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giovedì 28 marzo 2013

Il fallimento di Bersani auspicio per un nuovo inizio

Interessante scambio di battute l'altra sera a Ballarò tra il vicedirettore di Repubblica Massimo Giannini e l'economista Lidia Undiemi, esperta  in problemi inerenti la crisi del debito sovrano in Europa, su cui è da tempo viva l'attenzione dei sostenitori del Movimento 5 Stelle.
In particolare sul meccanismo del fondo salva stati (ESM) e del fiscal compact che impegnerà l'Italia in un esborso finanziario complessivo di 125 miliardi sul quale il silenzio dei media è stato sin dall'inizio  assordante, praticamente facendo trovare gli Italiani con le spalle al muro, di fronte al fatto compiuto.
In primis, la reticenza di Repubblica che pure avrebbe potuto svolgere nell'occasione un insostituibile ruolo informativo, come ha subito sottolineato l'economista aggiungendo che è stato proprio il blog di Beppe Grillo a veicolare questo tipo di informazioni al grande pubblico.
125 miliardi per i quali l'Italia ha già iniziato a pagare le prime quote di adesione: siamo già a 43 miliardi di euro, fuoriusciti dall'Italia. Altro che IMU!
Giannini ha cercato inizialmente di contrastare la Undiemi dicendo che si trattava di una bugia ma è dovuto ritornare sui suoi passi e cambiare tono nel momento in cui la stessa economista ha insistito sulla fondatezza e giustezza delle sue osservazioni, avendo studiato a lungo il documento europeo istitutivo di tale fondo e per averci realizzato sopra un apposito dossier e varie altre pubblicazioni.
A smentire sfortunatamente Giannini, il Corriere della Sera, in un pezzo a firma di Antonella Baccaro del 16 marzo a pagina 51, che così titolava a cinque colonne: «Debito oltre quota duemila miliardi / Il conto (salato) del fondo salva Stati»; dove ad un certo punto si dice: «Sempre nel mese di gennaio, il sostegno dei Paesi dell'area dell'Euro in difficoltà, cioè la quota di competenza dell'Italia dei prestiti erogati dall'Efsf (fondo salvaStati) è costata 0,4 miliardi, portando complessivamente tale contributo a 43 miliardi
Ma rivelatrici dell'assoluta inconsistenza e labilità, persino sul piano ideologico e programmatico, dell'attacco forsennato che la corazzata mediatica Repubblica-L'Espresso muove da sempre al M5S sono proprio le ultime parole di Giannini. Ve le riportiamo sia per iscritto che in video:
«Tanto per essere chiaro io penso che il M5S ha avuto un ruolo importantissimo anche in questo ultimo passaggio politico così delicato. 
Faccio un esempio: Piero Grasso e Laura Boldrini non sarebbero mai stati eletti se non ci fosse stata la spinta del M5S. Oggi avremmo probabilmente in quei due posti due esponenti della, tra virgolette, vecchia politica, rispettabilissimi ma comunque non nuovi come sono stati quei due. Da questo punto di vista io non mi sogno di criticare assolutamente il ruolo positivo del M5S. 
Dove però non ci siamo proprio, non ci siamo proprio, è quando questo movimento, pur essendo così innovativo e così utile da questo punto di vista, assume atteggiamenti spocchiosi rispetto all'esistente. D'accordo?
Allora, benissimo che ci sia questo rinnovamento in Parlamento, lo chiediamo da tempo tutti quanti e ci fa piacere che ora ci sia, però vedere persone che entrano in Parlamento e intanto trattano i giornalisti dicendo: "Voi siete spalamerda", organizzano conferenze stampa la cui premessa è: "Però non si possono fare domande", poi.. una deputata non stringe la mano a Rosy Bindi, perché non ha piacere di stringere la mano a Rosy Bindi: quando avessimo avuto tutti i politici... Poi la si può pensare in maniera diversa da Rosy Bindi, io la penso in modo diverso su tante cose, ma avessimo avuto in questi decenni politici con la passione di Rosy Bindi, oggi non ci troveremmo dove ci troviamo. Tanto per dirne una. 
Ma vado avanti, vado avanti. Poi sentiamo le critiche al sistema bancario ed abbiamo deputate grilline che, di fronte alla Camera, interrogate dalle Iene, non sanno che cos'è la BCE, non sanno chi è Mario Draghi...».
Interviene Floris: "Quello diciamo... purtroppo succede in tutto lo spettro parlamentare compreso [...]" .
Prosegue Giannini:    «Però dov'è  la differenza? Se poi arrivano con l'atteggiamento di chi dice:  "La ricreazione è finita, adesso levatevi tutti di mezzo perché ci siamo noi", allora lì c'è un cortocircuito. Io dico umiltà, perché l'umiltà la dobbiamo avere tutti, e senso di responsabilità perché c'è un paese da governare.... facciamoci carico di questi problemi, tutti quanti.».

Insomma, dopo un inaspettato e sperticato elogio al movimento di Grillo, Giannini gli avanza critiche, tutto sommato, assai deboli. Riassumiamole: 

1. la 'spocchia' dei nuovi parlamentari. La critica ci può stare, da parte di chi per carriera ha più dimestichezza e confidenza con la vecchia Casta, ma è evidentemente un rilievo di carattere meramente stilistico, insomma più di forma che di sostanza. Fra l'altro, con un'attenuante enorme: l'attenzione aggressiva e morbosa dei media verso questi nuovi deputati e senatori, osservati e descritti con circospezione quasi se su Montecitorio e Palazzo Madama fossero calati i marziani;

2. il linguaggio scurrile e l'atteggiamento di diffidenza nei confronti dei giornalisti italiani i quali, ad onore del vero, se lo sono meritato pienamente per essersi distinti in queste settimane proprio per la faziosità dei loro resoconti, spargendo disinformazione a mani basse anche quando si trattava semplicemente di riportare le parole pronunciate da Beppe Grillo in interviste a testate straniere, travisando pesantemente e sistematicamente il suo pensiero. 
Tant'è che in più di un'occasione è dovuta addirittura intervenire la rettifica dell'intervistatore per smentire il senso delle affermazioni che gli venivano attribuite dalla stampa di casa nostra. 
Insomma una costante e per certi versi inspiegabile delegittimazione del Movimento 5 Stelle ed in particolare del suo leader da parte dei principali organi di informazione, soprattutto non di partito;

3. la presunta 'ignoranza' dei nuovi parlamentari a 5 stelle. Se ci riferiamo alla conoscenza del diritto parlamentare, ciò è vero analogamente alle new entry degli altri partiti: si tratta di una normale e prevedibile iniziale difficoltà legata al nuovo ruolo acquisito che, evidentemente, non deve far gridare allo scandalo. Tanto più se coinvolge i neoeletti di tutti gli schieramenti.
Quanto alla presunta incompetenza tecnica o alla scarsa cultura generale dei neoeletti, l'88% dei 5 Stelle è laureato, molto di più delle altre forze politiche. Circa l'intervista delle Iene di qualche giorno fa, basta andarsi a rivedere il video completo per rendersi conto di chi ha fatto la figura più barbina: non a caso Repubblica.it ha inizialmente pubblicato, provocando clamore nella rete, un video che tagliava proprio le risposte imbarazzanti dei parlamentari del PD.
Possibile quindi che Massimo Giannini, in un'occasione ghiotta come quella di Ballarò in cui avrebbe potuto squadernare di tutto contro il M5S, particolarmente in un momento tanto cruciale per la vita istituzionale del nostro Paese, si sia limitato a rilievi di dettaglio, solo di natura estetica? 
Come fa a giustificare allora una linea editoriale del giornale che dirige tanto aggressiva e negativa contro Beppe Grillo e il suo movimento?

