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domenica 6 gennaio 2008

La politica non è una partita a scacchi

Nell’ultima intervista rilasciata su Repubblica a Massimo Giannini alla vigilia dell’Epifania, Walter Veltroni, segretario del PD, dopo aver bocciato il modello elettorale tedesco di tipo proporzionale professa la sua cieca fiducia nel bipolarismo italiano ed in un sistema elettorale di tipo maggioritario a doppio turno, con l’elezione diretta del Capo dello Stato.
E’ abbastanza sferzante sul punto: “Forse chi vuole il sistema tedesco così com’è ha in testa un’altra idea: la Grande Coalizione. L’unica che renderebbe coerente la scelta del modello tedesco integrale. Ma se è così, si sappia fin da ora che la Grande Coalizione non è il progetto politico del PD. Il nostro partito nasce per consentire un sistema bipolare dell’alternanza, ispirato ad un principio di coesione. Questa, per noi, è una frontiera invalicabile”.
Ci piacerebbe, qualche volta, piuttosto di parlare di formule astratte, che gli uomini politici di primo piano si sbilanciassero a discutere dei veri problemi del nostro Paese.
La tiritera del bipolarismo ha fatto il suo tempo.
Mai in questi ultimi quindici anni il bipolarismo italiano ha dato prova di funzionare decentemente: pessimi gli esiti sia con il centrosinistra che con il centrodestra. Mentre la politica nel suo complesso si è sempre più rinchiusa nel proprio fortino, esprimendo un linguaggio criptico, distante dalla gente: è così che la riforma elettorale o quella dell’assetto costituzionale diventano semplicemente l’occasione di una grande partita a scacchi, dove il futuro del Paese viene immaginato sul proprio personale successo.
E’ una politica per primedonne dove le idee contano relativamente poco: tutto si può discutere, non ci sono pregiudiziali; l’importante è non mettere in crisi il proprio sconfinato narcisismo.
Probabilmente, le stesse categorie logiche della destra e della sinistra sono ormai un retaggio del passato e non riescono più a spiegare né tanto meno ad affrontare (meno che mai a risolvere!) i problemi della società contemporanea.
Se Veltroni ci tiene tanto ad un sistema bipolare, dovrebbe meglio spiegarci in che modo PD e Forza Italia rappresentano delle reali alternative sul piano programmatico.
Lasciamo stare le polemiche che puntano tutto sull’uomo Berlusconi e che rappresentano una facile scorciatoia per eludere il quesito principale: qual è il modello di società che il PD sostiene e che sarebbe, a dire del suo leader, contrapposto a quello rappresentato, adesso alla men peggio, dal centrodestra?
L’impressione, condivisa da molti osservatori, è che i due poli si assomiglino molto, anzi troppo: tutta questa differenza sul piano dell’azione di governo non c’è mai stata.
Lasciamo per una volta stare la storia personale del Cavaliere, in eterno conflitto di interessi e sempre polemico con la magistratura.
Se il centrodestra riuscisse ad esprimere una leadership diversa, in che modo il PD di Veltroni resterebbe alternativo a Forza Italia nell’agenda delle cose da fare? E’ questo il vero interrogativo.
Perché avremmo sperato che non dovessimo aspettare la sortita del governatore di Bankitalia Draghi per scoprire all’improvviso che salari e stipendi in Italia sono troppo bassi; o, addirittura, assistere all’affannoso recupero di Piero Fassino, spiazzato dall’amministratore delegato della Fiat Marchionne, quando questi ha recentemente deciso di ritoccare al rialzo le buste paga dei suoi dipendenti.
Ma la classe politica che stava a fare nel frattempo? Di certo, non gli interessi del Paese.
Per non parlare dell’ignavia dimostrata in tante questioni cruciali: difesa del territorio, lotta alla criminalità organizzata, leggi vergogna, ecc. Tutte ancora puntualmente in alto mare.
Ma forse il governo Prodi, ha dato la peggiore prova di sé proprio nell’affrontare la vicenda del gip di Milano Clementina Forleo così come quella che vede protagonista il pm di Catanzaro Luigi De Magistris: due magistrati coraggiosi, non soltanto lasciati soli nel loro compito ingrato ma diventati vittime di una vera e propria campagna mediatica di delegittimazione e discredito.
La vicenda dell’allargamento della base militare di Vicenza, l’avvelenata saga Rai e la questione rifiuti in Campania rappresentano infine l’emblema dell’incapacità di questa classe politica di affrontare questioni tutto sommato di ordinaria amministrazione, spendendo positivamente il consenso ricevuto dai cittadini.
Con minime differenze nel dosaggio degli ingredienti ma, alla prova dei fatti, la ricetta politica del PD e quella proposta da Forza Italia non sono state finora così diverse.
Ma allora che senso ha esaltare tanto un bipolarismo che esiste solo sulla carta? Sembra infatti che sia semplicemente una questione di bottega, un azzuffarsi all’interno della casta. Un voler ribadire la propria supremazia, sbattendo i pugni sul tavolo.
E’ per questo che nel corso del 2007 ha cominciato a soffiare sempre più forte il vento dell’insofferenza popolare contro una politica che nega se stessa, che è cioè diventata antipolitica, appoggiandosi su un’informazione mediatica ridotta al lumicino della disinformazione.
Prima di riscrivere le regole del gioco, come pensano Veltroni ed altri suoi colleghi, bisognerebbe prendere coscienza di quello che i cittadini davvero pretendono dalla classe politica: non chiedono semplicemente di governare o d’inventarsi qualche marchingegno elettorale per assicurarsi la governabilità (questa preme soltanto ai politici!).
Chiedono di risolvere problemi concreti proponendo un modello di società il più possibile condiviso o condivisibile, ben al di là del colore politico, che è sempre più spesso usato dalle burocrazie partitiche solo per attrarre il consenso di massa e continuare a fare in silenzio i propri privatissimi affari.
E intanto, nonostante il diluvio, i nostri politici continuano a giocare a scacchi.

