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martedì 12 febbraio 2008

E' partita la campagna acquisti in vista delle elezioni

Sul CorrierEconomia dell’11 febbraio, compare un interessante ritratto, a firma del giornalista Enrico Marro, di Renata Polverini, giovane e vincente leader dell’Ugl, il sindacato della destra, già Cisnal (prima del cambio di nome avvenuto nel 1996).
Quel movimento che per tanto tempo è stato la finestra nel mondo del lavoro del vecchio Msi, il partito di Giorgio Almirante, buono “a dar voce ai nemici acerrimi di Cgil, Cisl e Uil”, ha trovato in questa donna neo-segretario, perfetta sconosciuta fino a due anni fa, la guida giusta per bruciare le tappe della visibilità mediatica.
Giovanni Floris, il conduttore di Ballarò, la invita così di frequente nel suo salotto televisivo (insieme ad altri politici ed “esperti” habitué) che ci fa sorgere qualche dubbio su quale sia il sistema di reclutamento per le comparsate serali negli studi Rai (non osando guardare dalle parti della cosiddetta concorrenza!).
Sembra che l’impareggiabile segretario del PD, Walter Veltroni, adesso le farebbe la "corte" in vista di una eventuale candidatura alle prossime elezioni politiche.
Nulla da eccepire sulla persona: se è riuscita a sdoganare (anche grazie alla collaborazione, guarda caso, dello stesso Veltroni che due anni fa si recò al congresso di Roma dell’Ugl per portare il suo personale saluto a quell’assemblea), un sindacato votato altrimenti ad una presenza di testimonianza, è sicuramente brava e senz’altro merita il successo che sta avendo.
Ma riesce difficile far digerire ai tanti italiani, da tempo in crisi anafilattica per colpa della politica, come sia possibile che, da un estremo all’altro degli schieramenti politici, Fini e Veltroni si contendano per le candidature le stesse persone.
E’ vero, il porcellum elettorale lascia la scelta dei candidati alle segreterie dei partiti: uno scandalo con profili di incostituzionalità assolutamente evidenti. Con la conseguenza che ogni segretario di partito sceglie per le liste chi gli pare.
Ma è possibile che, dopo aver inscenato per giorni il piagnisteo circa la dichiarata impossibilità di andare a votare con questa pessima legge elettorale, il leader del PD sia diventato di colpo così spregiudicato nello sfruttarne le mostruosità giuridiche, pescando i candidati a destra e a manca?
Già le cronache ci hanno segnalato il suo interessamento per Luca di Montezemolo, presidente della Confindustria, prima ancora per la moglie di Berlusconi; ed ancora per Mario Monti, due volte commissario europeo, per Sabrina Ratti, moglie dell’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo.
Ma non basta: secondo quanto riportato da Repubblica, nel mirino di Veltroni ci sarebbe “la leader di Confindustria campana Cristiana Coppola, la giovane imprenditrice che ha ereditato dalla famiglia il Villaggio omonimo, un ecomostro che lei stessa ha deciso di abbattere. La Coppola è considerata vicina a Silvio Berlusconi, ma per lei il Pd ha già prenotato un posto in lista”.
Insomma, un saccheggio a piene mani nel campo avversario che appare indecoroso (prima che stolto) e assai mortificante per i simpatizzanti del PD, chiamati a votare nomi certo importanti ma del tutto estranei alla matrice culturale e sociale di appartenenza.
Una lista di candidati costruita a tavolino, con scambi di telefonate nel chiuso della segreteria di partito, dosando gli ingredienti in maniera opportuna, attenti agli equilibri interni, con uno sguardo allo share televisivo; insomma, un piatto per palati raffinati che non disdegna i sapori popolari: ecco quindi che un pizzico di sano operaismo (vedi la possibile candidatura di uno dei sopravvissuti al rogo della Thyssen Krupp) ci può stare e non mandare il tutto di traverso all'élite che conta.
Un brutto pasticcio, reso possibile proprio da questa legge elettorale antidemocratica, dove i candidati non sono espressi dalla base ma designati dal vertice dei partiti.
Con un corollario sconfortante: qualunque sarà l’epilogo di questa sconsiderata campagna elettorale, gli attuali gruppi dirigenti l’avranno comunque vinta.
Infatti, in caso di malaparata, è pensabile che i vertici politici possano essere sfiduciati proprio dai neoeletti che ne hanno beneficiato conquistandosi il seggio parlamentare per decisione presa dall’alto, proprio al momento della stesura delle liste?
Ecco perché Veltroni si permette il lusso di far correre il Partito Democratico da solo, giocando chiaramente d’azzardo: male che vada, nessuno ne potrà mettere in discussione la leadership, perché la legittimazione politica degli eletti è diretta emanazione del vertice e non della base.
Statene certi, all’indomani di questa finta competizione elettorale, saremo condannati a ritrovarci sempre in prima o seconda serata tv, Fassino, Veltroni, D’Alema, Franceschini, Fini, La Russa, Alemanno, Casini, Dini, Mastella, Bordon, Bonino, Maroni, Berlusconi, Bondi, Schifani.. tanto per citare alcuni tra i maggiori frequentatori degli studi televisivi.
Sempre pronti, nella veste di salvatori della patria, a dispensarci le loro preziose ricette per il bene comune, ad ammonirci a fare altri sacrifici, imperturbabili sul ponte di comando mentre la stella italica va a picco.

