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sabato 12 gennaio 2008

Se un membro del CSM "cade dalle nuvole"

E’ finalmente cominciato ieri in seduta pubblica il procedimento disciplinare contro Luigi De Magistris, il pm di Catanzaro, titolare fino a qualche mese fa di importanti inchieste giudiziarie come Why not e Toghe lucane.
Ma c’è stato subito un colpo di scena: il pm De Magistris ha presentato una doppia denuncia.
Una alla procura di Salerno per la fuga di notizie durante i lavori della I commissione del CSM investita del suo caso; l’altra contro il consigliere laico Letizia Vacca, in quota Pdci, per averlo diffamato a seguito delle note dichiarazioni su di lui ed il gip di Milano Clementina Forleo: “Sono cattivi magistrati” sbottò davanti ai giornalisti.
La Vacca ha così commentato l’iniziativa di De Magistris (1): “Cado dalle nuvole: non ho anticipato alcun giudizio. Le mie erano valutazioni su un profilo, quello mediatico, che non è oggetto delle decisioni in commissione. Peraltro ragionavo di un fatto indubbio sul quale, di recente, anche il capo dello Stato e la stessa Anm hanno preso posizione bocciando le eccessive esternazioni delle toghe”.
Risposta inconsistente e imbarazzatissima quella del consigliere laico, se non altro perché chiama in causa il Presidente della Repubblica in modo del tutto inappropriato; infatti, il Capo dello Stato in più occasioni ha richiamato la necessità di garantire pienamente il rispetto e l’autonomia della magistratura.
Soltanto un mese fa da New York, dove si trovava, il presidente Napolitano così tuonava: “Bisogna ben pesare le parole che si dicono sulla magistratura, sulle tendenze di una parte di essa, su singoli magistrati o singole procure. Occorre evitare di dare giudizi che appaiano una delegittimazione della magistratura” pur riconoscendo che anche i magistrati “devono avere il senso del limite e rispettare le regole che servono innanzitutto a garantire la loro autorevolezza”.
Ma nelle parole irrituali pronunciate dalla vicepresidente Vacca a sua giustificazione, non c’è solo un chiaro sgarbo istituzionale; c’è molto di più: la conferma, come da più parti è stato osservato, di un suo palese pregiudizio nei confronti dei due magistrati; per giunta, muovendo loro proprio quell’accusa che, nella circostanza, le si può facilmente contestare: eccessive esternazioni.
Con una differenza capitale: mentre i due “cattivi magistrati” non si sono mai azzardati a parlare delle inchieste in corso anticipando giudizi su fatti e persone, la professoressa Vacca è incorsa proprio in questo gravissimo ed imperdonabile infortunio.
Ci si domanda, a questo punto, data la condizione deplorevole in cui si è ficcata da sola, come possa continuare a lavorare su procedimenti disciplinari tanto delicati come quelli attualmente all’attenzione del Csm e che riguardano i due “cattivi magistrati”.
(1): la Repubblica dell'11/01/2008

giovedì 27 dicembre 2007

Caso Contrada: grazia o sospensione della pena?

Alla vigilia di Natale, si è appresa la notizia dell’avvio da parte del presidente Napolitano della procedura di concessione della grazia a favore di Bruno Contrada, l’ex numero due del SISDE, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa con sentenza confermata dalla Corte di Cassazione nel maggio 2007, dopo un lunghissimo iter giudiziario.
Più precisamente, Napolitano ha trasmesso al ministro Clemente Mastella la lettera ricevuta dall’avvocato di Contrada in cui si dà conto delle cattive condizioni di salute del proprio assistito.
Contemporaneamente il Presidente della Repubblica ha chiesto informazioni a Mastella per conoscere lo stato del procedimento per il differimento della esecuzione della pena giacente presso il Tribunale di Sorveglianza di Napoli (Contrada è infatti detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere).
Si tratta, quindi, di due iniziative distinte: l’una, di concessione della grazia appena avviata; l’altra già in corso, per la sospensione della pena per gravi motivi di salute.
E’ chiaro, quindi, che per togliere dal carcere il detenuto Bruno Contrada non c’è la necessità di concedergli la grazia o, addirittura di accelerarne l’iter, come il ministro Mastella si è impegnato a fare: "In questo caso l'urgenza deriva dalle condizioni di salute. Normalmente per l'attivazione di questi strumenti si impiegano sei mesi. Io mi auguro che si faccia molto, molto prima". "Io valuto l'aspetto umano, come anche il presidente della Repubblica ha valutato questo".
Una solerzia inusuale quella del ministro della giustizia non fosse altro perché è proprio nella competenza del Tribunale di Sorveglianza decidere, qualora ne ricorrano gli estremi, di sospendere la pena per motivi umanitari.
La concessione della grazia ha, evidentemente, tutto un altro rilievo e va valutata con ben altra ponderazione.
In particolare, come non tenere nella debita considerazione le forti riserve espresse dalle associazioni delle vittime della mafia, da Rita Borsellino, dalla figlia del magistrato Scopelliti?
Purtroppo la politica si è già impadronita della questione trovando subito il modo di far sentire a sproposito la propria voce.
Se la sinistra si mostra come al solito incerta, il centro destra si è buttato a pesce sulla faccenda. In particolare, inquietanti sono sembrate le parole del giornalista e senatore di Forza Italia, Lino Jannuzzi, ai microfoni del GR1: “E’ stato un bel gesto, peraltro doveroso. Significa che il Capo dello Stato ha capito perfettamente la gravità della situazione che non è solo quella dello stato di salute di Contrada ma è l’approdo di una vicenda vergognosa: 15 anni di persecuzioni basate soltanto sulle invenzioni dei pentiti”.
La questione è così delicata che avrebbe meritato una maggiore cautela da parte di tutti per evitare facili e pericolose strumentalizzazioni.
Diciamo che accanto all’imprevista sollecitudine del ministro di giustizia c’è stato forse anche un difetto di comunicazione del Colle, come lascia capire l’affrettata e stizzita nota successiva: "il Presidente della Repubblica ha ben presente tutte le ragioni da prendere in considerazione e le procedure da rispettare".
In un periodo così burrascoso per i rapporti tra la politica e la giustizia, scivolare sul caso Contrada significa voler mandare di traverso agli Italiani persino il panettone.
Una figuraccia che la nostra classe politica almeno a Natale poteva risparmiarsi.

