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mercoledì 16 gennaio 2008

La spazzatura di Napoli, grande spot per gli inceneritori

I mass media, in queste settimane, hanno cavalcato la drammatica situazione dei rifiuti in Campania per riaprire su vasta scala la partita degli inceneritori.
La demenzialità non ha limiti e si usa la situazione campana non per ripensare l’attuale ciclo di smaltimento dei rifiuti, su cui le autorità e l’intera nostra classe dirigente hanno pesantissime responsabilità; al contrario, si usano i mucchi di spazzatura delle strade di Napoli per rilanciare la politica degli inceneritori.
Come se l’emergenza sanitaria provocata dalla spazzatura visibile sui marciapiedi delle nostre città sia più grave ed urgente delle polveri sottili e della diossina, queste sì invisibili, che provocano in forma silente ed in tempi meno controllabili gravissime patologie nella popolazione.
Certamente la spazzatura in tv si vende meglio delle nanoparticelle di immondizia bruciata; e la battaglia di Pianura surclassa nell’audience l’anonima ciminiera fumante dell’inceneritore di Terni.
Se chiedete in giro, vi accorgerete subito che tutti sono d’accordo nel far spuntare come funghi gli inceneritori; nulla di cui sorprenderci tenuto conto che i media in queste settimane hanno martellato ossessivamente sul tema proponendo addirittura i disegni tecnici in multicolor degli inceneritori: quasi si trattasse della fabbrica di San Pietro!
Con questo fragore, si è orchestrato subdolamente un vero e proprio ricatto: o vi tenete la spazzatura sotto (e dentro!) casa o ci lasciate costruire in pace tutti gli inceneritori che vogliamo.
Li chiamano termovalorizzatori ma è come quando si parla di riforma del welfare a proposito dei tagli di spesa su pensioni e sanità. La comunicazione mediatica e di tanti politici resta sempre allo stato miserevole che abbiamo conosciuto in altre occasioni: degradata sia sul piano etico che intellettuale.
Usare monnezza per produrre energia è quanto di più strampalato si possa far credere alla gente: una vera offesa all’intelligenza del cittadino.
La disinformazione imperante ha così completamente scambiato i ruoli mettendo sotto accusa proprio chi da sempre predica la raccolta differenziata come alternativa alla costruzione degli inceneritori.
Si usa l’emergenza, anzi la si provoca, per fare quello che altrimenti la popolazione non accetterebbe mai: rinunciare definitivamente alla propria salute.
Ma la politica, ancora una volta, che cosa ci sta fare se non a prevenire le situazioni d’emergenza?
Perché qui non si tratta di un cataclisma naturale, è l’insipienza e l’avidità unite alla mancanza di etica dei nostri amministratori a provocare simili disastri.
A dispetto dei famelici interessi economici in campo, la raccolta differenziata toglie agli inceneritori la loro stessa materia prima: cioè i rifiuti. E progettarne la costruzione significa rinunciare in partenza ad una politica ecocompatibile di gestione delle risorse naturali.
Cosa ci vorrebbe a progettare un ciclo industriale che oltre a produrre beni e servizi fosse in grado di smaltirne i residui? Cosa impedisce che, a fianco di fabbriche che producono ad esempio frigoriferi e vernici, ce ne siano altre che li smaltiscano per fornirgliene di nuovo le materie prime?
Forse ci sarebbe solo un piccolo inconveniente: si creerebbero nuove occasioni di sano sviluppo economico e nuovi posti di lavoro; una bestemmia per i veteroimprenditori di casa nostra.
Quanti sanno, ad esempio, che la produzione di vetro riciclando quello accumulato nelle campane verdi delle nostre città è assai più conveniente che produrlo partendo dalla materia prima iniziale?
Ma i nostri mass media non ne parlano quasi: sono informazioni volutamente dispensate a dosi omeopatiche.
Perché il partito degli inceneritori spinge in modo che la questione rifiuti sia percepita dall’opinione pubblica soprattutto come problema di egoismi locali o, peggio ancora, di ordine pubblico.
Ed indurre il senso di colpa nel cittadino è il mezzo più semplice ed immediato per inquinargli la vita senza dover rispondere delle proprie malefatte.