Perché essere così a corto di argomenti fa sorgere più di un sospetto; cioè che, in fondo, dietro la guerriglia mediatica di Repubblica, ci sia probabilmente solo una bassa questione di potere, intesa non come disputa sui massimi sistemi ma come opaca questione di poltrone e di assetti organizzativi. 
Probabilmente quello che più spaventa almeno una parte dell'intelligentia che fa riferimento al Partito Democratico è di restare fuori dai giochi, dalle spartizioni prossime venture, dalle future cordate, dai nuovi business, da inedite aree di influenza. 
Insomma un problema di ricambio della vecchia nomenklatura democratica che verrebbe spazzata via dall'onda d'urto degli attivisti di Grillo e che impone ai vecchi centri di potere una ricompattazione immediata.
Ad esempio sulla questione Tav, la preoccupazione sembra essere non quella di rinunciare ad una infrastruttura strategica per l'Italia (a cui, ormai è chiaro, non crede più nessuno), ma di vedersi mancare gli  appalti per le cooperative e le imprese amiche col conseguente inaridirsi di una preziosa fonte di consenso, così necessario in tempi di emorragia di voti!
Il problema cioè non è la politica ma è il binomio politica-affari, non è la buona amministrazione, lo sviluppo economico, uno stato che funziona bene, offrire servizi sociali di avanguardia, un fisco equo, una giustizia giusta: no, ciò che conta è piazzare i propri uomini nei gangli del potere.
Se poi questi politici, come è successo negli ultimi vent'anni, fanno il contrario di quello che hanno promesso al loro elettorato, per Giannini e c. la cosa è irrilevante: l'importante è che restino dei referenti affidabili per le esigenze dei gruppi di potere, per le lobby multicolore.
Lasciare che della cosa pubblica si occupino direttamente i cittadini senza cooptazioni di sorta, senza debiti di riconoscenza verso chicchessia, ecco questo è un grosso pericolo da evitare. 
La riorganizzazione della democrazia prefigurata dal movimento di Grillo attraverso la partecipazione diretta dei cittadini, senza l'intermediazione organica e strutturata dei vecchi partiti, significa la ristrutturazione di tutte, ma proprio tutte, le strutture di formazione, concentrazione e conservazione del consenso: dalle banche alle municipalizzate, dai giornali agli apparati ministeriali, ai partiti, agli enti locali, ai sindacati.
Ecco perché la ricetta di Pierluigi Bersani, uomo dell'apparato partitocratico che si candida a guidare un millantatato governo del cambiamento,  è quella tipicamente del Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare nulla.
Non si capirebbe altrimenti come egli stia insistendo tanto, malgrado l'evidenza dei numeri, a voler ancora tentare di costruire un'improbabile alleanza di governo, dopo ben sei giorni di consultazioni infruttuose.
E' invece cruciale che Giorgio Napolitano già stamane gli ritiri il mandato esplorativo e proponga finalmente un nome di vero cambiamento: a quel punto, una volta che la partitocrazia targata PD-PDL avrà fatto il sospirato (da tanti Italiani) fatidico passo indietro, i giochi si riapriranno.
E forse tutti gli Italiani, anche quelli che si sono spinti in questi giorni a formulare accuse tremende e isteriche contro Grillo, lo dovranno ringraziare perché lui e il suo movimento, con la loro trasparente inflessibilità, avranno reso possibile finalmente l'avvio della rottamazione della vecchia classe dirigente di destra e di sinistra.
E l'Italia potrà finalmente ripartire.


mercoledì 14 novembre 2012

La guerra di Piero a L'Infedele: come si smonta in diretta un talk show

Grande e meritoria performance del blogger Piero Ricca che, lunedì sera nella trasmissione di Gad Lerner L'Infedele su La7, è riuscito a svelare, con un tempismo ed  una prontezza dialettica fuori del comune, i meccanismi truffaldini del talk show televisivo, quello tanto inviso a Beppe Grillo ed al M5S. 
Sì, stiamo parlando del salotto mediatico dove vengono ospitati contemporaneamente una decina persone tra politici, sindacalisti, accademici, imprenditori, burocrati, a cui il conduttore dà e toglie febbrilmente la parola seguendo un canovaccio prefissato che conosce solo lui, il tutto condito con pezzi giornalistici registrati di taglio aneddotico e con interventi esterni di cosiddetti esperti i quali, non potendo interagire direttamente con gli ospiti in studio per comprensibili difficoltà tecniche, finiscono per avere la voce più pesante, azzerando quel che resta di uno straccio di discussione che vorticosamente viene fatto abilmente volteggiare dal conduttore di palo in frasca.
Uno spettacolo culturalmente avvilente, che offende l'intelligenza del telespettatore medio, ma che ha fatto la fortuna personale di giornalisti come Bruno Vespa e Giovanni Floris ed ha persino proiettato sulla scena politica nazionale nuovi improbabili leader, grigi personaggi d'apparato che diversamente sarebbero passati del tutto inosservati.
E' il caso di Renata Polverini, esponente di una sindacato del tutto minoritario, l'UGL, la quale, inspiegabilmente ma ossessivamente è stata ospite di Floris per un paio di stagioni televisive, così conquistandosi sotto l'occhio complice delle telecamere la candidatura e successivamente l'elezione a governatore della Regione Lazio.
Come sia andata per il momento a finire la sua avventura politica non è qui neppure il caso di ricordarlo... purtroppo resta cronaca ancora quotidiana.
Indubbiamente, l'Infedele ha pretese culturalmente superiori a quelle nazionalpopolari di Porta a Porta o di Ballarò, dichiaratamente aspirando a suscitare un minimo di riflessione e di dibattito culturale tra i presenti; cosa che alla corte di Vespa e Floris è precluso, forse addirittura vietato a priori.
Lì, è il trito e ritrito tormentone giornalistico strizzacervelli che omologa qualsiasi idea in un crescendo di sandwich verbali, stereotipi, battute da avanspettacolo, battibecchi, insulti più o meno espliciti, gazzarra a scena aperta, finquando il conduttore, con un sorrisino soddisfatto, non decida di abbassare d'autorità l'audio in studio, virtualmente suonando il gong del fine ripresa, e mandando tutti negli spogliatoi per la pubblicità.


Cionondimeno l'impresa di Ricca è stata eclatante e, malgrado la petulanza spocchiosa di Gad Lerner ed il protagonismo pleonastico di uno degli ospiti, Corrado Formigli (conduttore dell'altro salotto di casa Telecom momentaneamente chiuso per ferie per lasciare spazio al programma di  Michele Santoro), egli è riuscito nell'impresa titanica di dimostrare all'utente televisivo, per giunta in diretta televisiva, quale subdolo inghippo mediatico si celi dietro l'apparente patinata neutralità di questi contenitori politici di regime.
Bravo Ricca!
Vedere per credere...

venerdì 2 novembre 2012

Federica chi?

La replica piccata della consigliera del M5S Federica Salsi alle parole di Beppe Grillo che dal suo blog aveva cricato aspramente, con il solito linguaggio colorito, la sua partecipazione di martedì sera nel talk show di Giovanni Floris, non si è fatta attendere.
A corto di argomenti, se l'è presa con una battuta al vetriolo con cui dal suo blog l'ex comico genovese aveva stroncato la sua comparsata in tv: "E' stata una delusione. Ha mostrato di essere vittima della cultura berlusconiana di questi anni. E' stato veramente sgradevole. Un maschilista come altri. Dare una connotazione negativa a una qualità delle donne è roba da medioevo. Veramente degradante".
In precedenza nel post "Il talk show ti uccide, digli di smettere" Grillo aveva scritto:  "E' il punto G, quello che ti dà l'orgasmo nei salotti dei talk show. L'atteso quarto d'ora di celebrità di Andy Warhol. A casa gli amici, i parenti applaudono commossi nel condividere l'emozione di un'effimera celebrità, sorridenti, beati della tua giusta e finalmente raggiunta visibilità".
E poi giù l'affondo: "Seduto in poltroncine a schiera, accomunato ai falsari della verità, agli imbonitori di partito, ai diffamatori di professione, devastato dagli applausi a comando di claque prezzolate. Soggetto, bersaglio consapevole ben pettinato alla bisogna che porge il lato migliore del proprio profilo alla morbosa attenzione di cameraman che ti inquadrano implacabili se annuisci quando enuncia le sue soluzioni un qualunquemente stronzo. Lì, in una gabbia di un circo, come su un trespolo, muto per ore, povera presenza rituale di cui si vuole solo lo scalpo, macellato come un agnello masochista, rispondi per i quattro minuti che ti sono concessi a domande preconfezionate poste da manichini al servizio dei partiti."