lunedì 24 dicembre 2007

Gli "omaggi" natalizi di Scalfari alla Forleo

Nel sermone natalizio di domenica 23, Eugenio Scalfari attacca a fondo il giudice di Milano Clementina Forleo (1):
“Una magistratura che ricama sgorbi sulle sue toghe aggrappandosi al cavillo della norma senza capacità né voglia di coglierne la sostanza. Magistratura pubblicitaria, così dovrebbe chiamarsi la parte ormai largamente diffusa che insegue la propria visibilità non meno dei Diliberto e dei Mastella.
La vicenda Forleo è il sintomo palese di questa devastazione pubblicitaria che sta sconvolgendo l'Ordine giudiziario e, con esso, il corretto esercizio della giurisdizione. Ho grande rispetto per Franco Cordero, nostro esimio collaboratore, e capisco anche le motivazioni giuridiche che l'hanno indotto a difendere il Gip milanese.
Secondo me quel Gip andrebbe censurato dal Csm non per la procedura che ha seguito ma per l'esibizione di volta in volta vittimistica e sguaiata, con la quale ha invaso teleschermi e giornali. Disdicevole. Aberrante per un magistrato. Falcone, tanto per dire, non ha mai usato quel metodo né lo usarono il magistrato Alessandrini, l'avvocato Giorgio Ambrosoli e tutti coloro che del mondo della giustizia caddero sotto il piombo del terrorismo o della mafia.”
Grande Scalfari! Non ne fa più una questione di rispetto delle procedure o di improprietà dell’attività giudiziaria del gip di Milano.
Come potrebbe d’altronde?
Il giurista Franco Cordero bolla le motivazioni che hanno spinto il Csm a chiedere il trasferimento della Forleo come del tutto inconsistenti e paralogiche; nella trasmissione di Michele Santoro di giovedì scorso, l’insigne studioso dice testualmente: “L’atto d’accusa nei confronti della dottoressa Forleo è fondato su argomenti che valgono pochissimo; potrei anche usare parole più brutali e dire che non valgono niente.”
Per questo il fondatore di Repubblica è costretto a fare marcia indietro sul merito delle accuse e la mette folcloristicamente sul piano della presunta sguaiatezza del giudice Clementina Forleo nelle sue ripetute invasioni mediatiche: sarebbe questo il vero motivo, per Scalfari, della necessità di una censura da parte del Csm.
Un’assurdità che si commenta da sola.
Ma per dimostrare la validità del suo bel ragionamento egli cita uomini di legge come Falcone, Alessandrini e Ambrosoli che non hanno inseguito la visibilità mediatica e che sono caduti sotto i colpi di mafia e terrorismo.
Purtroppo Scalfari non si rende conto che è proprio da quella illustre ed eroica esperienza che discende la necessità per magistrati come Clementina Forleo e Luigi De Magistris di gridare ai quattro venti il boicottaggio patito e l’isolamento in cui sono caduti ad opera delle istituzioni da quando si sono trovati tra le mani inchieste scottanti: una sorta di polizza assicurativa sulla vita fondata semplicemente sulla propria visibilità mediatica.
Purtroppo è questa la situazione in cui si trovano ad operare i magistrati più coraggiosi in un’Italia dominata dalle consorterie e incupita da una scia di sangue che ha intimidito i tutori della legge per decenni e su cui non è mai stata fatta luce fino in fondo.
Come è possibile che un navigato giornalista come Scalfari non si renda conto di quale pesante eredità ci sia tramandata dai mille misteri italiani ancora insoluti?
La devastazione pubblicitaria di cui egli blatera è purtroppo l’inevitabile conseguenza di quel clima e della guerra, questa sì rovinosa perché senza esclusione di colpi, che la politica con rare eccezioni ha apertamente dichiarato alla magistratura dall’epoca di Mani pulite.