lunedì 31 dicembre 2007

2007, l'anno della casta

Nell’editoriale di fine anno, Eugenio Scalfari descrive da par suo l’anno che si chiude all’insegna della disaffezione generale nei confronti della politica.
Ad onore del vero, non cita direttamente la parola politica, omettendola quasi per pudore; ma è chiaro che anche per lui non sia molto facile archiviare un anno avaro di soddisfazioni per gli Italiani che guardano alla vita pubblica.
Sommessamente, affronta il tema alla larga e parla di distacco considerandolo un fenomeno di costume piuttosto che una degenerazione del nostro sistema politico; inizia così:
“Il 2007 si chiude. E' stato l'anno del distacco. Se vogliamo sintetizzarne l'elemento dominante rispetto a tutti gli altri, questo si impone per la sua coralità, al Sud come al Nord, tra gli uomini e tra le donne, tra i giovani e i vecchi: distacco, indifferenza, riflusso.
Insicurezza. Precarietà psicologica prima ancora che professionale.
Sensazione di impoverimento, in basso come in alto. Perdita di senso. Quando una società si ripiega su se stessa e si rifugia nel suo privato, scompare uno dei suoi requisiti essenziali che è appunto quello della socievolezza. Subentra solitudine. La scelta di fare da sé alla lunga non paga se non c'è più lo sfondo pubblico entro il quale collocare il proprio talento e la propria intraprendenza.
L'anno che sta per chiudersi è stato terribile da questo punto di vista, ma ci consegna almeno quest'insegnamento: la dimensione privata distaccata da quella pubblica non produce ricchezza morale né materiale.
Siamo diventati amorali e asociali. Fiori finti invece che fiori freschi, senza profumo, senza polline, senza miele.”
La mancanza dello sfondo pubblico non è altro che la Caporetto della politica; sì perché, anche se Scalfari non lo dice, il 2007 è stato l’anno della casta, l’anno in cui i cittadini di ogni colore politico si sono resi conto di quale distanza siderale li separi dalla classe politica.
La sensazione sconfortante che fotografa l’anno che si chiude è che, spente le luci dei vari teatrini televisivi dove apparentemente se ne dicono di tutti i colori, i politici riconquistino d’un colpo la consapevolezza della propria identità di classe e difendano innanzitutto i loro privilegi in modo solidale e trasversale.
A rischio di essere tacciati di qualunquismo, la verità è che il riflusso che vede Scalfari non è altro che il comportamento riflesso di un’opinione pubblica che patisce pesantemente una crisi di rappresentatività, in un contesto economico sociale costellato di problemi da cui non riesce più a venir fuori soltanto con le proprie forze.
L’arena televisiva dei politici gladiatori in azione nei vari talk show ha stancato e non basta più a sopire un diffuso risentimento verso una classe dirigente tanto dispendiosa quanto il più delle volte inadempiente.
Per un Beppe Grillo che ha coraggiosamente raccolto il testimone di questo disagio di massa, ci sono molti altri cittadini che hanno gettato alle ortiche l’innata passione politica e si sono rifugiati nel privato per sconforto o protesta.
E’ giunto ora il momento di tornare o provare a parlare alla gente un linguaggio autentico, che rifugga l’applauso facile o lo share ma che sia in grado di formulare risposte sincere e chiare.
Poi ci si potrà pure dividere sulle tante questioni sul tappeto; ma è importante che i politici non recitino più a soggetto dando la sensazione di essere solo dei bravi imbonitori: lo stile da televendita ha fatto il suo tempo.
Chi decide di fare attività politica deve sapere che gli impegni che prende con i propri elettori non li può barattare per qualche poltrona più comoda o dimenticarli all’improvviso, soggiogato da qualche personalità carismatica; men che meno deve cedere alla tentazione del quieto buon vivere.
Faccia tosta e parlantina a stretto giro mediatico non fanno un politico, al massimo ne compongono la sua brutta copia.
Su questioni come legalità, giustizia sociale, sicurezza del lavoro e dei luoghi di lavoro, gestione delle forze dell’ordine, sviluppo ecosostenibile, politica estera, non si può continuamente arretrare rispetto agli obiettivi fissati in campagna elettorale, così che di un programma iniziale di quasi trecento pagine, se ne traducano in pratica sì e no dieci.
E’ senz’altro vero che la politica come arte di governare la società perseguendo il bene comune è anche arte della mediazione ma ciò deve avvenire, con tutti i limiti del caso, alla luce del sole come sintesi superiore di interessi diversi, chiaramente rappresentati nei luoghi costituzionalmente deputati al confronto democratico, cioè nelle aule parlamentari.
Non si può accettare che le riforme istituzionali vengano appaltate a singole personalità politiche in confronti vis à vis, lontani dalla ribalta mediatica e persino dal Parlamento che così viene svuotato di qualsiasi autorità.
Come ha detto recentemente lo scrittore Antonio Tabucchi, interpellato da Michele Santoro, questo sembra “il sistema di un catering: cioè si prepara il cibo fuori e poi si consuma nel Transatlantico dove viene siglato”.
Ma questa è la politica che rinnega se stessa. E davanti ai cittadini in questo finale di anno resta purtroppo soltanto la casta.