mercoledì 28 novembre 2007

La speranza della class action contro le banche

Dal 1990 il sistema bancario italiano ha subìto profonde modifiche.
A partire dalla cosiddetta legge Amato si è dato origine ad una trasformazione degli assetti giuridico organizzativi che, pur ancora in corso, è quasi arrivata al suo epilogo.
Vi ricordate le BIN, le cosiddette banche di interesse nazionale, di proprietà dell’IRI? Sì, proprio loro: la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano, il Banco di Roma.
E poi i cinque Istituti di credito di diritto pubblico? Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di Siena, Istituto San Paolo di Torino, Banca Nazionale del Lavoro.
Ne è passata di acqua sotto i ponti ma il panorama bancario odierno non è un granché migliorato per le tasche degli italiani.
Procedendo a trasformazioni, aggregazioni, fusioni mini e maxi, ormai in Italia esistono due, forse tre colossi: Unicredit, Intesa San Paolo e Monte dei Paschi-Antonveneta. Ed al posto delle casse di risparmio, sono spuntate come funghi le Fondazioni che gestiscono i pacchetti di controllo delle attività operative confluite in società per azioni.
Ma vi siete mai chiesti chi amministra le Fondazioni? Qui la politica la fa da padrona, inutile illudersi, e i criteri di nomina sono assai lontani dall'ispirarsi al principio meritocratico.
All’epoca si disse che queste operazioni avrebbero migliorato l’ efficienza e la competitività del sistema bancario italiano, che era segmentato in modo feudale; e i correntisti avrebbero finalmente avuto il loro momento di gloria potendo beneficiare di grossi risparmi nei costi di gestione dei servizi bancari nonché di un miglioramento sensibile e generalizzato nella qualità degli stessi.
Inoltre, il rafforzamento patrimoniale ed organizzativo delle banche italiane avrebbe permesso alle aziende straniere di penetrare nel mercato italiano in modo graduale, portando concorrenza ma senza fare sfracelli.
Purtroppo, il risultato sconsolante di questo terremoto organizzativo durato quindici anni, gli stessi della tanto osannata seconda repubblica (sarà un caso?), è che il mercato bancario è oligopolistico più che mai e della tanto auspicata concorrenza nessuno parla più: il 60% del credito totale è nelle mani di tre gruppi.
Al bipolarismo politico ha quindi fatto seguito una sorta di triumvirato finanziario: il maggioritario politico declinato nei salotti della finanza ha sfornato un modello organizzativo che elimina sul nascere ogni velleità concorrenziale.
Se prima il cliente aveva la sensazione di poter contare un minimo, in qualche modo contrattando qualche condizione con il proprio direttore d’agenzia, oggi desiste subito, trovandosi di fronte ad un muro di gomma: nessuno in agenzia ha più il potere di decidere nulla senza passare per i livelli superiori della scala gerarchica.
Un aumento dal frequente 0,30% al misero 0,50% del tasso di interesse sui risparmi in conto corrente bancario?
Beh, le faremo sapere tra qualche giorno, dobbiamo farne richiesta a Milano, a Torino, ecc.
Ma dopo due mesi, che fine abbia fatto quella domanda nessuno lo sa!
Così mentre le commissioni salgono, i servizi proposti alla clientela restano ancora tipici di un’economia di serie C.
Così pronte le banche a sbolognare i bond argentini o le obbligazioni Parmalat, ci mettono ancora sette giorni feriali, cioè 9 giorni solari (ricorrenze infrasettimanali permettendo!) per accreditarti un assegno bancario sul conto corrente, naturalmente salvo buon fine.
Nonostante negli ultimi due anni le aziende di credito abbiano ritoccato sensibilmente i tassi in rialzo sui loro impieghi (ne sanno qualcosa i milioni di italiani che hanno acceso un mutuo a tasso variabile), ancora praticano sui depositi della clientela condizioni ridicole: molti si vedono remunerare i loro risparmi ancora allo 0,30% lordo!!
Qualcuno dirà: anche in Inghilterra il tasso sul conto corrente è pari a zero. Verissimo, ma lì il conto corrente non costa nulla, carta Bancomat e spesso carta di credito comprese.
La class action, cioè l’azione risarcitoria collettiva dei consumatori contro i fornitori di beni e servizi, approvata nella Finanziaria, se verrà finalmente applicata, troverà sicuramente nei ricorsi contro le banche il primo vero banco di prova per i consumatori.
Scoraggia sapere che sia stata approvata grazie al decisivo errore di voto di un senatore di Forza Italia, scoppiato in lacrime subito dopo; inoltre l’impareggiabile ministro Mastella ha già fatto sapere di essere intenzionato a modificarla “per evitare una fuga di investimenti dall’Italia”.
Perché, in fondo, alla politica ed ai media interessa più parlare di Partito Democratico o Partito del Popolo delle Libertà, che dei diritti dei cittadini, anche quando semplicemente varcano la porta girevole di uno sportello bancario.
Nonostante le iniziative del governo Prodi e l’intraprendenza mediatica del ministro Bersani, le vere liberalizzazioni in campo finanziario sono ancora di là da venire.