Eppure il grande giornalista non sembra si sia scandalizzato quando a seguito della ormai famosa ordinanza del Gip Forleo l’onorevole Massimo D’Alema così sguaiatamente commentava (cfr. citazione di Marco Travaglio in Anno Zero del 20 u.s.)": “Che monnezza, che schifo la magistratura si comporta in modo inaccettabile; forse li abbiamo difesi troppo questi magistrati ma ora dobbiamo reagire. E’ una violazione della legge perpetrata dagli stessi magistrati. Siamo ancora uno stato di diritto? Non vedo alcuna ragione di giustizia, deve esserci sotto dell’altro… io ho qualche idea, prima o poi bisogna tirarla fuori”; oppure quando diceva: “Siamo fuori dallo stato di diritto. E’ pazzesco: quel Gip fa cattiva letteratura, crocifigge un cittadino, fa saltare per aria il sistema democratico. Perché questa vecchia immondizia rispunta fuori proprio ora?”
Quello in cui vive il fondatore di Repubblica probabilmente non è lo stesso paese in cui tutti noi siamo costretti a vivere sotto la cappa di formidabili poteri occulti, in un intreccio perverso di politica, affari e criminalità, che caratterizza senza soluzione di continuità periodi importanti di vita repubblicana.
E poi finiamola una buona volta col minimizzare quanto avvenuto tra la primavera e l’estate di due anni fa: quello fu il tentativo, abortito solo perché inopinatamente emerso alla luce del sole, di due scalate bancarie parallele ma entrambe illegali che si sostennero vicendevolmente grazie al tifo fazioso delle due principali forze politiche di allora.
Ce n’è abbastanza, al di là delle risultanze giudiziarie, per mandare a casa l’intera classe dirigente di quei due partiti.
E invece no, gli sciagurati protagonisti di quella stagione sono ancora lì a fare il bello ed il cattivo tempo, a dettare ancora l’agenda politica del nostro Paese.
Ecco perché, caro Scalfari, la gente come dice Lei, è schifata: perché già sa che, gattopardescamente, niente cambierà né alla Rai né in qualunque altro presidio pubblico occupato militarmente dalla politica.
E quella telefonata intercettata tra Agostino Saccà e Silvio Berlusconi sarà pure stomachevole ma è tutt’altro che sorprendente o inaspettata, al di là dell’opinione che si ha dei protagonisti: al bando l’ipocrisia, fotografa in modalità macro l’ordinario degrado morale della nostra classe dirigente.
Malauguratamente non si intravede all’orizzonte niente che possa toglierci rapidamente dalle sabbie mobili in cui il nostro sistema politico istituzionale è precipitato da tempo.
L’altra sera ad Annozero, in una meritoria puntata in cui Michele Santoro ha finalmente rivelato al grande pubblico televisivo come sembrino pretestuose ed inconsistenti le carte del Csm contro la Forleo, abbiamo potuto sentire la cosiddetta nuova politica rappresentata dal leader della Sinistra Giovanile criticare aspramente l’ordinanza emessa nel luglio scorso dal giudice Clementina Forleo, usando le stesse logore argomentazioni a suo tempo usate dai difensori e luogotenenti di Berlusconi: davvero un pugno nello stomaco per chi crede che i giovani possano rappresentare l’asso nella manica di un paese che, giustamente, al di là dell’Atlantico viene visto triste ed immobile.
Perché dei replicanti di D’Alema, Fassino, Mastella, ma anche degli emuli in erba di Berlusconi e Fini, questo paese non solo non sente la necessità ma addirittura ne teme lo shock anafilattico.
Ciò non toglie che la nostra democrazia ha un bisogno vitale di ricostruire efficaci processi di selezione della propria classe dirigente: magari fosse solo questione di legge elettorale!
E’ un intero sistema di reclutamento delle forze migliori, di nuovi talenti, di energie ideali che va ricostruito dalle fondamenta.
Che cosa possa innescare questo processo virtuoso è difficile dirlo: forse la rabbia montante tra i cittadini indignati dallo schifo della vita pubblica, proprio quello sottolineato dal predicozzo dell’antivigilia di Natale su Repubblica, può segnare l’alba di una nuova Italia.
Ma, allo stato delle cose, più che una speranza questo è piuttosto un pio desiderio.
(1): la Repubblica.it del 23/12/2007