giovedì 11 ottobre 2007

Santoro, Travaglio: di nuovo all'anno zero?

Chi l'avrebbe mai detto? La Rai del centrosinistra, o meglio del nascituro Partito Democratico, che frena le vittime simbolo dell'epoca berlusconiana: Santoro e Travaglio. Serve moderazione, spiega il cda Rai.
Di tutte le inerzie e fallimenti di questa stagione politica, quella che appare la più incredibile e, per certi versi, crepuscolare è proprio l'isolamento in cui sono stati messi al loro rientro in Rai questi due ottimi giornalisti.
L'editto di Sofia pronunciato da Berlusconi ha trovato la sua imprevista replica con l'intervento estemporaneo di Romano Prodi il quale, sia pure con una frettolosa e impacciata retromarcia, ha di fatto confermato le accuse mosse a suo tempo dal Cavaliere e che a quest'ultimo erano costate la riprovazione generale e, forse, l'onda lunga della sconfitta elettorale ai punti nella primavera del 2006.
Quello che appare ancora più sconfortante è che proprio in seno al Partito Democratico non si siano levate, come ci si sarebbe potuto ragionevolmente attendere, quelle voci di dissenso per l'infelice battuta del premier e, soprattutto, di piena solidarietà con il conduttore di Anno Zero che in altri tempi non gli sarebbero di certo mancate.
Quasi che il primo frutto del matrimonio DS - Margherita sia la nascita di un partito che recita al primo vagito l'abiura dei principi di un'informazione libera e pluralista.
Festeggiare il battesimo di questa nuova creatura politica in un'atmosfera mediatica di piena restaurazione (senza che il Cavaliere abbia dovuto muovere un dito!) è di pessimo auspicio per il futuro del centrosinistra e di ormai questo scorcio di legislatura.
In tale frangente, infatti, ha gioco facile la destra nel rispedire al mittente tutto lo sdegno a suo tempo suscitato dall'uscita bulgara di Berlusconi. Quale peggior viatico per le primarie di domenica! Con quale spirito molti elettori di sinistra potrebbero recarsi alle urne?
Di certo l'affluenza di domenica ci dirà se il Partito Democratico è rimasto all'anno zero: se non si dovesse ripetere il risultato delle primarie vinte da Prodi, si aprirebbe una stagione politica assai delicata per la nuova leadership.
Ma stasera ritorna, fortunatamente, Anno Zero.

