiche.
Il clamore di questi giorni? Anche su questo, D’Avanzo non ha dubbi: è “emotività di teatri televisivi di incerta informazione che non danno conto della realtà ma preferiscono simularla”.
Invece di chiedere doverosamente scusa a Michele Santoro per gli insulti gratuiti e insensati di qualche settimana fa (editoriale su Repubblica del 6 u.s.), ha ancora l’impudenza di reiterare i suoi messaggi barbarici.
Ogni commento a questo punto è superfluo.
Fonte: Il paragone impossibile con Falcone e Borsellino

venerdì 26 ottobre 2007

Il richiamo della casta

Sempre interessante la puntata di Anno Zero di ieri sera, di nuovo dedicata al delicato tema della giustizia: in trasmissione quasi gli stessi protagonisti della puntata di venti giorni fa, il giudice Clementina Forleo e il sostituto procuratore Luigi De Magistris, insieme con il docente di procedura penale Vittorio Grevi.
L’argomento è sempre di stringente attualità visto che in tre settimane di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, come sappiamo.
Resta in sospeso il nodo della questione: se il pm dell’inchiesta Why not possa riprendere a lavorare sulle carte che in fretta e furia, con l’avocazione del procuratore facente funzioni Dolcino Favi, hanno preso la via di Roma, destinazione Tribunale dei ministri.
E’ inutile ritornare sul merito della vicenda che è ormai abbastanza chiara a tutti, grazie proprio a trasmissioni come quella di Santoro: il potere politico, quando si sente sotto la lente di osservazione della magistratura, reagisce d’istinto scompaginando le carte di chi indaga.
Adesso abbiamo una certezza in più: nel finto bipolarismo italiano, ciò accade sia con il governo di centrodestra che con quello di centrosinistra; ovvero, cambiando l’ordine dei partiti insediati al governo, il risultato per la giustizia italiana non muta!
E’ una specie di regola non scritta: la definiremo il richiamo della foresta, o meglio, della casta.
La stagione dei girotondi è finita da un pezzo ma qualcuno nel nuovo Partito Democratico dovrebbe spiegarci perché se era giusto sfilare di fronte al Palazzo di Giustizia di Milano nel 2002, ora è politicamente scorretto farlo a Catanzaro.
Ed infine, perché nessuno ha ancora provveduto a sostituire la scassata macchina blindata al pm De Magistris, che da mesi ha fatto presente che funziona peggio della 313 di Paperino?
Il tesoretto, guarda un po’, potrebbe in minima parte essere destinato proprio alla sicurezza dei magistrati più esposti nella lotta alla criminalità ed allo sperpero di denaro pubblico.
Se non vi provvedono immediatamente i ministri dell’Interno o quello della Giustizia, ministro Padoa Schioppa... pensaci tu!
In tempi difficili come quelli della legge finanziaria, la scelta potrebbe rivelarsi conveniente proprio per l’equilibrio dei conti pubblici.