Parole dure ma sacrosante, tant'è che più di un commentatore, anche chi non è mai stato tenero con il movimento di Grillo (vedi il direttore di RaiNews24 Corradino Mineo), ha dovuto riconoscere che questa volta il capo carismatico aveva colto nel segno.
Una cosa è certa: Beppe Grillo non le manda a dire, parla apertamente e pubblicamente, il massimo della trasparenza.
La sua critica è alla luce del sole, sei libero di accettarla o di rispondergli per le rime; comunque, i suoi rimproveri impongono preventivamente di farsi un accurato esame di coscienza.
Nel caso in questione, la consigliera Sansi, una perfetta sconosciuta che parla come la ragazza della porta accanto, quella che incroci sul pianerottolo condominiale mentre scendi con il cane a fare una passeggiata e la vedi riporre il sacchetto della spazzatura fuori dalla porta di casa, non ha dato una buona prova di sè: un paio di interventi scialbi, senza proporre alcuna considerazione degna di nota, assolutamente incolore, per non dire banale.
Sull'opportunità di togliere l'IMU ammette di non avere le idee chiare, finendo per giustificare la manovra lacrime e sangue del governo Monti.
Di più, dopo aver dichiarato di rimpiangere la vecchia ICI e recriminato sulla sua abolizione da parte del governo Berlusconi, lancia un involontario assist al sindaco di Roma, lo spiritato Gianni Alemanno, che la interrompe ricordando che l'abolizione della vecchia ICI ha riguardato solo la prima casa: lei, emozionatissima, annuisce.
E' poi la volta di Floris che la aiuta a migliorare il suo pensiero sull'opportunità di una imposta sulla prima casa, per poi chiudere in bellezza (si fa per dire!) confidando che, tra vecchia ICI federale e nuova IMU statale, "nel momento in cui si promuove il federalismo fiscale, m'è saputo un cortocircuito... ma questa è la mia opinione personale!"
Lo spettatore che si fosse seduto in poltrona nella speranza che l'annunciata apparizione televisiva dell'esponente del M5S potesse portare una ventata di novità, di chiarezza e soprattutto di fiducia per il futuro, rompendo gli schemi del solito teatrino mediatico, dopo vari sbadigli, spegne il televisore deluso; persuaso che il Movimento 5 stelle sia ancora una chimera, composto com'è da così tanti personaggi in cerca d'autore.
Parafrasando McLuhan, il mezzo è il messaggio: fagocitato dai meccanismi tipici del talk show, dove prevale chi ha la battuta più pronta e telegenica, il dibattito in studio è al massimo ribasso, con il conduttore che interviene secondo una precisa quanto non dichiarata strategia.
E per i neofiti anti Casta non c'è scampo.
Di questo gli attivisti del movimento devono ormai essere consapevoli ed accettare di buon grado il diktat del loro fondatore senza farne uno psicodramma: non è più tollerabile che ad ogni invito del Floris di turno debba scoppiare un'inutile polemica, sulla quale i media di regime vanno letteralmente a nozze, poiché tutto fa brodo pur di mettere i bastoni tra le ruote ai ragazzi di Grillo.

Particolare dell'home page di Repubblica on line del pomeriggio
D'altra parte, scopriamo l'acqua calda rivelando che i partiti della Casta hanno fissato da sempre regole ferree per scegliere chi mandare nelle varie trasmissioni televisive. 
In fondo è una norma di buon senso: perché non è possibile che vada in tv un signor nessuno, pur bravo che sia, senza l'OK della segreteria politica.
Quindi, non è più tollerabile che per respirare il proprio attimo di celebrità, gli attivisti del Movimento mettano su a turno queste patetiche e suicide sceneggiate: giusto il tempo necessario per consentire alla Casta di riprendere fiato, ricompattandosi contro il tiranno Grillo.
Infine, chi vota o voterà per il Movimento 5 Stelle certamente non lo fa per far uscire dall'anonimato gente come Favia e Salsi... a proposito, chi sono costoro?

mercoledì 27 maggio 2009

A Ballarò, la farsa estromette la politica!

Quella che è andata in onda ieri sera nel salotto televisivo di Giovanni Floris, Ballarò, è stata forse la più esilarante gag politica che si ricordi a memoria di telespettatore.
Mai era successo, nonostante diverbi sempre più frequenti e insulsi in programmazione sui vari palinsesti a tutte le ore del giorno, di assistere ad un battibecco tanto divertente.
Uno scontro tra il segretario del Pd, Dario Franceschini e Sandro Bondi, fido ministro del Cavaliere, nel corso del quale quest’ultimo si esibisce in un attacco così sconsiderato nei confronti dell’avversario e al tempo stesso così goffo e stonato da suscitare applausi a scena aperta.
L’espressione un po’ imbambolata, il modo di parlare ad un tempo tronfio e antiquato, un furore talmente ostentato da sembrare gratuito e quindi innocuo, Sancho Bondi raggiunge involontariamente vette di comicità veramente invalicabili, sotto lo sguardo attonito del direttore di Panorama Maurizio Belpietro che teme, per interminabili momenti, di vedersi assestato il colpo del KO.
In sala, l’ilarità è generale: persino il conduttore, pur mantenendo una sobrietà persino innaturale, non crede ai propri occhi, non potendo prevedere che in così poche battute gli ospiti abbiano dato vita ad una scena così ghiotta, talmente surreale da unire in una fragorosa risata l’intero studio televisivo, tifoserie al seguito comprese.
Ciliegina sulla torta la battuta sullo spinello di Marco Pannella che si inserisce per sovrastare il fragore delle voci aumentando la confusione con il suo divagare, allusivo e criptico come al solito.
Ottima la serata di Franceschini che, quasi senza colpo ferire, riesce a scatenare il toro Sancho Bondi ed a mettere in seria difficoltà anche il più scaltro Belpietro che, in precedenza, al rilievo di essere un dipendente di Berlusconi, aveva iniziato ad urlare "lei non ha titolo per dare lezioni a nessuno di democrazia e di indipendenza…" facendosi così infilare in contropiede da una battuta micidiale del leader democratico: "Ho capito che dire che uno è dipendente di Berlusconi viene ritenuto un’offesa!".
Grande, grande televisione, che finisce per renderci gradevole, al ritmo della farsa, una politica altrimenti inguardabile!