lunedì 10 dicembre 2007

I cattivi magistrati e la buona politica

Adesso sappiamo ufficialmente che Luigi De Magistris e Clementina Forleo sono dei cattivi magistrati.
No, non lo dice il Cavaliere sempre in polemica con il potere giudiziario, né qualche esponente del suo partito.
Ce lo dice Letizia Vacca (PDCI), vicepresidente della I Commissione del CSM che ha istruito il procedimento disciplinare nei confronti del gip milanese [1].
“Le sue dichiarazioni, eccessive, forzate e gravissime, hanno creato preoccupazione negli ambienti giudiziari e sono state lesive dell’immagine dei magistrati di Milano, che si sono sentiti offesi” spiega la Vacca, docente universitario nel CSM in quota al partito di Oliviero Diliberto.
“Il nostro problema è riportare la serenità negli uffici giudiziari di Milano. Lo spirito che ci muove non è certo persecutorio nei confronti di Forleo”; ma spara a zero anche contro De Magistris: “Sono cattivi magistrati”. “Dire ‘ho fatto il nome di D’Alema e per questo mi perseguitano, non è un sillogismo che può valere. Questa non è una magistratura seria” insiste“e questi comportamenti sono devastanti. I magistrati devono fare le inchieste e non gli eroi; altrimenti sono figure negative”.
Grazie al lavoro svolto dalla commissione del CSM adesso sappiamo (perché prima sinceramente neanche lo sospettavamo!) che in Italia abbiamo la fortuna di avere una politica buona ma, purtroppo, anche una magistratura cattiva: naturalmente, cattiva è quella che lavorando con zelo finisce per assumere atteggiamenti eroici, arrecando disturbo al manovratore di turno.
Noi credevamo che i cattivi magistrati erano quelli che non amministrassero giustizia secondo il dettato costituzionale; in poche parole, gli insabbiatori di inchieste, i deboli con i forti e forti con i deboli, i collusi con i potenti.
C’eravamo sbagliati.
Ai cittadini il messaggio che rimbalza dalle televisioni, dai giornali, dai notiziari radio è il seguente: non sono gli scandali politico-finanziari che stanno mandando a picco la vita pubblica; pietra dello scandalo sono i magistrati che per dovere d’ufficio hanno la sfortuna di occuparsene!
Ma poi quali scandali? Siamo così convinti che ci siano scandali su cui indagare? Secondo i media di regime non c'è niente di tutto questo.
Accusa Di Pietro[2]: “Quello che più colpisce nelle vicende legate ai magistrati Luigi De Magistris e Clementina Forleo è che sono state oscurate completamente le inchieste che stavano conducendo. Di Why Not e di Unipol non parla più nessuno. Stiamo andando oltre alla metafora del dito che indica la luna. Qui hanno fatto scomparire direttamente la luna e ci hanno lasciato solo il dito da guardare.”
Ma i cittadini il dito dei politici è da tempo che non lo seguono più.
Anche se la casta, chiusa nei propri privilegi, non capisce e ritiene di poter ancora fare il bello e il cattivo tempo; come quello di delegittimare chi la mette sotto inchiesta.
Ma non è denigrando Clementina Forleo e Luigi De Magistris che può recuperare in credibilità e consenso di fronte all'opinione pubblica; al contrario, dimostra di aver perso del tutto il senso della realtà: la buona politica è tutta un'altra cosa.

martedì 13 novembre 2007

Ma che fine farà l'inchiesta Why not?

L’inchiesta Why not, strappata al pm De Magistris e trasmessa al Tribunale dei ministri da parte del procuratore reggente Dolcino Favi, torna a Catanzaro.
Lo ha deciso la procura di Roma che esaminando le carte del procedimento non ha ravvisato ipotesi di reato riferibili al periodo in cui Mastella era già ministro: quindi l’inchiesta non è di competenza del Tribunale dei ministri.
Lo sapevano tutti ma adesso ne deve prendere atto anche il procuratore Favi, così sollecito ad avocare l’inchiesta ed a trasmettere le carte a Roma.
Purtroppo questo non serve a restituire l’incartamento a De Magistris; il quale aspetta ancora la decisione del 17 dicembre del CSM per conoscere l’esito della richiesta di trasferimento d’ufficio avanzata da Mastella.
Ma l’attività istruttoria svolta dalla procura di Roma sulle carte di De Magistris non si ferma qui: infatti il pm di Roma Colaiocco adesso deve accertare se le ipotesi di reato contestate al politico di Ceppaloni si possano riferire al periodo in cui egli era semplice parlamentare dell’UDC.
Intanto è possibile che lo stesso De Magistris possa essere trasferito alla procura di Napoli, dove sono vacanti ben nove posti di sostituto, in virtù di una domanda da lui presentata al CSM nel maggio scorso: il suo accoglimento, comunque, non ha nulla a che vedere con la pendente richiesta di trasferimento d’ufficio.
Luigi De Magistris entro fine settimana dovrà decidere se accettare la nuova sede di Napoli o ripensarci restando a Catanzaro in attesa del pronunciamento del CSM.
Ma anche se il CSM gli desse ragione e rigettasse la richiesta di Mastella, non per questo le carte dell’inchiesta Why not gli verrebbero restituite.
Un bel dilemma per il sostituto procuratore di Catanzaro.
Egli ha recentemente dichiarato di essere intenzionato a continuare a lavorare nella città calabrese; ma che senso avrebbe restare dopo che gli è stata tolta l’indagine principale?
O le lancette dell’inchiesta vengono riportate indietro, a prima dell’azione disciplinare promossa da Mastella e della inopinata avocazione di Dolcino Favi, oppure per De Magistris obiettivamente non ha più senso restare a Catanzaro.
Che fine faranno le carte della sua inchiesta?
Nel silenzio colpevole di buona parte della magistratura associata, ce lo dicano almeno quei politici di ogni schieramento che in questi mesi hanno fatto il diavolo a quattro per ostacolarne il lavoro.
Perché l’avere cancellato dal dibattito politico e dall’agenda di governo la questione morale è stato sicuramente il peggiore errore possibile per la coalizione guidata da Romano Prodi.