domenica 6 gennaio 2008

La politica non è una partita a scacchi

Nell’ultima intervista rilasciata su Repubblica a Massimo Giannini alla vigilia dell’Epifania, Walter Veltroni, segretario del PD, dopo aver bocciato il modello elettorale tedesco di tipo proporzionale professa la sua cieca fiducia nel bipolarismo italiano ed in un sistema elettorale di tipo maggioritario a doppio turno, con l’elezione diretta del Capo dello Stato.
E’ abbastanza sferzante sul punto: “Forse chi vuole il sistema tedesco così com’è ha in testa un’altra idea: la Grande Coalizione. L’unica che renderebbe coerente la scelta del modello tedesco integrale. Ma se è così, si sappia fin da ora che la Grande Coalizione non è il progetto politico del PD. Il nostro partito nasce per consentire un sistema bipolare dell’alternanza, ispirato ad un principio di coesione. Questa, per noi, è una frontiera invalicabile”.
Ci piacerebbe, qualche volta, piuttosto di parlare di formule astratte, che gli uomini politici di primo piano si sbilanciassero a discutere dei veri problemi del nostro Paese.
La tiritera del bipolarismo ha fatto il suo tempo.
Mai in questi ultimi quindici anni il bipolarismo italiano ha dato prova di funzionare decentemente: pessimi gli esiti sia con il centrosinistra che con il centrodestra. Mentre la politica nel suo complesso si è sempre più rinchiusa nel proprio fortino, esprimendo un linguaggio criptico, distante dalla gente: è così che la riforma elettorale o quella dell’assetto costituzionale diventano semplicemente l’occasione di una grande partita a scacchi, dove il futuro del Paese viene immaginato sul proprio personale successo.
E’ una politica per primedonne dove le idee contano relativamente poco: tutto si può discutere, non ci sono pregiudiziali; l’importante è non mettere in crisi il proprio sconfinato narcisismo.
Probabilmente, le stesse categorie logiche della destra e della sinistra sono ormai un retaggio del passato e non riescono più a spiegare né tanto meno ad affrontare (meno che mai a risolvere!) i problemi della società contemporanea.
Se Veltroni ci tiene tanto ad un sistema bipolare, dovrebbe meglio spiegarci in che modo PD e Forza Italia rappresentano delle reali alternative sul piano programmatico.
Lasciamo stare le polemiche che puntano tutto sull’uomo Berlusconi e che rappresentano una facile scorciatoia per eludere il quesito principale: qual è il modello di società che il PD sostiene e che sarebbe, a dire del suo leader, contrapposto a quello rappresentato, adesso alla men peggio, dal centrodestra?
L’impressione, condivisa da molti osservatori, è che i due poli si assomiglino molto, anzi troppo: tutta questa differenza sul piano dell’azione di governo non c’è mai stata.
Lasciamo per una volta stare la storia personale del Cavaliere, in eterno conflitto di interessi e sempre polemico con la magistratura.
Se il centrodestra riuscisse ad esprimere una leadership diversa, in che modo il PD di Veltroni resterebbe alternativo a Forza Italia nell’agenda delle cose da fare? E’ questo il vero interrogativo.
Perché avremmo sperato che non dovessimo aspettare la sortita del governatore di Bankitalia Draghi per scoprire all’improvviso che salari e stipendi in Italia sono troppo bassi; o, addirittura, assistere all’affannoso recupero di Piero Fassino, spiazzato dall’amministratore delegato della Fiat Marchionne, quando questi ha recentemente deciso di ritoccare al rialzo le buste paga dei suoi dipendenti.
Ma la classe politica che stava a fare nel frattempo? Di certo, non gli interessi del Paese.
Per non parlare dell’ignavia dimostrata in tante questioni cruciali: difesa del territorio, lotta alla criminalità organizzata, leggi vergogna, ecc. Tutte ancora puntualmente in alto mare.
Ma forse il governo Prodi, ha dato la peggiore prova di sé proprio nell’affrontare la vicenda del gip di Milano Clementina Forleo così come quella che vede protagonista il pm di Catanzaro Luigi De Magistris: due magistrati coraggiosi, non soltanto lasciati soli nel loro compito ingrato ma diventati vittime di una vera e propria campagna mediatica di delegittimazione e discredito.
La vicenda dell’allargamento della base militare di Vicenza, l’avvelenata saga Rai e la questione rifiuti in Campania rappresentano infine l’emblema dell’incapacità di questa classe politica di affrontare questioni tutto sommato di ordinaria amministrazione, spendendo positivamente il consenso ricevuto dai cittadini.
Con minime differenze nel dosaggio degli ingredienti ma, alla prova dei fatti, la ricetta politica del PD e quella proposta da Forza Italia non sono state finora così diverse.
Ma allora che senso ha esaltare tanto un bipolarismo che esiste solo sulla carta? Sembra infatti che sia semplicemente una questione di bottega, un azzuffarsi all’interno della casta. Un voler ribadire la propria supremazia, sbattendo i pugni sul tavolo.
E’ per questo che nel corso del 2007 ha cominciato a soffiare sempre più forte il vento dell’insofferenza popolare contro una politica che nega se stessa, che è cioè diventata antipolitica, appoggiandosi su un’informazione mediatica ridotta al lumicino della disinformazione.
Prima di riscrivere le regole del gioco, come pensano Veltroni ed altri suoi colleghi, bisognerebbe prendere coscienza di quello che i cittadini davvero pretendono dalla classe politica: non chiedono semplicemente di governare o d’inventarsi qualche marchingegno elettorale per assicurarsi la governabilità (questa preme soltanto ai politici!).
Chiedono di risolvere problemi concreti proponendo un modello di società il più possibile condiviso o condivisibile, ben al di là del colore politico, che è sempre più spesso usato dalle burocrazie partitiche solo per attrarre il consenso di massa e continuare a fare in silenzio i propri privatissimi affari.
E intanto, nonostante il diluvio, i nostri politici continuano a giocare a scacchi.

