Dopo aver detto tutto il male possibile dell’attuale legge elettorale, la Casta si prepara a chiedere di nuovo il consenso dei cittadini con le ormai prossime elezioni.
Che questo fosse l’epilogo naturale della crisi di governo era scontato. Che, però, si torni alle urne con la tanto contestata legge porcellum dopo due soli anni di legislatura, senza che nessun politico si assuma la responsabilità di questo ennesimo strappo alle regole istituzionali, è veramente scandaloso.
Facciamoci caso: nessuno ha ancora parlato e, probabilmente, nessuno parlerà dei costi esorbitanti di questo ennesimo appuntamento elettorale: 500 milioni di euro, per tenerci prudenti, da spendere nel momento meno opportuno, con un Paese in piena emergenza economica.
Che questo fosse l’epilogo naturale della crisi di governo era scontato. Che, però, si torni alle urne con la tanto contestata legge porcellum dopo due soli anni di legislatura, senza che nessun politico si assuma la responsabilità di questo ennesimo strappo alle regole istituzionali, è veramente scandaloso.
Facciamoci caso: nessuno ha ancora parlato e, probabilmente, nessuno parlerà dei costi esorbitanti di questo ennesimo appuntamento elettorale: 500 milioni di euro, per tenerci prudenti, da spendere nel momento meno opportuno, con un Paese in piena emergenza economica.
Non ne parla il centrodestra che le elezioni le ha chieste da sempre, sin dal momento in cui due anni fa Romano Prodi varcò il portone di Palazzo Chigi.
Non ne parla il centrosinistra che dalla nascita del Partito Democratico non ha più trovato pace: con Walter Veltroni che, pur di sbarazzarsi degli alleati dell’Unione, si è reso disponibile a dare una mano a Berlusconi, riportandolo sul ponte di comando del Polo.
Ma il Cavaliere, da bravo uomo d’affari, sa giocare contemporaneamente su più tavoli: prima, ha finto un interessamento alle riforme istituzionali proposte da Veltroni; poi, quando si è visto riabilitato da quello che, sulla carta, dovrebbe essere il suo principale sfidante nella prossima contesa elettorale, gli ha rovesciato il tavolo addosso, lasciandolo annaspare in mezzo al guado.
Così il sindaco di Roma, a cui i cittadini della capitale dovrebbero chiedere di fare a tempo pieno il mestiere per cui viene pagato piuttosto che perdere tempo con il Cavaliere, si è ritrovato all’improvviso senza un governo, senza le riforme e, al limite, senza un partito, perché parte dei suoi dirigenti, con tutti i suoi ultimi passi falsi, si interrogano seriamente sulla sue qualità di leader.
Di fronte ad una casta così insipida ed impermeabile al malcontento che sale dalla società, va a finire che per i media la colpa di questo sfascio, come il classico cerino, resti in mano al procuratore di Santa Maria Capua Vetere che ha mandato agli arresti domiciliari per qualche giorno la moglie di Mastella.
Incredibilmente la Casta, dopo averci portato sull’orlo del baratro istituzionale, cerca di sottrarsi alle proprie responsabilità addossando la croce sulla magistratura, come fa da oltre 15 anni, cioè dai tempi di Mani Pulite.
Ma no, forse la colpa è di Michele Santoro che con il suo Anno Zero, ha l’imperdonabile vizio di portare sotto i riflettori Rai le gravissime colpe della nostra classe dirigente.
Sì, perché per il Consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni «Michele Santoro ha violato il pluralismo».
Prendendo di mira la puntata sul caso Mastella-De Magistris, quella sulla riforma Tv, l'altra sulla vicenda Forleo-D’Alema e l’intercettazione Berlusconi-Saccà, il presidente dell’organismo di garanzia Corrado Calabrò così ne stigmatizza l’operato: «In televisione il processo, lo pseudo processo o la mimesi del processo non si possono fare. L'informazione deve essere equilibrata, obiettiva e deve garantire il contraddittorio senza anticipare giudizi su questioni ancora subiudice».
E fingendo di non voler censurare nessuno, amplifica la sua reprimenda affermando che ciò «non vuol dire porre limiti alla libertà di informazione. Ma l'informazione non può diventare gogna mediatica nè spettacolarizzazione ispirata più all'amore per l'audience che all'amore per la verità ».
Siamo al paradosso: espressione di amore per la verità sarebbero, a questo punto, i panini confezionati dal Tg1, la cronaca nera urlata dai Tg Mediaset, il notiziario di Emilio Fede oppure il salotto di Porta a Porta di Bruno Vespa: basta visitare il sito di Beppe Grillo per rivedere sequenze di quell’informazione televisiva che per il Garante delle Comunicazioni sarebbe equilibrata, obiettiva, veritiera, non essendo mai intervenuto per criticarla, men che meno per sanzionarla.
Magari per Calabrò il massimo della conduzione giornalistica è quella dimostrata da Giovanni Floris che, nella puntata del 22 gennaio del suo programma, ha lasciato che Pierferdinando Casini desse ripetutamente del cialtrone ad Alfonso Pecoraro Scanio senza battere ciglio, quando un minimo di deontologia gli avrebbe dovuto suggerire di riprendere severamente il leader UDC.
Ma ormai siamo da tempo assistendo ad un pessimo spettacolo che si replica sempre più frequentemente negli studi televisivi, nelle redazioni dei giornali, nelle aule parlamentari, nelle commissioni disciplinari del Csm, nelle invettive pronunciate dal ministro della giustizia contro la magistratura, nelle corsie ospedaliere attraversate da primari rigorosamente con la tessera di partito, in un escalation di comportamenti gravissimi che, a causa della lottizzazione sistematica di ogni spazio decisionale, sta provocando nei cittadini oltre una grandissima rabbia, una più preoccupante nausea, con il rischio una fortissima astensione quando si arriverà alle urne.