giovedì 15 gennaio 2009

Un governo senza opposizione: il frutto avvelenato del bipolarismo all'italiana

Nel salotto televisivo di Ballarò, dove sfila la politica prêt à porter, per intenderci quella che dopo due ore di trasmissione regala al telespettatore solo sbadigli grazie ad un paludoso chiacchiericcio in cui affondano tutti, in primis i temi della puntata, martedì sera era di scena il leader del Partito democratico, Walter Veltroni.
Sparita la surreale spocchia di qualche mese fa, quando si inorgogliva elencando le sconfitte patite come fossero sue grandi invenzioni, sembrava un cane bastonato: con la solita litania del 25 ottobre ha rivendicato con scarsa convinzione il grande successo dell’adunata del Circo Massimo ma, è stato subito chiaro che, oltre all’entusiasmo, era a corto di argomenti per giustificare una leadership ormai giunta al capolinea.
Il simpatico Maurizio Crozza, nella sua arguta copertina, è riuscito a rinfacciargli in poche battute quello che nessuno tra gli intervenuti ha saputo fare.
Lo stesso pacatissimo Ferruccio De Bortoli (con tutt’altra nonchalance rispetto alla furia esibita nello stesso salotto nell’autunno 2007 allorché incalzava minaccioso l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti), pur orchestrandogli a lungo una sviolinata quasi imbarazzante, dall’alto del suo atteggiamento protettivo, è stato comunque costretto a rivelargli, udite udite, che in Italia sembra non esserci un’opposizione.
Ma invece di andare a parare su problemi concreti, quelli quotidiani degli Italiani, la trasmissione si è andata inopinatamente ad infilare nel vicolo cieco delle alleanze del Pd, in particolare quella con l’Italia dei Valori di Antonio di Pietro.
Sul punto, tutti a fargli notare che quell’accordo elettorale è stato un grave errore, quasi Di Pietro, che della questione morale ha fatto una bandiera, fosse divenuto all'improvviso una cattiva compagnia.
Forse perché, di fronte ai tanti scandali che hanno visto coinvolti amministratori del Pd, parlare di questione morale a Veltroni è un po' come parlare di corda in casa dell’impiccato.
Sul punto, non a caso si è difeso dai rilievi del direttore di Panorama Belpietro, affermando che il Pd è meno peggio del Pdl: bella prova di orgoglio!
Purtroppo, il quadro politico italiano resta disperante: con un governo veramente modesto che, al massimo, sa gridare all’untore nei confronti degli immigrati ma, normalmente, non sa veramente dove sbattere la testa.
Diciamolo chiaramente: dopo sette messi di legislatura, la svolta economica del grande imprenditore si è rivelata un grande bluff.
La vicenda Cai – Alitalia oltre il danno (6 miliardi di euro??) aggiunge la beffa perché non salva neppure l’italianità della compagnia, ormai nell’orbita di Air France come titolano trionfalisticamente i giornali transalpini; è stata un ottimo affare solo per Colanino & c., finanziato obtorto collo dai contribuenti italiani.
La social card si è rivelata un mezzo boomerang per il grande creativo Giulio Tremonti e per i tanti malcapitati (sembra 200mila!) che si sono ritrovati alla cassa del supermercato dovendo lasciare lì i generi alimentari riposti nel carrello perché la tessera, nonostante tutti i requisiti di legge, non è mai stata caricata: neppure di quella miseria!
La crisi delle imprese si aggrava di giorno in giorno; l’occupazione crolla, gli stipendi non bastano più a coprire spesso neanche metà mese: ce n’è abbastanza per dipingere un quadro economico estremamente grave con un governo del tutto incapace di fronteggiarlo.
Sulla politica estera, poi, è meglio stendere un velo pietoso: il sostegno alla scelta del governo israeliano di bombardare Gaza è stato così cieco ed incondizionato da parte del ministro Frattini e di tutto il centrodestra che abbiamo dilapidato in poche settimane un inestimabile patrimonio di credibilità, frutto di un costante e attento lavoro diplomatico di oltre quarant’anni, che ci rendeva interlocutori privilegiati nel conflitto arabo-israeliano.
In un paese normale, a questo punto, l’opposizione alzerebbe la voce; in Italia, no, con un’oligarchia dentro il Partito democratico che pretende di capeggiare il grande malcontento popolare ma che, concretamente, è silenziosa e complice.
E’ questo il cosiddetto bipolarismo italiano, quello tanto vagheggiato da Walter Veltroni che, pur di realizzarlo a tambur battente, non ha esitato un attimo a sacrificare l’innovativa esperienza di governo di Romano Prodi.
L’unica cosa che ci ha regalato il bipolarismo Pd - Pdl è un frutto avvelenato: Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi che minaccia di fare scempio della Costituzione e del principio di divisione dei poteri ed un’opposizione penosamente in disarmo, che non si dà una mossa perché i suoi oligarchi sono convinti di restare conunque a galla.
Si può stare peggio di così?

venerdì 3 ottobre 2008

La barca affonda ma il duo Veltroni Berlusconi prosegue la sceneggiata

Situazione di estremo rischio quella che si sta manifestando con un’impressionante accelerazione di tempi ed intensità sui mercati finanziari di tutto il mondo, sotto gli occhi attoniti di una sterminata platea di risparmiatori.
Paradossalmente nessuno ha ancora dato una risposta convincente, neppure sul piano teorico, a quello che sta accadendo in questi giorni: i media si limitano a registrare il cataclisma senza sbilanciarsi più di tanto sulle cause e le responsabilità.
Di certo quando la finanza subisce un simile tracollo globale c’è da chiedersi se non sia caduto in una spirale irreversibile un intero modello di sviluppo economico: vent’anni dopo il crollo del socialismo reale targato Unione Sovietica, si scopre che il modello antagonista, il capitalismo, forse a causa della sua forma più spinta assunta nell’ultimo decennio, la globalizzazione, presenta crepe formidabili che ne mettono a rischio la sopravvivenza.
Il fatto che a soccorso dei mercati debba intervenire l’autorità pubblica è la riprova che i meccanismi di autoregolazione del mercato semplicemente non esistono o, comunque, non funzionano a dovere: il mito di Adam Smith della mano invisibile, ancora così duro a morire nonostante le autorevoli confutazioni dei grandi economisti di fine Ottocento, riceve l’ennesima bocciatura.
Dietro l’irricevibile piano Paulson che accolla sui contribuenti americani, in prima battuta, una voragine di debito da 700 miliardi di dollari (circa la metà del PIL italiano!) per salvare il sistema bancario, c’è una impressionante catena di errori ed omissioni che vede nelle autorità di vigilanza dei mercati americani e nella Fed i principali responsabili, naturalmente a braccetto con la pessima amministrazione Bush.
Si parla tanto di mutui subprime, quelli concessi alle famiglie americane con grande leggerezza e senza tante garanzie, ma ormai è chiaro che ritenerli la causa scatenante di questa crisi è quantomeno azzardato.
Perché per anni la locomotiva americana ha viaggiato con un doppio enorme deficit (quello commerciale e quello federale) senza che nessuno se ne preoccupasse più di tanto; al contrario l’ex governatore della Fed, Alan Greenspan, ha drogato a lungo la crescita economica americana, inondando il paese di un’enorme liquidità che si è andata ad infilare, piuttosto che nei settori innovativi ed ad alto valore aggiunto, in quello delle costruzioni (con la spaventosa bolla immobiliare), delle forniture militari e dell'ingegneria finanziaria con i risultati che tutti adesso possono vedere.
Senza una politica di deregulation sconsiderata, senza gli appetiti famelici di tanti top manager tacitati a suon di stock options, senza la religione del laissez-faire, tutto ciò non sarebbe potuto accadere: l’economia reale degli States è stata fatta deragliare ed ora la finanza registra d’improvviso quello che da tempo molti osservatori invano denunciavano.
Certo è che da questa situazione non se ne potrà uscire senza far pagare ai cittadini di mezzo mondo, a causa delle stretta interdipendenza planetaria dell’economia a stelle e strisce, un prezzo salatissimo: di fronte ad indecenti arricchimenti individuali, il conto della crisi verrà come al solito presentato ad intere popolazioni che si vedranno ridimensionare il loro a volte già modesto tenore di vita, decurtando redditi e servizi pubblici mentre tassazione e disoccupazione schizzeranno in alto.
Ma ancor oggi in Italia, al di là dei toni sensazionalistici dei media, non c’è veramente nessuno che si azzardi a fare una lucida analisi degli avvenimenti in corso né tanto meno che osi spingersi sul terreno comunque impervio delle previsioni: sembra quasi che molti economisti se la siano data a gambe, sparendo dal circuito mediatico proprio mentre i cittadini vorrebbero delucidazioni sul loro futuro di imprenditori, consumatori, risparmiatori, lavoratori, pensionati.
L’altra sera a Ballarò è andata in scena l’ennesima baruffa televisiva attorno a questa crisi da parte di alcuni dei nostri politici a cui gli elettori hanno affidato il compito di dare risposte per una volta chiare e tempestive.
Malgrado l’ottimo lavoro della redazione di Giovanni Floris per presentare il problema con tabelle di dati e filmati e, dunque, avviare la discussione, gli ospiti in studio hanno mostrato una disarmante impreparazione sui temi dibattuti: parlavano spesso per sentito dire, visibilmente impacciati ed insicuri nelle argomentazioni, rifugiandosi continuamente nella zuffa verbale quale unico terreno congeniale per nascondere i propri limiti culturali; l’unica persona informata sui fatti e che pertanto giganteggiava di fronte a tanta insipienza era il deputato Bruno Tabacci: nel complesso, uno spettacolo veramente deludente.
Altrettanto da bocciare, contrassegnandola con la matita blu, è la diagnosi che fa dalle colonne del suo giornale il direttore di Repubblica Ezio Mauro quando sentenzia: "Chi dice che il capitalismo crolla mentre resuscita il socialismo non ha di nuovo capito niente, perché il capitalismo assiste all'incepparsi non di sé, ma del nuovo sistema di scambio simultaneo universale che sfrutta da un decennio lo strumento di reti che avviluppa il mondo abbattendo spazio e tempo, grazie alla potenza del motore tecnologico di internet, capace di vincere la storia rendendo tutto contemporaneo, e persino la geografia, facendo ubiqua ogni cosa."
Purtroppo non si rende conto di aver preso un grosso abbaglio nell’attribuire, addirittura, la colpa di questo ciclone finanziario ad Internet ed alla grande rete telematica che avvolge il globo. Come se fosse la simultaneità degli scambi la causa di questa tempesta annunciata; al contrario, proprio essa è, generalmente, fattore di stabilizzazione dei mercati, come qualsiasi studente di economia politica al primo anno gli potrebbe spiegare.
Il dramma di questa crisi è, diversamente, l’assoluta inadeguatezza della politica a fronteggiare la globalizzazione, ultimo stadio del capitalismo. Il quale nel suo impeto primordiale di occupare tutti gli spazi economici disponibili ha finito per accumulare una mostruosa potenza divoratrice che tutto travolge al suo passaggio, persino le fragili istituzioni nazionali.
Ma come si fa a non accorgersi che la dimensione politica è stata del tutto fagocitata dai formidabili poteri economici che, sulla scena internazionale, dettano l’agenda ai singoli governi sia al di qua che al di là dell’Atlantico?
E’ forse un caso se, ritornando alle beghe di casa nostra, la bufera di Tangentopoli, segnando la fine della prima repubblica, abbia fatto emergere incontrastata la figura di un potentissimo uomo d’affari come Silvio Berlusconi che, di certo, nel fare impresa non si sente minimamente condizionato dai confini nazionali né dai tanti lacci e lacciuoli della democrazia rappresentativa?
La verità è che, ripassando la lezione di Marx e di Schumpeter, il capitalismo diventa asociale quando si impossessa con esponenziale voracità di tutte le risorse economiche: di qui la necessità di rispolverare il vero nodo mai sciolto che fa da sfondo a questa come alle precedenti crisi dell’Occidente industrializzato: Stato o Mercato?
Perché se deve prevalere il primo, quale moderno Leviatano, occorre che il Mercato venga imbrigliato in un rigoroso sistema di vincoli e di regole per evitare che faccia danno a se stesso prima ancora che ai suoi attori.
Ma garantire la sopravvivenza del mercato (con la m minuscola) è compito talmente impegnativo da richiedere lo sforzo coordinato dello Stato e di istituzioni sovranazionali.
C’è bisogno, dunque, di un nuovo ordine mondiale, basato non soltanto su un nuovo assetto geopolitico ma sul regolare funzionamento di istituzioni nazionali e sovranazionali che sul terreno dell’economia riescano a domare gli ormai pericolosi animal spirits.
E l’Europa deve fare da subito la sua parte per istituire un sistema di vigilanza della finanza a livello continentale prima che l’ondata di piena travolga le economie dei singoli paesi, le cui autorità agiscono ancora in ordine sparso. Sistema che preveda, con i necessari controlli, l’applicazione di severe sanzioni per i trasgressori.
Probabilmente, siamo ancora all’inizio della tempesta (l’ottovolante descritto dal titolo Unicredit nella giornata di ieri, dopo giorni di passione, non fa presagire nulla di buono, non solo per il primo gruppo bancario italiano ma per tutti noi) ma è bene prepararsi anche qui in Italia a settimane molto difficili, specie con una classe politica così imbelle che non trova di meglio, per voce dei suoi esponenti di punta Berlusconi e Veltroni, che dare vita all’ennesima zuffa mediatica: ennesimo round di un finto match che non incanta più nessuno.