lunedì 24 dicembre 2007

Gli "omaggi" natalizi di Scalfari alla Forleo

Nel sermone natalizio di domenica 23, Eugenio Scalfari attacca a fondo il giudice di Milano Clementina Forleo (1):
“Una magistratura che ricama sgorbi sulle sue toghe aggrappandosi al cavillo della norma senza capacità né voglia di coglierne la sostanza. Magistratura pubblicitaria, così dovrebbe chiamarsi la parte ormai largamente diffusa che insegue la propria visibilità non meno dei Diliberto e dei Mastella.
La vicenda Forleo è il sintomo palese di questa devastazione pubblicitaria che sta sconvolgendo l'Ordine giudiziario e, con esso, il corretto esercizio della giurisdizione. Ho grande rispetto per Franco Cordero, nostro esimio collaboratore, e capisco anche le motivazioni giuridiche che l'hanno indotto a difendere il Gip milanese.
Secondo me quel Gip andrebbe censurato dal Csm non per la procedura che ha seguito ma per l'esibizione di volta in volta vittimistica e sguaiata, con la quale ha invaso teleschermi e giornali. Disdicevole. Aberrante per un magistrato. Falcone, tanto per dire, non ha mai usato quel metodo né lo usarono il magistrato Alessandrini, l'avvocato Giorgio Ambrosoli e tutti coloro che del mondo della giustizia caddero sotto il piombo del terrorismo o della mafia.”
Grande Scalfari! Non ne fa più una questione di rispetto delle procedure o di improprietà dell’attività giudiziaria del gip di Milano.
Come potrebbe d’altronde?
Il giurista Franco Cordero bolla le motivazioni che hanno spinto il Csm a chiedere il trasferimento della Forleo come del tutto inconsistenti e paralogiche; nella trasmissione di Michele Santoro di giovedì scorso, l’insigne studioso dice testualmente: “L’atto d’accusa nei confronti della dottoressa Forleo è fondato su argomenti che valgono pochissimo; potrei anche usare parole più brutali e dire che non valgono niente.”
Per questo il fondatore di Repubblica è costretto a fare marcia indietro sul merito delle accuse e la mette folcloristicamente sul piano della presunta sguaiatezza del giudice Clementina Forleo nelle sue ripetute invasioni mediatiche: sarebbe questo il vero motivo, per Scalfari, della necessità di una censura da parte del Csm.
Un’assurdità che si commenta da sola.
Ma per dimostrare la validità del suo bel ragionamento egli cita uomini di legge come Falcone, Alessandrini e Ambrosoli che non hanno inseguito la visibilità mediatica e che sono caduti sotto i colpi di mafia e terrorismo.
Purtroppo Scalfari non si rende conto che è proprio da quella illustre ed eroica esperienza che discende la necessità per magistrati come Clementina Forleo e Luigi De Magistris di gridare ai quattro venti il boicottaggio patito e l’isolamento in cui sono caduti ad opera delle istituzioni da quando si sono trovati tra le mani inchieste scottanti: una sorta di polizza assicurativa sulla vita fondata semplicemente sulla propria visibilità mediatica.
Purtroppo è questa la situazione in cui si trovano ad operare i magistrati più coraggiosi in un’Italia dominata dalle consorterie e incupita da una scia di sangue che ha intimidito i tutori della legge per decenni e su cui non è mai stata fatta luce fino in fondo.
Come è possibile che un navigato giornalista come Scalfari non si renda conto di quale pesante eredità ci sia tramandata dai mille misteri italiani ancora insoluti?
La devastazione pubblicitaria di cui egli blatera è purtroppo l’inevitabile conseguenza di quel clima e della guerra, questa sì rovinosa perché senza esclusione di colpi, che la politica con rare eccezioni ha apertamente dichiarato alla magistratura dall’epoca di Mani pulite.