lunedì 12 novembre 2007

Il ricorso di De Magistris e l'uguaglianza dei cittadini

L’inchiesta Why not è stata tolta definitivamente a Luigi De Magistris.
In attesa della decisione del CSM prevista per il 17 dicembre sul suo possibile trasferimento d’ufficio, il reclamo presentato dal pm di Catanzaro contro l’avocazione decisa dal procuratore facente funzioni Dolcino Favi è stato respinto per “difetto di legittimazione”.
La decisione della Cassazione, peraltro facilmente prevedibile sul piano formale, ha giudicato infatti inammissibile tale ricorso in quanto l’unico titolato a presentarlo era il Procuratore capo di Catanzaro Mariano Lombardi.
La Suprema Corte ha cioè rigettato la richiesta del sostituto procuratore Luigi De Magistris, non entrando nel merito della questione ma limitandosi ad un pronunciamento di carattere meramente formale: spetta soltanto al suo capo ufficio fare opposizione.
Il fatto è che il capo di De Magistris è proprio colui che era stato sospettato dal pm di Catanzaro di aver intralciato la sua inchiesta informandone in anticipo alcuni indagati.
Siamo al paradosso: secondo la Cassazione l’unico titolato a promuovere il ricorso contro l’avocazione è proprio uno di quelli che, secondo le carte del magistrato inquirente, potrebbe averla ostacolata.
Sul piano formale, la sentenza della Cassazione non fa una grinza: è corretta.
Tuttavia, nella fattispecie in esame, finisce per produrre conseguenze paradossali sancendo de facto una sostanziale disparità di trattamento dei cittadini in materia di giustizia.
E’ questa la cosa più assurda: formalmente, è assolutamente corretto togliere l’inchiesta a De Magistris perché è nelle prerogative del procuratore generale farlo e in quelle del suo capo ufficio non opporvisi; in pratica, a causa della particolare funzione rivestita da alcuni personaggi entrati nelle sue indagini (secondo le cronache, addirittura il Ministro della Giustizia ed il Procuratore capo di Catanzaro), ciò ne impedisce la sua normale conclusione.
E’ inutile tornare sulle motivazioni che hanno spinto il procuratore supplente Favi ad avocare l’inchiesta un attimo prima di lasciare il suo incarico: l’avocazione è un provvedimento eccezionale che viene preso di solito di fronte ad un’inerzia del magistrato inquirente, non a causa di una sua presunta “incompatibilità nel procedimento” con un riferimento troppo disinvolto all’art. 372 lett. A cpp.
Ma proseguiamo il ragionamento: l’esercizio di un potere attribuito al procuratore di avocare l’inchiesta contrasta, nel caso in esame, con il beneficio superiore di vederla portata a compimento proprio da colui, il pubblico ministero De Magistris, che l’aveva incardinata.
A questo punto, senza entrare nel merito dell’inchiesta Why not, si può trarre una prima conclusione generale: le normali procedure previste dal nostro ordinamento giudiziario non funzionano quando la lente investigativa è puntata su personaggi eccellenti come ministri, alti magistrati, autorità in carica.
Si può affermare, cioè, che esse non siano costituzionalmente corrette, ledendo il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione.
Può la Costituzione formale del nostro Paese venire così palesemente travisata nella sua applicazione materiale attraverso leggi, regolamenti, procedure burocratiche?
L’art. 3, dopo i fatti di Catanzaro, andrebbe coerentemente riscritto così: “La legge è uguale per tutti, ma non tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge”.
Fare un po’ di chiarezza eviterebbe almeno i continui fraintendimenti di quanti (e non sono pochi!), peccando di ingenuità o semplicemente perché sprovvisti di una laurea in giurisprudenza, credono ancora nella terzietà ed imparzialità dell’organizzazione giudiziaria.

giovedì 1 novembre 2007

Il vuoto attorno a De Magistris

In due giorni il pm di Catanzaro Luigi De Magistris, a cui nemmeno due settimane fa era stata tolta l’inchiesta Why not, è costretto a rinunciare per le indagini al prezioso aiuto di due importanti collaboratori: il super tecnico delle intercettazioni telefoniche, Gioacchino Genchi, a cui è stato revocato l’incarico; il capitano dei carabinieri Pasquale Zacheo, comandante della compagnia di Policoro, che è stato trasferito in altra sede.
Tanto per puntualizzare, il comandante Zacheo è l'investigatore che ha guidato le indagini sul presunto comitato di affari attivo negli anni scorsi in Basilicata, finito nell’inchiesta cosiddetta Toghe lucane, anche questa coordinata dal pm De Magistris.
Il trasferimento dell’ufficiale dei carabinieri era nell’aria da tempo ma i più osavano sperare che esso divenisse operativo solo dopo la chiusura di tali indagini: speranze purtroppo disattese.
In attesa che il Csm si pronunci sulla richiesta di trasferimento d’ufficio contro lo stesso De Magistris avanzata dal ministro Mastella, resta da interrogarsi sulla opportunità in un momento politico così controverso e difficile di adottare, anche semplicemente sul piano amministrativo, provvedimenti che generano nuovo grande sconcerto nell’opinione pubblica e danno fuoco ad ulteriori feroci polemiche.
La notizia è riportata in una breve nota a pagina 10 del quotidiano la Repubblica di oggi (vedi anche http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=217266)