venerdì 23 maggio 2008

Partito Democratico, sicuro che se pò ffà?

E finalmente Walter Veltroni scese nell’arena televisiva: martedì sera a Ballarò è stato messo in scena l’ultimo atto di una commedia degli equivoci che va avanti ormai da circa un anno.
Un Veltroni livido e contratto ha aperto la discussione stuzzicato dalle domande del conduttore Giovanni Floris che lo guardava con circospezione quasi per accertarsi se non avesse ancora digerito la sconfitta.
Dritto sulla poltrona come se stesse su un tappeto di punte acuminate, ha subito mostrato la sua vena combattiva, asserragliato nel fortino delle sue certezze circa il fatto che la sconfitta elettorale era inevitabile e che è diventato uno sport quello di rinfacciargli la scomparsa parlamentare della Sinistra Arcobaleno.
Lui, al contrario, ritiene di essersi speso molto bene in campagna elettorale per improntare il confronto politico con Berlusconi sul dialogo contro quel clima di odio seminato sia dal Cavaliere che dallo stesso vecchio Centrosinistra (non c'è niente da fare, così la vede, non risparmiando frecciatine di disprezzo ai suoi ex alleati).
Anzi rivendica il merito di aver introdotto un elemento di innovazione europea nella vita politica italiana.
Sentite cosa riesce a raccontare:
“Io oggi ho ricevuto una lettera molto bella di un elettore di centrodestra che mi ha scritto: «Guardi, io la voglio ringraziare per quello Lei che sta facendo per il Paese, ecc.; io ho votato Berlusconi ma per la prima volta non ho avuto paura che vincesse lo schieramento avverso perché sentivo che c’era una fisiologia democratica; la prossima volta può darsi che io voti per lei»”
Addirittura, nella foga del suo ragionamento si spinge fino a dire che solo in Italia non c’è mai un governo che venga riconfermato nelle elezioni successive…
Dobbiamo temere che forse non si accontenterà di soli cinque anni di permanenza a Palazzo Chigi del Cavaliere??
In parole povere, rifarebbe esattamente tutto quello che ha fatto e se un errore, psicologico, forse gli si può imputare è quello di aver pensato, fuorviato dai suoi entusiastici bagni di folla, che il risultato elettorale poteva essere diverso.
Le sue ammissioni di colpa finiscono qui. A ben vedere, molto poco.
Purtroppo il dramma di Veltroni è di essere prigioniero di uno schema mentale superato.
Quello di ritenere che negli ultimi quindici anni la composizione fisiologica degli interessi collettivi di una società complessa come la nostra non sia avvenuta soltanto per un difetto di comunicazione: cioè, per la demonizzazione mediatica dell’avversario.
Quindi, secondo l’ex sindaco di Roma, la lunga crisi del sistema Italia si ridurrebbe ad una banale questione di galateo, a poco più di un acceso diverbio tra forze politiche.
La realtà dimostra, al contrario di quello che egli blatera, che è in atto da tempo nella società italiana un poderoso braccio di ferro tra potentati economici, non sempre alla luce del sole; la cui possibile sintesi, più che un espediente linguistico, imporrebbe non solo uno sforzo di maggiore progettualità (e non semplicemente di comunicazione!) ma il coraggio-responsabilità della classe dirigente di operare precise scelte tali da anteporre, privilegiandoli, gli interessi diffusi delle comunità presenti sul territorio a quelli, formidabili e divergenti, di ristrette élite economiche.
No, per Veltroni il trasversale volemose bene tra maggioranza e opposizione basterebbe a quadrare il cerchio.
Quanto sia inconsistente, velleitaria e supponente questa visione è di tutta evidenza.
Chi mastica un po’ di economia sa bene infatti che a fondamento teorico della scienza economica c’è il problema di allocare risorse limitate per soddisfare gli illimitati bisogni della collettività.
E’ a questo punto che entra in scena la teoria economica. Come vanno soddisfatti questi bisogni? Con quale scala di priorità? Il nodo della distribuzione del reddito è cruciale.
Le ricette degli economisti sono assai diverse tra di loro, nessuna esauriente, ma ad esse attingono i singoli laboratori politici, partiti o movimenti che siano: è dal confronto istituzionale di queste correnti di pensiero con le istanze sociali che si alimenta la democrazia rappresentativa.
La politica prêt à porter di Walter Veltroni, concentrandosi sulle forme della comunicazione piuttosto che sui contenuti di questa, nega l’esistenza di tale contrasto di interessi, stringendo l’occhiolino al dilagante analfabetismo politico: con la conseguenza, del tutto sottaciuta dal leader del PD, di lasciare carta bianca allo strapotere della classe dirigente, casta o nomenklatura che dir si voglia.
La sua è, dunque, una politica per definizione elettoralmente perdente, perché rinuncia al suo ruolo di rappresentare in modo trasparente alcuni interessi in contrapposizione ad altri, facendo finta di poterli sintetizzare tutti: ma, purtroppo per lui, scorciatoie culturali o fughe in avanti di matrice tecnocratica non se ne vedono all’orizzonte.
Ecco perché la sconfitta veltroniana non è stata solo una disarmante battuta d’arresto elettorale ma (in ciò sta la sua responsabilità più grave!) tradisce una preoccupante latitanza culturale: quali messaggi, quali suggestioni, quali idealità ha proposto alla propria base la leadership del Partito Democratico dal momento del suo insediamento?
L’unico è stato forse il fantozziano se pò ffà, slogan bersagliato pure dall'ironia di Berlusconi che, nel suo discorso di replica alla Camera prima di incassare la fiducia, ha così concluso:
«Credo che se lo vorremo davvero e tutti insieme, come direbbe pacatamente e serenamente il principale esponente dello schieramento a me avverso, se pò ffa', ce la possiamo fare».
Ma i nodi di tanta ambiguità ideologica stanno arrivando al pettine e vedono la cosiddetta opposizione in uno stato di estrema confusione di fronte ai primi azzardi del governo Berlusconi.
Qualche esempio.
L’emendamento della maggioranza che punta ad evitare la procedura di infrazione presso la Corte di Strasburgo per la legge Gasparri per salvare Rete 4 ai danni di Europa 7 se pò ffà?
350.000 euro al giorno che lo stato italiano rischia di pagare a partire dal gennaio 2006 come multa a carico dei contribuenti in conseguenza del perdurare di questo stato di cose sul fronte radio-televisivo se pò ffà??
Lasciare che il provvedimento del governo di detassazione degli straordinari per il solo settore privato diventi la solita arma propagandista in mano al Cavaliere, senza che l'opposizione faccia sentire la sua voce forte sottolinenadone la palese incostituzionalità, se pò ffà?
Ampliare il mandato operativo dei nostri soldati impegnati in Afghanistan allargando i cosiddetti caveat, come preannuncia il neo ministro degli Esteri Franco Frattini, non è una chiara violazione dell’art. 11 della nostra Costituzione?
Rilanciare la costosissima, intempestiva, pericolosa tecnologia nucleare senza che dall’opposizione si alzi un coro di poteste, è cosa buona e giusta?
Per ultimo, l’Italia si può permettere il lusso di un Partito Democratico che, dall’alto-basso del suo 33%, si comporta sulle tante scottanti questioni nell'agenda politica di questi mesi come un pugile suonato?