Eppure il grande giornalista non sembra si sia scandalizzato quando a seguito della ormai famosa ordinanza del Gip Forleo l’onorevole Massimo D’Alema così sguaiatamente commentava (cfr. citazione di Marco Travaglio in Anno Zero del 20 u.s.)": “Che monnezza, che schifo la magistratura si comporta in modo inaccettabile; forse li abbiamo difesi troppo questi magistrati ma ora dobbiamo reagire. E’ una violazione della legge perpetrata dagli stessi magistrati. Siamo ancora uno stato di diritto? Non vedo alcuna ragione di giustizia, deve esserci sotto dell’altro… io ho qualche idea, prima o poi bisogna tirarla fuori”; oppure quando diceva: “Siamo fuori dallo stato di diritto. E’ pazzesco: quel Gip fa cattiva letteratura, crocifigge un cittadino, fa saltare per aria il sistema democratico. Perché questa vecchia immondizia rispunta fuori proprio ora?”
Quello in cui vive il fondatore di Repubblica probabilmente non è lo stesso paese in cui tutti noi siamo costretti a vivere sotto la cappa di formidabili poteri occulti, in un intreccio perverso di politica, affari e criminalità, che caratterizza senza soluzione di continuità periodi importanti di vita repubblicana.
E poi finiamola una buona volta col minimizzare quanto avvenuto tra la primavera e l’estate di due anni fa: quello fu il tentativo, abortito solo perché inopinatamente emerso alla luce del sole, di due scalate bancarie parallele ma entrambe illegali che si sostennero vicendevolmente grazie al tifo fazioso delle due principali forze politiche di allora.
Ce n’è abbastanza, al di là delle risultanze giudiziarie, per mandare a casa l’intera classe dirigente di quei due partiti.
E invece no, gli sciagurati protagonisti di quella stagione sono ancora lì a fare il bello ed il cattivo tempo, a dettare ancora l’agenda politica del nostro Paese.
Ecco perché, caro Scalfari, la gente come dice Lei, è schifata: perché già sa che, gattopardescamente, niente cambierà né alla Rai né in qualunque altro presidio pubblico occupato militarmente dalla politica.
E quella telefonata intercettata tra Agostino Saccà e Silvio Berlusconi sarà pure stomachevole ma è tutt’altro che sorprendente o inaspettata, al di là dell’opinione che si ha dei protagonisti: al bando l’ipocrisia, fotografa in modalità macro l’ordinario degrado morale della nostra classe dirigente.
Malauguratamente non si intravede all’orizzonte niente che possa toglierci rapidamente dalle sabbie mobili in cui il nostro sistema politico istituzionale è precipitato da tempo.
L’altra sera ad Annozero, in una meritoria puntata in cui Michele Santoro ha finalmente rivelato al grande pubblico televisivo come sembrino pretestuose ed inconsistenti le carte del Csm contro la Forleo, abbiamo potuto sentire la cosiddetta nuova politica rappresentata dal leader della Sinistra Giovanile criticare aspramente l’ordinanza emessa nel luglio scorso dal giudice Clementina Forleo, usando le stesse logore argomentazioni a suo tempo usate dai difensori e luogotenenti di Berlusconi: davvero un pugno nello stomaco per chi crede che i giovani possano rappresentare l’asso nella manica di un paese che, giustamente, al di là dell’Atlantico viene visto triste ed immobile.
Perché dei replicanti di D’Alema, Fassino, Mastella, ma anche degli emuli in erba di Berlusconi e Fini, questo paese non solo non sente la necessità ma addirittura ne teme lo shock anafilattico.
Ciò non toglie che la nostra democrazia ha un bisogno vitale di ricostruire efficaci processi di selezione della propria classe dirigente: magari fosse solo questione di legge elettorale!
E’ un intero sistema di reclutamento delle forze migliori, di nuovi talenti, di energie ideali che va ricostruito dalle fondamenta.
Che cosa possa innescare questo processo virtuoso è difficile dirlo: forse la rabbia montante tra i cittadini indignati dallo schifo della vita pubblica, proprio quello sottolineato dal predicozzo dell’antivigilia di Natale su Repubblica, può segnare l’alba di una nuova Italia.
Ma, allo stato delle cose, più che una speranza questo è piuttosto un pio desiderio.
(1): la Repubblica.it del 23/12/2007