sabato 6 ottobre 2007

D'Avanzo ad alzo zero contro Annozero

Purtroppo tutto ci saremmo attesi tranne che il giornalista Giuseppe D'Avanzo, dopo aver abbandonato da qualche parte il suo solitamente ricco taccuino di scoop con cui ha infarcito memorabili inchieste su Repubblica, abbandonasse le vesti di inquirente per conto del giornale di piazza Indipendenza per indossare i panni di fustigatore dell'informazione televisiva.
L'obiettivo però non è stato quello di mettere alla berlina i famosi panini confezionati per tradizione dal TG1 o da qualche notiziario Mediaset e che ogni giorno ammorbano l'aria rendendoci impossibile la visione del telegiornale.
No, questa volta si è diretto ad alzo zero contro Michele Santoro e la sua trasmissione Annozero, definendola una barbarie, consultando anche il vocabolario per gridarlo meglio.
Parte dal caso De Magistris, accusando il ministro Mastella, promotore del deferimento del magistrato di Catanzaro, di non essersi fatto scappare l'occasione di "infilzare"De Magistris con un'indiavolata sollecitudine e a chiedere al Consiglio - senza alcuna seria urgenza - il trasferimento del pubblico ministero per "gravi violazioni deontologiche"; per poi affermare che "In questa cornice, dovrebbe essere intelligibile per chiunque "il bene" che chiede protezione in quest'affare: l'autonomia di una funzione giudiziaria rispettosa delle regole".
Come a dire che Santoro faceva bene a non parlare della questione. Il perchè è lasciato del tutto all'oscuro anche se D'Avanzo prova a farfugliare un po' di frasi fatte senza troppa convinzione: "Se una giustizia condizionata o minacciata dal potere non è giustizia (l'indipendenza è il presupposto dell'imparzialità del magistrato), non è giustizia nemmeno quando si manifestano prassi in cui prevale una logica dell'efficienza coniugata alla facile idea che per la salus rei publicae bisogna guardare al reo dietro il reato, anche a costo di sacrificare il principio di stretta legalità".
Che cosa vuole farci intendere con un ragionamento tanto bislacco? Che dà per scontato che il pm De Magistris abbia violato la legge nella sua foga giustizialista contro Mastella? Ma non ha appena riferito dell'indiavolata sollecitudine del ministro di infilzare il magistrato senza alcuna seria urgenza?
Male, malissimo, D'Avanzo: una rilettura del pezzo prima della rotativa sarebbe stata indispensabile...
Ma il meglio D'Avanzo lo riserva nella parte centrale dell'editoriale: prima critica la scelta di confrontare la crisi calabrese con i veleni palermitani degli anni Ottanta accusando Santoro di aver compiuto "un errore di prospettiva" (ma su questo ciascuno, ragionevolmente, può avere l'opinione che vuole perchè non c'è nessuno, fino a prova contraria, che possa rilasciare la certificazione DOC alle stagioni criminali); poi punta a testa bassa sul giudice Clementina Forleo, colpevole di aver auspicato, come qualunque persona onesta e sana di mente riterrebbe, che il Sud si liberi dei suoi Don Rodrigo.
Per D'Avanzo l'equazione è chiara: poichè la Forleo è pugliese e D'Alema, di cui lei ha chiesto al Parlamento di utilizzare le intercettazioni con Consorte per la scalata Unipol, è stato eletto in Puglia, l'allusione a Don Rodrigo è sicuramente riferita allo stesso D'Alema.
Un po' come dire che poichè D'Avanzo è un giornalista, tutti quelli che portano il suo cognome sono giornalisti.
Complimenti: questa sì che è barbarie intellettuale!
Ma D'Avanzo ancora non è contento: dopo aver erroneamente attribuito alla giudice Forleo una critica ai suoi illustri colleghi di Milano (a questo punto dell'articolo è ormai chiaro per il lettore che D'Avanzo, chissà perchè, ha il dente avvelenato contro questo magistrato), si scaglia contro Santoro.
Lo accusa di aver organizzato "una trasmissione che rende incomprensibile la materia del contendere" (finalmente ammette di non averci capito niente, salvo poi scriverci sopra un fiume di parole insulse e livorose) e di avere preconfezionato una tesi del tutto errata: di ritenere, cioè, che il ministro Mastella, di fronte al disastro giudiziario calabrese, doveva guardare alla sostanza dell'operato di De Magistris, non ai suoi eventuali errori formali.
Ci siamo, D'Avanzo ormai ragiona come un giudice ammazzasentenze, di quelli che annullavano una condanna all'ergastolo perchè mancavano i bolli.
Si esprime esattamente come uno dei tanti azzeccagarbugli del Cavaliere; eccone una perla: "...quanti orrori possono accadere quando un magistrato arriva al massimo dell'indignazione e, in nome della giustizia, pretende un castigo e, se non lo ottiene, avvia un ciclo di ritorsioni."
Ma non è ancora finita: senza guardarsi allo specchio, accusa en passant Marco Travaglio di disinformazione per poi affondare il colpo ancora una volta contro Santoro dando un giudizio conclusivo sul suo programma; giudizio che, guarda un po', calza a pennello per il suo editoriale: "notizie alquanto confuse, disinformazione; non c'è alcuna conoscenza, soltanto un distillato di veleni in un quadro culturale che ignora le ragioni della democrazia e le convenienze dello Stato di diritto".
Chiosa D'Avanzo: "Annozero, viene da dire, è stato soltanto un passo verso il suicidio collettivo".
Sarà, ma in questa occasione è proprio lui che, in un pericoloso mix tra arrogante narcisismo, cieco furore e ordini di scuderia, ha dato una pessima prova di giornalismo.

Fonte: Repubblica del 6/10/07

http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/cronaca/pm-catanzaro/santoro-messaggi-barbarici/santoro-messaggi-barbarici.html