giovedì 8 maggio 2008

L'ultimo schiaffo a Prodi

Martedì sera a Ballarò abbiamo appreso dalla viva voce di Pierluigi Bersani, già ministro dello sviluppo economico nel governo Prodi, due importanti novità:
1) se il PD non si fosse presentato alle elezioni da solo ma insieme alle altre forze costituenti la maggioranza del governo uscente, lui stesso non sa se avrebbe votato per l’Unione;
2) “senza un minimo di chiarezza programmatica”, ritiene inevitabile abbandonare l’alleanza con la sinistra nelle amministrazioni locali per non subire i no alla costruzione di rigassificatori, ecc.
Conclusione: il gruppo dirigente del Partito Democratico invece di lasciare, come il buon senso suggerirebbe dopo l’irripetibile e disastroso risultato elettorale, addirittura raddoppia minacciando di uscire pure a livello locale dalla tradizionale alleanza di tutte le sinistre.
Il cataclisma amministrativo che ne deriverebbe un po’ ovunque nella penisola e soprattutto nelle cosiddette regioni rosse è di tutta evidenza.
Ma può un passaggio politico così impervio essere annunciato en passant in un salotto televisivo senza prima essere deliberato dai vertici del partito e suggellato da un chiaro pronunciamento della propria base elettorale?
Dopo le altrettanto gravi parole di Franceschini di alzare la soglia di sbarramento alle Europee del 2009 (a parole, blaterando di un bipartitismo che a Bruxelles è semplicemente improponibile; nei fatti per far fuori anche lì tutte le minoranze), si ritorna inevitabilmente al quesito posto da questo blog soltanto due settimane fa.
Com’è possibile che la classe dirigente del Partito Democratico, che dal 14 aprile dovrebbe stare in ritiro spirituale per recitare umilmente e sommessamente il mea culpa (avendo consegnato con tre anni di anticipo il Paese alle destre e condannato Romano Prodi all’oblio!), non ha ancora fatto il classico passo indietro?
In forza di quale delega resta al comando del PD senza rispondere della propria dissennata condotta politica?
Perché qui non è più questione di strategia elettorale, è in atto un vero e proprio ribaltamento di linea politica o meglio un processo di mutagenesi ideologica.
Il PD nella versione di Bersani, Franceschini e di tutto l’attuale gruppo dirigente si colloca molto più a destra della vecchia rimpianta balena bianca: il pensiero politico di Moro, Zaccagnini e dello stesso De Mita è stato molto più avanzato sulle questioni economiche e sociali di quanto non dimostrino gli attuali capi democratici.
Non sorprende quindi che qualcuno nelle elezioni di Roma abbia potuto vedere in Alemanno (erroneamente ma comprensibilmente!) un’espressione politica più a sinistra dell’attuale gruppo dirigente del PD che proprio nella capitale esibiva la massima rappresentazione del suo sistema di potere.
L’ultima puntata di Report di Milena Gabanelli “I re di Roma” è assai rivelatrice, dimostrando che la sconfitta di Roma, piuttosto che una inattesa battuta d’arresto, è la conseguenza inevitabile di un grave fallimento politico, maturato nel corso degli ultimi 15 anni di giunte Rutelli-Veltroni.
Un’ultima notazione: le lodi che Bersani ha intessuto a Romano Prodi nello studio di Giovanni Floris sono state, al di là delle facili apparenze, un piccolo capolavoro di ipocrisia e di spregiudicatezza politica, implicitamente (e neanche troppo!) sottolineando la sua presa di distanza dall’esperienza di governo del Professore.
Ma di quel governo egli non è stato forse fino all’ultimo uno dei più influenti suggeritori e, mediaticamente, sicuramente il massimo esponente?