mercoledì 31 ottobre 2007

Politica, giornalismo e magistratura

Ennesimo editoriale di D’Avanzo sulla questione De Magistris - Mastella - Forleo.
Ancora una volta la accosta indebitamente alla stagione della Palermo di Falcone e Borsellino: nessuno glielo ha chiesto, nessuno dei protagonisti ha osato fare questo confronto quasi sacrilego ma lui, improvvisamente inviato speciale a bordo della sua macchina del tempo, è cocciutamente intenzionato a proporlo; a parte il pessimo gusto dell’operazione, è proprio l’obiettivo della stessa ad essere sciagurato.
Già risulta impegnativo per chi scrive ricordare senza retorica ma con eterna riconoscenza questi due eroi dell’Italia repubblicana (eroi per quello che hanno fatto nella loro vita di magistrati e di uomini dello Stato, non per l’ipocrita incensatura postuma che molti aspri detrattori delle loro iniziative giudiziarie si sono poi affrettati a fare; spesso anche in disprezzo della verità, costruendo leggende metropolitane come quella secondo la quale Paolo Borsellino non parlava mai ai media); si pensi poi quanto sia impervio, pericoloso, moralmente deplorevole, violarne la memoria per ridicolizzare le vicende giudiziarie attuali e gettare discredito sui protagonisti di oggi.
Ma partiamo dall’inizio.
Sul caso dell’inchiesta Why not tolta al pm di Catanzaro, il giornalista Giuseppe D’Avanzo si mantiene sulle generali ritenendo che “se si conserva la testa fredda […] ci siano tutte le condizioni per convincere De Magistris a evitare allarmi e proclami a vantaggio di una responsabile riservatezza.”
Poi passa ad affrontare il caso di Clementina Forleo con la quale, come tutti hanno avuto modo di rendersi conto leggendo il suo editoriale del 6 ottobre, forse deve avere qualche conto in sospeso.
Ricordate? La accusò inopinatamente di riferirsi a Massimo D’Alema quando aveva parlato nella trasmissione di Michele Santoro, Anno Zero, dei tanti don Rodrigo del Sud: fu una goffa difesa d’ufficio, non solo non richiesta dal presidente dei DS ma anche ingenuamente infamante nei suoi confronti.
Il fatto che il gip milanese abbia rivelato di essere stata soggetta a pressioni dai livelli istituzionali durante l’inchiesta Antonveneta-Bnl del 2005 e che oggi non si senta protetta dallo Stato è considerato da D’Avanzo un affare “molto bizzarro” anche se, ne conviene, esso “chiede di essere illuminato in fretta”.
Cita l’art. 331 del codice di procedura penale sull’obbligo della Forleo di farne denuncia per le vie di rito, auspicando comunque che qualcuna delle autorità giudiziarie preposte le imponga a riguardo di stendere una relazione di servizio.
Riconosce, comunque, che pur “ossequiente alla legge” il giudice Forleo potrebbe essere stata esitante nell’osservarla in tale occasione vista l’ostilità dell’ambiente istituzionale; ma egli aggiunge che è arrivato il tempo in cui “ciascuno faccia la sua parte a difesa dell’incolumità del giudice e dell’integrità dell’inchiesta milanese”.