Non ne parla il centrosinistra che dalla nascita del Partito Democratico non ha più trovato pace: con Walter Veltroni che, pur di sbarazzarsi degli alleati dell’Unione, si è reso disponibile a dare una mano a Berlusconi, riportandolo sul ponte di comando del Polo.
Ma il Cavaliere, da bravo uomo d’affari, sa giocare contemporaneamente su più tavoli: prima, ha finto un interessamento alle riforme istituzionali proposte da Veltroni; poi, quando si è visto riabilitato da quello che, sulla carta, dovrebbe essere il suo principale sfidante nella prossima contesa elettorale, gli ha rovesciato il tavolo addosso, lasciandolo annaspare in mezzo al guado.
Così il sindaco di Roma, a cui i cittadini della capitale dovrebbero chiedere di fare a tempo pieno il mestiere per cui viene pagato piuttosto che perdere tempo con il Cavaliere, si è ritrovato all’improvviso senza un governo, senza le riforme e, al limite, senza un partito, perché parte dei suoi dirigenti, con tutti i suoi ultimi passi falsi, si interrogano seriamente sulla sue qualità di leader.
Di fronte ad una casta così insipida ed impermeabile al malcontento che sale dalla società, va a finire che per i media la colpa di questo sfascio, come il classico cerino, resti in mano al procuratore di Santa Maria Capua Vetere che ha mandato agli arresti domiciliari per qualche giorno la moglie di Mastella.
Incredibilmente la Casta, dopo averci portato sull’orlo del baratro istituzionale, cerca di sottrarsi alle proprie responsabilità addossando la croce sulla magistratura, come fa da oltre 15 anni, cioè dai tempi di Mani Pulite.
Ma no, forse la colpa è di Michele Santoro che con il suo Anno Zero, ha l’imperdonabile vizio di portare sotto i riflettori Rai le gravissime colpe della nostra classe dirigente.
Sì, perché per il Consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni «Michele Santoro ha violato il pluralismo».
Prendendo di mira la puntata sul caso Mastella-De Magistris, quella sulla riforma Tv, l'altra sulla vicenda Forleo-D’Alema e l’intercettazione Berlusconi-Saccà, il presidente dell’organismo di garanzia Corrado Calabrò così ne stigmatizza l’operato: «In televisione il processo, lo pseudo processo o la mimesi del processo non si possono fare. L'informazione deve essere equilibrata, obiettiva e deve garantire il contraddittorio senza anticipare giudizi su questioni ancora subiudice».
E fingendo di non voler censurare nessuno, amplifica la sua reprimenda affermando che ciò «non vuol dire porre limiti alla libertà di informazione. Ma l'informazione non può diventare gogna mediatica nè spettacolarizzazione ispirata più all'amore per l'audience che all'amore per la verità ».
Siamo al paradosso: espressione di amore per la verità sarebbero, a questo punto, i panini confezionati dal Tg1, la cronaca nera urlata dai Tg Mediaset, il notiziario di Emilio Fede oppure il salotto di Porta a Porta di Bruno Vespa: basta visitare il sito di Beppe Grillo per rivedere sequenze di quell’informazione televisiva che per il Garante delle Comunicazioni sarebbe equilibrata, obiettiva, veritiera, non essendo mai intervenuto per criticarla, men che meno per sanzionarla.
Magari per Calabrò il massimo della conduzione giornalistica è quella dimostrata da Giovanni Floris che, nella puntata del 22 gennaio del suo programma, ha lasciato che Pierferdinando Casini desse ripetutamente del cialtrone ad Alfonso Pecoraro Scanio senza battere ciglio, quando un minimo di deontologia gli avrebbe dovuto suggerire di riprendere severamente il leader UDC.
Ma ormai siamo da tempo assistendo ad un pessimo spettacolo che si replica sempre più frequentemente negli studi televisivi, nelle redazioni dei giornali, nelle aule parlamentari, nelle commissioni disciplinari del Csm, nelle invettive pronunciate dal ministro della giustizia contro la magistratura, nelle corsie ospedaliere attraversate da primari rigorosamente con la tessera di partito, in un escalation di comportamenti gravissimi che, a causa della lottizzazione sistematica di ogni spazio decisionale, sta provocando nei cittadini oltre una grandissima rabbia, una più preoccupante nausea, con il rischio una fortissima astensione quando si arriverà alle urne.
Chi disprezza compra, recita l'adagio e questa legge elettorale "porcata" in fondo fa comodo a molti, in primis proprio alle segreterie di partito che potranno stilare in tutta comodità le liste lasciando agli elettori un'alternativa secca: prendere o lasciare.
La Casta, al minimo storico di popolarità, si gioca così il tutto per tutto, sfidando in modo temerario l'elettorato: alle prossime consultazioni, ancora una volta, dovremo votare i loro nomi.
Il rischio dell'astensionismo è forte ma proprio per questo non sorprendente: ogni forza politica avrà facile gioco ad imprecare pubblicamente contro il porcellum, salvo stropicciarsi le mani dietro le quinte per aver imposto ai cittadini le proprie scelte.
A meno che l'esercito degli astensionisti imbufaliti non raggiunga dimensioni tali da sconvolgere i piani di questa classe politica che, con incredibile leggerezza, continua a giocare d'azzardo con le nostre Istituzioni.