martedì 12 febbraio 2008

E' partita la campagna acquisti in vista delle elezioni

Sul CorrierEconomia dell’11 febbraio, compare un interessante ritratto, a firma del giornalista Enrico Marro, di Renata Polverini, giovane e vincente leader dell’Ugl, il sindacato della destra, già Cisnal (prima del cambio di nome avvenuto nel 1996).
Quel movimento che per tanto tempo è stato la finestra nel mondo del lavoro del vecchio Msi, il partito di Giorgio Almirante, buono “a dar voce ai nemici acerrimi di Cgil, Cisl e Uil”, ha trovato in questa donna neo-segretario, perfetta sconosciuta fino a due anni fa, la guida giusta per bruciare le tappe della visibilità mediatica.
Giovanni Floris, il conduttore di Ballarò, la invita così di frequente nel suo salotto televisivo (insieme ad altri politici ed “esperti” habitué) che ci fa sorgere qualche dubbio su quale sia il sistema di reclutamento per le comparsate serali negli studi Rai (non osando guardare dalle parti della cosiddetta concorrenza!).
Sembra che l’impareggiabile segretario del PD, Walter Veltroni, adesso le farebbe la "corte" in vista di una eventuale candidatura alle prossime elezioni politiche.
Nulla da eccepire sulla persona: se è riuscita a sdoganare (anche grazie alla collaborazione, guarda caso, dello stesso Veltroni che due anni fa si recò al congresso di Roma dell’Ugl per portare il suo personale saluto a quell’assemblea), un sindacato votato altrimenti ad una presenza di testimonianza, è sicuramente brava e senz’altro merita il successo che sta avendo.
Ma riesce difficile far digerire ai tanti italiani, da tempo in crisi anafilattica per colpa della politica, come sia possibile che, da un estremo all’altro degli schieramenti politici, Fini e Veltroni si contendano per le candidature le stesse persone.
E’ vero, il porcellum elettorale lascia la scelta dei candidati alle segreterie dei partiti: uno scandalo con profili di incostituzionalità assolutamente evidenti. Con la conseguenza che ogni segretario di partito sceglie per le liste chi gli pare.
Ma è possibile che, dopo aver inscenato per giorni il piagnisteo circa la dichiarata impossibilità di andare a votare con questa pessima legge elettorale, il leader del PD sia diventato di colpo così spregiudicato nello sfruttarne le mostruosità giuridiche, pescando i candidati a destra e a manca?
Già le cronache ci hanno segnalato il suo interessamento per Luca di Montezemolo, presidente della Confindustria, prima ancora per la moglie di Berlusconi; ed ancora per Mario Monti, due volte commissario europeo, per Sabrina Ratti, moglie dell’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo.
Ma non basta: secondo quanto riportato da Repubblica, nel mirino di Veltroni ci sarebbe “la leader di Confindustria campana Cristiana Coppola, la giovane imprenditrice che ha ereditato dalla famiglia il Villaggio omonimo, un ecomostro che lei stessa ha deciso di abbattere. La Coppola è considerata vicina a Silvio Berlusconi, ma per lei il Pd ha già prenotato un posto in lista”.
Insomma, un saccheggio a piene mani nel campo avversario che appare indecoroso (prima che stolto) e assai mortificante per i simpatizzanti del PD, chiamati a votare nomi certo importanti ma del tutto estranei alla matrice culturale e sociale di appartenenza.
Una lista di candidati costruita a tavolino, con scambi di telefonate nel chiuso della segreteria di partito, dosando gli ingredienti in maniera opportuna, attenti agli equilibri interni, con uno sguardo allo share televisivo; insomma, un piatto per palati raffinati che non disdegna i sapori popolari: ecco quindi che un pizzico di sano operaismo (vedi la possibile candidatura di uno dei sopravvissuti al rogo della Thyssen Krupp) ci può stare e non mandare il tutto di traverso all'élite che conta.
Un brutto pasticcio, reso possibile proprio da questa legge elettorale antidemocratica, dove i candidati non sono espressi dalla base ma designati dal vertice dei partiti.
Con un corollario sconfortante: qualunque sarà l’epilogo di questa sconsiderata campagna elettorale, gli attuali gruppi dirigenti l’avranno comunque vinta.
Infatti, in caso di malaparata, è pensabile che i vertici politici possano essere sfiduciati proprio dai neoeletti che ne hanno beneficiato conquistandosi il seggio parlamentare per decisione presa dall’alto, proprio al momento della stesura delle liste?
Ecco perché Veltroni si permette il lusso di far correre il Partito Democratico da solo, giocando chiaramente d’azzardo: male che vada, nessuno ne potrà mettere in discussione la leadership, perché la legittimazione politica degli eletti è diretta emanazione del vertice e non della base.
Statene certi, all’indomani di questa finta competizione elettorale, saremo condannati a ritrovarci sempre in prima o seconda serata tv, Fassino, Veltroni, D’Alema, Franceschini, Fini, La Russa, Alemanno, Casini, Dini, Mastella, Bordon, Bonino, Maroni, Berlusconi, Bondi, Schifani.. tanto per citare alcuni tra i maggiori frequentatori degli studi televisivi.
Sempre pronti, nella veste di salvatori della patria, a dispensarci le loro preziose ricette per il bene comune, ad ammonirci a fare altri sacrifici, imperturbabili sul ponte di comando mentre la stella italica va a picco.

lunedì 4 febbraio 2008

La Casta si prepara alle elezioni

Dopo aver detto tutto il male possibile dell’attuale legge elettorale, la Casta si prepara a chiedere di nuovo il consenso dei cittadini con le ormai prossime elezioni.
Che questo fosse l’epilogo naturale della crisi di governo era scontato. Che, però, si torni alle urne con la tanto contestata legge porcellum dopo due soli anni di legislatura, senza che nessun politico si assuma la responsabilità di questo ennesimo strappo alle regole istituzionali, è veramente scandaloso.
Facciamoci caso: nessuno ha ancora parlato e, probabilmente, nessuno parlerà dei costi esorbitanti di questo ennesimo appuntamento elettorale: 500 milioni di euro, per tenerci prudenti, da spendere nel momento meno opportuno, con un Paese in piena emergenza economica.
Non ne parla il centrodestra che le elezioni le ha chieste da sempre, sin dal momento in cui due anni fa Romano Prodi varcò il portone di Palazzo Chigi.
Non ne parla il centrosinistra che dalla nascita del Partito Democratico non ha più trovato pace: con Walter Veltroni che, pur di sbarazzarsi degli alleati dell’Unione, si è reso disponibile a dare una mano a Berlusconi, riportandolo sul ponte di comando del Polo.
Ma il Cavaliere, da bravo uomo d’affari, sa giocare contemporaneamente su più tavoli: prima, ha finto un interessamento alle riforme istituzionali proposte da Veltroni; poi, quando si è visto riabilitato da quello che, sulla carta, dovrebbe essere il suo principale sfidante nella prossima contesa elettorale, gli ha rovesciato il tavolo addosso, lasciandolo annaspare in mezzo al guado.
Così il sindaco di Roma, a cui i cittadini della capitale dovrebbero chiedere di fare a tempo pieno il mestiere per cui viene pagato piuttosto che perdere tempo con il Cavaliere, si è ritrovato all’improvviso senza un governo, senza le riforme e, al limite, senza un partito, perché parte dei suoi dirigenti, con tutti i suoi ultimi passi falsi, si interrogano seriamente sulla sue qualità di leader.
Di fronte ad una casta così insipida ed impermeabile al malcontento che sale dalla società, va a finire che per i media la colpa di questo sfascio, come il classico cerino, resti in mano al procuratore di Santa Maria Capua Vetere che ha mandato agli arresti domiciliari per qualche giorno la moglie di Mastella.
Incredibilmente la Casta, dopo averci portato sull’orlo del baratro istituzionale, cerca di sottrarsi alle proprie responsabilità addossando la croce sulla magistratura, come fa da oltre 15 anni, cioè dai tempi di Mani Pulite.
Ma no, forse la colpa è di Michele Santoro che con il suo Anno Zero, ha l’imperdonabile vizio di portare sotto i riflettori Rai le gravissime colpe della nostra classe dirigente.
Sì, perché per il Consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni «Michele Santoro ha violato il pluralismo».
Prendendo di mira la puntata sul caso Mastella-De Magistris, quella sulla riforma Tv, l'altra sulla vicenda Forleo-D’Alema e l’intercettazione Berlusconi-Saccà, il presidente dell’organismo di garanzia Corrado Calabrò così ne stigmatizza l’operato: «In televisione il processo, lo pseudo processo o la mimesi del processo non si possono fare. L'informazione deve essere equilibrata, obiettiva e deve garantire il contraddittorio senza anticipare giudizi su questioni ancora subiudice».
E fingendo di non voler censurare nessuno, amplifica la sua reprimenda affermando che ciò «non vuol dire porre limiti alla libertà di informazione. Ma l'informazione non può diventare gogna mediatica nè spettacolarizzazione ispirata più all'amore per l'audience che all'amore per la verità ».
Siamo al paradosso: espressione di amore per la verità sarebbero, a questo punto, i panini confezionati dal Tg1, la cronaca nera urlata dai Tg Mediaset, il notiziario di Emilio Fede oppure il salotto di Porta a Porta di Bruno Vespa: basta visitare il sito di Beppe Grillo per rivedere sequenze di quell’informazione televisiva che per il Garante delle Comunicazioni sarebbe equilibrata, obiettiva, veritiera, non essendo mai intervenuto per criticarla, men che meno per sanzionarla.
Magari per Calabrò il massimo della conduzione giornalistica è quella dimostrata da Giovanni Floris che, nella puntata del 22 gennaio del suo programma, ha lasciato che Pierferdinando Casini desse ripetutamente del cialtrone ad Alfonso Pecoraro Scanio senza battere ciglio, quando un minimo di deontologia gli avrebbe dovuto suggerire di riprendere severamente il leader UDC.
Ma ormai siamo da tempo assistendo ad un pessimo spettacolo che si replica sempre più frequentemente negli studi televisivi, nelle redazioni dei giornali, nelle aule parlamentari, nelle commissioni disciplinari del Csm, nelle invettive pronunciate dal ministro della giustizia contro la magistratura, nelle corsie ospedaliere attraversate da primari rigorosamente con la tessera di partito, in un escalation di comportamenti gravissimi che, a causa della lottizzazione sistematica di ogni spazio decisionale, sta provocando nei cittadini oltre una grandissima rabbia, una più preoccupante nausea, con il rischio una fortissima astensione quando si arriverà alle urne.
Chi disprezza compra, recita l'adagio e questa legge elettorale "porcata" in fondo fa comodo a molti, in primis proprio alle segreterie di partito che potranno stilare in tutta comodità le liste lasciando agli elettori un'alternativa secca: prendere o lasciare.
La Casta, al minimo storico di popolarità, si gioca così il tutto per tutto, sfidando in modo temerario l'elettorato: alle prossime consultazioni, ancora una volta, dovremo votare i loro nomi.
Il rischio dell'astensionismo è forte ma proprio per questo non sorprendente: ogni forza politica avrà facile gioco ad imprecare pubblicamente contro il porcellum, salvo stropicciarsi le mani dietro le quinte per aver imposto ai cittadini le proprie scelte.
A meno che l'esercito degli astensionisti imbufaliti non raggiunga dimensioni tali da sconvolgere i piani di questa classe politica che, con incredibile leggerezza, continua a giocare d'azzardo con le nostre Istituzioni.