Fin qui niente da eccepire anche se il tono usato dal giornalista non convince pienamente.
Poi dà le pagelle: “bene” il Csm che, dopo le dichiarazioni di Clementina Forleo, ha aperto un fascicolo; “male, malissimo” l’Arma dei carabinieri che non dà seguito alle denunce della Forleo. Ma allora, viene spontaneo chiedersi, il gip milanese le denunce le ha fatte o no?
Risparmiandoci la lettura dell’art. 331 del codice, non si dovrebbe partire proprio da quelle denunce per ricostruire il clima di intimidazione in cui il magistrato milanese è costretto a vivere dopo i suoi pronunciamenti sulle scalate Antonveneta – Bnl?
Che non si stesse occupando propriamente di una lite condominiale, d’altronde, è dimostrato dal succedersi a seguito di quell’inchiesta di settimane difficili nel mondo politico e finanziario italiano, sfociate nelle dimissioni del governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Come nell’infortunio occorsogli nell’editoriale in cui ha tirato in ballo del tutto a sproposito D’Alema, D’Avanzo pecca ancora una volta di presunzione e, vestendo i panni dell’uomo di legge che guarda dall’alto in basso la Forleo, stabilisce su due piedi che le lamentate presunte pressioni istituzionali configurino sicuramente una fattispecie di reato da perseguire d’ufficio.
Ma, un passo più in là, il giornalista di Repubblica mostra di non credere più di tanto a questa ipotesi perché a parte “il goffo agitarsi di Clemente Mastella” non esiste, a suo dire, un conflitto magistratura-politica:“si può prendere atto che negli uffici giudiziari, nelle forme associate della consorteria togata, nel suo organo di autogoverno, in Parlamento, nel governo, la temperatura dei rapporti tra i due poteri è nei parametri”.
Come a lasciare intendere: di cosa vogliamo discutere, dell’aria fritta?
E, a questo punto, parte l’ultimo affondo: “E se nulla di davvero rilevante ci sfugge, per quanto tempo dobbiamo essere imprigionati in una recita a soggetto, per di più con l’indecorosa evocazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?”
Che brutto finale! Facendosi scudo della memoria di due eroi, ha preconfezionato la sua invettiva, stile stagione dei veleni, concedendosi l’attenuante di un “se” per possibili future virate.
Ed ancora una volta a farne le spese su uno dei principali organi della carta stampata è il magistrato Clementina Forleo; a cui non è data purtroppo possibilità di replica senza sollevare ulteriori pretestuose polemiche.
Il clamore di questi giorni? Anche su questo, D’Avanzo non ha dubbi: è “emotività di teatri televisivi di incerta informazione che non danno conto della realtà ma preferiscono simularla”.
Invece di chiedere doverosamente scusa a Michele Santoro per gli insulti gratuiti e insensati di qualche settimana fa (editoriale su Repubblica del 6 u.s.), ha ancora l’impudenza di reiterare i suoi messaggi barbarici.
Ogni commento a questo punto è superfluo.
Fonte: Il paragone impossibile con Falcone e Borsellino

venerdì 19 ottobre 2007

Dopo i lavavetri... caccia ai bloggers!