mercoledì 31 ottobre 2007

Politica, giornalismo e magistratura

Ennesimo editoriale di D’Avanzo sulla questione De Magistris - Mastella - Forleo.
Ancora una volta la accosta indebitamente alla stagione della Palermo di Falcone e Borsellino: nessuno glielo ha chiesto, nessuno dei protagonisti ha osato fare questo confronto quasi sacrilego ma lui, improvvisamente inviato speciale a bordo della sua macchina del tempo, è cocciutamente intenzionato a proporlo; a parte il pessimo gusto dell’operazione, è proprio l’obiettivo della stessa ad essere sciagurato.
Già risulta impegnativo per chi scrive ricordare senza retorica ma con eterna riconoscenza questi due eroi dell’Italia repubblicana (eroi per quello che hanno fatto nella loro vita di magistrati e di uomini dello Stato, non per l’ipocrita incensatura postuma che molti aspri detrattori delle loro iniziative giudiziarie si sono poi affrettati a fare; spesso anche in disprezzo della verità, costruendo leggende metropolitane come quella secondo la quale Paolo Borsellino non parlava mai ai media); si pensi poi quanto sia impervio, pericoloso, moralmente deplorevole, violarne la memoria per ridicolizzare le vicende giudiziarie attuali e gettare discredito sui protagonisti di oggi.
Ma partiamo dall’inizio.
Sul caso dell’inchiesta Why not tolta al pm di Catanzaro, il giornalista Giuseppe D’Avanzo si mantiene sulle generali ritenendo che “se si conserva la testa fredda […] ci siano tutte le condizioni per convincere De Magistris a evitare allarmi e proclami a vantaggio di una responsabile riservatezza.”
Poi passa ad affrontare il caso di Clementina Forleo con la quale, come tutti hanno avuto modo di rendersi conto leggendo il suo editoriale del 6 ottobre, forse deve avere qualche conto in sospeso.
Ricordate? La accusò inopinatamente di riferirsi a Massimo D’Alema quando aveva parlato nella trasmissione di Michele Santoro, Anno Zero, dei tanti don Rodrigo del Sud: fu una goffa difesa d’ufficio, non solo non richiesta dal presidente dei DS ma anche ingenuamente infamante nei suoi confronti.
Il fatto che il gip milanese abbia rivelato di essere stata soggetta a pressioni dai livelli istituzionali durante l’inchiesta Antonveneta-Bnl del 2005 e che oggi non si senta protetta dallo Stato è considerato da D’Avanzo un affare “molto bizzarro” anche se, ne conviene, esso “chiede di essere illuminato in fretta”.
Cita l’art. 331 del codice di procedura penale sull’obbligo della Forleo di farne denuncia per le vie di rito, auspicando comunque che qualcuna delle autorità giudiziarie preposte le imponga a riguardo di stendere una relazione di servizio.
Riconosce, comunque, che pur “ossequiente alla legge” il giudice Forleo potrebbe essere stata esitante nell’osservarla in tale occasione vista l’ostilità dell’ambiente istituzionale; ma egli aggiunge che è arrivato il tempo in cui “ciascuno faccia la sua parte a difesa dell’incolumità del giudice e dell’integrità dell’inchiesta milanese”.
Fin qui niente da eccepire anche se il tono usato dal giornalista non convince pienamente.
Poi dà le pagelle: “bene” il Csm che, dopo le dichiarazioni di Clementina Forleo, ha aperto un fascicolo; “male, malissimo” l’Arma dei carabinieri che non dà seguito alle denunce della Forleo. Ma allora, viene spontaneo chiedersi, il gip milanese le denunce le ha fatte o no?
Risparmiandoci la lettura dell’art. 331 del codice, non si dovrebbe partire proprio da quelle denunce per ricostruire il clima di intimidazione in cui il magistrato milanese è costretto a vivere dopo i suoi pronunciamenti sulle scalate Antonveneta – Bnl?
Che non si stesse occupando propriamente di una lite condominiale, d’altronde, è dimostrato dal succedersi a seguito di quell’inchiesta di settimane difficili nel mondo politico e finanziario italiano, sfociate nelle dimissioni del governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Come nell’infortunio occorsogli nell’editoriale in cui ha tirato in ballo del tutto a sproposito D’Alema, D’Avanzo pecca ancora una volta di presunzione e, vestendo i panni dell’uomo di legge che guarda dall’alto in basso la Forleo, stabilisce su due piedi che le lamentate presunte pressioni istituzionali configurino sicuramente una fattispecie di reato da perseguire d’ufficio.
Ma, un passo più in là, il giornalista di Repubblica mostra di non credere più di tanto a questa ipotesi perché a parte “il goffo agitarsi di Clemente Mastella” non esiste, a suo dire, un conflitto magistratura-politica:“si può prendere atto che negli uffici giudiziari, nelle forme associate della consorteria togata, nel suo organo di autogoverno, in Parlamento, nel governo, la temperatura dei rapporti tra i due poteri è nei parametri”.
Come a lasciare intendere: di cosa vogliamo discutere, dell’aria fritta?
E, a questo punto, parte l’ultimo affondo: “E se nulla di davvero rilevante ci sfugge, per quanto tempo dobbiamo essere imprigionati in una recita a soggetto, per di più con l’indecorosa evocazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?”
Che brutto finale! Facendosi scudo della memoria di due eroi, ha preconfezionato la sua invettiva, stile stagione dei veleni, concedendosi l’attenuante di un “se” per possibili future virate.
Ed ancora una volta a farne le spese su uno dei principali organi della carta stampata è il magistrato Clementina Forleo; a cui non è data purtroppo possibilità di replica senza sollevare ulteriori pretestuose polemiche.
Il clamore di questi giorni? Anche su questo, D’Avanzo non ha dubbi: è “emotività di teatri televisivi di incerta informazione che non danno conto della realtà ma preferiscono simularla”.
Invece di chiedere doverosamente scusa a Michele Santoro per gli insulti gratuiti e insensati di qualche settimana fa (editoriale su Repubblica del 6 u.s.), ha ancora l’impudenza di reiterare i suoi messaggi barbarici.
Ogni commento a questo punto è superfluo.
Fonte: Il paragone impossibile con Falcone e Borsellino