mercoledì 30 gennaio 2008

L'isolazionismo suicida del Partito Democratico

Nel domenicale del 27 gennaio, Eugenio Scalfari difende a spada tratta il leader del PD Walter Veltroni, negando che sia uno dei principali responsabili della crisi di governo.
Eppure i fatti parlano chiaro: certo, si sono sfilati dalla maggioranza Dini e Mastella e con loro una pattuglia di senatori; uno di questi è quel Barbato che si è reso sciagurato protagonista di un comportamento vergognoso contro il suo collega di partito nell’austera Aula del Senato al punto da farlo svenire sotto gli occhi delle telecamere, dimostrando a milioni di italiani di quale pasta siano fatti alcuni dei nostri rappresentanti nel massimo consesso parlamentare.
Uno sconcio per il nostro Paese rimbalzato via Internet in ogni angolo del pianeta. In un paese serio, costui sarebbe già stato espulso dal Parlamento.
Ma senza le stecche reiterate di Veltroni, probabilmente il patatrac del Professore non si sarebbe verificato adesso.
Perché la cosa più incredibile è che il governo Prodi non è caduto per aver sfiorato i suoi nervi scoperti: il tema giustizia con gli strascichi della vicenda Forleo e De Magistris, le leggi vergogna ancora tutte in vigore, la sempre rinviata legge sulle televisioni, la gravissima questione salariale, l’emergenza rifiuti in Campania.
A spazzarlo via purtroppo non è stato neppure il ciclone Beppe Grillo che tuttavia è divenuto in pochissimo tempo un fattore di cui, finalmente, bisognerà tener conto per gli sviluppi futuri della politica italiana.
Ed è anche ingenuo ritenere che l’agguato a Prodi sia dipeso dagli arresti domiciliari della moglie di Mastella: quell’episodio ne è stato un semplice pretesto, per giunta già rientrato, con la sua rimessa in libertà.
La vera ragione della crisi è stata il fallito tentativo di riforma della legge elettorale, affidato ai vertici Veltroni - Berlusconi, a cui hanno fatto seguito le improvvide dichiarazioni del sindaco di Roma secondo cui il partito democratico avrebbe corso da solo alle prossime elezioni.
Contenuto, forme e tempi scelti dal neosegretario del PD non avrebbero potuto essere più infelici: a voler pensare bene, è stato un dilettante allo sbaraglio; i maligni invece direbbero che, pur di fare le scarpe a Prodi, ha finito per gettarsi la zappa sui piedi.
Per difendere Veltroni, Scalfari è costretto ad andarci leggero con Mastella, perché se quest’ultimo è stato l’esecutore materiale della débacle ministeriale, è probabile che il mandante sia da ricercare dalle parti del Circo Massimo, dove si trova il loft democratico.
Così il fondatore di Repubblica finisce per contestare al politico di Ceppaloni soprattutto la citazione pronunciata in Senato della poesia di una poetessa brasiliana “Lentamente muore”, preferendogli i versi di Ungaretti di “Allegria di naufragi”: “Si sta come d’autunno/sugli alberi le foglie”.
Disquisizione dotta, non c’è che dire, ma surreale data la gravità della crisi politica italiana.
C’è evidente sarcasmo nella critica mossa da Scalfari a Mastella; niente di paragonabile, comunque, al suo viscerale risentimento verso Pecoraro Scanio, Diliberto, Giordano: sono tutti brutti, sporchi e cattivi, sembra continuamente volerci dire.
Anche questa volta non resiste alla tentazione di accomunarli a Mastella e Dini, quali responsabili della caduta di Prodi.
Eppure le cose non stanno così.
Se Prodi è caduto, la responsabilità politica è tutta dei cespugli di centro, cioè di quel ventre molle dell’alleanza di centrosinistra che non ha mai dato tregua al Professore sin dal varo dell’esecutivo: Dini, Mastella, Bordon, Fisichella i principali indiziati.
Le insidie più gravi sono venute da lì e dalla dissennata politica isolazionista di Veltroni che dalle primarie di ottobre ha, in 90 giorni, resuscitato Berlusconi, in caduta libera dopo la sua goffa spallata al governo. Non solo, ha demolito l’Unione, prima con il tentativo di modificare la legge elettorale cercando l’accordo a due con il Cavaliere, poi dichiarando, con Prodi ancora in sella, di correre da solo alle prossime elezioni.
E’ ancora incomprensibile come la classe dirigente del partito democratico abbia potuto commettere così tanti errori di fila, rimettendo in gioco Silvio Berlusconi come leader del centrodestra.
La cosa più angosciante è che lo staff veltroniano non solo non recita il mea culpa ma baldanzosamente rilancia la propria politica fallimentare.
Non più tardi di ieri sera, nella trasmissione di Giovanni Floris, Ballarò, la senatrice Angela Finocchiaro ha insistito sul fatto che il Partito Democratico non snaturerà il proprio programma elettorale per cercare l’accordo con la sinistra dell’Unione: una dichiarazione d’intenti che, numeri alla mano, significa consegnare il paese per i prossimi cinque anni al centrodestra.
Fatalmente, dopo il naufragio di D’Alema con la Bicamerale, spetta ora proprio a Walter Veltroni, suo concorrente politico da sempre, incappare nello stesso tragico errore offrendo su un piatto d’argento la vittoria elettorale al Cavaliere.
Da quando è stato in lizza per la segreteria del Partito Democratico, non ne ha azzeccata più una (tra le tante, la disarmante uscita di volere mettere nella propria squadra la moglie di Berlusconi) e, nonostante sia diventato il pupillo di Eugenio Scalfari, sarà bene che ascolti di più la sua base elettorale, ammesso che ne abbia identificata una e non preferisca, come sembra adesso, la pesca a strascico: cioè, tirarsi dietro una parte degli elettori di Forza Italia.
Ma in questa gravissima crisi italiana, di apprendisti stregoni non se ne sente proprio la necessità.