Non sono più Democratici di sinistra, in fondo di sinistra molti di loro probabilmente non lo sono stati mai: alcune uscite di Veltroni non danno da pensare?
Ma almeno democratici, almeno quello, dovrebbero essere restati.
Altrimenti la tanto strombazzata prova delle Primarie a cosa sarebbe servita? Solo a battezzare il partito della non sinistra? Ovvero sarebbe nata una forza politica che si caratterizza per quello che non è, per l'abbandono di alcuni valori, più che per il rinvigorimento di altri, che a volte veramente ci sfuggono...
Commento amaro dopo il disegno di legge, approvato alla chetichella in Consiglio dei ministri il 12 ottobre scorso che impone a chiunque abbia un blog di registrarlo all'Autorità delle Comunicazioni con una serie di lacciuoli burocratici che passano, tra l'altro, per l'avere una società editrice ed un direttore responsabile iscritto all'Albo dei giornalisti.
Come a dire che il 99 % dei blog, come dice Beppe Grillo, sarà costretto a chiudere, perdendo l'ultimo spazio di libertà informativa che ancora resta, agli antipodi dei mass media sotto tutela politica.
Davvero un bel colpo per gli elettori del Partito Democratico: tutti a pensare che in Consiglio dei Ministri, alla vigilia delle Primarie, si affrontassero con premura e competenza le tante emergenze del Paese (ogni tanto, uno sguardo alla trasmissione di Santoro sarebbe oltremodo consigliabile ai nostri politici del centrosinistra) ed invece questi stavano pensando di imbavagliare Internet per frenare il risentimento popolare contro di loro: dopo i lavavetri, sotto ai bloggers...
Un nuovo editto, dopo quello bulgaro di Berlusconi, che include adesso anche il blog di Beppe Grillo....
Senza parole, nemmeno in Rete!

giovedì 8 settembre 2005

La leggenda del pianista sull'oceano mediatico

Finalmente la storia di Piano Man, l’uomo trovato mentre vagava confuso e fradicio in una remota spiaggia del Kent, si è conclusa; ma è stata la più incredibile delle conclusioni!
Perché tutto ci potevamo aspettare tranne che la notizia implodesse in maniera così disarmante: quello che era un talento della tastiera approdato sulle coste inglesi dal nulla in un mutismo quasi soprannaturale, altri non era che una ragazzo tedesco con propositi suicidi (fortunatamente abortiti in tempo!).
Abbiamo vissuto un’estate pensando al virtuosismo pianistico di questo ragazzo biondo, smunto e dallo sguardo tenero e lontano, grazie alla televisione che ha mandato in onda per giorni (a corredo della notizia) scene tratte da un bel film di qualche anno fa, per ritrovarcelo in fuga dall’ospedale psichiatrico, senza una sterlina, senza note musicali, con una famiglia in Germania…
Eppure tutti ci avevano assicurato che suonava divinamente quando veniva messo davanti ad un pianoforte: di più, quel suo modo di suonare così celestiale compensava ampiamente il suo mutismo!
E’ inutile ricordare che la notizia aveva fatto il giro del mondo: giro veramente inutile se, pare ormai certo, egli non sappia far altro che premere ossessivamente un paio di tasti! Non c’è da infierire su di lui e sulle sue difficoltà comunicative; quello che deve far preoccupare seriamente è che per mesi, sui maggiori canali d’informazione del mondo, è rimbalzata una enorme bufala.
Com’è potuto succedere? Forse la notizia era così suggestiva e così gradita alla gente comune, presa quotidianamente da ben altre contingenze, che chi l’ha immessa nel circuito mediatico, in fondo, ha compiuto un’opera buona: per qualche tempo, ci ha fatto sognare ad occhi aperti...
Eppure è inquietante pensare che i mass media, così facilmente, ci possano far prendere lucciole per lanterne!