venerdì 26 ottobre 2007

Il richiamo della casta

Sempre interessante la puntata di Anno Zero di ieri sera, di nuovo dedicata al delicato tema della giustizia: in trasmissione quasi gli stessi protagonisti della puntata di venti giorni fa, il giudice Clementina Forleo e il sostituto procuratore Luigi De Magistris, insieme con il docente di procedura penale Vittorio Grevi.
L’argomento è sempre di stringente attualità visto che in tre settimane di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, come sappiamo.
Resta in sospeso il nodo della questione: se il pm dell’inchiesta Why not possa riprendere a lavorare sulle carte che in fretta e furia, con l’avocazione del procuratore facente funzioni Dolcino Favi, hanno preso la via di Roma, destinazione Tribunale dei ministri.
E’ inutile ritornare sul merito della vicenda che è ormai abbastanza chiara a tutti, grazie proprio a trasmissioni come quella di Santoro: il potere politico, quando si sente sotto la lente di osservazione della magistratura, reagisce d’istinto scompaginando le carte di chi indaga.
Adesso abbiamo una certezza in più: nel finto bipolarismo italiano, ciò accade sia con il governo di centrodestra che con quello di centrosinistra; ovvero, cambiando l’ordine dei partiti insediati al governo, il risultato per la giustizia italiana non muta!
E’ una specie di regola non scritta: la definiremo il richiamo della foresta, o meglio, della casta.
La stagione dei girotondi è finita da un pezzo ma qualcuno nel nuovo Partito Democratico dovrebbe spiegarci perché se era giusto sfilare di fronte al Palazzo di Giustizia di Milano nel 2002, ora è politicamente scorretto farlo a Catanzaro.
Ed infine, perché nessuno ha ancora provveduto a sostituire la scassata macchina blindata al pm De Magistris, che da mesi ha fatto presente che funziona peggio della 313 di Paperino?
Il tesoretto, guarda un po’, potrebbe in minima parte essere destinato proprio alla sicurezza dei magistrati più esposti nella lotta alla criminalità ed allo sperpero di denaro pubblico.
Se non vi provvedono immediatamente i ministri dell’Interno o quello della Giustizia, ministro Padoa Schioppa... pensaci tu!
In tempi difficili come quelli della legge finanziaria, la scelta potrebbe rivelarsi conveniente proprio per l’equilibrio dei conti pubblici.

domenica 21 ottobre 2007

Urge l'intervento del Colle

I fatti accaduti in queste ore alla procura di Catanzaro con l'inchiesta del pm De Magistris sottratta d'ufficio al suo titolare stanno provocando grave sconcerto nei tanti cittadini che ancora si sforzano di credere di vivere in uno Stato di diritto.
Per fugare i tanti dubbi che si affollano su questa giustizia che troppo spesso agisce con il bastone e la carota, lasciando questa soltanto ai potenti, urge il pronunciamento del Presidente della Repubblica che, è bene ricordarlo, è anche Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura; cioè l'organo costituzionale investito direttamente dalla vicenda che vede Mastella promotore come ministro della giustizia di un'azione disciplinare contro il pm che indaga su di lui.
CSM che è stato leso nei suoi poteri proprio dall'iniziativa della procura generale di Catanzaro.
Situazione gravissima di cortocircuito istituzionale che richiede non solo l'intervento della massima autorità dello Stato ma impone alla classe politica di chiarire se, al di là delle contingenze, difende le proprie prerogative di casta o è dalla parte di chi chiede chiarezza e soprattutto uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
Speriamo che l'intervento del Capo dello Stato sia tempestivo e chiarificatore, in grado cioè di diradare la nebbia di un conflitto istituzionale che vede contrapposti pezzi del governo, della classe politica e della magistratura e, lasciato in un isolamento pericolosissimo, il pm di Catanzaro, colpevole, allo stato degli atti, soltanto di aver posato lo sguardo investigativo troppo in alto.

sabato 6 ottobre 2007

D'Avanzo ad alzo zero contro Annozero

Purtroppo tutto ci saremmo attesi tranne che il giornalista Giuseppe D'Avanzo, dopo aver abbandonato da qualche parte il suo solitamente ricco taccuino di scoop con cui ha infarcito memorabili inchieste su Repubblica, abbandonasse le vesti di inquirente per conto del giornale di piazza Indipendenza per indossare i panni di fustigatore dell'informazione televisiva.
L'obiettivo però non è stato quello di mettere alla berlina i famosi panini confezionati per tradizione dal TG1 o da qualche notiziario Mediaset e che ogni giorno ammorbano l'aria rendendoci impossibile la visione del telegiornale.
No, questa volta si è diretto ad alzo zero contro Michele Santoro e la sua trasmissione Annozero, definendola una barbarie, consultando anche il vocabolario per gridarlo meglio.
Parte dal caso De Magistris, accusando il ministro Mastella, promotore del deferimento del magistrato di Catanzaro, di non essersi fatto scappare l'occasione di "infilzare"De Magistris con un'indiavolata sollecitudine e a chiedere al Consiglio - senza alcuna seria urgenza - il trasferimento del pubblico ministero per "gravi violazioni deontologiche"; per poi affermare che "In questa cornice, dovrebbe essere intelligibile per chiunque "il bene" che chiede protezione in quest'affare: l'autonomia di una funzione giudiziaria rispettosa delle regole".
Come a dire che Santoro faceva bene a non parlare della questione. Il perchè è lasciato del tutto all'oscuro anche se D'Avanzo prova a farfugliare un po' di frasi fatte senza troppa convinzione: "Se una giustizia condizionata o minacciata dal potere non è giustizia (l'indipendenza è il presupposto dell'imparzialità del magistrato), non è giustizia nemmeno quando si manifestano prassi in cui prevale una logica dell'efficienza coniugata alla facile idea che per la salus rei publicae bisogna guardare al reo dietro il reato, anche a costo di sacrificare il principio di stretta legalità".
Che cosa vuole farci intendere con un ragionamento tanto bislacco? Che dà per scontato che il pm De Magistris abbia violato la legge nella sua foga giustizialista contro Mastella? Ma non ha appena riferito dell'indiavolata sollecitudine del ministro di infilzare il magistrato senza alcuna seria urgenza?
Male, malissimo, D'Avanzo: una rilettura del pezzo prima della rotativa sarebbe stata indispensabile...
Ma il meglio D'Avanzo lo riserva nella parte centrale dell'editoriale: prima critica la scelta di confrontare la crisi calabrese con i veleni palermitani degli anni Ottanta accusando Santoro di aver compiuto "un errore di prospettiva" (ma su questo ciascuno, ragionevolmente, può avere l'opinione che vuole perchè non c'è nessuno, fino a prova contraria, che possa rilasciare la certificazione DOC alle stagioni criminali); poi punta a testa bassa sul giudice Clementina Forleo, colpevole di aver auspicato, come qualunque persona onesta e sana di mente riterrebbe, che il Sud si liberi dei suoi Don Rodrigo.
Per D'Avanzo l'equazione è chiara: poichè la Forleo è pugliese e D'Alema, di cui lei ha chiesto al Parlamento di utilizzare le intercettazioni con Consorte per la scalata Unipol, è stato eletto in Puglia, l'allusione a Don Rodrigo è sicuramente riferita allo stesso D'Alema.
Un po' come dire che poichè D'Avanzo è un giornalista, tutti quelli che portano il suo cognome sono giornalisti.
Complimenti: questa sì che è barbarie intellettuale!
Ma D'Avanzo ancora non è contento: dopo aver erroneamente attribuito alla giudice Forleo una critica ai suoi illustri colleghi di Milano (a questo punto dell'articolo è ormai chiaro per il lettore che D'Avanzo, chissà perchè, ha il dente avvelenato contro questo magistrato), si scaglia contro Santoro.
Lo accusa di aver organizzato "una trasmissione che rende incomprensibile la materia del contendere" (finalmente ammette di non averci capito niente, salvo poi scriverci sopra un fiume di parole insulse e livorose) e di avere preconfezionato una tesi del tutto errata: di ritenere, cioè, che il ministro Mastella, di fronte al disastro giudiziario calabrese, doveva guardare alla sostanza dell'operato di De Magistris, non ai suoi eventuali errori formali.
Ci siamo, D'Avanzo ormai ragiona come un giudice ammazzasentenze, di quelli che annullavano una condanna all'ergastolo perchè mancavano i bolli.
Si esprime esattamente come uno dei tanti azzeccagarbugli del Cavaliere; eccone una perla: "...quanti orrori possono accadere quando un magistrato arriva al massimo dell'indignazione e, in nome della giustizia, pretende un castigo e, se non lo ottiene, avvia un ciclo di ritorsioni."
Ma non è ancora finita: senza guardarsi allo specchio, accusa en passant Marco Travaglio di disinformazione per poi affondare il colpo ancora una volta contro Santoro dando un giudizio conclusivo sul suo programma; giudizio che, guarda un po', calza a pennello per il suo editoriale: "notizie alquanto confuse, disinformazione; non c'è alcuna conoscenza, soltanto un distillato di veleni in un quadro culturale che ignora le ragioni della democrazia e le convenienze dello Stato di diritto".
Chiosa D'Avanzo: "Annozero, viene da dire, è stato soltanto un passo verso il suicidio collettivo".
Sarà, ma in questa occasione è proprio lui che, in un pericoloso mix tra arrogante narcisismo, cieco furore e ordini di scuderia, ha dato una pessima prova di giornalismo.

Fonte: Repubblica del 6/10/07

http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/cronaca/pm-catanzaro/santoro-messaggi-barbarici/santoro-messaggi-barbarici.html